Aglio Bianco Piacentino IGP Aglio Bianco Piacentino IGP Disciplinare di produzione - Aglio Bianco Piacentino IGPArticolo 1. Denominazione L’indicazione geografica protetta «Aglio Bianco Piacentino» è riservata al prodotto di cui alla specie Allium sativum L. rispondente alle condizioni riportate nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La denominazione «Aglio Bianco Piacentino» I.G.P. designa i bulbi ottenuti dalla coltivazione delle varietà di aglio «Ottolini» e «Serena», nella zona geografica di produzione delimitata nel successivo art. 3. Il prodotto, all’atto dell’immissione al consumo, deve presentare le seguenti caratteristiche: i bulbi si presentano allo stato secco; la tunica esterna del bulbo e quelle che avvolgono ciascuno spicchio devono essere completamente secche e di colore bianco; i bulbi sono provvisti di spicchi (o bulbilli) nel numero compreso tra 12 e 18, di sapore acre, di dimensioni medie e grosse compatti e di forma regolare senza difetti qualitativi; i bulbi devono avere le caratteristiche previste dalle norme comuni di qualità rispondenti alle categorie extra o Ia. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di essiccazione e di conservazione della I.G.P. «Aglio Bianco Piacentino» comprende l'intero territorio dei comuni di Besenzone, Cadeo, Calendasco, Caorso, Castelvetro Piacentino, Cortemaggiore, Fiorenzuola, Gossolengo, Gragnano Trebbiense, Monticelli d'Ongina, Piacenza, Podenzano, Pontenure, Rottofreno, Sarmato, San Pietro in Cerro, Villanova sull’Arda e parte del territorio dei comuni di Agazzano, Alseno, Borgonovo Val Tidone, Carpaneto Piacentino, Castell'Arquato, Castel San Giovanni, Gazzola, Ponte dell'Olio, Rivergaro, San Giorgio Piacentino, Vigolzone, tutti nella provincia di Piacenza. La delimitazione della zona geografica è la seguente: partendo da nord, sul fiume Po, lungo il confine provinciale che il limite segue fino ad incrociare, in prossimità del torrente Stirone, la strada che, toccando le località la Persica e Case Lolini, incontra la strada Salsediana sulla quale prosegue in direzione nord verso Castelnuovo Fogliani. Oltrepassati il torrente Ongina ed il bivio sulla strada di Genova, prosegue sulla strada per Castell'Arquato sino al Rio Grattarolo che segue fino all'altezza dell'abitato di Case Sogli per poi riprendere, attraverso il confine comunale Alseno-Castell'Arquato, la strada per Castell'Arquato in direzione sud-ovest fino all'abitato medesimo. Oltrepassato il torrente Arda risale verso nord-ovest sulla provinciale per Carpaneto fino ad incrociare il confine del comune di Carpaneto e, in direzione sud-ovest, la comunale per Massana di Sopra. Proseguendo sulla stessa incrocia il Rio delle Caselle, passa quindi in località Travazzano e supera il torrente Chero raggiungendo la strada provinciale per Rezzano. Percorrendo quindi la medesima strada, in direzione nord, raggiunge la località la Turca di Sopra da dove prosegue, verso nord-ovest, fino alla località Piacentino e da questa segue, in direzione sud, la comunale sino alla località Case il Poggio. Segue quindi l'interpoderale fino ad incrociare il torrente Vezzeno e da questi fino al rio Terzolo per poi proseguire lungo la strada per località Veggiola sino ad incrociare la comunale per Godi, su questa prosegue in direzione nord, oltrepassa Godi sino ad incrociare il torrente Ogone che il limite percorre in direzione sud fino ad intersecare la strada per Rizzolo che segue sino alla stessa località. Da Rizzolo segue la strada per Ponte dell'Olio toccando le località di Torrano, Zaffignano e Folignano. Da Ponte dell'Olio, attraverso il ponte sul Nure segue la provinciale Valnure in direzione nord sino a Vigolzone. Da Vigolzone segue la strada vicinale del Gusot, lungo il rio Verano, fino a Cà del Lupo, quindi segue il rio della Bosella, supera la provinciale di Colonese e prosegue verso nord sino all'altezza di cascina Bassa, si sposta quindi in direzione ovest sino ad incontrare la strada per Ancarano che segue sino ad Ancarano di sopra. Da qui segue il rio Cassa sino alla strada vicinale Montebello-Borzoli-Donzella ed incrocia la S.S. 45 in località Diara, sulla quale prosegue raggiungendo Rivergaro. Superato Rivergaro prosegue sulla S.S. 45 fino ad incrociare la strada che attraversa il fiume Trebbia e che si immette sulla vecchia strada provinciale Travo-Rivalta che il limite percorre, in direzione nord, sino a località Molino. Da questa località prosegue in direzione ovest lungo la strada vicinale delle cascine Bassa Bellaria, Boccine di sotto, Manfredi e Bongiorno, fino alla comunale che segue fino a Castelletto per riprendere la vicinale per la cascina Maruffa e, proseguendo in direzione nord-ovest, percorre la comunale per Gazzola fino ad incrociare la vicinale di Poggio del Gatto che percorre fino ad immettersi sulla provinciale Gazzola-Agazzano. Su quest'ultima, in direzione sud-ovest, prosegue fino ad incrociare il torrente Luretta che percorre in direzione nord fino alla strada per Rivasso sulla quale, proseguendo in direzione ovest, tocca gli abitati di Rivasso e Sarturano e raggiunge Mirabello. Da qui, in direzione sud-ovest, sulla strada di Tavernago, prosegue sino a Guadernago per poi giungere al torrente Tidone che segue, in direzione sud-ovest, sino alla cascina Santa Margherita. Si congiunge poi con la ex statale n. 412 che segue in direzione nord fino a Borgonovo VaI Tidone. Prosegue in direzione ovest sulla strada per Moretta fino ad incrociare il rio Cavo che percorre in direzione nord fino all'altezza di Cà Basse per poi seguire la comunale per Castelsangiovanni fino all'altezza di cascina Perduta. Da qui prosegue in direzione ovest lambendo gli abitati di cascina Pradello e cascina Loghetto sino a Fornaci. Da questa località segue la comunale verso Casanova, proseguendo poi sino a Ganaghello e poi, in direzione ovest, fino al confine provinciale che segue quindi, in direzione nord, fino al fiume Po. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Preparazione del terreno La lavorazione del terreno deve essere eseguita entro il mese di settembre. L'aratura è seguita da successive erpicature e/o fresature che, oltre per l'interramento dei concimi minerali, servono per lo sminuzzamento del terreno necessario per il regolare collocamento dei bulbilli. Inoltre, si deve provvedere, mediante scoline e fossi di testata, alla sistemazione degli appezzamenti in modo da facilitare il drenaggio delle acque in eccesso. Fertilizzazione Le modalità di somministrazione di concimi minerali e di ammendanti organici sono realizzate in modo da mantenere la fertilità del terreno e contestualmente di fornire alla coltura tutti i nutrienti necessari per un corretto sviluppo. In tutti i casi i quantitativi massimi di unità di fertilizzante che non potranno essere superati sono: P2O5 250 Kg/Ha; K2O 300 Kg/Ha; N 150 Kg/Ha. Semina La messa a dimora dei bulbilli deve essere effettuata nel periodo compreso tra il 20 settembre e il 20 novembre, impiegando semente (bulbilli) certificata appartenente alle varietà «Ottolini» o «Serena». Il materiale di propagazione è costituito da bulbilli ottenuti per sgranatura dei bulbi; i quali vengono puliti da radici, tuniche esterne, bulbilli centrali e da bulbilli esterni al bulbo (denti). Durante le operazioni di sgranatura e pulitura dei bulbilli viene posta particolare attenzione ad evitare schiacciamenti e lesioni degli stessi. Debbono trascorrere almeno quattro anni tra colture successive di aglio sullo stesso appezzamento. In particolare, non si deve far succedere la coltura di aglio ad altre colture bulbose o a radice carnosa. Non è consentita la successione a prato. La semina deve essere effettuata in modo da non superare la densità massima d'investimento di 270.000 piante/Ha. I sesti d’impianto da adottare sono: distanza tra le file 30 – 40 cm; distanza sulla fila 12 – 15 cm. La raccolta e le operazioni di essiccamento. La raccolta che inizia dopo il 20 giugno deve concludersi non oltre il 30 luglio. L'aglio, una volta estirpato, rimane sul campo steso al sole, per una prima essicazione. Completate le operazioni di essiccamento in campo l’aglio viene portato presso le aziende agricole per l’essicazione definitiva. Successivamente viene posto in piccole cataste e sistemato in appositi locali, in attesa di essere avviato ai siti di conservazione e condizionamento. La conservazione può avvenire mediante l’ausilio di ambienti a temperatura controllata al fine di mantenere inalterata la qualità dell’aglio. Il trasferimento dalle aziende ai siti di conservazione, che dovranno essere nella zona indicata dall’articolo 3, avviene in modo da mantenere la rintracciabilità del prodotto ed inalterata la qualità dello stesso, ovvero che i bulbi non subiscano schiacciamenti, lesioni, perdita della cuticola. La produzione di «Aglio Bianco Piacentino» destinata alla commercializzazione dovrà essere al massimo di 13 ton/Ha di prodotto secco. Articolo 6. Legame con l’ambiente Caratteristiche della zona geografica La zona geografica di produzione è caratterizzata dalla presenza di suoli di origine alluvionale, tendenti allo sciolto e medio impasto, ben drenati e dal clima di tipo temperato-subcontinentale. Le precipitazioni si concentrano in autunno ed in primavera, le temperature sono caratterizzate da elevate escursioni termiche sia giornaliere che annuali. Caratteristiche del prodotto L'aglio prodotto nella zona indicata all'articolo 3 si caratterizza per il ciclo di maturazione medio- tardivo, l’adattabilità all’impianto autunnale, una buona produttività (produzione media 10-13 ton/Ha), l’ottima conservabilità (fino ad un anno). Le tuniche esterne sono di colore bianco-argento, i bulbi di pezzatura medio-grossa dalla forma regolare si presentano compatti con 12 – 18 spicchi dal sapore marcato. Esistono autorevoli testimonianze che, almeno dagli anni Settanta e Ottanta in poi, attestano che le varietà locali di aglio coltivate nella pianura piacentina sono note per la serbevolezza e per l’ottima conservabilità, direttamente influenzate dall’insieme delle condizioni d’ambiente di cui si giovano durante l’accrescimento e lo sviluppo, nonché dall’elevato tenore di allicina dimostrato anche da ricerche scientifiche. Riferimenti storici, reputazione e legame con la denominazione Nel Piacentino, fino al XIX secolo, la coltivazione dell’aglio riguardava orti familiari. Le più antiche notizie statistiche relative alla produzione di pieno campo di aglio nell’area risalgono al 1922 ed indicano che la superficie coltivata ad aglio e cipolla era pari a 220 Ha. Negli anni successivi la coltivazione dell’aglio in pieno campo non tardò a svilupparsi e nel 1947 si costituì a Piacenza il Consorzio Provinciale Orticoltura avente un proprio marchio commerciale ed una specifica Sezione Economica Produttori di Aglio, il S.E.P.A., che da subito si distinse principalmente per l’esportazione di tale prodotto verso gli Stati Uniti. Nel corso degli anni la coltivazione di aglio bianco nel territorio piacentino ha assunto una posizione di notevole importanza, arrivando ad occupare, nel momento di massima espansione, il 10% circa della superficie nazionale investita ad aglio, con una produzione media annua di circa 3.000 tonnellate. Dal 1978 a Monticelli d’Ongina (PC), all’interno dell’area di produzione indicata all’articolo 3, si svolge ogni anno, la prima domenica di ottobre, una manifestazione dedicata all’Aglio, che dà luogo a convegni e conferenze che non mancano di aggiornare il pubblico di produttori, ricercatori e studiosi sullo sviluppo qualitativo dell’aglio bianco Piacentino, oggi ottenuto dalle varietà – un tempo ecotipi – locali (Ottolini e Serena). Da allora in poi, anche la denominazione «Aglio Bianco Piacentino» comincia a diffondersi, caratterizzando la produzione della pianura piacentina. L’impegno degli agricoltori della zona che al fine di salvaguardare la tipicità della coltura, nonché difendere le coltivazioni dalla proliferazione di patogeni ospiti, si sono prodigati all’introduzione di pratiche agronomiche adeguate, ha portato attraverso un lungo e certosino lavoro di miglioramento varietale, a selezionare la locale varietà di aglio «bianco Piacentino», riconosciuta il 6 gennaio 1982 con il Decreto di iscrizione della denominazione nel Registro delle varietà di Allium sativum. Nel 1983 venne ufficializzata la certificazione varietale e sanitaria ENSE di aglio «Piacentino bianco» da seme. La varietà andò sempre più rivelandosi come la principale della zona, sempre interessata da ricerche scientifiche orientate al miglioramento della varietà ed al confronto con altre produzioni coltivate in aree diverse. Nel 2004, la certificazione varietale e sanitaria ENSE di aglio «Piacentino bianco» da seme è stata rinnovata con la nuova denominazione “Ottolini” (decreto del 9 aprile 2004), che con la varietà “Serena”, ottenuta tramite risanamento dai virus della varietà “piacentino bianco” (oggi Ottolini), costituisce l’insieme delle varietà che vengono destinate alla IGP «Aglio Bianco Piacentino». Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni Srl – Via San Gaetano, 74 - 36016 Thiene (VI) – tel. +39-044-531301,1 fax +39-0445-313070 e-mail csqa@csqa.it. Articolo 8. Etichettatura L’indicazione geografica protetta «Aglio Bianco Piacentino» deve essere immessa al consumo in confezioni conformi alla vigente normativa, ogni singola confezione o pezzo deve essere etichettata in modo tale da impedire che il contenuto possa essere utilizzato senza la rottura della stessa. L’«Aglio Bianco Piacentino» deve essere immesso al consumo con il logo distintivo della «Indicazione Geografica Protetta» apposto su ogni confezione, nel rispetto delle norme generali che regolano il commercio del prodotto. Sulle confezioni devono comparire gli elementi atti ad individuare: • nome, ragione sociale ed indirizzo del produttore e/o del condizionatore e/o del confezionatore; • la data di confezionamento ed il peso netto all'origine del prodotto confezionato; • indicazione del lotto di produzione. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi di impresa non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno l’acquirente. Oltre al logo distintivo della IGP, devono figurare sulle confezioni, la denominazione «Aglio Bianco Piacentino» e «Indicazione Geografica Protetta» e/o il suo acronimo. Il logo distintivo della IGP «Aglio Bianco Piacentino» è rappresentato da un rettangolo a sfondo bianco al cui interno ritroviamo: in posizione centrale sono raffigurate due strisce «graffiate» diagonali orientate dal basso a sinistra verso l’alto a destra, di colore verde (quella superiore) e rosso (quella inferiore) intervallate da striature di fondo bianco. A tale immagine è sovrapposta quella fotografica di una testa d’aglio della varietà « Ottolini » . Il gruppo d’immagine è sovrastato in alto dalla scritta «Aglio Bianco Piacentino» e a sinistra dall’acronimo I.G.P.. Indici colorimetrici: diagonale superiore di colore verde pantone 370 CVC ; diagonale inferiore di colore rosso pantone 185 CVC ; iscrizione «Aglio Bianco Piacentino» composta da testo in carattere AvantGarde Md Bt, di colore blu pantone 287 CVC ombreggiato in grigio pantone 424 CVC; acronimo I.G.P. composta da testo in carattere AvantGarde Md Bt, di colore giallo pantone 108 CVC ombreggiato in grigio pantone 424 CVC. Il logo deve essere riprodotto nei medesimi caratteri di stampa e nelle medesime proporzioni e colorimetria del logo di seguito illustrato: | I.G.P. Aglio Bianco Piacentino IGP-Video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=0UGUMHSDtLU[/embedyt] | Ortofrutticoli Aglio Bianco Piacentino IGP partner CO.P.A.P. Soc. Coop. Agricola R.L. Via Breda 86 - 29010 Monticelli d'Ongina (PC) - Tel: +39 0523 829456 Fax: +39 0523 820992 - E-mail: info@copap.it | Emilia-Romagna | Piacenza |
Aglio bianco Polesano Aglio Bianco Polesano DOP Disciplinare di produzione - Aglio Bianco Polesano DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta “Aglio Bianco Polesano” è riservata, all’aglio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Caratteristiche fisiche L’Aglio Bianco Polesano è una pianta con bulbi di colore bianco brillante uniforme data l’assenza di striature di altro colore, di forma regolare e compatta, leggermente appiattiti nel punto di inserimento dell’apparato radicale. Le foglie, lanceolate e strette hanno una colorazione verde/azzurra. Il bulbo deve essere di forma rotondeggiante - regolare con un leggero appiattimento della parte basale, di colore bianco lucente, ed esente da fitopatologie. Il bulbo è costituto da un numero di bulbilli variabile che risultano tra loro uniti in maniera compatta e con una caratteristica curvatura della parte esterna. I bulbilli che lo compongono devono essere perfettamente adiacenti l’uno con l’altro. Le tuniche che li avvolgono hanno colorazione rosata di varia intensità nella parte concava, bianca in quella convessa. La D.O.P. è ottenuta con l’ecotipo Bianco Polesano e la varietà Avorio. All’atto dell’immissione al consumo l’Aglio Bianco Polesano deve presentare bulbi: - sani, consistenti, puliti, in particolare privi di terra e di residui visibili di fertilizzanti o di antiparassitari; - esenti da danni da gelo o da sole, da tracce di muffa e da germogli esternamente visibili,à privi di odore o sapore estranei e di umidità esterna anormale. Lo stato del prodotto deve essere tale da consentire il trasporto e le operazioni connesse. Il prodotto dovrà avere i requisiti previsti dalle norme di qualità per le classi “Extra” e “Prima”. In particolare per la categoria: - “Extra” calibro minimo di 45 mm. - “Prima” calibro minimo di 30 mm. L’Aglio Bianco Polesano è immesso sul mercato, in trecce e treccioni, in grappoli e grappoloni, in confezioni retinate e sacchi aventi un numero di bulbi variabile. Il taglio dello stelo dev’essere netto e l’apparato radicale va asportato o completamente o in modo da lasciare le radici appena presenti con la loro parte iniziale. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento dell’Aglio Bianco Polesano comprende i seguenti comuni del Polesine, situati in provincia di Rovigo: Adria, Arquà Pol.ne, Bosaro, Canaro, Canda, Castelguglielmo, Ceregnano, Costa, Crespino, Fiesso Umbertiano, Frassinelle, Fratta, Gavello, Guarda Veneta, Lendinara, Lusia, Occhiobello, Papozze, Pettorazza, Pincara, Polesella, Pontecchio, Rovigo, S.Bellino, S.Martino di Venezze, Villadose, Villamarzana, Villanova del Ghebbo, Villanova Marchesana. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando, per ognuna, gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo preposto a tale attività, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta Rotazione colturale L’aglio bianco polesano è una coltura da rinnovo e nell’ambito della rotazione deve seguire una coltura a semina autunnale o comunque una coltura che permetta l’aratura e la preparazione del terreno entro l’epoca di semina prevista. Non può ritornare sullo stesso appezzamento prima di 3/4 anni. Il ciclo di coltivazione è annuale con semina autunno/invernale. Produzione del “seme” Caratterizzante la tecnica di produzione è l’ottenimento dei bulbilli per la semina, dato che la riproduzione avviene per via vegetativa. Infatti ogni azienda seleziona manualmente la quota di prodotto necessaria per produrre “il seme”. Qualora l’azienda agricola non sia in grado di produrre il materiale di riproduzione o quello prodotto non sia sufficiente al suo fabbisogno, può reperirlo presso altri produttori dell’area inserita nel sistema di controllo della DOP, purché accompagnato dal certificato che ne attesti l’assenza di nematodi. Le fasi per l’ottenimento del materiale da seminare prevedono: 1. la selezione manuale dei bulbi, detti “teste”, dai mazzi di aglio della partita destinata alla semina; 2. l’eliminazione manuale dei bulbilli esterni al bulbo detti “denti” o “natte”; 3. lo schiacciamento dei bulbi che può avvenire manualmente o meccanicamente; 4. l’eliminazione, mediante ventilazione ed asporto manuale, delle tuniche esterne di contenimento e dell’apparato radicale; 5. la selezione dei bulbilli detti “spigoi” ottenuti dalle operazioni precedenti. Essa può avvenire con modalità completamente manuale oppure con l’ausilio di una selezionatrice meccanica che contemporaneamente effettua anche la ventilazione. In questo caso si effettuerà una successiva selezione manuale finale dei bulbilli adatti ad essere seminati. Epoca e modalità di semina La semina deve essere effettuata dal 1 di ottobre al 31 di dicembre. Essa può avvenire manualmente, con macchine agevolatrici o essere totalmente meccanizzata con seminatrici pneumatiche. E’ ammessa la concia del seme. Il sesto di impianto (10-12 cm sulla fila e 33-40 tra le file) deve essere tale da evitare lo scalzamento delle radici durante l’inverno o una moria per asfissia radicale, ed inoltre deve consentire l’agevolazione delle operazioni colturali in particolare la sarchiatura meccanica. A tal fine il numero massimo di piante per mq. dovrà essere compreso tra le 20 e 30. La quantità di “seme” da impiegare varia a seconda della dimensione dei bulbilli, e deve essere compresa tra 750 – 1.000 Kg./ha. Concimazione ed irrigazione E’ obbligatorio predisporre un piano di concimazione che preveda l’esecuzione dell’analisi del terreno almeno una volta ogni 5 anni. Il tipo e la quantità di unità fertilizzanti da impiegare saranno correlati ai risultati dell’analisi e terranno conto dell’asporto operato dalla coltura. Nella concimazione vanno distribuiti al max 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O,. L’azoto, distribuito con più interventi o con un unico intervento se si usano concimi a lenta cessione, non deve superare i 200 kg/ha. Sono ammesse le concimazioni fogliari per l’apporto di macro e microelementi. L’eventuale somministrazione di stallatico deve avvenire sulle colture precedenti per ridurre la possibilità di sviluppo dei marciumi e per non influenzare il tipico colore bianco lucente caratterizzante l’Aglio Bianco Polesano. Qualora si effettuino irrigazioni alla coltura, andranno sospese 20 gg. prima della raccolta per permettere una migliore maturazione del bulbo e non comprometterne la successiva conservazione. Raccolta Sulla base del grado di senescenza del fogliame e della maturità fisiologica delle piante, il produttore decide il momento in cui inizia la fase di raccolta. Essa può avvenire completamente a mano, con l’ausilio di macchine agevolatrici o essere completamente meccanizzata. Dopo essere stato estirpato il prodotto deve subire una essiccazione naturale. Essa può avvenire sia in pieno campo che in azienda. Il prodotto conservato può essere venduto come DOP entro il mese di maggio dell’anno successivo alla raccolta, previa frigo – conservazione. La produzione di aglio polesano DOP dovrà essere al massimo di 14 ton. ad ettaro di prodotto secco. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico Fattore pedoclimatico La tipologia dei terreni, il clima temperato e asciutto e la diffusa presenza di aziende a conduzione familiare ha fatto sì che negli anni l’aglio assumesse importanza per il territorio. L’area interessata è caratterizzata dalla presenza di suoli fertili, frutto delle numerose inondazioni ed esondazioni avutesi nei secoli, dei due fiumi che la delimitano a sud ed a nord, ovvero il Po e l’Adige. L’opera dei suddetti fiumi ha portato alla creazione di suoli di medio impasto, argilloso/limosi, ben drenati, porosi e fertili che ben si addicono ad una produzione di pregio qual è l’Aglio Bianco Polesano. Vi è anche un fondamento geomorfologico comprovato alla base delle caratteristiche chimiche dei terreni dei Comuni elencati all’art. 3 delle quali va evidenziata la buona dotazione di fosforo e potassio scambiabili, che influenzano la conservabilità e nel caso del potassio il tipico colore bianco del prodotto. La presenza di Ca e Mg contribuisce al miglioramento qualitativo dei bulbi. Si può perciò ritenere che la naturale dotazione di determinati elementi e microelementi, dei terreni dell’area individuata fa di essi un ottimale substrato per la coltura dell’aglio bianco polesano. Fattore umano Esso va ad aggiungersi alle potenzialità dei terreni con due elementi: 1. la capacità, affinata con gli anni e trasmessa da padre in figlio, di selezionare a mano i bulbi “teste” migliori da cui ricavare il materiale da seminare “ trattenuto dalla coltura precedente o acquistato sul posto con la sola cura che esso sia grosso e sano.” S. Zennaro 1949; 2. le particolari lavorazioni eseguite a mano: la treccia detta “resta”, il treccione, il grappolo, il grappolone, fanno sì che tale coltura sia intrinsecamente connessa con il territorio, le sue tradizioni e la sua storia “.....Prima della vendita l’aglio subisce una leggera trasformazione che consiste nel riunire insieme 30-32 bulbi secchi in una specie di intreccio, detto resta nel dialetto polesano, naturalmente questa trasformazione ne aumenta il prezzo unitario......” S. Zennaro 1949. Fattore storico/economico Storicamente i primi accenni di tale coltura risalgono ai Romani, (la cui presenza risale al periodo compreso tra il I e V secolo d.C.) ai Fenici, Etruschi ed ai Celti. Gli interventi di centuriazione e bonifica operati dai Romani hanno fortemente influito sulla conformazione e assetto idrogeologico del territorio. Il Peretto R. nella sua relazione sulle strade e bonifiche nell’antico territorio di Adria, ne “La Centuriazione dell’Agro di Adria”, parlando dell’agro centuriato dice: <<Il grande disegno centuriato, che interessa per oltre 200 kmq l’area a nord-ovest di Adria e che da Rovigo si porta …..>>. A contribuire al legame con l’ambiente geografico troviamo, ancora nella pubblicazione “La Centuriazione dell’Agro di Adria” una relazione di Enrico Maragno trattante dell’attività dei coloni nell’Agro centuriato nella quale Egli richiama le Georgiche di Virgilio ove vi è la descrizione delle colture più diffuse tra le altre quella dell’aglio. Avvicinandoci al Medioevo, F.A. Bocchi scrive nei suoi “Annali Pollicinensi”, ne l’Ordinamento interni di Rovigo e Polesine durante il secolo terzodecimo: <<..Era obbligo imposto agli abitanti di Rovigo e del Comitato avente casa propria….inserire seu incalzare in broglio vel orto vel alio loco bono…>>. Avvicinandoci ai tempi nostri troviamo le prime descrizioni della sua coltivazione in pubblicazioni del XVI secolo,: Accademia dei Concordi Rovigo,: <<...Le campagne di Rovigo producono soprattutto frumento, granoturco, barbabietole da zucchero ed uva........ Notevole importanza per la zona di Selva assumono gli erbai, i prati avvicendati, le patate e l’aglio...>>. La zona di Selva comprende gli attuali Comuni di Pontecchio, Crespino, Ceregnano. Nel 1949 S. Zennaro scrive “…L’aglio è una coltura industriale che nel decennio precedente l’ultima guerra………ha acquistato una importanza notevole ed è entrata decisamente a far parte del tipico ordinamento colturale della zona.” Attorno a tale prodotto si creò infatti un’attività di commercio tale da far sì che la piazza di Rovigo, nei secoli, fosse punto di riferimento. L’aglio polesano è diventato negli anni sempre più un elemento di sviluppo economico tale da essere definito l’oro bianco del Polesine. Articolo 7. Struttura di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione é svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito all’articolo 10 del regolamento CEE 2081/82. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura La presentazione deve avvenire come di seguito riportato: Imballaggi I contenitori usati come imballaggio devono essere chiusi in modo tale che il contenuto non possa essere estratto senza la rottura della confezione. Il materiale dell’imballaggio e le dimensioni saranno quelli che il commercio richiede e la normativa permette. I grappoloni ed i treccioni vengono messi in vendita, date le dimensioni, senza l’utilizzo di un imballaggio di contenimento. Le altre tipologie di lavorazione vengono invece commercializzate in imballi di legno plastica, cartone o altro materiale idoneo. Ogni singolo pezzo (grappolo o treccia) deve essere accompagnato da un cartellino riportante la denominazione con la scritta DOP ed il nome del produttore. Inoltre la porzione terminale del pezzo rimasta deve essere avvolta da nastro adesivo riportante il logo identificativo della DOP. Ciascun imballaggio deve recare, in caratteri raggruppati sullo stesso lato, leggibili, indelebili, le indicazioni che consentano l’identificazione dell’imballatore o speditore. Sui contenitori dovrà inoltre essere indicata la denominazione “Aglio Bianco Polesano” e denominazione di origine protetta in caratteri superiori a qualunque altra indicazione presente sulla confezione. Il logo Il logo distintivo è formato da un’ovale nel quale è inserita una planimetria stilizzata del Polesine di colore verde su sfondo azzurro. Nella planimetria, sono evidenziati i due confini naturali del Polesine, l’Adige e il Po di colore azzurro. Sopra la planimetria stilizzata campeggia la scritta “DOP” che richiama il tricolore della bandiera Italiana (la D verde, la P rossa e la lettera“O” bianca, che prende la forma dell’aglio). Attorno all’ovale si distribuisce la scritta “Aglio Bianco Polesano - Denominazione D’Origine Protetta” di colore azzurro con carattere Trebuchet MS Bold Italic e Italic (grassetto obliquo e obliquo). Possono esistere della varianti alla forma a colori: monocromatico e in scala di grigi. Una minima area di spazio bianco di 5 mm, deve circondare il logo in ogni situazione. Il logo (compresa la scritta aglio bianco polesano), non deve mai essere riprodotto in misure minori di 20 mm di larghezza. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Rovigo |
Aglio di Voghiera Aglio di Voghiera DOP Disciplinare di produzione - Aglio di Voghiera DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta "Aglio di Voghiera" e' riservata all'aglio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La DOP "Aglio di Voghiera " e' ottenuta con l'ecotipo Aglio di Voghiera. L'aglio di Voghiera e' una pianta con bulbi di colore bianco luminoso e uniforme, raramente striato di rosa. Le tuniche che avvolgono i bulbilli hanno colorazione bianca a volte striata di colore rosa piu' o meno intenso. La forma del bulbo dell'aglio di Voghiera e' rotondeggiante, regolare e compatta, e' leggermente appiattita nel punto di inserimento dell'apparato radicale. Il bulbo e' costituto da un numero di bulbilli variabile che risultano tra loro uniti in maniera compatta e con una caratteristica curvatura della parte esterna. I bulbilli che compongono il bulbo devono essere perfettamente adiacenti l'uno con l'altro. All'atto dell'immissione al consumo l'aglio di Voghiera deve presentare: bulbi sani senza marciumi; esenti da parassiti; puliti, privi di sostanze estranee visibili; compatti; esenti da danni provocati dal gelo o dal sole; esenti da germogli esternamente visibili; privi di umidita' esterna anormale; privi di odore e/o sapore estranei. Puo' ottenere il riconoscimento aglio di Voghiera D.O.P. solo l'aglio che presenta i requisiti previsti dalle norme di qualita', appartenente alle categorie "Extra" e "Prima". In particolare per la categoria: "Extra" calibro minimo di 45 mm; "Prima" categoria calibro min. 40 mm. (Il calibro e' determinato dal diametro massimo della sezione equatoriale). L'aglio di Voghiera e' immesso al mercato nelle seguenti tipologie: Aglio fresco/verde: presenta lo stelo verde e la tunica esterna del bulbo ancora allo stato fresco; il bulbo si presenta esternamente di colore bianco e bianco avorio e puo' presentare una striatura di colore rosato; lo stelo di colore verde e' rigido al colletto; le radici sono di colore biancastro. Aglio semisecco: presenta lo stelo e la tunica esterna del bulbo non completamente secchi; il bulbo esternamente e' di colore bianco e bianco avorio e puo' presentare una striatura rosata; lo stelo da color verde vira al colore biancastro assumendo al colletto una minore consistenza; le radici sono di colore biancastro. Aglio secco: presenta lo stelo e la tunica esterna del bulbo nonche' la tunica che avvolge ciascun bulbillo completamente secchi; il bulbo si presenta esternamente di colore bianco e sono evidenti i bulbilli; lo stelo di colore biancastro e' di consistenza piu' fragile; le radici sono colore avorio. Articolo 3. Zona di produzione L'aglio di Voghiera viene coltivato nei territori del comune di Voghiera, di Masi Torello, Portomaggiore, Argenta e Ferrara. Tutti i comuni citati sono in provincia di Ferrara. Il territorio e' delimitato a nord dalla via Pomposa - Strada Provinciale 15, dalla via Ponte Asse verso sud sino alla localita' Borgo Sant'Anna, proseguendo per Gambulaga, Sandolo sino a raggiungere la Strada Provinciale 68. In direzione sud si raggiunge il paese di Portomaggiore, lasciata la S.P. 68 si prosegue per la localita' Ripapersico sino a raggiungere la Strada Provinciale 65, di qui procedere verso sud in direzione Consandolo. Prima del tracciato ferroviario svoltare a destra verso ovest in direzione Ospital Monacale. Il territorio ora e' delineato dalla Strada Provinciale 65 che scorre verso nord passando per i paesi di : S. Nicolo', Marrara, Monestirolo, Gaibana, Gaibanella. Lasciata la Strada 65, in direzione nord-est il confine dell'area designata e' delineato dalla via Palmirano verso le localita' Palmirano, Cona, Codrea sino a raggiungere il punto di partenza del tracciato sulla via Pomposa - Strada Provinciale 15. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando, per ognuna, gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei condizionatori, nonche' attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantita' prodotte, e' garantita la tracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo preposto a tale attivita', secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Tecniche di produzione e raccolta Rotazione colturale. L'aglio di Voghiera e' una coltura da rinnovo. La rotazione deve essere almeno di quattro anni con colture cerealicole o proteologinose. La preparazione del terreno avviene con aratura alla profondita' da cm 40 a cm 50; l'aratura estiva deve essere seguita da una successiva fresatura, seguita poi da una concimazione; il terreno deve apparire livellato, ben frantumato per consentire un adeguato scolo delle acque. Il ciclo di coltivazione e' annuale con semina in autunno. Produzione del "seme". La riproduzione del bulbillo avviene per via vegetativa, esso deve essere privo di patogeni e di qualsiasi microferita, deve provenire da un bulbo dell'anno in cui sono ben evidenti i bulbilli. Il bulbo prima della sgranatura deve essere scaldato con termoconvettore di aria calda, dai 25°C ai 35°C, per un periodo da 8 a 10 ore, al fine di eliminare l'umidita' da un 5% ad un 10%. Il bulbillo deve presentare uniformita' di pezzatura e di colore ed essere turgido e carnoso. Ogni azienda seleziona manualmente la quota di prodotto necessaria per produrre "il seme". Qualora l'azienda agricola non sia in grado di produrre il materiale di riproduzione o quello prodotto non sia sufficiente al suo fabbisogno, puo' reperirlo presso altri produttori dell'area della DOP. Le fasi per l'ottenimento del materiale da seminare prevedono: A. la selezione manuale dei bulbi, detti "teste", dai mazzi di aglio della partita destinata alla semina; B. l'eliminazione manuale dei bulbilli esterni al bulbo detti"denti"; C. lo schiacciamento dei bulbi che puo' avvenire manualmente o meccanicamente; D. l'eliminazione, mediante ventilazione ed asporto manuale, delle tuniche esterne di contenimento e dell'apparato radicale; E. la selezione dei bulbilli ottenuti dalle operazioni precedenti puo' avvenire con modalita' completamente manuale oppure con l'ausilio di una selezionatrice meccanica che contemporaneamente effettua anche la ventilazione. In questo caso si effettuera' una successiva selezione manuale finale dei bulbilli adatti ad essere seminati. Epoca e modalita' di semina. Distanza e profondita' di semina: la semina avviene dal 15 settembre al 30 novembre. Profondita' minima dei bulbilli 6 cm. Distanze fra le file: da minimo 20 cm a massimo 50 cm e sulla fila minimo 8 cm. La posizione delle piantine deve essere tale da evitare lo scalzamento delle radici durante l'inverno o una moria per asfissia radicale, ed inoltre deve consentire l'agevolazione delle operazioni colturali in particolare la sarchiatura meccanica. La semina puo' avvenire manualmente, con macchine agevolatrici o essere totalmente meccanizzata con seminatrici pneumatiche. E' ammessa la concia del seme. La quantita' di "seme" da impiegare varia a seconda della dimensione dei bulbilli, ed e' compresa fra 600 e 1300 kg/ettaro. Concimazione ed irrigazione. Nella concimazione vanno distribuiti al max 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O. L'azoto, distribuito con piu' interventi o con un unico intervento se si usano concimi a lenta cessione, non deve superare i 150 kg/ha. Sono ammesse le concimazioni fogliari per l'apporto di macro e microelementi. La distribuzione dell'acqua irrigua deve essere uniforme, non deve provocare ristagno idrico in campo; si eseguono da 1 a 3 irrigazioni per aspersione, con un apporto massimo per ciascun intervento di 300-350 m3/ha di acqua. E' fondamentale apportare acqua nella fase dell'ingrossamento del bulbo quando la piovosita' e' scarsa e insufficiente (inferiore a 40 mm di pioggia ogni quindici giorni). Nel caso in cui si effettuano irrigazioni alla coltura, queste andranno sospese quindici giorni prima della raccolta per permettere una migliore maturazione del bulbo e non compromettere la sua successiva conservazione. Raccolta. L'estirpazione dell'aglio di Voghiera avviene dal 10 giugno sino al 31 luglio in funzione della destinazione sul mercato come aglio di Voghiera "verde/fresco", "semisecco" o "secco". L'estirpazione puo' avvenire completamente a mano, con l'ausilio di macchine agevolatrici o essere completamente meccanizzata. Aglio verde/fresco si intende quello immesso al consumo dal giorno dell'estirpazione al quinto giorno dall'estirpazione stessa; Aglio semisecco si intende quello immesso al consumo tra il sesto e il decimo giorno dall'estirpazione; Aglio secco si intende quello immesso al mercato dall'undicesimo giorno dopo l'estirpazione. Al momento dell'estirpazione la produzione massima di aglio di Voghiera e' di 20 t/ha. Dopo essere stato estirpato il prodotto deve subire una essiccazione naturale. Essa puo' avvenire in tre modi: 1. in pieno campo, per un periodo che va da cinque a dieci giorni; 2. in azienda per un periodo da dieci a quaranta giorni; l'aglio e' disposto su bancali di legno per favorire il ricircolo dell'aria; durante la notte l'aglio e' posto al riparo dall'umidita', o sotto tettoie o coperto con appositi teli di nylon; 3. in atmosfera controllata, in camere isolate per un periodo da ventiquattro a trentasei ore, ad una temperatura da 25°C a 35°C. Le operazioni di produzione e condizionamento devono avvenire necessariamente nell'ambito della zona di produzione delimitata all'art. 3 per impedire che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano provocare la rottura delle teste e soprattutto la frammentazione delle cuticole generando il rischio di muffe e deterioramento del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente Le caratteristiche dell'aglio di Voghiera derivano dal forte legame con l'ambiente oltre che da fattori umani. Le caratteristiche tipiche del prodotto: bulbo rotondeggiante regolare, leggermente appiattito nel punto in cui si inserisce l'apparato radicale, costituto da bulbilli uniti in forma compatta con una caratteristica curvatura della parte esterna sono da attribuire ai terreni dove e' coltivato il prodotto. Dai terreni argillosi, argilloso-limosi, franco limosi, dalla presenza di sabbie di origine fluviale, che favoriscono il drenaggio sotterraneo delle acque deriva la serbevolezza dei bulbi, il loro alto accrescimento e soprattutto quella forma regolare e compatta che li caratterizzano. La composizione chimica, che e' un perfetto equilibrio tra enzimi, vitamine, sali minerali, flavonoidi e composti solforati che conferisce una specifica identita' genetica all'aglio di Voghiera, e' da attribuire alla riproduzione dei bulbilli da semina per via vegetativa cioe' utilizzando i bulbilli provenienti da un bulbo dell'anno, nell'area designata per la DOP, ogni anno selezionati e scelti fra i migliori. Tra i fattori pedoclimatici che contribuiscono a rendere speciale questo aglio di Voghiera rientra certamente anche il clima che e' quello tipico della Pianura Padana Ferrarese temperato e asciutto. Ultimo, ma certo non il meno importante, e' il fattore umano. Sono i produttori, infatti che curano da sempre con particolare attenzione le tecniche di irrigazione durante il periodo di semina e di raccolta; che, con capacita' affinata con gli anni e trasmessa da padre in figlio, selezionano a mano dalla coltura precedente i bulbi"teste" migliori da cui ricavare il materiale da seme avendo cura che esso sia grosso e sano, che, con eccellente maestria preparano e lavorano i bulbi preparando a mano mazzi, trecce, treccine e bulbi singoli; sono sempre i produttori che di anno in anno hanno tramandato ricette impreziosite dalla presenza dell'aglio di Voghiera. Le testimonianze archeologiche recenti e passate dell'antica Voghenza, confermano il ruolo predominante che questo centro ebbe per il delta padano, sino almeno al VII secolo dopo Cristo, caratterizzandosi come centro amministrativo imperiale, sede dei funzionari del fisco e degli amministratori dei saltus, una sorta di dogana da cui partivano attraverso il Po le merci destinate al nord-est dell'impero, verso gli empori di Adria ed Aquileia, oppure verso sud, con facili collegamenti endolagunari e stradali con il porto di Ravenna, sede della flotta pretoria per tutto l'est dell'impero cosi' come Capo Miseno lo era per tutto l'ovest. Al termine dell'esperienza altomedievale furono gli Estensi, i signori di Ferrara, a rilanciare il territorio di Voghiera. Il demanio estense incentivo' tutte le coltivazioni possibili nelle terre della zona e le cronache parlano anche di coltivazioni molto intense e particolari nelle numerose serre che dovevano fornire prodotti tutto l'anno. Una particolare attenzione era riservata alle piante da orto, come insalate, erbe e piante aromatiche (usate in larghissima misura per attenuare i non sempre freschi sapori delle carni) e soprattutto aglio. Dalla partenza degli Estensi, nel 1598, le esperienze espletate nel campo agricolo, non andarono affatto perdute in quanto tutte le coltivazioni della zona proseguirono sotto l'egida di altri illustri proprietari che avevano ben individuato le valenze di queste fertili terre che erano lungo il corso dell'antico Po, terre che avevano quelle doti e qualita' che le qualificano tra le migliori del territorio ferrarese e che consentono ancora oggi la coltivazione di produzioni a forte specializzazione come l'aglio. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformita' del prodotto al disciplinare e' svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito agli articoli 10 e 11 del regolamento CE n. 510/2006. Articolo 8. Etichettatura L'aglio di Voghiera viene immesso al consumo nelle seguenti tipologie: treccia: bulbi di prima categoria da min. 5 a max 18 bulbi, peso compreso fra 400 g. e 900 g.; treccia extra: bulbi di categoria extra, da min. 8 a max 80 bulbi; peso compreso fra 1 kg. e 5 kg. I bulbi di queste due lavorazioni devono essere intrecciati con il loro stesso stelo e legati con spago, rafia o altro materiale idoneo. Il prodotto cosi' confezionato e' inserito in una rete color bianco identificato con una etichetta che riporta il logo della D.O.P. Retino: bulbi in numero variabile; peso compreso tra 100 g. e 500 g. I bulbi sono posti in singoli sacchetti di rete color bianco o in altri contenitori di materiale consentito dalle vigenti norme. Sulla singola confezione va apposto il logo della D.O.P. Sacchi: bulbi in un numero variabile; peso compreso tra 1 e 30 kg. Vanno utilizzati sacchi di colore bianco; ognuno di essi deve riportare il logo della D.O.P. Treccina: bulbi da un min. di 3 a un max di 5; peso compreso fra un min. di 150 g. e un max. 500 g. I bulbi devono essere intrecciati con il loro stesso stelo e legati con spago, rafia o altro materiale idoneo. Il prodotto cosi' confezionato riporta su ogni bulbo un bollino adesivo con il logo della D.O.P. Bulbo singolo: peso compreso fra un min. di 50 g. e un max di 100 g. I bulbi hanno lo stelo reciso e devono avere le radici recise completamente oppure di pochi millimetri. Ogni bulbo riporta il bollino adesivo con il logo della D.O.P. Su ogni confezione deve essere apposta un'etichetta riportante la denominazione "Aglio di Voghiera" con la scritta D.O.P., il logo comunitario ed il nome del produttore. Imballaggi Le confezioni sopra descritte vengono immesse al consumo anche in imballi di legno, plastica, cartone, carta e materiali vegetali naturali, del peso compreso da 5 a 15 kg. I contenitori usati come imballaggio devono essere chiusi in modo tale che il contenuto non possa essere estratto senza la rottura della confezione. Ciascun imballaggio deve recare, in scritte raggruppate sullo stesso lato, leggibili e indelebili, le indicazioni che consentano di identificare l'imballatore o lo speditore. Sugli imballaggi dovra' inoltre essere indicata la denominazione "Aglio di Voghiera" e denominazione di origine protetta D.O.P. in caratteri superiori a qualunque altra indicazione presente sull'imballaggio e il logo comunitario. Il logo Il logo distintivo, di forma circolare di color azzurro chiaro e' formato da una figura che rappresenta meta' spicchio di Aglio tagliato nella parte centrale dalla lettera V. Lo spicchio e' di base gialla con striature di retino piu' scuro. Nel cerchio, in posizione obliqua vi e' la scritta color nero Aglio Voghiera. In alto, sempre inclusa nel cerchio appare la dicitura, color nero D.O.P. Solo per forme pubblicitarie puo' essere usata una versione in bianco e nero, in quel caso il logo circolare e' circoscritto da una linea nera. Il logo, quando stampato su etichetta, deve essere riprodotto in misura di 1/3 rispetto alla dimensione totale dell'etichetta. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione e' utilizzata la D.O.P. aglio di Voghiera, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: 1. il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; 2. gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprieta' intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. aglio di Voghiera riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso consorzio incaricato provvedera' anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAAF in quanto autorita' nazionale preposta all'attuazione del regolamento CE n. 510/2006. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Ferrara |
Amarene Brusche di Modena Igp Amarene Brusche di Modena IGP Disciplinare di produzione - Amarene Brusche di Modena IGPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» è riservata esclusivamente alla confettura che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Materia prima. La materia prima è costituita dai frutti di ciliegio acido, appartenenti a popolazioni di biotipi identificabili con i gruppi di amarene propriamente dette, oltre che di marasche, visciole e relativi incroci. Tali frutti devono provenire da piantagioni composte in tutto o in parte, comunque in misura non inferiore al 70%, dalle seguenti varietà: Amarena di Castelvetro, Amarena di Vignola dal peduncolo corto, Amarena di Vignola dal peduncolo lungo, Amarena di Montagna, Amarena di Salvaterra, Marasca di Vigo, Meteor, Mountmorency, Pandy. Caratteristiche del prodotto al consumo. Al momento dell'immissione al consumo il prodotto deve avere le seguenti caratteristiche: materia prima come sopra descritta al punto 2.1 (frutta utilizzata minimo gr 150 per 100 gr di prodotto finito), zuccheri totali (58-68%). Non sono ammessi né coloranti, né conservanti, né addensanti. Caratteristiche chimico-fisiche: aspetto esteriore: consistenza morbida, caratteristico colore rosso bruno intenso con riflessi scuri; rifrazione a 20° C: 58-68 brix (con tolleranza +/- 2); pH: 3 (con tolleranza +/-0,5); acidità (espressa in acido citrico): " 3 (con tolleranza +/- 0,5). Caratteristiche organolettiche: sapore caratteristico della confettura di frutta in buon equilibrio fra il dolce e l'asprigno con sensazione di acidità. Articolo 3. Zona di produzione, condizionamento e trasformazione La zona di produzione, condizionamento e trasformazione della confettura a denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» è rappresentata esclusivamente dall'intero territorio amministrativo della provincia di Modena e dal territorio limitrofo della provincia di Bologna, limitatamente ai seguenti comuni: Anzola nell'Emilia, Bazzano, Castel d'Aiano, Castello di Serravalle, Crespellano, Crevalcore, Monte S. Pietro, Monteveglio, San Giovanni in Persiceto, Sant'Agata Bolognese, Savigno, Vergato, come individuati dalla cartografia allegata. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine del prodotto L'origine delle «Amarene brusche di Modena - Marene» è attestata da una storia plurisecolare. Nel modenese il ciliegioè tradizionalmente presente, di solito accorpato in pochi esemplari, presso i casolari di campagna. Di ciò è, tra gli altri, testimone fin dal 1820 il grande botanico Giorgio Gallesio (cfr. il manoscritto «I giornali dei viaggi» stampato a Firenze nel 1995). Il primo esperimento di coltivazione intensiva della pianta viene attuato nel 1882 da un avvocato, Luigi Mancini, nel suo podere «La Colombarina» presso Vignola (v. G. Silingardi «I pionieri dell'economia modenese» in Bollettino della CCIAA di Modena, 1963). La specifica vocazione del territorio favorì lo sviluppo della cerasicoltura su larga scala, sempre alla fine dell'800, come alternativa ai disastri provocati dalla fillossera della vite e dalla crisi della bachicoltura. I maggiori volumi di produzione non trovarono ostacoli ad una pronta collocazione sul mercato, sia in Italia che all'estero (v. Bollettini della CCIAA di Modena). In tale contesto, le ciliegie brusche ebbero subito particolare fortuna anche nella trasformazione, sulla base di una tradizione secolare che affonda salde radici fin nel Rinascimento (Nannini «La gastronomia alla corte di Modena nei secoli XVI e XVII» in Archivio comunale di Modena). Nel 1662 è attestata una ricetta di confettura di ciliegia acida nel libro «L'arte di ben cucinare et istruire» di Bartolomeo Stefani, ma anche nei secoli successivi non mancano preziose testimonianze di una attività profondamente legata al territorio. Ne sono la prova due manoscritti modenesi dell'800 – il primo costituito da quattro quaderni compilati da quattro generazioni di padrone di casa di estrazione borghese e pubblicato nel 1970 (Tripi «Centonovantadue ricette dell'800 padano») e il secondo redatto da Ferdinando Cavazzoni, credenziere di Casa Molza, e pubblicato nel 2001 (Ronzoni «Un libro di cucina modenese dell'ottocento») - che riportano modalità di preparazione della confettura molto vicine alla ricetta moderna. Su questi presupposti, il passaggio dalle case di abitazione ai laboratori artigiani e alle piccole e medie aziende non poteva che essere breve. Gli stabilimenti privati, pur utilizzando tecnologie più avanzate, riuscirono tuttavia a mantenere sostanzialmente invariati i principi di base della produzione. Essi vennero avviati nel decennio 1915-25 e alcuni, tuttora in attività, rappresentano la continuità storica di una delle più tipiche tradizioni modenesi. L'origine del prodotto è garantita, inoltre, da un sistema di tracciabilità fondato sulla iscrizione dei produttori, dei condizionatori e dei trasformatori in un apposito elenco tenuto dall'organismo di controllo di cui all'art. 7. Articolo 5. Metodo di ottenimento Metodo di coltivazione, raccolta e stoccaggio. Le condizioni ambientali e di coltura dei frutteti destinati alla produzione della confettura a denominazione di origine protetta «Amarene brusche di Modena - Marene» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire al prodotto le specifiche caratteristiche. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli di norma usati nella zona di produzione, e cioè tali da garantire una illuminazione e arieggiamento dell'intera chioma dell'albero. In particolare, la distanza lungo la fila e quella tra le file non devono essere inferiori ai quattro metri, mentre le forme di allevamento devono essere a vaso o a fusetto, e loro varianti anche irregolari. La coltivazione non richiede interventi particolari sotto il profilo della concimazione e della difesa fitosanitaria. È praticato l'inerbimento naturale nell'interfilare mentre sulla fila si opera con il diserbo chimico o pacciamatura per evitare danneggiamenti alle piante che hanno spiccata attitudine ai polloni. È consentita l'irrigazione di soccorso. È vietata, comunque, ogni pratica di forzatura. La raccolta viene effettuata nel periodo compreso dal 20 maggio al 31 luglio. Per evitare la possibilità di danneggiamento parziale dei frutti, qualora il prodotto sia raccolto meccanicamente, la consegna all'impianto di trasformazione deve essere effettuata entro ventiquattro ore dalla raccolta. Al fine di mantenere le caratteristiche qualitative dei frutti ed evitare l'insorgere di fermentazioni è necessario tenere sotto controllo la temperatura mediante processo di raffreddamento esterno da avviarsi entro due ore dalla raccolta. Il raffreddamento può avvenire attraverso la semplice immersione nei«bins» di acqua e di ghiaccio ovvero di sola acqua avente una temperatura non superiore ai 15°C, come pure attraverso l'utilizzo di stazioni mobili di raffreddamento o di celle frigorifere presso i centri di raccolta che assicurino una temperatura variabile tra i 5° e i 15°C. Metodo di lavorazione. Nella preparazione ed elaborazione della confettura a denominazione protetta «Amarene brusche di Modena - Marene», al fine di conferire al prodotto le sue peculiari caratteristiche, sono ammesse soltanto le pratiche di trasformazione tradizionali, riconducibili alla metodologia della concentrazione per evaporazione termica del frutto. Al momento della trasformazione il prodotto deve essere maturo, deve cioè presentare una colorazione uniforme su almeno il 90% dei frutti. La lavorazione inizia con l'inserimento dei frutti in una passatrice o denocciolatrice, dove questi vengono denocciolati e privati dei piccioli. Succo e frutta vengono quindi avviati al concentratore, dove si aggiunge zucchero saccarosio in percentuale non superiore al 35% in peso del prodotto e dove si predispone e si mantiene per almeno 30 minuti una temperatura compresa fra 60° e 80°C allo scopo di sciogliere lo zucchero. Non è ammessa l'aggiunta di zuccheri diversi dal saccarosio. È consentito l'utilizzo di acido citrico come correttore di acidità. La concentrazione per evaporazione può avvenire, oltre che con il metodo classico del fuoco diretto a vaso aperto, anche sottovuoto. Questo secondo metodo è basato su di una depressione interna al concentratore e quindi su di una bollitura a temperatura inferiore (tra i 60° e i 70°C), cosa che permette una riduzione dei tempi di lavorazione. Confezionamento. Al fine di salvaguardare la qualità del prodotto e garantirne il controllo e la tracciabilità, il confezionamento deve avvenire nella zona di produzione, condizionamento e trasformazione indicate all'art. 3. Il prodotto viene confezionato e posto in commercio in idonei contenitori di vetro o di banda stagnata aventi le seguenti capacità: 15 ml, 41 ml, 212 ml, 228 ml, 236 ml, 314 ml, 370 ml, 720 ml, 2650 ml, 5000 ml. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente Gli elementi che comprovano il legame con l'ambiente sono rappresentati da: il clima tendenzialmente subumido che caratterizza la zona di produzione e che, secondo la letteratura scientifica (V.M. Longstroth e R.L. Perry), per talune sue caratteristiche - come la distribuzione costante delle precipitazioni, con moderata eccedenza nel periodo invernale e moderata deficienza nel periodo estivo, e la temperatura, con periodi invernali non eccessivamente rigidi e periodi estivi mediamente temperati - influisce positivamente sulla coltivazione della pianta; i fattori pedologici, consistenti nella diffusa presenza di suoli ben strutturati con discreta porosità e permeabilità e con una sostanziale conformazione di tipo franco limoso, che risultano particolarmente adatti alla coltivazione della pianta (V. Provincia di Modena «Indagine sui suoli», 1963); i fattori sociali evidenziati dall'usanza, attestata dal Gallesio fin dai primi anni dell'800, di contornare i casolari di campagna di quattro o cinque piante di amarene allo scopo di fare sciroppi, conserve, confetture, budini e torte, nonché dalla esistenza di una consolidata tradizione di attività di preparazione del prodotto a livello famigliare; i fattori economici rilevabili dalla diffusione sul territorio, a partire dagli inizi del secolo scorso, di numerose aziende di produzione, di centri di raccolta e frigoconservazione, nonché di laboratori artigianali e di piccole e medie aziende di trasformazione; i fattori produttivi evidenziati dalla persistenza nel territorio lungo i secoli di un sistema di produzione della confettura basato, pur nella inevitabile evoluzione tecnologica, sulla concentrazione per evaporazione termica del frutto; i fattori umani consistenti nella persistenza nel tempo di quel particolare «saper fare», che è legato alla necessità della rapida trasformazione di un frutto di ridotta conservabilità e che ha dato vita a un prodotto rinomato e apprezzato principalmente per la naturalità del processo produttivo, senza l'impiego di addensanti coloranti o conservanti, e l'alto contenuto di frutta rispetto allo zucchero immesso; i fattori gastronomici, quali le numerose ricette che nel tempo testimoniano l'utilizzo del prodotto nella preparazione di dolci tipici del territorio sia a livello famigliare che artigianale, dalle più antiche - contenute in particolare ne «L'arte di ben cucinare et istruire» di Bartolomeo Stefani del 1662, nel manoscritto noto come«Centonovantadue ricette dell'800 padano» del 1860 e nel ricettario di Ferdinando Cavazzoni, credenziere di Casa Molza, pure del 1860 - fino alle più recenti, nelle quali si suggerisce l'impiego della confettura specialmente per fare crostate casalinghe. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE 2081/1992. Articolo 8. Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente in etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relativa menzione (in conformità alle prescrizioni del regolamento CE 1726/1998 e successive modificazioni) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori indicazioni: «Amarene brusche di Modena - Marene» seguita, per esteso o in sigla (DOP), dalla espressione traducibile denominazione di origine protetta; il nome, la ragione sociale, l'indirizzo dell'azienda produttrice e confezionatrice; il logo del prodotto, consistente come da riproduzione sotto riportata, in una figura formata da una A graziata in carattere tipografico times e in colore verde scuro (pantone n. 363) nella quale la lineetta mediana è sostituita da una amarena in colore rosso (pantone n. 1788) con gambo e foglia. Il gambo del frutto è nella sua lunghezza in colore verde chiaro (pantone n. 382) e all'apice in colore rosso (pantone n. 1788), mentre la foglia, che si confonde parzialmente con la lettera A, è in colore verde scuro nella parte superiore (pantone n. 363) e in colore verde chiaro nella parte inferiore (pantone n. 382). La figura è inscritta in un quadrato di mm 74x 74. Nello spazio sottostanteè riprodotta la scritta in colore nero AMARENE BRUSCHE DI MODENA - MARENE D.O.P. riportata in carattere tipografico novarese medium in tre righe occupanti uno spazio misurato in linea orizzontale rispettivamente di mm. 106, 61, 30 e di altezza mm 7, fra loro distanziate di mm 4. Si omette logo. Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, nonché l'indicazione del nome dell'azienda coltivatrice. Il produttore ha facoltà di indicare in etichetta i riferimenti alla varietà della pianta da cui proviene il frutto, l'annata di produzione, nonché il metodo di trasformazione impiegato. La designazione «Amarene brusche di Modena - Marene» è intraducibile. Articolo 9. Utilizzo della denominazione di origine protetta per i prodotti derivati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la D.O.P. «Amarene brusche di Modena - Marene», anche a seguito di processi di elaborazione e trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle politiche agricole e forestali in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del regolamento CEE 2081/1992. L'utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Modena, Bologna |
Anguria Reggiana Anguria Reggiana IGP Disciplinare di produzione - Anguria Reggiana IGPArticolo 1.
Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L’Indicazione geografica protetta "Anguria Reggiana" designa i frutti della specie botanica Citrullus lanatus allo stato fresco prodotti nella zona descritta nel successivo articolo 3, delle seguenti tipologie:
La caratteristica che identifica l’”Anguria Reggiana” è il sapore, particolarmente dolce, della polpa, legato al tenore zuccherino maggiore di 11° Brix per la tipologia Ashai Mijako e 12° Brix per le tipologie Crimson e Sentinel. Per tutte le tipologie, al momento dell’immissione al consumo i frutti devono essere:
- sulla buccia può essere presente una zona di colore più chiaro nella parte che è rimasta a contatto con il suolo durante la crescita. Di seguito sono riportate le caratteristiche qualitative in relazione alle diverse tipologie di frutto: Articolo 3.
L’area è così delimitata: a nord, partendo dalla località Tagliata di Guastalla, il confine percorre la SP62R sull'argine maestro del fiume Po (seguendo il percorso dell’ex SS62) sino all’intersezione con la sp41 che prosegue sempre sull'argine fino alla località Coenzo a Mane; da qui verso sud si segue l’argine del fiume Enza sino a all’intersezione dell’autostrada A1; il confine meridionale segue l’autostrada A1 e prosegue poi a sud sulla SP 113 e la via Emilia (SS9), sino a Rubiera; da qui prosegue a nord sulla SP 46 ed in localita Ca Ferrarini prosegue lungo il confine amministrativo della provincia di Reggio Emilia sino all’intersezione con la SP 44 sulla quale prosegue sino alla SP46 dove prosegue sino alla località Ranaro di Reggiolo; di qui segue la SP 43 e la SP2 sino a raggiungere di nuovo la località Tagliata. Articolo 4. Prova dell’origine Al fine di garantire l’origine del prodotto ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5.
Nella realtà operativa per la valutazione del grado di maturità ci si basa su fattori esterni del frutto:
Non sono ammessi frutti che manifestano colpo di sole, ovvero quando la buccia perde la naturale striatura. La produzione massima consentita per ettaro non deve superare i seguenti quantitativi per tipologia: Articolo 6.
Il legame causale tra l’”Anguria Reggiana” con la zona di produzione, che determina la qualità specifica, è fondato sulle caratteristiche della zona geografica delimitata e le competenze dei produttori locali. Particolare importanza assume l'aspetto pedologico: le condizioni del suolo, infatti, contribuiscono in modo determinante a definirne l'accrescimento, la conformazione, nonché le caratteristiche chimiche ed organolettiche ed infine la qualità che ne fanno un prodotto agricolo riconoscibile e con una reputazione affermata. L’area definita è costituita, in relazione alle caratteristiche pedologiche, geologiche, morfologiche e idrogeologiche da terre calcaree dei dossi fluviali, da terre calcaree e di transizione (ad esempio tra dossi e valli) e da terre argillose (ad esempio delle valli bonificate). Il frutto matura soprattutto nei terreni tendenzialmente argillosi delle zone bonificate nei secoli scorsi, difficili nelle lavorazioni ma feraci e ricchi d’elementi naturali quali il potassio. Le sostanze presenti nel terreno vengono assorbite dal frutto e gli conferiscono le caratteristiche qualitative descritte all’articolo 2, in particolare i livelli elevati e costanti di gradi brix, così come testimonia lo studio pubblicato in Le caratteristiche chimico-fisiche del prodotto coltivato nelle terre da anguria della provincia reggiana all’interno della pubblicazione Anguria reggiana. Tradizione, terre e qualità, 2012 di Maietti et al. e lo studio pubblicato in Terre dell’anguria reggiana all’interno della pubblicazione Anguria reggiana. Tradizione, terre e qualità. 2012 di Scotti, C., Raimondi, S., Pezzoli, M. La caratteristica che identifica l’”Anguria Reggiana” è il sapore, particolarmente dolce della polpa, legato al tenore zuccherino. Tale caratteristica dell’ “Anguria Reggiana”, è legata all’abilità dei produttori e alla raffinata tecnica colturale adottata che si manifesta in particolare al momento della raccolta, o “stacco”. Essa avviene in almeno 3 passaggi per ogni pianta, tali da far sì che al consumo ogni “Anguria Reggiana” risulti a maturazione completa e con il massimo grado zuccherino prima della sovramaturazione, con pasta croccante e soda. Sono le abilità umane, che vengono consolidate con l’esperienza e con le tecniche produttive tramandate nel tempo, che permettono di riconoscere quando il frutto raggiunge il giusto grado di maturazione, definito dal suono che produce l’anguria quando viene percossa, e individuare così il momento preciso dello stacco. Lo stacco avviene per mezzo della “roncola”, peculiare attrezzo dalla lama non troppo ricurva. Questo particolare attrezzo nel corso degli anni è stato perfezionato nella forma per impedire di recidere la ramificazione della pianta che deve rimanere nelle condizioni fisiologiche ottimali sino allo stacco di tutti i frutti. L’operazione dello stacco presuppone un antico e consolidato sapere degli “spiccatori” reggiani, capaci di selezionare rapidamente il frutto maturo e di raccoglierlo preservando la produzione successiva. La reputazione dell’elevata qualità dell’Anguria Reggiana si rifà al XVI secolo: corrispondenze fra le antiche corti del Rinascimento padano decantano la bontà del prodotto coltivato in queste terre. Il frutto è rimasto a lungo un prodotto d'elite fino al XVIII secolo, quando il Risorgimento aprì le frontiere fra gli antichi e piccoli stati della Nazione e consentì anche un allargamento dei confini di commercializzazione. Nel tempo, l’elevata qualità della produzione locale ha fatto conoscere il prodotto sui mercati di Milano, Genova e delle regioni limitrofe fino a farsi riconoscere nello scorso secolo oltre le Alpi. La zona di pianura in provincia di Reggio Emilia è richiamata nella Guida Gastronomica del Touring Club Italiano, datata 1931, per “angurie (cocomeri) e meloni zuccherini”. Il territorio designato include i centri di maggiore riconoscibilità storica in cui veniva coltivata tradizionalmente l’anguria, quali ad esempio Gualtieri, Novellara, Santa Vittoria, Poviglio e Cadelbosco di Sopra, Rio Saliceto e Ca’ de’ Frati. La popolarità della coltivazione e del consumo dell’anguria nel territorio è comprovata anche dalla presenza di capanni dell’inizio del XX secolo costruiti in materiali naturali, quali legno e frasche, dove si consumava e si vendeva l’anguria a fette. Più recentemente anche l’abilità dei produttori della zona si è sempre più indirizzata alla specializzazione nella coltivazione dell’anguria, fra l’altro istituendo competizioni locali per premiare l’anguria con il tenore zuccherino più elevato; un’azienda locale nel 2012 è invece stata premiata al concorso internazionale indetto dal Great Pumpkin Commonwealth per avere ottenuto l’anguria più grande del mondo. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 36 e 37 del Reg. UE 1151/2012. Tale struttura è l’Organismo di controllo Check Fruit - via C. Boldrini, 24 – 40121 - Bologna, Italia, tel. (+39) 051 6494836, e-mail: info@checkfruit.it. Articolo 8. Etichettatura L’indicazione geografica protetta “Anguria Reggiana” deve essere immessa al consumo ponendo ordinatamente i frutti in appositi contenitori oppure in bins e mini bins di materiale atto allo stoccaggio. Su ogni anguria deve essere obbligatoriamente apposto il logo identificativo dell’IGP Anguria Reggiana e il simbolo IGP della UE. Sulle confezioni devono comparire tutti gli elementi previsti dalla normativa corrente in materia di etichettatura. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Reggio Emilia |
Arancia del Gargano Arancia del Gargano IGP Disciplinare di produzione - Arancia del Gargano IGPArticolo 1. Denominazione. L'indicazione geografica protetta «Arancia del Gargano» è riservata alle arance prodotte in un'area specifica del promontorio del Gargano, nella regione Puglia, completamente maturate sulla pianta e prodotte per il consumo fresco e la trasformazione, che rispettano le condizioni e i requisiti stabiliti nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto L'indicazione geografica protetta «Arancia del Gargano» è riservata alle cultivar tradizionalmente coltivate, e precisamente a: A. Tipi del gruppo Biondo Comune, tradizionalmente individuati dal nome Biondo Comune del Gargano; B. L'ecotipo locale Duretta del Gargano, autoctona del Gargano, localmente individuata «arancia tosta». Biondo Comune del Gargano: di forma sferica o piriforme, buccia più o meno sottile, coriacea ma con grana alquanto fine e di colore giallo-dorato intenso. Diametro minimo 60 mm; albedo di consistenza soffice e di media aderenza, asse carpellare irregolare, medio, semipieno. Polpa e succo color giallo arancio, con contenuti in zuccheri non inferiori al 9%, acidità inferiore all'1,2%. Resa minima in succo, pressato a mano, 35%; tenore zuccherino in gradi Brix minimo 10; rapporto di maturazione, Brix/acido citrico anidro, non inferiore a 6. Arancia Duretta del Gargano («Arancia Tosta»): forma tonda od ovale, «Duretta tonda» o a «viso lungo», buccia di colore arancio chiaro con intensità varia, superficie molto liscia e finemente papillata; polpa di tessitura fine e con piccole vescichette, ambrata, croccante, semi assenti o in numero ridotto. Diametri medi dei frutti di mm 55-60. Resa minima in succo, pressato a mano, pari al 35%; contenuto in zuccheri non inferiore al 10 %, tenore zuccherino in gradi Brix minimo 11; acidità inferiore all'1,2%. Rapporto di maturazione, Brix/acido citrico anidro, non inferiore a 6,2. Entrambi i tipi descritti devono presentare frutti pesanti e comunque non inferiori a 100 grammi, con buccia uniformemente colorata, base del peduncolo color verde vivace. Articolo 3. Zona di produzione Per «Arancia del Gargano», s'intende il frutto prodotto e confezionato in un'area che interessa i territori di Vico del Gargano, Ischitella e Rodi Garganico e precisamente il tratto costiero subcostiero del Promontorio del Gargano che va da Vico del Gargano a Rodi Garganico, fin sotto Ischitella. L'area è identificata dai seguenti confini naturali: a nord, la linea di spiaggia compresa nel tratto contrada Calenella-Foce Torrente Romondato, ad ovest il tracciato del Torrente citato, a sud-ovest, il tratto strada provinciale Frazione Isola Varano-Ischitella e il tracciato del Torrente Pietrafitta, a sud-est i tracciati dei tratturi Canneto e San Nicola, ad est il limite del territorio del comune di Vico del Gargano rappresentato dalla contrada Calenella. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, dei produttori, dei confezionatori e trasformatori è garantita la tracciabilità e rintracciabilità del prodotto. La prova dell'origine, inoltre, è comprovata da specifici adempimenti cui si sottopongono gli agrumicoltori, quali il catasto di tutti i terreni sottoposti alla coltivazione di «Arancia del Gargano», nonché la tenuta di appositi registri di produzione e la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento L'Arancia del Gargano è ottenuta da uno specifico ambiente, con una tecnica consolidata nella tradizione, idonea ad ottenere arance con specifiche caratteristiche di qualità. 5.1. I terreni I terreni sono orograficamente inquadrabili nella fascia perimetrale del promontorio modellata in valli e vallecole. Geomorfologicamente si tratta di piccole valli calcaree con terreni della categoria «suoli rossi mediterranei». 5.2. Il portainnesto Il portainnesto, come da tradizione agronomica, è il Melangolo (citrus mearda), certificato come tale dalla normativa vigente. 5.3. Impianto e sesto d'impianto, forme di protezione L'impianto dell'aranceto è fatto su terreni in pendio e su pianori, esposti a sud, sud-est, sud-ovest, e comunque nel pieno rispetto dei caratteri orografici e pedologici che hanno definito l'agrumicoltura garganica; su quelli in pendio si procede alla sistemazione a terrazzo, quali muretti a secco e ciglionamenti. Come da tradizione agronomica l'aranceto è consociabile con il limone «Femminello del Gargano». Le protezioni dai venti, ove necessarie, sono assicurate da frangivento vivi di leccio e alloro ed altre essenze agrarie, ovvero da reti e canneti. Il sesto d'impianto è quello tradizionale, a quinconce, e in ogni caso, con una densità d'impianto compresa tra 250 e 400 piante per ettaro. Le varietà da coltivare sono quelle definite all'art. 2. 5.4. L'allevamento La forma da dare all'albero d'arancio è quella tipica della zona e precisamente una semisfera, localmente denominata «cupola»; l'impalcatura della stessa è costituita da due branche principali e due secondarie facendo in modo che la chioma si sviluppi secondo un cerchio inscritto in un quadrato. Pertanto la cupola internamente è cava, per favorire l'arieggiamento e le operazioni di raccolta. 5.5. Le cure colturali Nel periodo che va da maggio ad ottobre, le piante di arancio sono irrigate. Le lavorazioni al terreno si limitano alle zappature primaverili e alle concimazioni, generalmente ancora con letame ovino-caprino; in alternativa si ricorre a concimazioni a base di perfosfati. Prima della ripresa vegetativa, periodiche potature primaverili, generalmente annuali, modellano costantemente la «cupola» e, soprattutto, garantiscono il necessario equilibrio tra attività vegetativa e produttiva. Le cure colturali continuano con la difesa, sia da avversità meteoriche, fronteggiate con i frangivento, sia da attacchi parassitari, principalmente cocciniglie, causa del problema delle fumaggini. Le colture utilizzanti processi di natura biologica sono assoggettate alla specifica normativa. 5.6. Le rese Le rese non devono superare le 30 tonnellate per ettaro per il Biondo Comune del Gargano e le 25 tonnellate per l'ecotipo locale Duretta del Gargano. 5.7. L'epoca di raccolta L'epoca di raccolta, data la naturale e accentuata scalarità di maturazione dell'Arancia del Gargano è così stabilita: 15 aprile - fine agosto per il Biondo Comune del Gargano; 1° dicembre - 30 aprile per la Duretta del Gargano. La raccolta è fatta manualmente e con l'ausilio di forbici. I frutti raccolti devono presentarsi sani. È vietata la maturazione artificiale dei frutti. Il confezionamento del prodotto IGP «Arancia del Gargano» può avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all'art. 3 del presente disciplinare, al fine di garantire la tracciabilità ed il controllo. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente La domanda di registrazione della I.G.P. «Arancia del Gargano» si basa sulla indubbia reputazione che nel corso dei secoli questo agrume ha conquistato presso i consumatori. Infatti, le condizioni climatiche dell'area dove insistono gli agrumeti sono tali da tradursi in notevoli vantaggi qualitativi: innanzi tutto il clima non eccessivamente caldo non favorisce lo sviluppo di forti patologie sia a carico dei frutti sia delle piante. Un secondo aspetto, legato alle condizioni climatiche, è quello che fa dell'epoca di maturazione l'autentica caratterizzazione degli agrumi garganici; non gennaio, febbraio o marzo, ma addirittura fine aprile-maggio, e anche agosto, diversi mesi dopo l'epoca di maturazione di tutte le altre aree agrumicole italiane. Un ultimo e non meno importante aspetto è la spiccata serbevolezza dell'Arancia del Gargano, che permetteva in tempi passati alle arance del Gargano di sottoporsi a viaggi di 30 e anche 40 giorni e arrivare integri a Chicago, o New York. Contributo essenziale alla crescita e alla reputazione di questo agrume è stato dato oltre che dalle inconfondibili qualità organolettiche dell'Arancia del Gargano, e dalla sua particolare pezzatura, sintesi delle condizioni pedoclimatiche della zona di produzione (terreni rosso-calcarei, ricchi principalmente di ferro e manganese, generalmente acclivi, da fianchi di vallette o da tratti di fondovalle; esposizione ai venti freddi causa di repentini abbassamenti di temperatura; clima particolarmente mite, dato il sistema di dolci colline «degradanti amare»), anche dalla costante opera dell'uomo, che nel corso del tempo ha maturato un importante patrimonio di conoscenze agronomiche. Le tecniche di coltivazione sono ancora quelle tradizionali, di grande rispetto per l'ambiente e di una radicata consapevolezza di un limitato uso di risorse energetiche. L'area di produzione dell'Arancia del Gargano è caratterizzata da terreni generalmente acclivi, da fianchi di vallette o da tratti di fondovalle, e presenta una temperatura che per ben 8 mesi supera i 10° C, e che nei mesi più freddi si assesta sui 3-10° C. La collocazione dell'area nei quadranti settentrionali del promontorio del Gargano, la espone ai venti freddi causa di repentini abbassamenti di temperatura, di qui la necessità di particolari forme di protezione, sperimentate con efficientissimi frangivento (vivi e morti). Al di là di questi stress termici, comunque eccezionali, l'area dell'Arancia del Gargano si caratterizza con un clima particolarmente mite, dato il sistema di dolci colline «degradanti a mare» con cui è conformata che la rendono nettamente differente dalle aree circostanti. Su un piano fitogeografico l'area, con caratteri di rigogliosità e lussureggiamento, rientra nella fascia di vegetazione potenziale inquadrabile nella parte più evoluta del «Quercino ilicis». Dal punto di vista geomorfologico si tratta di piccole valli calcaree con terreni della categoria «suoli rossi mediterranei» (con piccoli tratti a «regosuoli e suoli alluvionali») che sul piano fisico-chimico si presentano di medio spessore, con «scheletro» a volte abbondante, poveri di fosforo ed azoto ma particolarmente ricchi di potassio e microelementi. Il Gargano è un emblematico esempio di successo scaturito da scelte agronomiche in perfetta armonia con le vocazioni, le condizioni geo-pedo-climatiche di una piccola «nicchia ambientale» del Bacino dell'Adriatico. Fin dall'antichità la fama dell'Arancia del Gargano aveva valicato i confini regionali ed era menzionata nelle opere di diversi autori, tra cui lo stesso Gabriele d'Annunzio. Fin dal 1700 gli agrumi del Gargano diventano protagonisti di un'importante processione, che ancora oggi si tiene ogni anno a febbraio, in onore di San Valentino, Santo protettore degli agrumeti, durante la quale si benedicono le piante e i frutti di aranci e limoni. Sono conservati numerosi registri, fotografie, poster, locandine, a dimostrazione della straordinaria fama a livello anche internazionale raggiunta da questi straordinari ed inconfondibili agrumi del Gargano. I primi riferimenti storici sull'esistenza della coltivazione degli agrumi sul territorio risalgono all'anno 1003, grazie a Melo, principe di Bari, che, volendo dare dimostrazione ai Normanni della ricchezza produttiva delle terre garganiche, spedì in Normandia i «pomi citrini» del Gargano, corrispondenti al melangolo (arancio amaro). Nel seicento si intensificò un notevole traffico di agrumi dei comuni di Vico del Gargano e di Rodi Garganico con i Veneziani. Questi intensi scambi commerciali continuarono anche nell'Ottocento, e la fama dell'Arancia del Gargano raggiunse persino gli altri Stati europei e gli Stati americani. Articolo 7. Controlli Il controllo per l'applicazione del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato o da un'autorità pubblica designata, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Etichettatura La commercializzazione, destinata al consumo fresco e alla trasformazione, deve riguardare frutti con requisiti così come stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Il prodotto, nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio ortofrutticolo, può essere commercializzato: 1. sfuso e ogni frutto deve riportare il logo I.G.P. «Arancia del Gargano»; 2. in confezioni, ovvero con incarto, e almeno l'80% dei frutti costituenti la confezione deve osservare analogo adempimento. Nel caso di confezionamento, i contenitori devono essere rigidi, con capienza da un minimo di 1 kg ad un massimo di 25 kg e devono essere costituiti di materiale di origine vegetale, quali legno o cartone. Le confezioni commerciali devono riportare le seguenti indicazioni: Arancia del Gargano, eventualmente seguite dal nome del tipo Biondo Comune del Gargano o dell'ecotipo locale Duretta del Gargano; il logo; la dicitura di I.G.P. anche per esteso; il nome del produttore/commerciante, ragione sociale, indirizzo del confezionatore, peso netto all'origine. I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la I.G.P. «Arancia del Gargano», anche a seguito di processi di eleborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della I.G.P. riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Mi.P.A.F. in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del regolamento (CEE) n. 2081/92. È fatto divieto di utilizzare nomi di specie e varietà diverse da quelle contemplate nel presente disciplinare. È consentito, infine, ai produttori o confezionatori l'uso di marchi privati o di particolari indicazioni, purché non siano laudativi e non siano concepiti per trarre in inganno l'acquirente. Articolo 9. Il logo Il logo di Arancia del Gargano è l'immagine qui riportata su sfondo bianco, e rappresenta una stilizzazione di due Arance, con rametto fogliato, all'interno di una corona ellissoidale; sulla corona è riportata la dicitura «Arancia del Gargano» ed in basso al centro della stessa la dicitura per esteso «Indicazione geografica protetta». Caratteristiche grafiche: dimensioni pixel 486\times 398; risoluzione 200 Dpi; la corona ellissoidale è di color arancione Pantone 716 CVC; testo «ARANCIA DEL GARGANO» in carattere Arial Black tutto maiuscolo, dim 37\times 54 pixel, di color Bianco Pantone 607 CVC contornato in color Nero Pantone Quadricromia CVC; testo «Indicazione geografica protetta» in carattere Miandra GD, dim 22 pt, di color Bianco Pantone 607 CVC in stile «Arco prospettiva inferiore», con ombreggiatura; le Arance sono di colore Arancione Pantone sfumato da Pantone 716 CVC fino a Pantone 142 CVC, con sfumatura macchiettata di colore arancione Pantone 157 CVC; il Rametto è in colore Verde Pantone 357 CVC, le foglie in colore Pantone 3435 CVC e le nervature in Verde Pantone 5767 C. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Foggia |
Arancia di Ribera Arancia di Ribera DOP Disciplinare di produzione - Arancia di Ribera DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” è riservata ai frutti che rispondono alle indicazioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” è riservata alle produzioni derivanti dalle seguenti varietà: a) Brasiliano con i cloni: Brasiliano comune, Brasiliano risanato; b) Washington Navel , Washington navel comune, Washington Navel risanato, Washington Navel 3033; c) Navelina con i cloni: Navelina comune, Navelina risanata e Navelina ISA 315; All’atto della sua immissione al consumo la Denominazione d’Origine Protetta “Arancia di Ribera” presenta le seguenti caratteristiche: frutto (esperidio) - diametro traverso minimo di 70 mm; - calibro minimo di 6 secondo la classificazione europea; - forma tipicamente sferica-ellissoidale (ovoide o schiacciata o ellittica) con ombelico interno; - colore della buccia arancio uniforme, con tendenza al rossastro a fine inverno; - polpa con colore arancio uniforme, tessitura fine e soda, senza semi; succo - colore arancio; - resa in succo non inferiore al 40 %; - contenuto di solidi solubili compreso tra 9 e 15 Brix; - acidità compresa tra 0.75 e 1.50; - rapporto solidi solubili/acidi organici titolabili non inferiore a 8. La DOP “Arancia di Ribera” è riservata alle arance appartenenti alla categoria commerciale “Extra” e “ I ”. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’ “Arancia di Ribera” comprende le aree della Provincia di Agrigento ricadenti nei Comuni di: Bivona, Burgio, Calamonaci, Caltabellotta, Cattolica Eraclea, Cianciana, Lucca Sicula, Menfi, Montallegro, Ribera, Sciacca, Siculiana e Villafranca Sicula e della Provincia di Palermo nel comune di Chiusa Sclafani. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata in modo da garantire il rispetto delle norme contenute nello specifico disciplinare. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche iscritte nei elenchi sono assoggettate al controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La produzione della “DOP Arancia di Ribera” proviene da impianti condotti con i seguenti metodi: a) tradizionale: ottenuto mediante l’adozione dei sistemi ordinari praticati nel comprensorio ai sensi delle norme di “Normale buona pratica agricola” in conformità ai Regolamenti comunitari e nel rispetto dei limiti dei residui di fitofarmaci; b) integrato: ottenuto con l’osservanza delle norme tecniche di produzione integrata della Regione Siciliana in conformità ai Regolamenti comunitari in materia agroambientale; c) biologico: in conformità al Regolamento CEE 2092/91 e successive modificazioni. La densità di piantagione è compresa tra 400 e 650 piante per ettaro. I portinnesti ammessi sono i seguenti: Citrus aurantium (arancio amaro o melangolo), citrange Troyer, citrange Carrizo, citrumeli, Poncirus trifoliata, mandarino Cleopatra, Citrus macrophylla, esenti da virosi e dotati di alta stabilità genetica. L’operazione di raccolta avviene manualmente e il distacco dei frutti deve essere effettuato con forbici. La produzione massima per gli agrumeti non può superare i 400 quintali per ettaro. In annate eccezionalmente favorevoli tali limiti possono essere superati al massimo del 10%. E’ fatto assoluto divieto di praticare la deverdizzazione dei frutti. Tecniche di allevamento Per la produzione della “DOP Arancia di Ribera” sono utilizzate due tipologie d’impianto: costituzione di nuovi agrumeti attraverso messa a dimora di giovani piante da vivaio, riconversione varietale di agrumeti già esistenti con le nuove cultivar. In entrambi i casi il materiale di propagazione utilizzato (marze, portinnesti, piante innestate) deve essere certificato. Nuovo Impianto Il sesto adottato deve essere tale da consentire un’agevole esecuzione delle principali operazioni colturali e il transito delle attrezzature agricole e al contempo garantire un equilibrato sviluppo vegeto-produttivo delle piante. A tal fine la densità d’impianto nei nuovi impianti dovrà essere compresa tra 400 e 650 piante/Ha, in dipendenza del portinnesto utilizzato. La messa a dimora viene effettuata nel periodo invernale, a partire dal mese di dicembre fino a tutto marzo, con piante di uno o due anni e punto di innesto ad un altezza compresa tra 50 e 60 cm avendo cura di non ricoprire il colletto per prevenire l’insorgenza di fitopatie. Reinnesto La tecnica del reinnesto si esegue su agrumeti preesistenti che rispondano ai seguenti requisiti minimi: - densità compresa tra 400 e 650 piante/ha; - buone condizioni vegetative e sanitarie; I reinnesti si effettuano nella stagione primaverile, nei mesi di marzo e aprile, adottando la tecnica “a penna”, “a corona” o “a pezza”. Il reinnesto deve essere preceduto da una energica potatura, direttamente sul fusto o le branche principali della varietà che si vogliono reinnestare. Potatura Gli interventi di potatura vengono eseguiti da febbraio a settembre e devono consentire la formazione di una struttura a “globo” armonica e “piena”. La potatura viene effettuata annualmente con interventi cesori moderati, miranti ad evitare che si crei un affastellamento della vegetazione all’interno della chioma. Gestione della flora spontanea Il controllo delle erbe infestanti viene effettuato con poche lavorazioni meccaniche, utilizzando attrezzi che operano superficialmente per evitare di danneggiare l’apparato radicale. Lavorazioni La prima lavorazione si esegue nel periodo compreso tra il 1° marzo ed il 30 aprile e ha lo scopo di ripulire il terreno e interrare i concimi, che vengono distribuiti in questo periodo dell’anno. Successivi interventi sono consentiti nel periodo primaverile/estivo, ad allegagione avvenuta. Nutrizione e concimazione La concimazione viene eseguita nel periodo compreso tra il 1° febbraio ed il 30 settembre, anche in fertirrigazione. Metodo convenzionale e integrato La concimazione si esegue con concimi organici e/o granulari complessi organici o organo-minerali o minerali interrati con una leggera lavorazione del terreno. Metodo biologico La concimazione si esegue con prodotti autorizzati ai sensi del Reg. CE 2092/91 e successive modifiche. Si esegue con concimi organici o organo-minerali interrati tramite una leggera lavorazione del terreno o in fertirrigazione. Irrigazione L’irrigazione avviene con il metodo a microgetto localizzato sia a “farfalla” che “a baffo”. Difesa fitosanitaria La prevenzione ed il controllo fitosanitario dai fitopatogeni, insetti e acari fitofagi si differenzia a seconda della tecnica di produzione attuata, (tradizionale, integrata o biologica). Raccolta La raccolta per la varietà Navelina inizia il 1° novembre e termina alla fine di febbraio; mentre per le varietà Brasiliano e Washington navel inizia nella prima decade di dicembre e termina alla fine di maggio. Il taglio dei frutti è effettuato con l’ausilio di forbici al fine di evitare il distacco del calice. Condizionamento Per i frutti non immessi immediatamente al consumo, dopo la raccolta è permessa la conservazione a basse temperature. Le condizioni di conservazione nelle celle frigorifere sono: temperature compresa tra 3 e 6 °C., umidità relativa tra il 75 – 95%. I tempi di condizionamento non devono superare i 90 giorni dalla raccolta. Al fine di salvaguardare la qualità e l’integrità delle produzioni a “DOP”, tutte le operazioni di condizionamento dovranno avvenire all’interno dell’area di produzione delimitata ai sensi dell’art. 3, in quanto lunghi trasporti e successive manipolazioni favoriscono l’insorgenza di fenomeni patogeni e contaminazioni del prodotto. Infatti, l’Arancia di Ribera non subisce alcun trattamento chimico sia in pre e post raccolta sia nella fase di condizionamento, se non quello del lavaggio con acqua potabile. L’assenza sulla buccia di cere e conservanti chimici rende l’Arancia di Ribera più sensibile ai trasporti e alle manipolazioni. Articolo 6. Legame con l'ambiente Le caratteristiche peculiari dell’Arancia di Ribera sono: - una consistenza della polpa tale che le vescicole di succo si dissolvono in bocca lasciando pochissimi residui membranosi; - un perfetto equilibrio tra gusto, aroma e profumo. - polpa bionda e zuccherina adatta al consumo fresco e che la distingue dalle altre varietà siciliane pigmentate di rosso e dal sapore subacido. E’ provato che queste caratteristiche qualitative ed organolettiche si differenziano da quelle provenienti da altri areali di coltivazione, conferendole una propria identità nei mercati nazionali ed europei, oramai dal 1950 circa con la denominazione Arancia di Ribera. Maggiore impulso all’affermazione dell’Arancia di Ribera viene dato dall’organizzazione della Fiera Mercato, già dalla prima edizione del 1966, che diventa “Sagra dell’Arancia di Ribera” dal 1985. Queste qualità esclusive sono essenzialmente legate ai fattori ambientali: clima, terreno e acqua. Gli aranceti, infatti, sono presenti ai lati e sui versanti dei fiumi Verdura, Magazzolo, Platani e Carboj dove la natura dei terreni è costituita da un alto contenuto di argilla tale che il terreno si crepacci durante l’estate. Questi suoli che appartengono all’ordine dei Vertisuoli e degli Inceptsuoli hanno una grande potenzialità agronomica. Essi sono ricchi di minerali primari prontamente assimilabili, ad alta capacità di scambio cationico (> 20 meq/100 g.), caratteristica che contribuisce ad aumentare notevolmente il contenuto di potassio scambiabile e disponibile per l’arancia di Ribera. L’elevata disponibilità di potassio, che favorisce la migrazione degli zuccheri dalle radici, foglie e rami sino ai frutti, unite alle condizioni climatiche tipiche dell’area mediterranea, contribuiscono in maniera decisa ad aumentare il contenuto di zuccheri e la qualità gustativa nell’ Arancia di Ribera. In queste aree, anche le caratteristiche fisiche del terreno svolgono un ruolo importante nel determinare le caratteristiche del prodotto. I suoli, formati da sedimenti alluvionali, sono caratterizzati da una tessitura equilibrata, che assicura la succosità dei frutti e conferisce unicità ai suoli di questa area, legata all’elevato contenuto di argilla, mitigato dalla sabbia e frequentemente da ciottoli, che garantiscono la libera circolazione dell’aria e dell’acqua e consentono l’instaurazione di processi biologici, con l’insediamento di una microflora “positiva”, favorevoli alla sintesi della sostanza organica che, come è noto, favorisce l’assimilazione degli elementi nutritivi e dell’acqua. Inoltre, durante la stagione estiva, per far fronte alla mancanza di piogge, gli agrumeti ricadenti nel comprensorio dell’Arancia di Ribera vengono irrigati attraverso un sistema di canalizzazione che utilizza le acque invasate nelle dighe Castello, Arancio e di Prizzi, provenienti rispettivamente dai fiumi Magazzolo, Carboj e Verdura. I suddetti fiumi forniscono abbondante acqua di ottima qualità, di composizione equilibrata con bassa conducibilità esente da elementi inquinanti. La presenza del mare determina per tutto l’anno condizioni termiche e igrometriche, che ben si sposano con le esigenze ecofisiologiche dell’arancio, assai raramente, infatti, si verificano danni da calamità naturali come gelate o venti sciroccali responsabili di notevoli danni per le colture. La sapienza dell’uomo nel coltivare e curare gli aranceti nel rispetto delle tradizioni e culture locali e la salubrità dell’ambiente contribuiscono armonicamente a fornire a questo prodotto qualità uniche. Altri parametri importanti che caratterizzano l’arancia di Ribera sono: - l’ottimo rapporto tra i solidi solubili totali e gli acidi organici: - la pezzatura media dei frutti alquanto elevata; - il colore arancio intenso della buccia e del succo; - la succosità elevata che la rende una buona varietà anche da succo. L’areale in cui viene coltivata l’Arancia di Ribera è una vera “oasi arancicola” totalmente distaccata dal contesto agrumicolo regionale. Nella vallata del fiume Verdura documenti storici dimostrano la coltivazione di eccellenti produzioni di “melarance”, di arance vaniglia e di altri agrumi già a partire dagli inizi del 1800, in cui si descrive un territorio ricco e con acque dolcissime e prodotti che venivano trasportati a Palermo ed esportati fino in America. Altri documenti descrivono la presenza di arance ombelicate nel bacino del mediterraneo nello stesso periodo. Quindi un’areale di coltivazione ricco ed eccellente, con diverse varietà tra le quali varietà ombelicale già a partire dal 1800. Le prime piante di Brasiliano giunsero a Ribera acquistate da alcuni agricoltori riberesi a Palermo intorno agli anni ’30. La perfetta acclimatazione di questi aranci, l’abbondante produzione, l’eccellente qualità del frutto, spinsero gli agricoltori locali a propagare ed impiantare il Brasiliano nei loro campi in sostituzione degli aranci più antichi. La coltura andò affermandosi a poco a poco ma con continuità, tanto che nel 1940 investiva già 100 ettari e circa 6.350 nel 2000. L’arancia di Ribera trovò ben presto un centro di ideale diffusione lungo la vallata del fiume Verdura, grazie anche alla possibilità di attingere acqua per l’irrigazione. Ben presto la vallata si trasformò in un continuo aranceto. Il principale attore di queste trasformazioni è stato sempre l’agricoltore, che ha saputo cogliere le caratteristiche e le condizioni ottimali dell’ambiente, acquisendo una capacità professionale unica, punto di riferimento per l’intero territorio regionale relativamente alla coltivazione degli agrumi e creando una ricchezza ed un paesaggio unici al mondo. L’importanza economica e sociale della coltura dell’arancio nel territorio riberese è dimostrata dal numero di aziende interessate, che oggi sono circa 4.000. Gli agricoltori, da tempo impegnati nella coltivazione di questo agrume, hanno ormai acquisito una elevata professionalità nel settore, che si evidenzia nella fase colturale, con l’adozione di tecniche innovative e razionali, nonché nella fase produttiva e commerciale. Il territorio agricolo di Ribera ha rappresentato per molti decenni il punto di riferimento più all’avanguardia dell’intero territorio regionale ed in alcuni casi anche a livello nazionale per le capacità professionali delle maestranze, per le avanzate tecniche colturali messe a punto dai coltivatori, per la qualità delle produzioni ottenute, che continuano a riscuotere notevole successo. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’articolo 10 ed 11 del Reg. CEE n. 510/06. tale struttura di controllo è l’ autorità pubblica designata: Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A:Mirri” – Via G.Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo – Tel. 0916565220 – Fax 0916570803. Articolo 8. Etichettatura L’ “Arancia di Ribera DOP” è immessa al consumo nelle seguenti confezioni: - contenitori e/o vassoi di legno, plastica e cartone del peso fino ad un massimo di 25 kg.; - sacchi retinati del peso massimo di 5 kg.; - bins alveolari del peso massimo di 40 kg. Le confezioni, i sacchi ed i bins devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. La confezioni recano obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili: 1. La denominazione “Arancia di Ribera D.O.P.” e il Logo, con caratteri superiori a quelli delle altre diciture presenti in etichetta; 2. La varietà di arance: Brasiliano, Washington navel e Navelina; 3. Il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e/o confezionatrice; 4. La categoria commerciale di appartenenza “Extra” o “ I ”. E’ altresì vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, all’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché a altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. Debbono inoltre comparire gli elementi atti a individuare nome, ragione sociale e indirizzo del confezionatore. E’ facoltativa l’indicazione della settimana di raccolta dei frutti. Il Logo dell’ “Arancia di Ribera DOP” risulta così composto: Dicitura “Arancia di Ribera D.O.P. Denominazione Di Origine Protetta” in carattere Textile, “Arancia di Ribera”, minuscolo con le iniziali maiuscolo ad eccezione dell’articolo “di”, “DOP” in maiuscolo puntato e “Denominazione di Origine Protetta” tutto maiuscolo. La dicitura Arancia di Ribera è sormontata da un accenno di sky-line del frutto con i contorni e colori tipici dell’arancia di Ribera: grossa dimensione, buccia arancione e foglie larghe. Nel lato sinistro della dicitura “D.O.P” è presente la Sicilia geografica stilizzata. Indici colorimetrici: foglia verde (74%C 18%M 100%Y 4%K ); frutto arancio (1%C 77%M 100%Y 0%K ); blu per la dicitura (100%C 91%M 31%Y 24%K ). | D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Agrigento, Palermo |
Arancia Rossa di Sicilia I.g.p. Arancia Rossa di Sicilia IGP Disciplinare di produzione - Arancia Rossa di Sicilia IGPArticolo 1. La indicazione geografica protetta "Arancia rossa di Sicilia" è riservata ai frutti pigmentati che rispondono alle condizioni ed ai requisiti, stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La indicazione geografica protetta "Arancia rossa di Sicilia" è riservata alle seguenti varietà:
coltivate in purezza varietale, nel territorio idoneo della Regione Sicilia definito nel successivo art.3. Articolo 3. La zona di produzione dell'"Arancia rossa di Sicilia" comprende il territorio idoneo della Sicilia Orientale per la coltivazione dell'Arancia ed è così individuato: Provincia di Catania - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Catania, Adrano, Belpasso, Biancavilla, Caltagirone, Castel di Judica, Grammichele, Licodia Eubea, Mazzarrone, Militello Val di Catania, Mineo, Misterbianco, Motta Sant'Anastasia, Palagonia, Paternò, Ramacca, Santa Maria di Licodia, Scordia e Randazzo limitatamente all'area detta "isola di Spanò". Provincia di Siracusa - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Lentini, Francofonte, Carlentini, Buccheri, Melilli, Augusta, Priolo, Siracusa, Floridia, Solarino, Sortino e Noto Provincia di Enna - Territorio delimitato in apposita cartografia 1:25.000 dei seguenti comuni: Centuripe, Regalbuto, Catenanuova e Troina limitatamente all'area detta "Cugno di Troina". Provincia di Ragusa: Acate, Comiso, Chiaramonte e Vittoria. Articolo 4. Le condizioni ambientali e di coltura degli aranceti destinati alla produzione dell "Arancia rossa di Sicilia" devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire al prodotto che ne deriva le specifiche caratteristiche di qualità I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli in uso generalizzato atti a mantenere un perfetto equilibrio e sviluppo della pianta oltre ad una normale aereazione e soleggiamento della stessa. La densità di piante per ettaro è normalmente compresa tra 230 e 420 Per gli impianti esistenti e destinati ad esaurimento è ammessa una densità fino ad un massimo di 725 piante per ettaro. Per i sesti dinamici la densità è compresa tra 600 e 840 piante per ettaro. Per i nuovi impianti sono ammessi altri sesti su proposta dell'Assessorato per l'Agricoltura della Regione Sicilia, previo parere dell'Istituto Sperimentale per l'agrumicoltura di Acireale, purché non siano modificate le caratteristiche dei frutti. I portainnesti idonei sono i seguenti: arancio amaro, citrange Troyer, citrange Carrizo, Poncirus trifoliata, esenti da virosi e dotati di alta stabilità genetica. Le operazioni colturali e le modalità di raccolta, devono essere quelli generalmente utilizzati, il distacco dei frutti viene effettuato con l'ausilio di forbicine di. raccolta che operano il taglio del peduncolo. La produzione unitaria massima consentita di "Arancia rossa di Sicilia" per le tre varietà è fissata in quintali 300 per ettaro. Per le selezioni clonali "Tarocco Nucellare", "Moro Nucellare" e"Sanguinello Nucellare" la produzione unitaria massima consentita è di q.li 360 per ettaro. A detti limiti, anche in annate, eccezionalmente favorevoli, la resa deve essere riportata attraverso una accurata cernita, purché la produzione globale dell'agrumeto non superi di oltre il 30 per cento detti limiti. È fatto assoluto divieto di praticare la deverdizzazione dei frutti. Articolo 5. La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità è accertata dalla Regione Sicilia. Gli aranceti idonei alla produzione dell "Arancia rossa di Sicilia" sono inseriti in apposito Albo tenuto, attivato, aggiornato e pubblicato dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura competenti per territorio. Copia di tale Albo deve essere depositata presso tutti i Comuni compresi nel territorio di produzione. Il Ministero per le politiche agricole, ai fini dell'attivazione del suddetto Albo emanerà apposite disposizioni ove saranno stabilite le modalità per le iscrizioni agli albi, per le denuncie di produzione, per la modulistica da adottarsi per un corretto ed opportuno controllo della produzione riconosciuta e commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta. Saranno altresì stabiliti criteri e norme per l'eventuale delega dei controlli ai sensi del Reg. (CEE) 2081/92 nonché per le caratteristiche del logo figurativo della indicazione geografica protetta. Articolo 6. I frutti di "Arancia rossa di Sicilia" all'atto dell'immissione al consumo devono rispondere alle seguenti caratteristiche: Arancia rossa di Sicilia Tarocco - forma: obovata o globosa, con base più o meno prominente ("Muso" lungo o corto) - colore della buccia: arancio con parti colorate in rosso granato più o meno intenso; - colore della polpa: arancio con screziature rosse più o meno intense in relazione all'epoca di raccolta; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40%, determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; - contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10,0 espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 7,0, determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Arancia rossa di Sicilia Moro - forma: globosa o ovoidale; - colore della buccia: arancio con sfumature più intense su un lato del frutto; - colore della polpa: interamente rosso vinoso a maturazione avanzata; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40, determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10, espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 6,5, determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Può essere tollerato il rapporto di 5,5 per i frutti raccolti nel mese di dicembre; Arancia rossa di Sicilia Sanguinello - forma: globosa o obovata; - colore della buccia: arancio con sfumatore rosse; - colore della polpa: arancio con screziature rosse; - calibro: minimo 10 (diam. mm. 60/68); - resa in succo: minima 40% determinata mediante spremiagrumi con birillatrice; - contenuto di solidi solubili totali nel succo: minimo 10,0 espresso in gradi Brix; - rapporto di maturazione: minimo 8,0 determinato come rapporto Brix/acidi, esprimendo gli acidi come acido citrico anidro. Il colore della buccia e della polpa dei frutti delle tre cultivar può presentare variazione della descrizione suddetta in relazione all'epoca di raccolta ed alla caratteristica del clone. Su proposta dei produttori interessati, il Ministro per le Politiche Agricole, nell'ambito delle linee del piano nazionale di lotta fitopatologica integrata e del codice di buona pratica agricola di cui alla direttiva (CEE n.91/676 Allegato IV) può stabilire limiti di residui di fitofarmaci, operazioni agronomiche e colturali atte al mantenimento del livello qualitativo stabilito nel presente disciplinare. Articolo 7. L Arancia rossa di Sicilia è immessa al consumo con il logo della Indicazione Geografica Protetta figurante su ogni frutto e confezionata nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio ortofrutticolo. Sulle confezioni deve figurare, in caratteri chiari, indelebili e nettamente distinguibili e da ogni altra scritta la denominazione "Arancia rossa di Sicilia", immediatamente seguita dalla indicazione varietale (Tarocco, Moro o Sanguinello). Nello spazio immediatamente sottostante deve comparire la menzione "Indicazione Geografica Protetta". È vietata l'aggiunta alla indicazione di cui al comma precedente di qualsiasi qualificazione o menzioni diverse da quelle espressamente previste nel presente disciplinare di produzione ivi compresi gli aggettivi: Tipo, Fine, Extra, Superiore, Selezionato, Scelto, e similari. È altresì vietato utilizzare nomi di varietà diverse da quelle espressamente previste nel presente disciplinare di produzione. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l acquirente; nonché eventuale nome di aziende o di aranceti dai quali effettivamente provengono le arance Debbono inoltre comparire gli elementi atti ad individuare nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, peso lordo all'origine. È facoltativa l'indicazione della settimana di raccolta dei frutti. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania, Siracusa, Enna |
Asparago Bianco di Bassano Asparago Bianco di Bassano DOP Disciplinare di produzione - Asparago Bianco di Bassano DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta (DOP) "Asparago Bianco di Bassano" e' riservata ai turioni di asparago (Asparagus officinalis L.) che rispondono alle caratteristiche ed alle condizioni stabilite dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La denominazione di origine protetta (DOP) "Asparago Bianco di Bassano" designa i turioni di asparago ottenuti nella zona di produzione delimitata nel successivo art. 3 del presente disciplinare di produzione, discendenti dall'ecotipo locale "Comune - o Chiaro - di Bassano". 1. Caratteristiche estetiche. I turioni che possono fregiarsi della DOP "Asparago Bianco di Bassano" devono essere: a) di colore bianco. Una colorazione leggermente rosata ed eventuali lievi tracce di ruggine sono ammessi alle brattee ed alla base, purche' non si estendano all'apice dei turioni (primi 3 cm) ed a condizione che possano essere eliminate con la pelatura normale da parte del consumatore e, in ogni caso, non devono superare il 10% del prodotto del mazzo; b) ben formati: dritti; interi; con apice serrato; i turioni non devono essere vuoti, ne' spaccati, ne' pelati, ne' spezzati. La bassa fibrosita', caratteristica qualitativa dell'asparago Bianco di Bassano, determina, al momento del confezionamento, un'elevata spaccatura laterale dei turioni per cui sono tollerati lievi spacchi, sopraggiunti dopo la raccolta, al massimo sul 15% del prodotto racchiuso nel mazzo; sono ammessi turioni lievemente incurvati; c) teneri; non sono ammessi i turioni con principi di lignificazione; d) di aspetto e odore freschi; privi di odore o sapore estraneo; e) sani - esenti da attacchi di roditori e di insetti; f) puliti, privi di terra o di qualsiasi altra impurita'; g) privi di gocciolatura e sufficientemente asciutti dopo lavaggio e refrigerazione con acqua fredda, esente da additivi chimici. La sezione praticata alla base deve essere il piu' possibile netta e perpendicolare all'asse longitudinale. 2. Calibratura. La calibratura e' determinata secondo la lunghezza ed il diametro. Il diametro centrale dei turioni e' quello della sezione presa al centro della lunghezza. Il diametro centrale minimo, compresa la tolleranza, e' fissato in 11 mm. I turioni devono essere confezionati in maniera tale che in ogni mazzo siano compresi turioni con differenza di diametro medio non superiore a 10 mm. I mazzi vanno classificati in base al diametro centrale dei turioni che li compongono. La lunghezza dei turioni presenti deve essere in rapporto stretto con tale classificazione. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di condizionamento e di confezionamento dell'"Asparago Bianco di Bassano" di cui al presente disciplinare di produzione comprende, nell'ambito della provincia di Vicenza, i territori dei comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano, Cassola, Mussolente, Pove del Grappa, Romano D'Ezzelino, Rosa', Rossano Veneto, Tezze sul Brenta e Marostica. Articolo 4. Elementi storici che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo sara' monitorata documentando per ognuna i prodotti in entrata ed i prodotti in uscita. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo incaricata, dei terreni coltivati, dei produttori e dei confezionatori, nonche' la denuncia dei quantitativi prodotti, e' garantita la tracciabilita' e rintracciabilita' del prodotto da monte a valle della filiera stessa. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. In particolare saranno monitorati: l'iscrizione, per ciascuna campagna produttiva, dei terreni coltivati a "Asparago Bianco di Bassano" nell'elenco depositato presso la sede dell'Organismo di controllo; l'indicazione degli estremi catastali dei terreni coltivati ad Asparago Bianco di Bassano e, per ciascuna particella catastale, la ditta proprietaria, la ditta produttrice, la localita', la superficie coltivata ad Asparago Bianco di Bassano; la registrazione dei codici progressivi di numerazione dei mazzi marchiati. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta Caratteristiche dei terreni. I terreni devono avere un ph compreso fra 5,5 e 7,5. E' obbligatoria un'analisi dei terreni per ogni nuovo impianto e, in ogni caso, almeno ogni 5 anni per i parametri principali (ph, azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio e sostanza organica). Per i nuovi impianti sono valide le analisi effettuate nel triennio precedente. 1. Preparazione del terreno ed impianto. La preparazione del terreno va effettuata nell'autunno precedente l'impianto, con un'aratura leggera, ad una profondita' inferiore o uguale a 30 cm, seguita eventualmente, da una ripuntatura a 40-50 cm. Nella realizzazione di nuovi impianti la distanza tra le file non deve risultare inferiore a 1,8 m per le fine binate e 2 m per le file singole; la densita' massima dovra' comunque essere di 1,8 di piante/metro quadro. I solchi devono avere una profondita' di 15-20 cm. L'orientamento delle file deve essere preferibilmente da nord a sud, secondo l'andamento dei venti dominanti che percorrono la Valsugana, in modo da garantire un buon arieggiamento alla coltura e la diminuzione dei rischi di infezioni fungine e di allettamento delle piante. Il trapianto delle zampe di asparago deve essere eseguito nei mesi di marzo od aprile, per le piantine esso deve avvenire entro il mese di giugno. 2. Rotazioni. Il reimpianto di una asparagiaia sullo stesso terreno puo' essere effettuato solo dopo 4 anni. In caso di accertata presenza di fitopatie di tipo radicale (rizoctonia e fusarium), il reimpianto puo' avvenire non prima di 8 anni. E' inoltre vietato far precedere all'impianto dell'asparagiaia le colture della patata, erba medica, carota, trifoglio, barbabietola per possibilita' di attacchi di rizoctonia. E' altresi' consigliato far precedere all'impianto dell'asparago le colture cerealicole come l'orzo, il grano, il mais. 3. Materiale di propagazione. Piattaforma varietale. La riproduzione del materiale vegetativo da utilizzarsi per auto approvvigionamento puo' essere fatta dagli stessi agricoltori. Puo' essere utilizzato solo l'ecotipo locale purche' rispondente alle caratteristiche di cui all'art. 2. 4. Concimazione. E' obbligatorio, prima di un nuovo impianto, effettuare un'analisi completa del terreno, da ripetersi, relativamente ai parametri fondamentali (pH, N, P. K, Ca, Mg e sostanza organica) ogni 5 anni; sono valide anche analisi effettuate nel triennio precedente. In ordine al mantenimento della fertilita' dei terreni, si distingue una concimazione pre-impianto e una concimazione per gli anni di produzione. In pre-impianto e' richiesta la distribuzione di letame bovino nella dose di 600 q/ha da interrare quando maturo. L'impiego di altri concimi organici va rapportato al valore di riferimento indicato per il letame bovino. Per gli anni di produzione la concimazione andra' fatta in funzione dei risultati delle analisi del terreno e delle asportazioni medie della coltura. La provenienza dell'azoto deve essere, per almeno il 50% di natura organica. La concimazione fosfatica, e parte della concimazione potassica, sara' effettuata in corrispondenza delle lavorazioni autunnali o di fine inverno, mentre la concimazione azotata e la restante potassica sara' effettuata nel periodo post raccolta (non oltre il mese di luglio), frazionandola in piu' interventi. L'apporto annuo di elementi nutritivi principali dovra' comunque non superare i seguenti limiti massimi di unita' ad ettaro: - azoto 150; - fosforo 80; - potassio 180. Eventuali integrazioni di microelementi andranno effettuate nel periodo autunno-inverno. 5. Difesa fitosanitaria. Gli interventi devono seguire le indicazioni previste dalla regione Veneto relativamente alla lotta integrata per l'asparago bianco. Le norme tecniche di riferimento fanno capo alla delibera della giunta regionale del Veneto n. 488 del 28 febbraio 2003 e alle successive modifiche ed integrazioni emanate dalla stessa amministrazione. Nella individuazione delle tecniche agronomiche dovranno essere privilegiati i seguenti aspetti: a) utilizzazione di materiale di propagazione sano e resistente alle fitopatie; b) adozione di pratiche agronomiche in grado di creare condizioni sfavorevoli agli organismi dannosi (es. ampie rotazioni, concimazioni equilibrate, irrigazioni localizzate, adeguate lavorazioni del terreno, ecc.). 6. Pacciamatura. E' consentita la pacciamatura nel periodo di raccolta con film plastico scuro adeguato al contenimento delle malerbe e alla protezione dalla luce, o con altro materiale idoneo a garantire le caratteristiche finali del prodotto. 7. Irrigazione. Gli interventi irrigui si rendono necessari in relazione all'andamento meteorologico stagionale ed alla fase fenologica. 8. Interventi autunnali. Nel periodo di completo disseccamento della parte aerea si dovra' provvedere allo sfalcio, all'asportazione ed alla bruciatura della stessa, allo spianamento dei cumuli del terreno, a fine raccolta, onde evitare l'esagerato innalzamento dell'apparato radicale della pianta. 9. Raccolta. I periodi massimi di raccolta, considerando come primo anno l'anno d'impianto, sono i seguenti: Il periodo di raccolta deve essere compreso tra il 1B0 marzo ed il 15 giugno. Le produzioni in coltura forzata o protetta (tunnel) possono essere raccolte prima della suddetta data e comunque non prima del 1B0 febbraio previa autorizzazione dell'organismo di controllo. La produzione massima consentita in asparagiaia in piena produzione, e' pari a 80 q/ha. Il condizionamento del prodotto ed il suo confezionamento devono avvenire all'interno della zona di produzione delimitata dall'art. 3 del disciplinare per assicurare le caratteristiche tipiche, la rintracciabilita' e il controllo del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico Le condizioni ambientali e tecnico-colturali degli impianti destinati alla produzione dell'Asparago Bianco di Bassano, atte a conferire al prodotto le caratteristiche tipiche, sono le seguenti: 1. I terreni. I terreni della zona di produzione dell'Asparago Bianco di Bassano sono caratterizzati da una tessitura di tipo franco o franco-sabbiosa, con un sottosuolo ricco di ghiaia, dotati di una buona permeabilita' e di una discreta presenza di sostanza organica; il pH si colloca su valori prevalenti di 5,5-7,5 (terreni sub-acidi-neutri). L'area interessata e' di origine alluvionale, essendo ricompresa nell'area della Valsugana che ospita il fiume Brenta. La sua caratteristica risulta determinata dalla composizione fisico-chimica dei materiali detritici, ghiaiosi, sabbiosi e limosi trasportati dalle acque correnti e depositati sulla pianura fluviale, che ne caratterizzano la composizione. Tale caratteristica, aggiunta alla bassa presenza di carbonati, influisce positivamente sulle caratteristiche qualitative dell'Asparago di Bassano ed in particolare sull'assenza di fibrosita', determinando l'ottenimento di turioni teneri ed integralmente consumabili. 2. Il clima. Le zone di coltivazione dell'Asparago Bianco di Bassano presentano una situazione climatica che risente fortemente dell'influenza del fiume Brenta che attraversa la Valsugana e della protezione, a monte, delle Prealpi Venete e del Massiccio del Grappa. Il clima pertanto si presenta mite e ventilato, non umido, caratteristiche che influiscono positivamente sulla sanita' della coltura, riducendo l'incidenza della malattie crittogamiche. Le precipitazioni medie annuali si collocano intorno ai 1.000 mm annui con massimi in corrispondenza dei mesi di aprile-maggio e settembre-ottobre. In riferimento alla temperatura il valore medio si aggira dai 2,5B0 ai 23B0 con valori estremi nei mesi di gennaio e luglio. Tra gli eventi meteorologici da tenere in considerazione, si segnala l'andamento e la direzione del vento che dall'Alta Valsugana si spinge verso sud-est, determinando un micro clima locale, caratterizzante l'areale di coltivazione gli scarsi ristagni di umidita', una minore presenza di nebbie, una minore incidenza sull'escursione termica dei suoli permette di ridurre sensibilmente le fitopatie nella coltura. L'elevata areazione riduce inoltre la presenza di ristagni che permette alla coltura di svilupparsi in maniera costante. La Serenissima stimava l'asparago cibo nobile in quanto se ne trova traccia nella contabilita' di banchetti offerti ad ospiti di gran riguardo gia' nel primo Cinquecento. Dal Seicento lo coltivava diffusamente negli Orti di Terraferma. I padri in viaggio per il Concilio della Controriforma di Trento (1545-1563), transitando da Bassano, ebbero modo di gustare il prodotto locale e ci fu chi, tra loro, lascio' scritto dei suoi pregi dietetici. In una leggenda trascritta si racconta che S. Antonio da Padova aveva portato dall'Africa delle sementi di asparago. Recatosi a Bassano per ammansire il tiranno Ezzelino, concludeva positivamente l'incontro. Tornando verso Padova, percorrendo la strada che congiungeva Bassano a Rosa', cospargeva tra le siepi le sementi che rendono tuttora quella terra come la piu' indicata e feconda per la coltura del turione. In un famoso dipinto del pittore veneziano Giovambattista Piazzetta (1682-1754) "La Cena di Emmaus" - Claveleur Museum of Art - e' ben visibile il piatto di asparagi preparato secondo la tradizionale ricetta bassanese: "sparasi e ovi, sale e pevare, oio e aseo" (asparagi e uova, sale e pepe, olio e aceto). Nel 1847 il prof. Ferrazzi ("Alcuni cenni dell'Agronomia e della Industria Bassanese, 1847, pag. 14, in allegato 5) descrivendo le qualita' delle produzioni agricole locali, affermava "gli asparagi bassanesi si' candidi, si' buoni, si' saporosi, non vogliono essere altrimenti lodati; sono il dono piu' bello e gradito della nuova stagione". Alla voce asparago dell'Enciclopedia Agraria Italiana (Ed. 1952), riporta l'opinione generale che anche in altre localita' "l'asparago coltivato sia il bassanese, tuttora preferito alle razze d'Argenteuil per il migliore adattamento al clima ed anche per le sue ottime qualita' organolettiche". Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione e' svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del reg. (CEE) n. 2081/82. Articolo 8. Modalita' di confezionamento ed etichettatura 1. Imballaggio e presentazione. Il contenuto di ogni imballaggio deve contenere mazzi della medesima grandezza; ogni mazzo deve essere omogeneo. I turioni devono essere venduti confezionati in mazzi saldamente legati, con peso compreso fra 0,5 e 4 kg. I turioni che si trovano all'esterno del mazzo devono corrispondere, per aspetto e dimensioni, alla media di quelli che lo costituiscono; i turioni devono essere di lunghezza uniforme. 2. Confezionamento dei mazzi. Come da tradizione, dopo aver pareggiato il fondo, ogni mazzo deve essere legato saldamente con una "Stroppa" (giovane ramo o"succhione" di salice). Ad ogni mazzo deve essere apposto un contrassegno, fissato alla stroppa, riportante il marchio della D.O.P. "Asparago Bianco di Bassano" nonche' il numero di identificazione progressiva del mazzo che ne permette la rintracciabilita'. I mazzi devono essere disposti regolarmente nell'imballaggio. 3. Caratteristiche degli imballaggi. I mazzi possono essere riposti in contenitori di legno, plastica o altro materiale idoneo. All'esterno di ogni imballaggio devono essere apposte, con indicazione diretta o con apposita etichetta, le seguenti informazioni: ASPARAGO BIANCO DI BASSANO - D.O.P. nome del produttore; ragione sociale ed indirizzo del confezionatore; data di confezionamento; nonche' le seguenti caratteristiche commerciali: categoria di qualita' (Norme UE); calibro; numero di mazzi; peso medio dei mazzi. Il marchio del prodotto e' costituito dal logo della DOP e dal codice progressivo, identificativo del prodotto e del produttore a garanzia della tracciabilita' del prodotto. Tale marchio viene affissato con una chiusura non riutilizzabile, alla "stroppa", nella parte superiore del mazzo, a garanzia del prodotto DOP. Il logo e' costituito da un disco verde dal bordo sagomato a 24 lobi. Tale disco verde e' contornato da due profili anch'essi ondulati di colore rosso il piu' esterno e di colore bianco il piu' interno. Al centro del disco verde, occupandone i due terzi della superficie, e' posto il disegno stilizzato di un mazzo di asparagi di colore bianco profilati di verde formato da cinque asparagi in primo piano e quattro dietro a questi, attraversati per tutta la larghezza e per un terzo dell'altezza dalla sagoma inserita centralmente in colore rosso del Ponte palladiano in legno a quattro piloni di Bassano del Grappa. Sotto gli asparagi, disposta a semicerchio, leggibile da sinistra a destra e' collocata la scritta di colore bianco con il carattere France Bold ttf in maiuscolo "Asparago bianco di Bassano". I colori di riferimento sono il verde Pantone 348, il rosso Pantone 186 e il bianco. Le dimensioni del logo riportate nelle targhette identificative dei mazzi, in alluminio ossidato o serigrafato, atossico, avranno diametro di 3 centimetri. Il logo eventualmente riportato su imballaggi, confezioni, depliant, ecc. dovra' in ogni caso avere delle dimensioni significativamente superiori a qualunque altra scritta. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Vicenza |
Asparago Bianco di Cimadolmo Asparago Bianco di Cimadolmo IGP Disciplinare di produzione - Asparago Bianco di Cimadolmo IGPArticolo 1. Nome del Prodotto La denominazione Asparago Bianco di Cimadolmo e riservata ai turioni di asparago che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel Reg.CE 2081/92 e nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Le cultivar idonee alla produzione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo sono: - PRECOCE D'ARGENTEUIL - GLADIO - LARAC - DARIANA - JM2001 - JM2004. Possono essere presenti negli impianti altre cultivar fino a un massimo del 20%. Articolo 3. Delimitazione della zona geografica di produzione La zona geografica di produzione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo ricade in provincia di TREVISO e comprende l'intero territorio comunale di: BREDA DI PIAVE CIMADOLMO FONTANELLE MARENO DI PIAVE MASERADA SUL PIAVE ODERZO ORMELLE PONTE DI PIAVE SAN POLO DI PIAVE SANTA LUCIA DI PIAVE VAZZOLA che viene delimitata ed evidenziata nell'allegata carta geografica. Articolo 4. Condizioni pedoclimatiche - tecniche colturali Condizioni pedoclimatiche. Nell'ambito della zona sopra delimitata sono idonee alla coltivazione dell'Asparago Bianco di Cimadolmo i terreni, aventi le seguenti caratteristiche: terreni sabbiosi-limosi, di origine alluvionale, sciolti, soffici, con reazione da neutra a subalcalina, permeabili e accuratamente drenati. Il clima e quello temperato - umido tipico della zona di produzione, caratterizzato da primavere con elevate intensita di pioggia che favoriscono il rapido accrescimento dell'asparago, consentendo l'ottenimento di turioni bianchi, teneri e privi di fibrosita. Condizioni tecnico colturali Scelta del materiale vivaistico: - devono essere impiegate zampe o piantine esenti da malattie. Sistema di produzione ed impianto: Il periodo di trapianto per le zampe e tra marzo ed aprile. La densita d'impianto non deve superare le 16 mila piantine e/o zampe per ha, con larghezza tra le file non inferiore a due metri e mezzo. La coltura non deve succedere a se stessa o ad altre liliacee per almeno 24 mesi. Inoltre la Coltura non deve succedere alla bietola, patata, carota e leguminose. E' da eseguire un'analisi completa del terreno ove tale coltura e destinata e ripeterla almeno dopo cinque anni. Gestione del suolo e nutrizione delle piante: II terreno destinato all'impianto deve essere preparato procedendo ad una aratura leggera, preceduta o seguita da ripuntatura profonda. Per la formazione dei cumuli per la produzione di turioni bianchi non deve essere impiegato l'aratro ma un'attrezzatura idonea. E' d'obbligo la pacciamatura per la produzione di turioni bianchi. In caso di utilizzo di film plastico nero lo spessore minimo deve essere di 0,1 mm. Mediamente un quintale di asparago asporta: 2,5 kg di azoto, 0,7 kg di fosforo, 2,25 kg di potassio; tali quantitativi sono da reintegrare con la concimazione. L'azoto ed il potassio vanno distribuiti da maggio a fine luglio, il fosforo ed il boro a fine autunno - inizio inverno. . La concimazione minerale deve essere integrata con ammendanti organici. . L'asparago abbisogna di irrigazioni. In periodo siccitoso sono da apportare 50 mm . di acqua ogni 10 giorni. In relazione al livello pluviometrico, si rendono in media necessari 3-4 interventi irrigui da giugno a tutto agosto. Difesa fitosanitaria: La difesa fitosanitaria deve fondarsi sulla corretta applicazione delle tecniche agronomiche. Deve pertanto fare ricorso alle tecniche di lotta integrata indicate dai Servizi fitosanitari preposti o di lotta biologica in modo da ridurre al minimo indispensabile gli interventi di chimici. Raccolta: La raccolta inizia a partire dal terzo anno. I primi turioni si raccolgono in marzo (il venti circa) ed il periodo di raccolta si protrae per 15-20 giorni al terzo anno di impianto, per 40-60 giorni dal quarto anno in poi. Il periodo di raccolta non deve in ogni caso protrarsi oltre il 30 maggio. La produzione massima prevista e di 7000 Kg/ha. I turioni di Asparago Bianco di Cimadolmo vanno raccolti nelle ore piu fresche della giornata e con minore intensita di luce. Articolo 5. Controlli Gli impianti idonei alla produzione della IGP "Asparago Bianco di Cimadolmo" sono iscritti in un apposito elenco attivato, tenuto ed aggiornato dall'organismo di controllo di cui all'art. 10 comma 2, del regolamento CEE 2081/92. Ai fini dell'espletamento dei controlli e per garantire la rintracciabilita del prodotto, il produttore e tenuto a presentare all'organismo di controllo la denuncia di inizio raccolta, indicando l'eventuale centro di lavorazione e confezionamento, e successivamente annotare su apposito registro con cadenza settimanale i quantitativi prodotti ed eventualmente conferiti al predetto centro. Infine il produttore, entro 30 giorni dalla data indicata di fine raccolta, deve presentare al citato organismo di controllo una denuncia finale della produzione annuale. Articolo 6. Caratteristiche del prodotto I turioni dell"'Asparago Bianco di Cimadolmo" devono essere totalmente bianchi, cosi come previsto dalla normativa comunitaria sulla commercializzazione degli asparagi. Inoltre i turioni dell'"Asparago Bianco di Cimadolmo" devono essere: - interi; - di aspetto e di odore freschi; - sani; - esenti da attacco di roditori o insetti; - praticamente esenti da ammaccature; - puliti, e cioe praticamente privi di terra e di qualsiasi altra impurita; - privi di umidita estema eccessiva, cioe sufficientemente asciutti dopo l'eventuale lavaggio o refrigerazione con acqua fredda (i turioni possono essere lavati non immersi); . privi di odore o sapore estraneo. La sezione praticata alla base deve essere il piu possibile netta e perpendicolare all'asse longitudinale. Inoltre i turioni non devono essere vuoti, ne spaccati, ne pelati, ne spezzati. Sono tollerati lievi spacchi sopraggiunti dopo la raccolta purche non superino i limiti previsti dalle tolleranze. L"'Asparago Bianco di Cimadolmo", ai fini dell'immissione al consumo, e classificato nelle seguenti n. 2 categorie : - Categoria Extra; - Categoria Prima. Articolo 7. Conservazione e condizionamento 1) Conservazione: Dopo la raccolta gli asparagi devono essere avviati al centro di lavorazione entro 12 ore, consegnati in mazzi o alla rinfusa. Per la loro conservazione e indispensabile rallentare il metabolismo del prodotto, mediante un rapido raffreddamento del prodotto tramite conservazione a temperatura idonea. 2) Condizionamento. Il condizionamento deve essere tale da assicurare al prodotto una sufficiente protezione. Al condizionamento il prodotto deve essere privo di qualsiasi corpo estraneo. I turioni devono essere presentati in una delle maniere seguenti: A) in mazzi saldamente legati da 0,5 kg a 3 kg. I turioni che si trovano sulla parte estema di ciascun mazzo devono corrispondere per aspetto e dimensione alla media di quelli che lo costituiscono. I mazzi devono essere disposti regolarmente nell'imballaggio; ogni mazzo puo essere protetto da carta. In uno stesso imballaggio i mazzi devono essere dello stesso peso e della stessa lunghezza; B) In imballaggi unitari o disposti nell'imballaggio a strati ma non in mazzi. Il contenuto di ogni imballaggio o di ogni mazzo in uno stesso imballaggio deve essere omogeneo e deve contenere solo turioni della stessa categoria di qualita e dello stesso calibro. Articolo 8. Etichettatura L'etichetta deve essere posta a fascia nella zona centrale del mazzo o al di sopra della confezione (per il prodotto presentato in imballaggi unitari). In etichetta la designazione della I.G.P. deve essere indicata attraverso le diciture: "Asparago Bianco di Cimadolmo" e "Indicazione Geografica Protetta", in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e colorimetria. Sull'etichetta deve essere apposto il sigillo di garanzia contenente il logo, ovvero il simbolo distintivo dell'Indicazione Geografica Protetta, la cui descrizione, raffigurazione e indici colorimetrici sono riportati in allegato al presente disciplinare. E' fatto divieto di usare, nella designazione e presentazione della indicazione geografica protetta di cui all'art. 1 qualsiasi altra indicazione ed aggettivazione aggiuntiva, diverse da quelle previste dal presente disciplinare. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso |
Asparago di Badoere Asparago di Badoere IGP Disciplinare di produzione - Asparago di Badoere IGPArticolo 1. Denominazione La denominazione "Asparago di Badoere" I.G.P. - nelle tipologie Bianco e Verde - è riservata ai turioni di asparago che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione ai sensi del Reg. CEE 2081/92. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L' "Asparago di Badoere" deve essere costituito da turioni generati da piante della famiglia delle Liliacee - genere Asparagus - specie officinalis - varietà "Dariana", "Thielim", "Zeno", “Avalim”,“Grolim” per la tipologia “bianca”, varietà “Eros”, “Thielim”, “Grolim”, “Dariana”, “Avalim” per la tipologia “verde”. All'atto dell'immissione al consumo l' "Asparago di Badoere " I.G.P. . per entrambe le tipologie deve essere: - Intero; - Sano; - Privo di danni provocati da un lavaggio inadeguato; - Pulito; - Di aspetto e di colore fresco; - Privo di parassiti; - Privo di danni provocati da parassiti; - Privo di ammaccature; - Privo di umidità esterna anormale; - Privo di odore e/o sapore estranei; - Croccante; - Non vuoto; - Non pelato. Il taglio alla base dovrà essere netto e perpendicolare all'asse longitudinale, ed in particolare: "Asparago di Badoere" I.G.P. - Bianco Categoria Extra: Conformazione:turione diritto; apice molto serrato; Colore: bianco, con possibili sfumature rosate acquisite dopo la fase di confezionamento; Sapore: dolce, non acido, non salato, tenero, privo di fibrosità, aroma lieve di legumi freschi e spiga di grano matura, con venature di amaro appena percepibili; Calibro: da 12 a 20 mm; con differenza massima di 6 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo o imballaggio; Lunghezza: Compresa tra i 14 e i 22 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. Categoria Prima: Conformazione: turione diritto; apice serrato; Colore: bianco, con possibili sfumature rosate acquisite dopo la fase di confezionamento; Sapore: dolce, non acido, non salato, tenero, privo di fibrosità, aroma lieve di legumi freschi e spiga di grano matura, con venature di amaro appena percepibili; Calibro: da 10 a 22 mm; con differenza massima di 8 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. Lunghezza: compresa tra i 14 e i 22 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo o imballaggio. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Verde Categoria Extra: Conformazione:turione diritto, con possibile leggera deviazione della punta, apice molto serrato; Colore: parte apicale - verde intenso e brillante, con possibili sfumature violacee; parte basale (non superiore al 5% del turione) – verde con variazioni violacee fino al bianco; Sapore: dolce e marcato, non acido, non salato, non amaro, tenero, privo di fibrosità, aroma fruttato ed erbaceo persistente; Calibro: da 12 a 20 mm; con differenza massima di 6 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo; Lunghezza: Compresa tra i 18 e i 27 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo. Categoria Prima: Conformazione:turione diritto, con possibile leggera deviazione della punta, apice serrato; Colore: parte apicale - verde intenso e brillante, con possibili sfumature violacee; parte basale (non superiore al 5% del turione) - verde con variazioni violacee fino al bianco; Sapore: dolce e marcato, non acido, non salato, non amaro, tenero, privo di fibrosità, aroma fruttato ed erbaceo persistente; Calibro da 8 a 22 mm; con differenza massima di 8 mm tra il turione più grosso e il turione meno grosso all'interno dello stesso mazzo; Lunghezza: Compresa tra i 16 e i 27 cm; con differenza massima di 1 cm tra il turione più corto e quello più lungo all'interno dello stesso mazzo. In relazione alle caratteristiche delle categorie sopra descritte, devono ritenersi ammesse tolleranze per un massimo del 3% per ogni tipologia. Articolo 3. Zona di produzione e confezionamento La zona di produzione e confezionamento dell’ "Asparago di Badoere" I.G.P. comprende nell'ambito delle province di Padova, Treviso e Venezia, l'intero territorio dei seguenti comuni: Provincia di Padova: Piombino Dese; Trebaseleghe; Provincia di Treviso: Casale sul Sile; Casier; Istrana; Mogliano Veneto; Morgano; Paese; Preganziol; Quinto di Treviso; Resana; Treviso; Vedelago; Zero Branco; Provincia di Venezia: Scorzè. All’interno di detta area geografica la produzione dell’”Asparago di Badoere” I.g.p. può avvenire esclusivamente nei terreni che soddisfano le condizioni di cui all’art. 6. Articolo 4. Elementi comprovanti l'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione, dei produttori, dei confezionatori nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta La coltivazione dell' " Asparago di Badoere" potrà avvenire in serra o in pieno campo. La messa a dimora delle "zampe" deve essere effettuata nel periodo compreso tra il primo febbraio e il 30 giugno, con una densità massima d'impianto di 22.000 piantine-zampe/ettaro. In ogni caso la coltura non potrà succedere a se stessa o ad altre liliacee per un minimo di 36 mesi; è fatto, inoltre, divieto di far succedere, per un minimo di 12 mesi, la coltura dell'asparago a patate, carote, barbabietole e leguminose. Annualmente potranno essere effettuati interventi di concimazione sia organica che chimica. Tali interventi dovranno prevedere non meno di una concimazione organica. Le concimazioni chimiche comunque non potranno superare le seguenti unità: - azoto (N) 150 kg/ha; - fosforo (P205) 100 kg/ha; - potassio (K20) 200 kg/ha. L'impianto inoltre, dovrà essere mantenuto in perfetta efficienza mediante una regolare attività di controllo delle infestanti che potrà avvenire sia con mezzi meccanici che con interventi chimici. A partire dalla data di impianto e per almeno 18 mesi, cioè nella cosiddetta fase di rafforzamento, al fine di garantire il sano accrescimento delle piante, è vietata la raccolta di qualsivoglia turione. Per la tipologia Bianco è obbligatorio effettuare una baulatura ed una pacciamatura delle piante, mediante l'utilizzo di un film plastico nero dello spessore minimo di 0,10 mm o di altro materiale idoneo ad inibire il normale processo di fotosintesi. La raccolta dell'" Asparago di Badoere" dovrà avvenire - conclusa la fase di rafforzamento - tra il primo febbraio e il 31 maggio di ogni anno. La quantità massima/ettaro dopo la toilettatura non potrà superare i 7.000 kg. Articolo 6. Aspetti pedoclimatici comprovanti il legame con l'ambiente geografico La zona di produzione dell'" Asparago di Badoere" è caratterizzata da una temperatura media ponderata di ca. 15° C, con escursioni che possono superare, nell'arco dell'anno, i 30° C. Le precipitazioni medie annue si collocano attorno ai 900 mm. I giorni maggiormente piovosi si concentrano - normalmente - nel periodo primaverile ed autunnale. Queste condizioni escludono la necessità di interventi irrigui nel periodo di raccolta dei turioni, evitando ogni sorta di stress idrico alle piante che garantiscono, in questo modo, agli asparagi di Badoere una qualità ottima. Il territorio, inoltre, è caratterizzato dalla presenza di fiumi di risorgiva, a lento decorso, quali i fiumi: Sile, Zero, Dese e degli affluenti degli stessi, capaci di rendere i terreni fertili e produttivi. Questo garantisce un'ottima vigoria delle piante senza la necessità di intervenire con concimazioni oltre a quelle definite all’art. 5; la bassa concentrazione di azoto, inoltre, consente l'ottenimento di turioni integri privi di evidenti spaccature o fessurazioni. La zona di produzione è caratterizzata da terreni sciolti. La coltivazione dell’"Asparago di Badoere" è possibile solo in terreni: Profondi, a tessitura da moderatamente grossolana a media, scarsamente calcarei in superficie, a reazione da subalcalina a neutra e drenaggio da buono a medio, con possibile accumulo di carbonato di calcio in profondità (caranto). Terreni così caratterizzati garantiscono agli asparagi di Badoere un rapido sviluppo assicurando cosi turioni che dal punto di vista fisico, presentano scarsa fibrosità e un colore particolarmente brillante; e dal punto di vista organolettico acquisiscono le caratteristiche distintive descritte all’art. 2. La compresenza di tali condizioni costituiscono un elemento imprescindibile a garanzia della qualità dell'" Asparago di Badoere" poichè concorre a definire gli aspetti fisici e organolettici tipici del prodotto. Nel Veneto la coltura dell'asparago ha una lunga tradizione, l'origine sembra risalire alla conquista da parte dei Romani delle terre venete. Fin dal medioevo questa coltivazione era conosciuta ed affermata nel territorio che si estende a sud delle Prealpi venete in una fascia pianeggiante che collega idealmente il medio corso del Brenta, del Sile e del Piave, aree connotate da terreni accomunati dalla presenza di quei fiumi la cui rilevanza in termini agronomici non necessita certamente di spiegazioni. La coltivazione specializzata della pianta, comunque, è però piuttosto recente, essendosi sviluppata dopo l'ultimo conflitto mondiale in concomitanza con la trasformazione delle mezzadrie e con l'abbandono degli allevamenti del baco da seta che ha reso disponibile, nella stagione primaverile (periodo nel quale, precedentemente, l'allevamento del baco richiedeva un impegno notevole), una manodopera che diversamente non avrebbe trovato impiego. Dal punto di vista documentale sono innumerevoli le fonti che annoverano l'"Asparago di Badoere" come una delle produzioni locali più pregiate del Veneto. Vale la pena altresì ricordare, inoltre, che l'importanza di Badoere nella produzione degli asparagi, a livello provinciale, spinse l'amministrazione comunale di Morgano, ad organizzare fin dal 1968 la "Prima Mostra Provinciale dell'Asparago", tradizione che si tramanda ancor oggi. Un'attività che è fortemente radicata nella cultura degli abitanti del territorio interessato a questa produzione dove le tecniche di coltivazione sono state tramandate di generazione in generazione. La particolare combinazione dei fattori produttivi, quali la manualità e l'artigianalità unitamente ai fattori pedoclimatici dell'area delimitata consente a questo tipo di produzione di differenziarsi con decisione da tutto il comparto di riferimento. La grande diffusione e notorietà del prodotto, raggiunte grazie alla realizzazione di diverse iniziative promozionali, dimostrano la grande reputazione dell'''Asparago di Badoere". Articolo 7. Struttura di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del Reg. CEE 2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura AI fine di consentirne la commercializzazione, gli asparagi che si fregiano della denominazione"Asparago di Badoere" I.G.P. devono essere confezionati, nella zona di produzione indicata all'articolo 3 del presente disciplinare, nel rispetto delle seguenti disposizioni: A. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Bianco - In mazzi saldamente legati con rafia per un peso compreso tra i 0,7 e 1,2 kg; - In confezioni idonee ad uso alimentare per un peso non superiore a 2,0 kg. b. "Asparago di Badoere" I.G.P. - Verde - In mazzi legati con rafia o elastico per un peso compreso tra i 0,5 e 1,2 kg; - In confezioni idonee ad uso alimentare per un peso non superiore a 2,0 kg. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo ed includere soltanto asparagi dello stesso tipo, categoria e calibro. La parte visibile dell'imballaggio deve essere rappresentativa dell'insieme. Il condizionamento deve essere tale da assicurare al prodotto una sufficiente protezione. I mazzi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Sui mazzi e sulle confezioni deve essere apposta un'etichetta indicante: - in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture "Asparago di Badoere" I.G.P. con specifico riferimento alla tipologia - verde o bianco - confezionata; - gli elementi atti ad individuare: · nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del confezionatore; · la categoria commerciale Extra o Prima secondo quanto disciplinato dall'art. 2 del presente disciplinare; · calibro; · nonché quanto previsto dalla normativa vigente; Tale etichetta potrà riportare altresì altre indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. Su ciascun mazzo o confezione, inoltre, dovrà essere apposto il sigillo di garanzia in maniera tale che l'apertura del mazzo o della confezione comporti la rottura dello stesso sigillo, contenente il logo della I.G.P. "Asparago di Badoere" e ogni altra indicazione prevista dalla normativa vigente. II logo identificativo della I.G.P. "Asparago di Badoere" è costituito da un quadrato con angoli arrotondati, con all’interno una rappresentazione grafica suddivisa in due piani. In primo piano è presente il prodotto con la stilizzazione grafica di 5 asparagi raggruppati a forma di mazzo, in secondo piano un disegno grafico rappresenta un particolare della costruzione architettonica della barchessa presente nella piazza del paese, una quinta sagomata ad onda suddivide i due piani e nella sua parte inferiore destra appare la dicitura "Asparago di Badoere" in due righe. Il logo è realizzato con l'utilizzo, nei vari campi, di n° 04 colori presenti nella scala cromatica Pantone: P293CV, P410CV, P471CV, P155CV. Bordo che racchiude tutto il logo 100% P293CV Tratto che disegna gli asparagi 100% P410CV Tratto che raggruppa i 5 asparagi a forma di mazzo 80% P471CV Area a forma di onda che suddivide i due piani grafici 100% P293CV Bordo che delimita la parte superiore della sagoma onda 70% P293CV Facciata esterna della barchessa 100% P155CV Traccia tetto barchessa 80% P471CV Profilo cornice su tetto barchessa 100% P410CV Profilo cornice tra fori finestre e colonne su facciata barchessa 100% P410CV Consorzio dell’Asparago di Badoere Tracce delimitanti le colonne 100% P410CV Parte in luce basamento colonne 40% P410CV Parte in ombra basamento colonne 60% P410CV Capitello colonne 60% P410CV Parte superiore al capitello colonne, parte in ombra 80% P471CV Parte superiore al capitello colonne, parte in luce 60% P471CV Filetti su parte superiore capitello colonne e capitello arco 100% P471CV Zona in ombra parte superiore sagoma arco portico 100% P410CV Zona in ombra parte inferiore sagoma arco portico 80% P410CV Sagome finestre/porte e pavimento interno portico 100% P410CV Parete verticale interno portico 60% P410CV Area cielo 20% P293CV Scritta "Asparago di Badoere" 100% Bianco | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Padova, Treviso, Venezia |
Asparago di Cantello Asparago di Cantello IGP Disciplinare di produzione - Asparago di Cantello IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Lombardia | Varese |
Asparago verde di Altedo Asparago Verde di Altedo IGP Asparago Verde di Altedo IGP
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Bologna, Ferrara |
Basilico Genovese Basilico Genovese DOP Disciplinare di produzione -Basilico Genovese DOPArticolo 1. La denominazione di origine protetta “Basilico Genovese”, di seguito indicata con la sigla DOP, è riservata, nel settore orticolo, a basilico (Ocimum Basilicum L.) di tipologia genovese che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Sementi e caratteristica della pianta Le sementi impiegabili per la produzione del “Basilico genovese” D.O.P. devono appartenere alla specie Ocimum Basilicum L., di ecotipi o selezioni autoctone, ed avere le caratteristiche di seguito elencate: - pianta con altezza da media a molto alta e portamento espanso o cilindrico; - densità del fogliame classificabile nelle classi di espressione intermedie (medio-bassa, media, medio-alta) e non nelle classi estreme (bassa o alta); - forma della foglia ellittica; - bollosità del lembo e incisioni del margine assenti/molto deboli o deboli; - piano della lamina fogliare piatto o convesso; - assenza totale di aroma di menta; - aroma intenso e caratteristico. Articolo 3. Zone ed epoca di produzione La zona di produzione del “BASILICO GENOVESE” D.O.P. è delimitata al solo versante tirrenico del territorio amministrativo della Regione Liguria con delimitazione individuabile nello spartiacque. Nella stessa zona deve avvenire il condizionamento, garantendo in tal modo la rintracciabilità e il controllo della denominazione e preservando le caratteristiche qualitative del prodotto, facilmente deteriorabile. Le produzioni sono realizzabili durante tutto l’arco dell’anno. Articolo 4. Legame storico della coltura con l’area geografica Il basilico è stato introdotto in diverse aree del Mediterraneo e nella stessa Liguria dai Romani che ad esso attribuivano proprietà curative. Il basilico divenne coltura tradizionale ed il suo uso venne esteso anche a quello culinario. Il nucleo originario di produzione era circoscritto all’areale genovese. Consolidandosi le condizioni favorevoli di mercato per il largo consumo di basilico per la preparazione di numerose ricette e del celeberrimo pesto genovese, la zona di produzione si è allargata investendo anche tutta la fascia marittima del territorio ligure. Articolo 5. Elenco dei produttori e denunce di coltivazione I produttori in regola con i requisiti del presente disciplinare, che vogliono fregiarsi della DOP “Basilico Genovese” dovranno iscriversi all’Elenco dei Produttori gestito dallo specifico organismo di controllo e denunciare annualmente al gestore del medesimo comunque almeno 30 giorni prima della semina: - le superfici da investire distinte in piena aria, coltura protetta - la varietà di semente utilizzata, tipologia produttiva (consumo fresco/per la trasformazione) - dimensioni massime del mazzetto o del bouquet che si intende adottare all’interno di quanto stabilito nel presente disciplinare. Entro il 31 gennaio dell’anno successivo alla denuncia di coltivazione il produttore si impegna a trasmettere i quantitativi effettivamente prodotti e commercializzati. E’ fatto divieto ai produttori di superare i quantitativi stabiliti nel presente disciplinare. Terreno e ambienti di coltivazione La coltivazione del “BASILICO GENOVESE” DOP può essere effettuata nei seguenti ambienti di coltivazione: in ambiente protetto e in pieno campo. In ambiente protetto la coltivazione può essere svolta tutto l’anno purché venga assicurata una ventilazione continua 24 ore/giorno, rinnovando l’intero volume di aria contenuta nella serra almeno 2 volte/ora dal tramonto al sorgere del sole e almeno 20 volte/ora dal sorgere del sole al tramonto. Tale ricambio di aria deve essere garantito dall’opportuna gestione delle aperture di ventilazione e, nel periodo invernale, eventualmente anche con il contributo dell’impianto di riscaldamento di soccorso. Sono esplicitamente escluse dal presente disciplinare serre insect-proof, o serre che non garantiscano gli scambi di aria sopra indicati come minimi. La coltivazione del “BASILICO GENOVESE” DOP in ambiente protetto può essere eseguita sia su bancale, sia in piena terra. E’ vietata la produzione di “BASILICO GENOVESE” DOP su substrati privi di terreno naturale. Nel caso della coltivazione su bancale, il terreno di coltivazione deve essere quello naturale prelevato, nella stessa area in cui insiste l’azienda. In particolare, al fine di restituire al terreno naturale trasportato su bancale le caratteristiche fisiche proprie, è ammesso miscelare ammendamenti minerali in percentuale non superiore al 20% in volume. E’ vietato l’uso del bromuro di metile per la disinfezione del terre. Denuncia di produzione Le produzioni consentite nell’arco dell’intero anno sono: 1) CONSUMO FRESCO: in coltura protetta: 7000 piantine /mq./anno confezionabili in mazzetti da 3 a 10 piantine oppure in bouquet da30 a 100 piantine. in piena aria: 2000 piantine /mq./anno confezionabili in mazzetti da 3 a 10 piantine oppure in bouquet da 30 a 100 piantine. 2) PER LA TRASFORMAZIONE: in coltura protetta: 10 Kg./mq/anno; in piena aria: 8 Kg/mq/anno. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame dell’ambiente. È noto a tutti che il basilico coltivato versante tirrenico della Liguria è caratterizzato da profumo e gusto del tutto particolari molto apprezzati dal mercato. Inoltre è esente dal gusto di menta che rappresenta una tara per l’uso in cucina di questa pianta. La rispondenza ai requisiti previsti dal presente disciplinare, nonché la provenienza del prodotto saranno verificati dall’organismo di controllo di cui al successivo art. 7. Il predetto organismo gestirà un apposito elenco di produttori di “BASILICO GENOVESE” DOP. Articolo 7. Organismo di controllo Il controllo sarà effettuato da un Organismo conforme alle previsioni dell’art. 10 Regolamento (CEE) n. 2081/92. Ai fini del presente disciplinare saranno controllate le produzioni massime di mazzetti e/o bouquet conseguiti a metro quadro. Articolo 8. Confezionamento 1) basilico da commercializzare fresco: La pianta intera è confezionata a mazzi con almeno due coppie di foglie vere (in particolare una coppia di foglie vere completamente distesa e la seconda in fase di formazione) e, al massimo, con quattro coppie di foglie vere. Sono identificabili due tipologie di mazzi: il mazzo piccolo o “mazzetto” e il mazzo grande o“bouquet”. Il mazzetto è composto da 3 a 10 piante intere complete di radici, è confezionato con carta per alimenti contrassegnata dal marchio D.O.P. ed è legato singolarmente. Mazzi di maggiori dimensioni rientrano nella tipologia del “bouquet”; un bouquet è costituito dall’equivalente numero di piante contenute in 10 mazzetti e vengono confezionati in modo analogo. Non è vincolante il peso del prodotto bensì il numero delle piante. Nella preparazione dei mazzi è consentita l’utilizzazione di materiale inerte da porre a contatto con le radici al solo fine di evitare una precoce disidratazione delle piantine in esso contenute. Gli imballaggi per contenere i singoli mazzi o gli eventuali sacchetti devono essere in materiale conforme alle normative vigenti e devono essere contrassegnati con il logo della DOP e con il marchio aziendale completo. L’identificazione aziendale dovrà avere dimensioni e posizionamento che la rendano sufficientemente evidente in rapporto al logo e alla dicitura della DOP. 2) Basilico per la trasformazione Per la trasformazione artigianale e/o industriale è necessario impiegare porzioni di piante integre con massimo quattro coppie di foglie vere. Il basilico dovrà essere avviato alla trasformazione unitamente alla documentazione fiscale relativa, che dovrà riportare la definizione DOP. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Liguria | La Spezia, Genova, Imperia, Savona |
Brovada Brovada DOPBrovada DOP Disciplinare di produzione - Brovada DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta “Brovada” è riservata al prodotto, ottenuto attraverso la macerazione, la fermentazione e il fettucciamento dell’ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ) “rapa da brovada” che rispetta le condizioni e le caratteristiche stabilite nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto La DOP “Brovada” identifica un prodotto ottenuto dalla trasformazione dell’ ecotipo locale “rapa da brovada” che deve presentare alla maturazione in campo le seguenti caratteristiche: radice a forma cilindrica o tronco conica che facilita il lavoro di fettucciamento; lunghezza minima 12 cm; polpa soda e succosa di colore bianco; epidermide con una colorazione rosso-violacea a partire dal colletto e fino a 2/3 della lunghezza complessiva, la parte restante bianca; radice interrata almeno per 1/3 della sua lunghezza totale. Il prodotto viene immesso al consumo grattugiato a fettucce con le seguenti caratteristiche: consistenza croccante ed elastica, mai dura; colore bianco crema, tendente al rosa o al rosato o al rosso in una scala di colori legata alle caratteristiche della vinaccia utilizzata; dimensione delle fettucce compresa tra i 3 e 7 mm; pH compreso tra 3,4 e 3,8; acidità volatile non superiore a 5,5 mg/g espressa come acido acetico; sapore acido senza sentori di vegetale fresco; aroma pungente di vinaccia. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento della “Brovada” DOP è compresa all’interno delle Province di Gorizia, Pordenone e Udine, nel territorio censuario ed amministrativo dei seguenti comuni, limitatamente ai territori presenti sotto i 1.200 metri slm: Provincia di Gorizia: Capriva del Friuli, Cormons, Dolegna del Collio, Doberdò del Lago, Farra d’Isonzo, Fogliano Redipuglia, Gorizia, Gradisca d’Isonzo, Grado, Mariano del Friuli, Medea, Monfalcone, Moraro, Mossa, Romans d’Isonzo, Ronchi dei Legionari, Sagrado, San Canzian d’Isonzo, San Floriano del Collio, San Lorenzo Isontino, San Pier d’Isonzo, Savogna d’Isonzo, Staranzano, Turriaco, Villesse. Provincia di Pordenone: Andreis, Arba, Arzene, Aviano, Azzano Decimo, Barcis, Brugnera, Budoia, Caneva, Castelnovo del Friuli, Casarsa della Delizia, Cavasso Nuovo, Chions, Cimolais, Claut, Clauzetto, Cordenons, Cordovado, Erto e Casso, Fanna, Fiume Veneto, Fontanafredda, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Morsano al Tagliamento, Pasiano, Pinzano al Tagliamento, Polcenigo, Porcia, Pordenone, Prata di Pordenone, Pravisdomini, Roveredo in Piano, Sacile, San Giorgio della Richinvelda, San Martino al Tagliamento, San Quirino, San Vito al Tagliamento, Sequals, Sesto al Reghena, Spilimbergo, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto, Travesio, Vajont, Valvasone, Vito d’Asio, Vivaro, Zoppola. Provincia di Udine: Aiello del Friuli, Amaro, Ampezzo, Aquileia, Arta Terme, Artegna, Attimis, Bagnaria Arsa, Basiliano, Bertiolo, Bicinicco, Bordano, Buja, Buttrio, Camino al Tagliamento, Campoformido, Campolongo al Torre, Carlino, Cassacco, Castions di Strada, Cavazzo Carnico, Cercivento, Cervignano del Friuli, Chiopris-Viscone, Chiusaforte, Cividale del Friuli, Codroipo, Colloredo di Monte Albano, Comeglians, Corno di Rosazzo, Coseano, Dignano, Dogna, Drenchia, Enemonzo, Faedis, Fagagna, Fiumicello, Flaibano, Forgaria nel Friuli, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Gemona del Friuli, Gonars, Grimacco, Latisana, Lauco, Lestizza, Lignano Sabbiadoro, Ligosullo, Lusevera, Magnano in Riviera, Majano, Malborghetto-Valbruna, Manzano, Marano Lagunare, Martignacco, Mereto di Tomba, Moggio Udinese, Moimacco, Montenars, Mortegliano, Moruzzo, Muzzana del Turgnano, Nimis, Osoppo, Ovaro, Pagnacco, Palazzolo dello Stella, Palmanova, Paluzza, Pasian di Prato, Paularo, Pavia di Udine, Pocenia, Pontebba, Porpetto, Povoletto, Pozzuolo del Friuli, Pradamano, Prato Carnico, Precenicco, Premariacco, Preone, Prepotto, Pulfero, Ragogna, Ravascletto, Raveo, Reana del Rojale, Remanzacco, Resia, Resiutta, Rigolato, Rive d’Arcano, Rivignano, Ronchis, Ruda, San Daniele del Friuli, San Giorgio di Nogaro, San Giovanni al Natisone, San Leonardo, San Pietro al Natisone, San Vito al Torre, San Vito di Fagagna, Santa Maria la Longa, Savogna, Sedegliano, Socchieve, Stregna, Sutrio, Taipana, Talmassons, Tapogliano, Tarcento, Tarvisio, Tavagnacco, Teor, Terzo d’Aquileia, Tolmezzo, Torreano, Torviscosa, Trasaghis, Treppo Carnico, Treppo Grande, Tricesimo, Trivignano Udinese, Udine, Varmo, Venzone, Verzegnis, Villa Santina, Villa Vicentina, Visco, Zuglio. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei rispettivi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Coltivazione delle rape L’ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ), “rapa da brovada” è iscritto al Registro regionale per la “tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale” della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia alla sezione vegetali. La produzione del seme, operata attraverso la selezione fenotipica (ossia ottenimento del seme dalle piante migliori), avviene presso le aziende ricadenti nell’areale di produzione. E’ ammessa la riproduzione, selezione e coltivazione delle sementi ottenute esclusivamente per autoproduzione o approvvigionamento da un soggetto riconosciuto e inserito nel sistema di controllo di cui al successivo art. 7. Preparazione del terreno Precessione colturale: la rapa viene coltivata in successione ai cereali autunno vernini (orzo e frumento) o all’erba medica o su terreno libero dalla precedente annata agraria. La coltivazione della rapa non può succedere a se stessa o alle altre specie della famiglia delle Cruciferae. Semina. La semina avviene in modo scalare esclusivamente dal 15 giugno al 30 di agosto, utilizzando delle seminatrici a file da ortaggi; la semina può avvenire anche manualmente tramite la distribuzione del seme a spaglio. La semina deve avere una densità massima di 180.000 piante ettaro. Concimazione Devono essere sempre rispettati i seguenti massimali di concimazione chimica per ettaro di coltura nel caso dell’azoto da 0 a 60 unità/anno, per il fosforo da 0 a 90 unità/anno per il potassio da 0 a 120 unità/anno. Raccolta delle rape La raccolta delle rape deve iniziare a partire dal 1° settembre e quando le foglie basali della rapa ingialliscono e appassiscono e deve concludersi entro il 31 dicembre. La produzione massima dell’ecotipo rapa da brovada non deve superare le 45 tonnellate ettaro. Le rape dopo la raccolta possono: - essere immediatamente scollettate in campo sia manualmente utilizzando un coltello oppure tramite l’impiego di mezzi meccanici per la raccolta in campo dei tuberi; - non essere scollettate. In questo caso devono essere ridotte le foglie e accorciate a “ciuffo” senza intaccare la polpa. Conservazione delle rape Le rape scollettate devono essere: - avviate entro 24 ore dalla loro raccolta alle successive fasi di lavaggio e di immissione nei tini/contenitori per la fase di macerazione – fermentazione; - conservate senza essere lavate per un periodo massimo dal giorno della raccolta: di 10 giorni se questa avviene durante il mese di settembre; di 20 giorni se questa avviene durante il periodo compreso tra il 1° di ottobre al 31 dicembre (data ultima di conservazione delle rape scollettate 20 gennaio). Le rape non scollettate possono essere conservate per un periodo massimo di 40 giorni dalla raccolta. Le rape che vengono conservate devono essere stoccate in locali che assicurino una temperatura compresa tra gli 0 e i 25°C e un buon arieggiamento naturale e/o forzato. Le rape devono essere riposte in cassoni di legno e/o plastica oppure in sacchi di rete per tuberi e radici. Solo le rape non scollettate possono essere stoccate alla rinfusa con un altezza del cumulo mai superiore agli 80 cm. E’ ammessa la conservazione delle rape scollettate e non scollettate in cella frigorifera a temperature comprese tra 0 e 4°C e una umidità relativa compresa tra 80 e 95%, per un periodo massimo di 4 mesi dal giorno della raccolta. Lavaggio delle rape Le rape sono lavate sia manualmente che con attrezzature meccaniche; devono sempre essere immesse nei tini/contenitori entro le 72 ore successive al momento del loro lavaggio. Le rape non utilizzate immediatamente dopo il lavaggio, devono essere lasciate asciugare in locali condotti a una temperatura compresa tra i 0 e i 25°C, sempre nel rispetto dei tempi sopra indicati. Tecnica e metodo per l’ottenimento della brovada Materie prime per la formazione della massa fermentante: Rapa da brovada, ecotipo locale di rapa bianca dal colletto viola (Brassica rapa L. var. rapa Hart ), di cui all’art. 2; Vinaccia con le seguenti caratteristiche: - proveniente esclusivamente dalla vinificazione di uve appartenenti ai vitigni a bacca rossa dell’area delimitata all’art. 3; - priva di muffe e marciumi evidenti; - asciutta e facile da sminuzzare; Acqua. Ingredienti facoltativi: Uva pigiata: proveniente da vitigni a bacca rossa coltivati nell’area delimitata all’art. 3 da mescolare esclusivamente alla vinaccia. Vino rosso: ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area delimitata all’art. 3. Aceto di vino rosso Sale marino grosso Non è ammesso l’uso di conservanti e coloranti. Conservazione della vinaccia L’ingrediente vinaccia se non viene utilizzato entro 30 giorni dal momento della sua pigiatura deve essere conservato per un periodo massimo di 13 mesi e, in questo caso, non deve essere mai stata utilizzata. La conservazione deve avvenire in locali che garantiscano temperature comprese tra gli 0 e i 30°C. I due metodi di conservazione della vinaccia ammessi sono: - mantenimento al riparo dalla luce in contenitori di plastica per alimenti e/o vetroresina e/o acciaio, il prodotto a tal fine deve essere pressato e il contenitore sigillato per evitare ogni contatto con l’aria. - mescolamento con del vino ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione in una proporzione massima del 50% in volume, in contenitori di plastica per alimenti e/o vetroresina e/o acciaio che vengono lasciati aperti. Preparazione e riutilizzo della vinaccia acidificata E’ ammessa la “acetificazione” della vinaccia prima che la stessa venga utilizzata per la stratificazione. Tale processo consiste nella macerazione della vinaccia da sola o addizionata agli ulteriori ingredienti nelle seguenti proporzioni: - per 100 Kg di vinaccia, acqua da 0 a 15 litri; - per 100 Kg di vinaccia, vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, da 10 a 20 litri; - per 100 Kg di vinaccia, uva a bacca rossa pigiata, ottenuta da vitigni coltivati nell’ area di produzione di cui all’ art. 3, da 30 a 50 Kg; - per 100 Kg di vinaccia, vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’ area di produzione di cui all’ art. 3, da 10 a 20 litri e uva a bacca rossa pigiata, ottenuta da vitigni coltivati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, da 30 a 50 Kg in proporzioni variabili tra loro. La macerazione deve avvenire in condizioni aerobiche per un periodo compreso tra i due e i trenta giorni; deve essere sempre garantita l’assenza dell’odore di muffa. E’ ammesso il riutilizzo della vinaccia acidificata usata durante un processo fermentativo per la preparazione di nuovi tini durante la stessa annualità produttiva. Se riutilizzata, deve essere eliminato sempre e completamente lo strato superficiale chiamato“cappello”. Preparazione della massa fermentante I contenitori in cui viene eseguito l’intero processo di fermentazione devono essere in legno, vetroresina, acciaio inox o plastica per alimenti. Le rape vengono quindi disposte nei tini/contenitori a strati con la vinaccia in modo alternato. Nella creazione degli strati deve sempre essere utilizzata una quantità di vinaccia pari ad un minimo del 25% del peso delle rape immesse e massimo del 100% del peso delle rape immesse. L’ultimo strato deve essere sempre costituito da vinaccia che assicuri la completa immersione dello strato più superficiale di rape per evitare ossidazioni e processi degenerativi. E’ ammesso distribuire il sale marino grosso a spaglio sopra ogni strato di vinaccia o al completamento della stratificazione alternata. La quantità di sale eventualmente aspersa non deve superare lo 0,5% della quantità in peso di rape immesse nel tino/contenitore. Dopo la preparazione della massa fermentante ogni tino viene coperto con tavole di legno non trattato. Caratteristiche del liquido di fermentazione A completamento della stratificazione si procede all’aggiunta di sola acqua oppure di acqua con l’aggiunta dei seguenti ingredienti: - aceto di vino rosso tra lo 0 e il 10% del totale del liquido utilizzato, - vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’ area di produzione di cui all’art. 3, tra lo 0 e il 10 % del totale del liquido utilizzato, - aceto di vino rosso e vino, in proporzioni diverse tra loro, per una quantità totale compresa tra lo 0 e il 10%. L’acqua o la soluzione acquosa deve essere versata fino a riempire completamente il contenitore. Il processo di riempimento deve essere completato entro il giorno successivo. Sono ammessi nei primi quattro giorni dall’inizio del processo di macerazione/fermentazione rabbocchi con l’acqua o con la stessa soluzione acquosa precedentemente utilizzata. Una volta estratte le rape è ammessa la riutilizzazione del liquido di fermentazione per la preparazione di nuovi tini. Il liquido deve avere il caratteristico odore acido e non deve essere oleoso. Caratteristiche e durata del processo fermentativo I locali dove vengono posti i tini/contenitori per la fermentazione devono avere una temperatura ambientale compresa tra gli 8 e i 25°C. La temperatura della massa fermentante a partire dal quarto giorno dalla copertura del tino/contenitore, deve essere monitorata al fine di assicurare una temperatura compresa tra i 10 e i 22°C. La durata del processo non deve essere mai inferiore: - ai 25 giorni per il prodotto avviato alla produzione durante il mese di settembre; - ai 30 giorni per il prodotto avviato alla produzione durante i mesi da ottobre a marzo. La conformità del processo fermentativo della massa è da considerare concluso quando la rapa tagliata a metà presenta: - la parte interna con la caratteristica colorazione bianco crema, tendente al rosa o al rosato o al rosso in una scala di colori legata alle caratteristiche della vinaccia utilizzata proveniente esclusivamente dalla vinificazione di uve dell’area di produzione di cui all’ art. 3 appartenenti a vitigni a bacca rossa; - un aroma di vinaccia; - non deve avere odore o sapore di rapa fresca; - elasticità, ovvero un pronto ripristino della superficie sottoposta a pressione manuale. Preparazione del prodotto per l’immissione al consumo Dopo la fase fermentativa, una volta estratte dai tini le rape vengono ripulite dalla vinaccia e lavate esclusivamente con acqua. Il prodotto che non viene lavato subito deve essere conservato esclusivamente nel liquido di fermentazione filtrato dalla vinaccia, per un massimo di 48 ore. Si procede alla selezione e pelatura delle rape. Deve essere eliminato il prodotto che presenta i seguenti difetti: ammaccature e muffe profonde, non eliminabili con il taglio e la pulizia; parti annerite e fibrose, eccessiva mollezza al tatto. Le rape idonee vengono fettucciate con la grattugia con fori di dimensioni non inferiore ai 3 mm e non superiore ai 7 mm al fine di ottenere il così detto “taglio a fiammifero”. Tutte queste operazioni possono essere eseguite sia manualmente che meccanicamente. Il prodotto fettucciato, che non viene immediatamente messo nei contenitori destinati all’immissione al consumo (nelle tipologie previste dal successivo art. 8), deve essere conservato in contenitori di plastica per alimenti dotati di chiusura riposti in locali con una temperatura compresa tra i 4 e i 10°C, per un massimo di 48 ore. Durante questa fase è vietata l’aggiunta al prodotto di qualsiasi liquido e/o additivo. Nelle confezioni da immettere al consumo viene aggiunto del liquido derivante dal naturale rilascio dell’acqua presente nei tessuti della rapa o formato artificialmente da una soluzione composta esclusivamente da acqua e aceto di vino rosso e/o vino, ottenuto da vitigni a bacca rossa coltivati e vinificati nell’area di produzione di cui all’ art. 3, addizionati in una misura compresa tra il 2 e il 10% del totale del liquido utilizzato; Il liquido deve essere presente in una proporzione compresa tra 200 e 250 ml per ogni chilogrammo di prodotto. Conservazione del prodotto finito Una volta confezionato il prodotto deve essere conservato in locali chiusi, al buio, con una temperatura compresa tra 4 e 10°C per un periodo massimo di 15 giorni. La “Brovada” è un prodotto agro-alimentare strettamente legato a un consumo stagionale, pertanto la preparazione delle massa fermentante può avere inizio esclusivamente a partire dal 1° settembre fino al 31 marzo. L’immissione al consumo della “Brovada” è ammessa a partire dal 26 di settembre e deve concludersi il 15 maggio di ogni anno. È necessario che il condizionamento del prodotto, prima dell’immissione al consumo, avvenga nel luogo di produzione in modo da ridurre al minimo i rischi di alterazione dello stesso. Nel caso di spostamento/trasporto il liquido naturalmente rilasciato dalle rape dopo il processo di fettucciamento è soggetto a fenomeni di degradazione con alterazione dei principali parametri chimico-organolettici. Articolo 6. Legame con l’ambiente La “Brovada” è un prodotto tipico, originale ed esclusivo dell’area di produzione definita nel precedente articolo 3, tutto quello che la riguarda è unico a partire dal nome che non è traducibile se non spiegando le modalità di preparazione di questo prodotto. Della parola “Brovada” esistono in Friuli Venezia Giulia alcune varianti locali quali: broada, broade, brovade, bruade, sbrovada, sbrovade, tutte verosimilmente originate dalla base longobarda breowan, cioè bollire. Termini simili derivanti da tale verbo si ritrovano in parlate dialettali di altre parti d’Italia ma, solo nell’area delimitata essi sono usati come sostantivo per individuare questo alimento ottenuto dalle rape. Questa particolarità linguistica conferma che, anche se la rapa è diffusa in un area produttiva ben più vasta, la fermentazione con la vinaccia, la preparazione con la grattugia e il suo uso in numerose e popolari ricette è oggi esclusivo di questa zona compresa nel territorio della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. L’ecotipo utilizzato è stato selezionato in funzione dell’ambiente specifico dell’area di produzione delimitata e nell’ottica di migliorare le caratteristiche organolettiche della “Brovada”. La “rapa da Brovada” presenta una radice di grandi dimensioni dalla singolare forma cilindrica, particolarmente adatta al processo di fettucciamento, un tempo solo manuale; la polpa soda e succosa consente la produzione di una “Brovada” croccante ed elastica con un giusto equilibrio tra sapore piccante e grado zuccherino. La fisiologia della rapa è naturalmente in stretta correlazione con le caratteristiche del suolo, la disponibilità idrica e il clima nell’ambiente della zona di produzione. La temperatura estiva, ottimale in funzione dell’energia solare disponibile e del tempo di esposizione alla luce, favorisce l’attività vegetativa e permette un’elevata elaborazione di carboidrati e aminoacidi liberi. La temperatura autunnale, periodo in cui si conclude la maturazione della rapa, caratterizzata da una buona escursione termica e cioè dall’alternanza tra giornate calde, che favoriscono l’attività metabolica di sintesi delle sostanze di riserva, e le notti fresche, che rallentano l’attività respiratoria della pianta, a vantaggio della serbevolezza della polpa e dell’aumento delle dimensioni delle radici che risultano ricche di zuccheri e di ottimo calibro. I terreni al disotto dei 1200 metri s.l.m., limite di coltivazione di questo ortaggio nella zona di produzione delimitata, dedicati alla coltura sono sciolti e con scarso contenuto di scheletro con una tessitura caratterizzata da permeabilità ed ottimo drenaggio che permettono una elevata presenza di ossigeno. Ciò rende la rapa meno sensibile agli attacchi parassitari garantendo uno sviluppo perfettamente sano. I caratteri peculiari del suolo, uniti alla mitezza della temperatura nel periodo vegetativo, agiscono direttamente sull’accrescimento della rapa permettendo una produzione di ottimo livello qualitativo soprattutto in termini di tenerezza e assenza di fibrosità. La produzione della “Brovada” richiede un altro ingrediente fondamentale: la vinaccia, anch’essa risultato della specifica interazione tra vitigni rossi e il territorio friulano. In molte fasi del processo di elaborazione, la conoscenza ed esperienza diretta dei produttori friulani hanno un ruolo determinante. Cruciali sono alcuni passaggi: il processo di acidificazione della vinaccia, la sua “valutazione” in funzione del quantitativo da utilizzare, la corretta esecuzione della stratificazione nei tini, la determinazione della durata del processo fermentativo delle rape e l’individuazione della sua conclusione. Molti sono i fattori che interagiscono con il corretto evolversi dei due processi di inacidimento: delle vinacce ad opera dei batteri acetici e delle rape ad opera di batteri lattici. Guidare una corretta fermentazione solo sulle basi dell’osservazione e dell’esperienza è certamente un fatto di cultura e del fatto che si tratti di cultura tutta e solo friulanaè confermato da una ricca documentazione. Numerosi sono i riferimenti storici che testimoniano la presenza di questo prodotto nella zona descritta all’art. 3 del presente disciplinare di produzione. Nella “Cronaca inedita” di Jacopo Valvasone di Maniago (Storico del XVI secolo) circa le“Incursioni dei turchi in Friuli” pubblicate a Udine nel 1860, Tip. Tombetti – Murero, troviamo il seguente passaggio a testimonianza dell’abitudine nell’anno 1478 di conservare in questo territorio le rape in vinaccia : “(…) Fra le molte crudeltà ne racconterò questa sola successa nella detta ultima incursione (il fatto avvenne nel villaggio di Palse presso Pordenone), (…) una povera contadina (…) s’ascose dietro ad un tinazzo che era pieno di rape conservate ne raspi d’uva, come ancora si costuma di fare in questi nostri paesi (…)”. Troviamo una descrizione del modo di fare e conservare le rape in uno scritto del prof. Filippo Re negli “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” Tomo Quinto – Gennaio, Febbraio e Marzo 1810. Il procedimento, riportato quasi duecento anni fa, dall’illustre studioso di agraria, è per gli aspetti salienti quello seguito ancor oggi per produrre la “Brovada”. Ne conferma la peculiarità friulana: - E. Sartorelli, “Uno sguardo alla gastronomia friulana” in “Sot la nape”, Bollettino trimestrale della società filologica friulana n° 1 Udine, 1960 gennaio–marzo. A proposito della “Brovada” l’autore riporta che è: “… un piatto friulano di antica origine… si ottiene facendo fermentare le rape sotto le vinacce per un paio di mesi, cuocendole mano a mano che occorrono… dopo averle grattuggiate finemente”. - M. Del Torre, C. del Cer, B. Natti e G. Zuliani, “Itinerari gastronomici”, Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia, Udine 1974 – volume n° 2, parte seconda, pag. 1304. Gli autori parlano della “Brovada” nei seguenti termini: “La brovada rappresenta un altro dei piatti tipicissimi, esteso a tutto il Friuli…”. Non solo testi di agraria o cucina, ma anche opere di letteratura citano la “Brovada”: - Ippolito Nievo (1831 – 1861) nelle “Confessioni di un italiano, 1867” presenta il personaggio di Spaccafumo, mentre gusta accanto al fuoco la “Brovada”: “Fin da fanciullo egli avea tenuto usanza di buon vicino … tanto ché il vederlo capitar ogni tanto a mangiare daccanto al fuoco la sua scodella di brovada la era diventata per tutti un’abitudine”; sempre nel testo di Ippolito Nievo dalla nota dello stesso autore si rileva che la “Brovada” era: “una minestra di rape grattugiate e messe a bollire con pesto di prosciutto” e che queste rape grattugiate si mangiavano anche crude come antipasto”; - Guido Piovene (1907 – 1974) in “Viaggio in Italia – 1957” scrive: “L’effluvio degli arrosti si unisce a quello acidulo della brovada, un piatto di rape bollite ed imbevute con gli umori della vinaccia”; - Padre Davide Maria Turoldo (1916 – 1992) cita la “Brovada”in un proverbio in lingua friulana: “duc lu san / che buine je uei / ma mior je doman …”, ovvero “tutti lo sanno che la “Brovada” è buona oggi, ma migliore domani”. E’ interessante notare la rapa pure negli stemmi del comune di Ovaro (Udine), che risale ad una deliberazione del Consiglio Comunale del 3 giugno 1950, e nello stemma del Borgo San Rocco di Gorizia, chiamato anche Borgo degli Ufiei (rape). La “Brovada” è sempre stata un piatto povero per i poveri e rappresenta per la sua semplicità e storia una testimonianza etnografica ed evolutiva della cucina del Friuli Venezia Giulia. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Istituto Nord Est Qualità (INEQ) con sede in Via Rodeano n. 71 - 33038 San Daniele Del Friuli (UD) tel. +390432-940349, fax +390432-943357, e-mail info@ineq.it. Articolo 8. Etichettatura La “Brovada” viene immessa al consumo nelle seguenti confezioni chiuse ermeticamente: - sacchetti di plastica per alimenti da 500 g, 600 g, 700 g, 800 g, 900 g,1 kg 1,1 kg, 1,2 kg, 1,3 kg, 1,4 kg,1,5 kg; - vaschette di plastica per alimenti da 100 g, 150 g, 200 g, 250 g, 300 g, 350 g, 400 g, 450 g, 500 g, 550 g, 600 g, 650 g, 700 g, 750 g, 800 g, 850 g, 900 g, 950 g, 1 kg, 1,05 kg, 1,1 kg, 1,15 kg, 1,2 kg, 1,25 kg, 1,3 kg, 1,35 kg, 1,4 kg, 1,45 kg, 1,5 kg, 3 kg, 4 kg; - secchielli di plastica per alimenti da 2,5 kg, 5 kg, 10 kg; - vasi di vetro da 250 g, 400 g, 500 g, 600 g, 700 g, 800 g, 900 g, 1 kg, 1,1 kg, 1,2 kg, 1,3 kg, 1,4 kg, 1,5 kg. L’etichetta della “Brovada”, deve essere obbligatoriamente apposta su ogni singola confezione. Sulle etichette apposte sulle confezioni dovranno apparire: - il logo Il logo si presenta composto sostanzialmente da due elementi principali, la grafica raffigurante la stilizzazione di una rapa e il testo “BROVADA”. Il disegno della rapa si presenta con un segno grafico eseguito manualmente a cartoncino su una carta ruvida. Il risultato di questa metodologia è ben riscontrabile nell’irregolarità dei bordi che la compongono. La parte del fogliame si presenta di colore verde Pantone 355, mentre il corpo che presenta dei tratti a sfumare per indicare la rotondità a cono, è di colore rosso violaceo riferibile alla scala Pantone 220. Il disegno completo della rapa si presenta con una angolazione di circa 20 gradi rispetto al suo asse verticale e si interseca, con parte del suo fogliame, sotto la lettera “B” della dicitura “BROVADA” scritta completamente in maiuscolo. Il carattere impiegato per il testo “BROVADA” è il Palatino Black, mentre per il colore si fa riferimento al Pantone Blu 072 o Blu 3005. Sotto l’insieme del logo, composto dai due elementi descritti in precedenza, trova posto la dicitura: “DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA” battuta in maiuscolo con il carattere Palatino Regular ma ampliato nella sua larghezza al 120%. La misura di questo testo è pari alla lunghezza del “BROVADA”. La dicitura porta nella cromia l’identico riferimento Pantone Blu 072 o Blu 3005; - il simbolo comunitario; - l’anno di produzione della vinaccia; - l’indicazione del lotto di produzione. La denominazione “Brovada” DOP è intraducibile. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Friuli Venezia Giulia | Trieste, Udine, Pordenone, Gorizia |
Cappero di Pantelleria Cappero di Pantelleria IGP Disciplinare di produzione - Cappero di Pantelleria IGPArticolo 1. L’Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La zona di produzione del "Cappero di Pantelleria" comprende l’intero territorio dell’isola di Pantelleria in provincia di Trapani. Articolo 3. I cappereti destinati alla produzione del "Cappero di Pantelleria" debbono essere costituiti da piante della specie botanica "cappero spinosa" varietà inermis cultivar nocellara. I cappereti aventi le caratteristiche sopraindicate, su richiesta dei conduttori interessati redatta su modello conforme predisposto dalla Camera di Commercio di Trapani, possono essere iscritti, previo accertamento degli organi tecnici della Regione Sicilia, all’albo del "Cappero di Pantelleria". Gli accertamenti tecnici concernono la rilevazione delle superfici dei cappereti, il numero delle piante, la rispondenza varietale e quant’altro utile ad assicurare il rispetto delle condizioni stabilite nel presente disciplinare di produzione. Il suddetto albo è istituito, attivato e aggiornato dalla C.C.I.A.A. di Trapani. Articolo 4. Le condizioni di impianto e le operazioni colturali dei capperi destinati alla produzione della Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire ai bottoni fiorali (Capperi) le caratteristiche specifiche. Le piante di cappero debbono essere impiantate ad una distanza minima di m 2,5 lungo la fila e di m 2,5 tra le file, con una densità di n° 2000 piante per ettaro. La produzione massima di capperi freschi, aventi diritto alla I.G.P. "Cappero di Pantelleria", pur con le variabili annuali in funzione dell’andamento climatico, è fissata in kg 1,5 per pianta ed in ql 30 per ettaro. Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la produzione per pianta e per ettaro di capperi da utilizzare con l’Indicazione Geografica Protetta, dovrà essere riportata ai suddetti limiti di produttività attraverso accurata cernita. Articolo 5. L’inizio delle operazioni di raccolta deve essere specificatamente autorizzato dagli organi tecnici della regione Sicilia su proposta dei produttori, e si protraggono da inizio maggio fino a tutto ottobre. La raccolta procede a mano e scalarmente, lasciando sulla pianta i bottoni fiorali che non hanno raggiunto un sufficiente stato di maturazione. La denuncia di produzione dei capperi destinati alla produzione del "Cappero di Pantelleria" deve essere effettuata dagli interessati iscritti all’albo, entro il decimo giorno successivo a quello di inizio delle operazioni di raccolta, indicando la quantità parziale di prodotto raccolto e la presunta produzione globale dell’annata, utilizzando i moduli conformi al modello predisposto dalla Camera di Commercio di Trapani che provvede a rilasciare ricevuta frazionata agli interessati. Il termine ultimo di presentazione delle denunce scalari di produzione è fissato alla data del 15 novembre di ogni anno. Gli organi tecnici della regione Sicilia possono verificare con sopralluoghi la rispondenza delle dichiarazioni di produzioni e delle condizioni di coltivazione. Le operazioni di salatura e l’acquisizione delle caratteristiche previste per l’immissione al consumo del cappero debbono essere effettuate esclusivamente nel territorio dell’isola di Pantelleria. I capperi commercializzati prima dell’acquisizione delle caratteristiche previste nel successivo art. 6, fuori dalla zona di produzione, perdono in via definitiva il diritto di utilizzo della Indicazione Geografica Protetta e di qualsiasi riferimento geografico. Le operazioni di salatura a secco con esclusivo utilizzo di sale marino, avvengono attraverso fasi successive di elaborazione del prodotto. Nella prima fase, che si protrae per circa otto-dieci giorni, la massa di capperi viene addizionata di sale marino nella misura del 40% ed è giornalmente rimescolata al fine di favorire la fermentazione lattica, che conferisce le particolari caratteristiche organolettiche: trascorso il periodo di tempo sopraindicato viene eliminata l’acqua di vegetazione estratta con la salatura. La successiva fase di elaborazione prosegue con ulteriore aggiunta di sale marino nella misura del 25% rispetto al totale della massa derivante dal primo processo di salatura. Attraverso rimescolamento e sgrondo giornaliero della fase liquida, risultante da ulteriore naturale deposito dell’acqua di vegetazione, i capperi acquistano le caratteristiche per l’immissione al consumo, raggiungendo idonea maturazione dopo circa una decina di giorni. Articolo 6. Il "Cappero di Pantelleria" all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche: - forma: globosa, subsferica, raramente oblunga o conica; - colore: verde tendente al senape; - odore: aromatico, forte, caratteristico senza alcuna inflessione di muffa o odori estranei; - sapore: aromatico, salato, caratteristico dei capperi di Pantelleria al sale marino; - umidità: 54%; - peso specifico medio: 0,6; - calibro medio dei capperi: 9 mm; - sale marino presente mediante nei capperi: 25%. Articolo 7. Nella designazione e presentazione della Indicazione Geografica Protetta "Cappero di Pantelleria" le diciture "Cappero di Pantelleria" e "Indicazione Geografica Protetta" devono essere indicate in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e medesima colorimetria. Nello stesso campo visivo devono essere compresi gli altri elementi atti ad individuare nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, data di raccolta, peso netto all’origine. Eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo o non idoneo a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del prodotto, possono essere riportate anche in altro campo visivo. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, o comunque utilizza per la trasformazione con la denominazione "Cappero di Pantelleria" un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione è punito a norma degli articoli 515 e 516 del codice penale e dell’art. 18 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n° 109. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Trapani |
Carciofo Brindisino Carciofo Brindisino IGP Disciplinare di produzione - Carciofo Brindisino IGPArticolo 1. Denominazione. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Carciofo Brindisino” è riservata ai carciofi allo stato fresco che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento (CE) n. 510/2006, e indicati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto. L’Indicazione Geografica Protetta (IGP) “Carciofo Brindisino” designa i carciofi della specie Cynara cardunculus subsp. scolymus (L.) Hayek riferibili all’ecotipo “Carciofo Brindisino”, prodotti nel territorio definito nel successivo art. 3. Le caratteristiche morfologiche della pianta del “Carciofo Brindisino” sono rappresentate da taglia di altezza media con elevata attitudine pollonifera, foglie di colore verde, inermi con eterofillia elevata. Ciclo vegetativo da luglio a giugno; epoca di produzione autunnale-vernino-primaverile. Il “Carciofo Brindisino” ammesso a tutela, all’atto dell’immissione al consumo, deve avere le seguenti caratteristiche: - capolino di forma cilindrica, con altezza minima di 8 cm e diametro minimo di 6, mediamente compatto, brattee esterne di colore verde con sfumature violette, ad apice arrotondato intero o lievemente inciso, inerme o talvolta con una piccola spina; brattee interne di colore bianco verdastro con lievi sfumature violette, gambo non superiore a 10 cm, spessore sottile o medio; - capolini integri, di aspetto fresco, privi di segni di avvizzimento, sani (esenti da danni provocati da parassiti), puliti, privi di odori e/o sapori estranei; - categoria commerciale “Extra” e “I”. Articolo 3. Zona di produzione. La zona di produzione della IGP “Carciofo Brindisino” di cui al presente disciplinare, comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti comuni della provincia di Brindisi: Brindisi, Cellino San Marco, Mesagne, San Donaci, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, San Vito dei Normanni e Carovigno. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. La tecnica di produzione della IGP “Carciofo Brindisino” è la seguente: − il materiale da propagazione deve provenire esclusivamente da piante appartenenti all’ecotipo“Carciofo Brindisino” coltivate nell’area di produzione indicata nell’art. 3, o da vivai accreditati di cui al D.M. del 14/04/1997 che utilizzano materiale di propagazione di categoria C.A.C. (Conformitas Agraria Communitatis) proveniente dalla zona di produzione, e costituito da: - carducci - parti di ceppaia (zampe, tozzetti) - ovoli (ramificazioni quiescenti inserite alla base del fusto) - piantine micropropagate - piante da vivaio provenienti da germoplasma risanato - piante da seme - prima dell'impianto è necessaria una lavorazione profonda del terreno alla quale ne seguono altre più superficiali; - gli organi di propagazione, in fase di quiescenza e/o pre – germogliati, vengono trapiantati in pieno campo tra luglio e ottobre. Le raccolte dei carciofi iniziano dal 1 novembre e terminano il 30 maggio dell’anno successivo; - la densità di piantagione non deve superare le 8.000 piante/ha. In funzione della tecnica colturale adottata la distanza tra le file può variare fra 80 e 120 cm sulla fila e 120 -180 cm tra le file; - la rotazione deve essere almeno biennale, alternando il carciofo con colture miglioratrici, da rinnovo o seminativi; - la concimazione prevede interventi di fondo e successivi apporti, anche con il metodo della fertirrigazione, durante il ciclo colturale. Le dosi massime consentite non devono superare i 300 kg/ha di azoto, i 120 kg/ha di P2O5 e i 150 kg/ha di k2O e microelementi. E’ vietato l’uso di fitoregolatori di sintesi; - per l’irrigazione devono essere previsti sistemi a microportata di erogazione; - per il controllo delle avversità fitosanitarie e delle infestanti, nella scelta dei mezzi d’intervento è obbligatorio rispettare le norme di difesa integrata del carciofo aggiornate dalla Regione Puglia – Osservatorio Fitosanitario Regionale - e pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia. Il “Carciofo Brindisino” deve essere raccolto con cura evitando danni meccanici in tutte le fasi di raccolta, trasporto, consegna allo stabilimento di condizionamento. La raccolta deve essere eseguita a mano, tagliando lo stelo (gambo) del carciofo ad una lunghezza non superiore a 10 cm, con l’eventuale presenza di 1 o 2 foglie. Il “Carciofo Brindisino” deve essere conservato in luoghi freschi, coperti, arieggiati, non soggetti a ristagni di umidità. Il “Carciofo Brindisino” deve essere condizionato nel territorio dei comuni di cui all’art. 3 al fine di evitare danni e/o deterioramento qualitativo degli stessi. Si tratta di un prodotto facilmente deperibile che se non condizionato mal sopporta manipolazioni e spostamenti. Infatti i processi di decadimento della qualità, quali imbrunimenti ed avvizzimenti, sono tanto più evidenti quanto più aumenta il tempo di conservazione; pertanto il trasporto e il condizionamento del prodotto devono essere effettuati nei territori di produzione. Il condizionamento consiste in una o più delle seguenti operazioni: - sgambatura: taglio totale o parziale del gambo. La porzione rimanente del gambo può inoltre essere ripulita della parte fibrosa esterna; - spuntatura: consiste nel taglio della parte apicale delle brattee del carciofo; - rimozione delle brattee esterne: consiste nel rimuovere le brattee più fibrose del capolino per garantire l’immediata fruibilità del prodotto; - etichettatura ed imballaggi. Articolo 6. Legame con l’ambiente. Da un punto di vista storico le prime notizie sul consumo di carciofo nel Salento risalgono al 1736: in tale anno nel Seminario di Otranto risulta servito per due volte il carciofo prodotto in quell’area nel mese di aprile. Inoltre nel 1773 l’Abate Vincenzo Corrado, di Oria, riporta una quindicina di ricette in cui è presente il carciofo. Le prime rilevazioni statistiche sulla coltivazione del carciofo in provincia di Brindisi risalgono al 1930 quando questa coltura era praticata su circa 60 ettari in particolare nei comuni di Carovigno (18 ha), Mesagne (16 ha), Brindisi (13 ha), San Vito dei Normanni (9 ha). Secondo i dati dell’ISTAT nel 1946 furono superati i 100 ha, nel 1961 i 2000 ha, nel 1965 i 5000 ha, nel 1979 i 7000 ha e negli anni 80 i 9000 ha. Le condizioni climatiche del territorio di coltivazione del “Carciofo Brindisino”, sono tipicamente mediterranee, ed hanno favorito la diffusa presenza della coltura da tempi immemorabili. Gli evidenti segni del connubio tra coltura e popolazione si trovano anche nel gran numero di piatti a base di carciofo che caratterizza la cucina locale, e nell’elevato grado di specializzazione dei produttori dell’area, acquisita con tecniche di coltivazione tramandate da padre in figlio. Il territorio di coltivazione del “Carciofo Brindisino” conferisce ai capolini particolari caratteristiche qualitative ed organolettiche. In particolare i suoli ricchi di potassio, unitamente ai fattori umani e alle peculiarità dell’ecotipo utilizzato, conferiscono ai capolini caratteristiche di tenerezza e sapidità che sono determinati da una scarsa presenza di fibra e un elevato contenuto di inulina, sostanze fenoliche e flavonoidi. Tali caratteristiche sono conferite dalla particolare composizione dei suoli, cioè i terreni sabbiosi calcarei d’origine costiera, meglio conosciuti come “tufi”, che accompagnano il litorale adriatico specialmente nel tratto Brindisino. Per struttura e composizione abbastanza fertili sono le terre sui “tufi” e le sabbie argillose; mentre sono in genere poco fertili le sabbie, le argille marnose e i terreni alluvionali sabbiosi. Generalmente sono suoli con contenuto medio di azoto, basso di fosforo ed elevato di potassio. I terreni risultano mediamente dotati di sostanza organica, hanno un pH neutro o sub-alcalino ed una buona capacità idrica di campo. Le tecniche di coltivazione messe a punto dagli agricoltori nei territori delimitati per la produzione del “Carciofo Brindisino” unitamente alle condizioni pedoclimatiche del suddetto territorio, conferiscono la precocità che consente la presenza sul mercato già dal mese di ottobre; inoltre la tenerezza e delicatezza dei capolini, in particolare nella parte basale delle brattee, ed il ricettacolo carnoso e gustoso, rappresentano caratteristiche di pregio per le varie destinazioni culinarie. Le caratteristiche del carciofo rimangono pressoché invariate nel corso dei cicli produttivi, a motivo della standardizzazione della tecnica colturale. La giacitura pianeggiante del territorio consente di ottenere una produzione di capolini con caratteristiche morfologiche omogenee. Tutto l’areale è caratterizzato da clima mediterraneo con inverni miti ed estati caldo-umide, per effetto dell’azione di eventi atmosferici del mediterraneo Nord orientale. La media delle temperature nei mesi freddi si attesta intorno ai 9°C, mentre nei mesi caldi attorno ai 25,5 °C. Non si riscontrano, se non in rari casi, fenomeni di forti escursioni termiche. Le precipitazioni, frequenti in autunno e in inverno, si attestano attorno ai 550 mm. di pioggia/anno. La primavera e l’estate sono caratterizzate da lunghi periodi di siccità. L’armonia fra questi elementi pedoclimatici contraddistingue il nostro territorio rendendolo particolarmente adatto alla produzione del “Carciofo Brindisino” con qualità specifiche tali da caratterizzarlo e farlo apprezzare dai mercati nazionali ed esteri. La spiccata vocazione del territorio ha portato, negli ultimi decenni, all’incremento della superficie coltivata a carciofo, tanto che attualmente circa il 20% della produzione nazionale di carciofi proviene dalla provincia di Brindisi. Articolo 7. Controlli. Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006 dalla Camera di Commercio Industria, Artigianato ed Agricoltura di Brindisi Via Bastioni Carlo V n. 4/6 – 72100 Brindisi Articolo 8. Etichettatura e Imballaggi. Il “Carciofo Brindisino” viene immesso al consumo utilizzando contenitori, con capienza da un minimo di “1” (un) carciofo fino ad un massimo di “25” (venticinque) carciofi, realizzati con materiale di origine vegetale, di cartone o altro materiale riciclabile consentito dalla normativa, chiusi con un sigillo che dopo l’apertura diviene inutilizzabile. Su ogni confezione deve essere apposto il logotipo della IGP più avanti descritto ed una etichetta sulla quale sono riportate sullo stesso lato, in caratteri leggibili, visibili all'esterno, indelebili le seguenti indicazioni: - la denominazione “Carciofo Brindisino” e il simbolo comunitario IGP; - nome ed indirizzo o simbolo o codice di identificazione del confezionatore e del produttore di carciofi; - categoria di qualità “Extra” o “I”; - il numero dei carciofi o dei capolini; - ogni altra indicazione prevista dalle leggi vigenti. Tutte le diciture previste dal presente disciplinare, devono essere raggruppate nel medesimo campo visivo e presentate in modo chiaro, leggibile e indelebile. Il logotipo IGP “Carciofo Brindisino” è costituito da un cerchio con bordo dentellato, di colore arancio chiaro, recante al centro un’immagine antropomorfa di un carciofo di colore verde. Alle spalle dell’immagine del carciofo, sulla sinistra, è rappresentata la stilizzazione del monumento al Marinaio della città di Brindisi. Sempre sullo sfondo sono rappresentati inoltre il cielo, il mare e la terra, quest’ultima come simbolo dell’agricoltura. L’immagine del carciofo è contornata da una cornice, sempre di forma circolare e di colore arancione, che riporta all’interno la dicitura: “IGP CARCIOFO BRINDISINO” di colore verde scuro. Il logotipo IGP “Carciofo Brindisino” è costituito dal marchio rappresentato nella seguente immagine, la cui massima riduzione consentita è fissata in 2 cm di diametro. Sono inoltre utilizzabili anche la versione in bianco e nero e monocromatica di colore verde E’ vietata l’aggiunta di qualunque qualificazione non espressamente prevista nel presente disciplinare, e/o eventuali indicazioni accessorie aventi carattere laudativo o tendenti a trarre in inganno il consumatore sulla natura e caratteristiche del prodotto. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Brindisi |
Carciofo di Paestum Carciofo di Pestum IGP Disciplinare di produzione - Carciofo di Pestum IGPArticolo 1. L’indicazione geografica protetta (I.G.P.) "Carciofo di Paestum" è riservata ai carciofi che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, elaborato ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 2. L’indicazione geografica protetta "Carciofo di Paestum" designa i capolini dei biotipi riferibili al tipo “Romanesco”, anche detto “Tondo di Paestum”, prodotto nel territorio definito nel successivo art. 3. Articolo 3. La zona di produzione del "Carciofo di Paestum”, di cui al presente disciplinare comprende parte del territorio dei seguenti comuni della provincia di Salerno: Agropoli, Albanella, Altavilla Silentina, Battipaglia, Bellizzi, Campagna, Capaccio, Cicerale, Eboli, Giungano, Montecorvino Pugliano, Ogliastro Cilento, Pontecagnano Faiano, Serre. Più precisamente il confine dell'area interessata inizia a Sud dalla strada che, a partire dall’intersezione tra il Mar Tirreno ed il fiume Solofrone (Carta I.G.M. 1:25000 di Agropoli Foglio 198 III Sud Ovest), giunge alla Stazione di Ogliastro Cilento e, da qui, prosegue verso Est costeggiando la località Tempa della Monaca e Mattine, attraversa la località Piscone fino ad incrociare il vallone San Pietro in corrispondenza del confine naturale tra Agropoli ed Ogliastro Cilento, prosegue, quindi, incrociando il confine comunale tra Ogliastro Cilento e Cicerale, passa nei pressi delle località Terzerie, Ficocelle e San Felice dove abbandona la suddetta via seguendo la curva a quota 49, passando, prima, al di sotto del torrente la Mola poi, risalendo verso Nord, incrocia il suddetto torrente entrando nel territorio comunale di Giungano. Qui imbocca la via che passa in prossimità delle località San Giuseppe e Convingenti, attraversa il vallone Tremonti, costeggia la località Lampione, si immette sulla strada che da Giungano porta alla Strada Statale n. 18 percorrendola per breve tratto e, quindi, devia lungo la via che costeggia Terra Lunga attraversando il confine comunale con Capaccio, passa per la località C.se Picilli, poi per la località Cannito e la località Font. Strazzano e, quindi, discende lungo il sentiero che attraversa il vallone Cannito e giunge ad immettersi sulla vecchia strada Cilentana in corrispondenza della località Pisciolo, Da qui prosegue (Carta I.G.M. 1: 25000 di Paestum Foglio 198 III Nord Ovest), sempre lungo la strada Cilentana, passando per Chiumara, ed all’altezza di Gian Cesare, risale a monte fino ad immettersi, all’altezza del Km 2, sulla Strada Provinciale n. 13. Da qui discende fino alla località Pietrale immettendosi sulla Strada Statale n. 166 degli Alburni, in prossimità del Km. 3. Prosegue lungo questa via fino ad incrociare, oltrepassato il Km 5, il confine comunale tra Roccadaspide e Capaccio in prossimità di Seude di Rocca. Prosegue lungo il suddetto confine comunale, devia su strada che conduce, dopo breve tratto, alla strada che coincide con il confine comunale tra Capaccio ed Albanella, passando al di sotto di C.se Torre, di Masseria Scigliati congiungendosi con la via Consortile. Segue la via Consortile, attraversa la località Fravita fino a raggiungere l’abitato di Matinella del comune di Albanella (Carta I.G.M. 1:25000 di Persano Foglio 198 IV Sud Ovest). Prosegue lungo la continuazione della stessa via fino a superare il Ponte la Cosa entrando nel comune di Altavilla Silentina e raggiunge (Carta I.G.M. 1:25000 di Altavilla Silentina Foglio 198 IV Sud Est) dopo un tratto pressoché rettilineo, l’abitato di Cerrelli. Dall’abitato di Cerrelli, imbocca la via che porta al Ponte sul Calore entrando nel comune di Serre e prosegue verso Ovest lungo la stessa via fino ad incrociare (Carta I.G.M. 1:25000 di Campagna Foglio 198 IV Nord Est) la Strada Statale n. 19 delle Calabrie. Il confine prosegue lungo la suddetta strada passando sul Ponte Sele, entra nel comune di Campagna, e, sempre lungo la Strada Statale n. 19, passa in prossimità della Masseria S. Vito, quindi di San Paolo e sempre proseguendo lungo la Statale n. 19, entra nel comune di Eboli, oltrepassa il fosso del Telegro (Carta I.G.M. 1:25000 di Eboli Foglio 198 Nord Ovest), passa in prossimità della Madonna della Catena e dell’abitato di Eboli. Prosegue, sempre lungo la suddetta strada, fino all’abitato di Battipaglia. Da qui imbocca la Strada Statale n. 18 all’altezza della Masseria Barra. Prosegue la suddetta strada fino al centro dell’abitato di Bellizzi (Carta I.G.M. 1:25000 di Pontecagnano Faiano Foglio 197 I Nord Est). Qui imbocca la Strada Statale n. 164 delle Croci di Acerno (Carta I.G.M. 1:25000 di Eboli) e, all’altezza del Km 3 della suddetta strada, devia verso la Strada Provinciale San Vito - Pagliarone. Percorre, entrando nel comune di Montecorvino Pugliano, la suddetta strada sfiorando C. Salerno e C. Alfano; passa, poi, sotto l’abitato di San Vito (Carta I.G.M. 1:25000 di Pontecagnano Faiano) e prosegue costeggiando la località Longobardo; a questo punto devia sulla strada che dalla località Longobardo raggiunge Pontirotti entrando nel comune di Pontecagnano Faiano, passa sotto la masseria Cacciabene, attraversa la località Scontrafrate e, quindi, si immette lungo questa strada di collegamento tra Faiano e Sant’Antonio a Picenza; continua lungo questa strada attraversando la località Conforti, quindi devia sulla strada che conduce a Trivio Granata. Da questa strada devia nuovamente, passando al di sotto della località Pollice, fino a congiungersi con la Strada Statale n. 18 Tirrena Inferiore all’altezza del Km 65. Il confine, poi, attraversa l’abitato di Pontecagnano Faiano fino ad incrociare il corso del Fiume Picentino che segue fino al Mar Tirreno. Da qui, procedendo verso Sud, il confine è segnato dal Mar Tirreno sino al punto di intersezione con il Torrente Solofrone passando per le carte I.G.M. di Pontecagnano Faiano, Aversana, Foce Sele, Paestum e Agropoli. Tutta l’area delimitata sopra è riportata nell’allegato A, costituito da cartine I.G.M. in scala 1:25000. Articolo 4. Le condizioni climatiche dell’area, ideali per la coltivazione del carciofo di Paestum (clima tipicamente mediterraneo caratterizzato da inverni miti e piovosi ed estati caldo-asciutte), hanno favorito la forte presenza della coltura da tempi immemorabili. Gli evidenti segni del connubio tra coltura e popolazione li troviamo evidenti nel gran numero di piatti a base di carciofo che caratterizzano la cucina locale, e nell’elevato grado di specializzazione dei produttori dell’area, acquisita con tecniche di coltivazione tramandate di generazione in generazione. Per questo prodotto tipico verrà garantita la rintracciabilità mediante la creazione di un elenco di produttori che saranno soggetti alle verifiche da parte dell’organismo di controllo. Gli stessi impianti per la lavorazione del “Carciofo di Paestum I.G.P.”, sono iscritti nell’apposito elenco, attivato, tenuto e aggiornato dallo stesso organismo di controllo. Articolo 5. La coltivazione del carciofo inizia con le operazioni di impianto consistenti in una accurata preparazione del terreno che prevede una aratura profonda, un interramento dei concimi di fondo e/o sostanza organica, una o due erpicature ed un definitivo livellamento della superficie. Successivamente avviene il trapianto, tra il 15 luglio e il 31 di agosto utilizzando piantine con pane di terra allevate in alveoli, provenienti da vivai propri o specializzati, oppure tra il 1° settembre e il 30 settembre utilizzando carducci prelevati direttamente dalle piante madri. Negli impianti già esistenti devono essere effettuate delle erpicature tra le file per arieggiare il terreno e procedere con l’irrigazione verso metà agosto per consentire il risveglio vegetativo della carciofaia. La carciofaia deve essere mantenuta in coltivazione per non più di tre anni. Le forme di coltivazione devono essere quelle in uso generalizzato nella zona con un sesto di impianto di 110-120 cm tra le file e di 80-90 cm sulla fila per un investimento massimo di 10.000 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo compreso dal 1° febbraio al 20 maggio. La produzione unitaria massima di “Carciofo di Paestum” è fissata fino ad un massimo di 50.000 capolini ad ettaro. Le operazioni di cernita, di calibratura e di lavaggio, secondo le tecniche già acquisite localmente, devono essere effettuate in stabilimenti situati nell’ambito dell’intero territorio dei comuni ricadenti nella zona di produzione del “Carciofo di Paestum” indicata nel precedente art. 3. Ai fini dell’immissione al consumo, per dilazionarne la vendita, il prodotto può essere conservato in locali idonei ed eventualmente a temperatura controllata, non superiore a 4 gradi centigradi, per un tempo massimo di 72 ore. Il prodotto recante la I.G.P. “Carciofo di Paestum”, allo stato fresco, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche: pezzatura media (non più di 4 capolini con gambo per Kg di prodotto); capolini di forma sub-sferica, compatta, con caratteristico foro all’apice, con diametro della sezione massima trasversale compreso tra 8,5 e 10,5 cm di diametro della sezione massima longitudinale compreso tra 7,5 e 12,5 cm, e con rapporto tra i due compreso tra 0,9 e 1,2; colore verde, con sfumatura violetto-rosacea; brattee esterne ovali, con apice arrotondato ed inciso, inermi; brattee interne paglierino-verdastre con sfumature violette; peduncolo di lunghezza inferiore a 10 cm. Il prodotto, per essere immesso al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche: deve essere ottenuto secondo le tecniche locali tradizionali già acquisite dai produttori. E’ ammesso l’uso di cocci di terracotta per la protezione dei capolini; non sono ammessi trattamenti con fitoregolatori (gibberelline), comunque somministrati. Articolo 6. Il “Carciofo di Paestum” si distingue rispetto ad altre produzioni carcioficole per le sue innumerevoli qualità e caratteristiche tipiche (pezzatura grossa, forma sub-sferica, sapore gradevole), frutto di una accurata tecnica di coltivazione messa a punto dagli agricoltori della Piana del Sele. E’ un tipo locale proveniente dal gruppo dei carciofi di tipo Romanesco. Da questi si contraddistingue per una serie di caratteristiche peculiari conferitegli dall’ambiente di coltivazione. Innanzitutto la precocità che consente al Carciofo di Paestum di essere presente sul mercato già dal mese di febbraio prima di ogni altro tipo di carciofo del tipo Romanesco. Inoltre, la precocità, in riferimento al periodo di produzione (febbraio-maggio) caratterizzato da un clima fresco e piovoso, conferisce maggiore tenerezza e delicatezza ai capolini in particolare alla parte basale delle brattee ed al ricettacolo più carnoso e più gustoso, caratteristiche importanti per le svariate destinazioni culinarie. Le caratteristiche del carciofo restano pressoché invariate nel corso dei cicli produttivi, in quanto gli agricoltori hanno messo a punto diversi accorgimenti colturali per porre rimedio a variazioni climatiche che si possono verificare tra diverse annate agrarie. Articolo 7. L’accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità ed i relativi controllo saranno effettuati da un organismo di controllo rispondente ai requisiti di cui all’art. 10 del regolamento CEE n. 2081/92. Articolo 8. L’immissione al consumo del “Carciofo di Paestum” deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, da un minimo di 2 capolini ad un massimo di 24; sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: a) “Carciofo di Paestum” e “Indicazione geografica protetta” (o la sua sigla I.G.P.); b) il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice; c) la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti; I caratteri di cui alla lettera b) devono essere di dimensioni inferiori almeno del 50% rispetto a quelli della lettera a); d) il simbolo grafico di cui all’allegato B, relativo all’immagine artistica del logotipo specifico ed univoco, da utilizzare in abbinamento inscindibile con l’Indicazione Geografica Protetta. I prodotti per la cui preparazione è utilizzato il “Carciofo di Paestum I.G.P.”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: il “Carciofo di Paestum I.G.P.”, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del “Carciofo di Paestum I.G.P.” siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della denominazione “Carciofo di Paestum” I.G.P. riuniti in consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza del consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del regolamento (CEE) 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva del “Carciofo di Paestum I.G.P.”, consente soltanto il riferimento alla denominazione, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o in cui è trasformato o elaborato. All’Indicazione geografica protetta, di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo, gusto, selezionato, scelto e similari. E' tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’Indicazione Geografica Protetta. Articolo 9. Con la creazione del logotipo I.G.P. “Carciofo di Paestum” ai sensi del regolamento CEE 2081/92 si è voluto richiamare il legame stretto tra il carciofo e il luogo (area intorno ai templi di Paestum) dove è stato per la prima volta coltivato. Il simbolo grafico è, infatti, composto da una immagine del Tempio di Nettuno sito a Paestum circondato da un cielo di colore (cyan 80% e magenta 25%) e conseguentemente sfumato da nuvole di sottofondo e da piccoli spicchi di vegetazione la cui difformità varia da un composto di: cyan = 40%; magenta = 40%; giallo = 70%; nero = 40%; con una oscillazione a calare del 30% di magenta e del 25% di nero. L’immagine del Tempio di Nettuno appare scontornata in una forma ovale e racchiusa esternamente da una bordatura costituita da una doppia linea (interna di colore nero ed esterna di colore pantone green CVP). La doppia linea viene interrotta a circa 374 dal lato superiore dell’ovale stesso da una dicitura “Carciofo di Paestum” di colore nero e di carattere“Times”. Nella parte basso/centrata dell’immagine del tempio è incastonato un ovale di colore bianco sul quale poggia l’immagine del carciofo di Paestum il cui si interrompe sulla linea di bordatura esterna di colore pantone green CPV. Entrambe le immagini (Tempio di Nettuno e Carciofo di Paestum) sono state create attraverso la sovrapposizione di quattro colori chiamata “quadricromia”, la quale è costituita dai colori basilari denominati: cyan – magenta – giallo – nero. Per la realizzazione del logo i colori sopradescritti sono stati necessariamente stampati su un fondo di colore bianco. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Carciofo romanesco del Lazio Carciofo Romanesco del Lazio IGP Disciplinare di produzione - Carciofo Romanesco del Lazio IGPArticolo 1. Denominazione L'indicazione geografica protetta (I.G.P.) "Carciofo Romanesco del Lazio" e' riservata al carciofo (Cynara scolymus L.) di tipo romanesco che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione Le cultivar di "Carciofo Romanesco del Lazio" da inserire nella piattaforma varietale vengono di seguito descritte: Castellammare e relativi cloni a) caratteristiche morfologiche: - pianta: taglia media o grande, altezza inserzione capolino principale intorno ai cm 30, portamento espanso, attitudine pollonifera media; - foglia: colore verde scuro, inerme, dimensioni grandi, eterofillia media; - capolino principale: sferico, compatto, con caratteristico foro all'apice, dimensioni grandi, brattee esterne di colore verde con sfumature violette, ad apice arrotondato, inciso, inermi. - peduncolo medio o lungo di grosso spessore. b)caratteristiche produttive: - capolini per pianta: produzione media circa 6 - 8 capolini per consumo fresco, 5 - 8 capolini per utilizzazione conserviera; - epoca di produzione: precoce con inizio gennaio. Campagnano e relativi cloni a) caratteristiche morfologiche: - pianta: taglia grande, altezza inserzione capolino principale intorno ai 50 cm, portamento molto espanso, attitudine pollonifera scarsa; - foglia: colore verde cinerino, inerme, dimensioni grandi, eterofillia media; - capolino principale: sferico, compatto con caratteristico foro all'apice, dimensioni molto grandi, brattee esterne con sfumature violette, ad apice arrotondato, inciso, inermi. - peduncolo medio o lungo, di grosso spessore. b) caratteristiche produttive: - capolini per piante: produzione media circa 8 - 10 capolini per pianta per consumo fresco e 4 - 5 per utilizzazione conserviera; - epoca di produzione: tardiva, con inizio marzo - aprile. Articolo 3. Zone di produzione La zona di produzione e' limitata ad alcune aree delle provincie di Viterbo, Roma e Latina, e comprende i comuni di Montalto di Castro, Canino, Tarquinia, Allumiere, Tolfa, Civitavecchia, Santa Marinella, Campagnano, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino, Roma, Lariano, Sezze, Priverno, Sermoneta, Pontinia. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine del prodotto Il carciofo nelle campagne laziali e' conosciuto sin da epoca romana, probabilmente gia' gli etruschi raccoglievano questo prodotto. Nei tempi moderni la coltivazione e' praticata in tutte le zone di cui all'art. 3 da oltre 30 a oltre 50 anni in talune zone. Si registrano inoltre sagre dedicate a questo prodotto in varie zone. A Ladispoli da oltre 50 anni viene festeggiato il carciofo romanesco, altre sagre del carciofo romanesco si tengono a Campagnano e Sezze, per citare solo le piu' importanti. Il carciofo romanesco si e' adattato splendidamente alle condizioni pedoclimatiche laziali aiutato anche dalle caratteristiche ottimali dei terreni dove viene coltivato. Il prodotto si e' radicato fortemente nella cultura gastronomica della regione con tantissime ricette e utilizzi culinari e ha assunto negli anni una rilevante importanza economica. Articolo 5. Metodo di produzione Preparazione del terreno ed impianto. Lavorazione principale: ad una profondita' di 50 - 60 cm con aratura o rippatura seguita da una lavorazione superficiale; tale operazione deve essere preceduta dalla distribuzione dei concimi fosfo-potassici ed eventualmente del fertilizzante organico. Data di impianto: da agosto a ottobre. Distanza di impianto minima e massima da adottare: m 1 - 1,60 tra le file, m. 0,80 - 1,20 sulla fila. Analisi del terreno: obbligatorie per nuovi impianti. Irrigazione. Al fine di anticipare il risveglio vegetativo, si possono effettuare interventi irrigui a partire da agosto. A fine inverno sono consentiti interventi di soccorso solo in concomitanza di condizioni climatiche particolarmente asciutte. In generale, sono sufficienti dai tre ai cinque interventi irrigui di 300 – 350 mc/ha/turno. Operazioni colturali. La dicioccatura puo' essere manuale o meccanica. Al fine di reintegrare la sostanza organica nel terreno e' obbligatorio lasciare i residui colturali sul terreno previo sminuzzamento e interramento. Le piante infette da patogeni (verticillium spp., fusarium e nemotodi galligeni) devono essere accuratamente allontanate dal campo e bruciate. La scarducciatura si effettua solitamente tra la seconda e la terza decade di settembre e tra novembre e dicembre. Per il "Carciofo Romanesco del Lazio" viene allevato un solo carduccio per pianta. Sono vietati i trattamenti con fitoregolatori. Modalita' di raccolta e resa produttiva. La raccolta si effettua a mano, scalarmente e con modalita' diversa in relazione al tipo di presentazione al mercato (art. 6). L'epoca di raccolta inizia in gennaio e potra' protrarsi fino a maggio. Durata e avvicendamento della carciofaia e caratteristiche qualitative. La permanenza della carciofaia in campo non deve superare i quattro anni, si dovra' inoltre effettuare un avvicendamento triennale. Il "Carciofo Romanesco del Lazio" ad indicazione geografica protetta, all'atto dell'immissione al consumo fresco deve rispondere alle seguenti caratteristiche: - diametro dei cimaroli non inferiore a centimetri dieci; - diametro dei capolini di primo e secondo ordine non inferiore a centimetri sette; - colore da verde a violetto; - forma di tipo sferico. Le altre caratteristiche qualitative del prodotto devono rispondere alle "Norme di qualità" previste dal regolamento CEE n. 58/62 e successive modificazioni ed integrazioni, con l'esclusione della categoria "2" prevista dalle stesse norme di qualita'. Per il consumo locale tradizionale e' consentita, esclusivamente all'interno della regione Lazio, la vendita dei cimaroli del "Carciofo Romanesco del Lazio" in mazzi da dieci, provvisti di foglie e con gambo anche superiore ai 10 cm di lunghezza (regolamento CEE n. 448/97 e successive modifiche ed integrazioni), oppure in mazzi di numero non definito a forma di pigna e senza foglie. Articolo 6. Legame con l'ambiente La verifica della provenienza del prodotto e del legame con l'ambiente di produzione verra' effettuata dall'organismo di controllo di cui all'art. 7, che gestira' un apposito elenco di produttori dell'I.G.P. "Carciofo Romanesco del Lazio". Articolo 7. Organismo di controllo L'accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità ed i relativi controlli di cui all'art. 10 del regolamento CEE n. 2081/92 sara' effettuato attraverso "Agroqualita'" organismo certificatore con sede in Roma - via Montebello n. 8, in conformità alle vigenti norme in materia. Articolo 8. Etichettatura Oltre alla denominazione di cui all'art. 1 e' consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno l'acquirente. E' consentito altresi' l'uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, are,fattorie, zone e località comprese nei comuni di cui all'art. 3 e dai quali effettivamente proviene il carciofo con la indicazione geografica protetta. Il marchio dovrà essere riprodotto cosi' come depositato con una scritta concentrica esterna verde in campo giallo riportante la seguente dicitura: "Carciofo Romanesco del Lazio"; e in basso in nero "I.G.P.". Al centro la figura di un capolino di carciofo in campo rosa tendente all'arancio. Imballaggio: confezioni sigillate ricoperte con rete di plastica o foglio di plastica trasparente. Il marchio verrà apposto lateralmente nella confezione. Nel caso di vendita in mazzi verrà inserito in una fascia che avvolge gli stessi. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Viterbo, Roma, Latina |
Carciofo Spinoso di Sardegna Carciofo Spinoso di Sardegna DOP Disciplinare di produzione - Carciofo Spinoso di Sardegna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sardegna | Cagliari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Oristano, Nuoro, Ogliastra, Sassari, Olbia-Tempio |
Carota dell'altopiano del Fucino Carota dell'Altopiano del Fucino IGP Disciplinare di produzione - Carota dell'Altopiano del Fucino IGPArticolo 1. Nome del Prodotto L'indicazione geografica protetta "Carota dell'Altopiano del Fucino", è riservata alle carote prodotte nel comprensorio dell'Altopiano del Fucino che rispondono ai requisiti stabiliti dal presente Disciplinare di Produzione, redatto sulla base delle disposizioni di cui al Reg. CEE n. 2081/92. Articolo 2. Varietà coltivate L' IGP "Carota dell'Altopiano del Fucino" designa le carote delle cultivars della specie"Daucus carota L.", prodotte nella zona delimitata dal successivo art. 3 del presente disciplinare, e derivanti dalle seguenti varietà: MAESTRO (Vilmorin); PRESTO (Vilmorin); CONCERTO (Vilmorin); NAPOLI (Bejo); NÁNDOR (Clause); DORDOGNE (SG). Il prodotto deve avere le caratteristiche di seguito elencate: forma: -cilindrica con punta arrotondata, assenza di peli radicali; colore: -arancio intenso compreso il colletto; contenuto: - saccarosio >3%; beta carotene >100 mg/Kg; acido ascorbico > 5 mg/Kg; - proteine > 1,2%; - fibra > 1,2% proprietà fisiche: croccantezza della polpa e rottura vitrea; Per tutte le varietà la categoria commerciale deve essere Extra e Prima. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della "Carota dell'Altopiano del Fucino" di cui al presente disciplinare è l'intero comprensorio dell'Altopiano del Fucino. La delimitazione viene individuata dalla Strada Provinciale Circonfiicense e include porzioni di territorio, suddivise da strade interpoderali ed appezzamenti numerati, appartenenti ai seguenti Comuni della provincia di L'Aquila: Avezzano e frazioni; Celano e frazioni; Cerchio; Aielli; Cullarmele; Pescina e frazioni; S.Benedetto dei Marsi; Gioia nei Marsi e frazioni; Lecce dei Marsi; Ortucchio; Trasacco; Luco dei Marsi. Per la delimitazione dei confini sono state utilizzate le carte IGM 1:25.000 della Regione Abruzzo ricadenti nei fogli: F0 n. 145 11° - F0 n. 146 IIIo - F0 n. 151 Io- F0 n. 152 IVo PERIMETRAZIONE DELL'AREA -Altopiano del Fucino- Partendo da Avezzano (AQ), percorrendo la strada Via Fucino in direzione sud fino al Km 2 si incontra il semaforo di Borgo Via Nuova, svoltando immediatamente a sinistra ci si immette sulla strada Circonfiicense di cui al comma 1 del presente articolo. Durante il percorso, che riporterà esattamente al punto di partenza, si incontra la località Caruscino, si prosegue attraversando gli incroci di Str. 7, Str. 8, Str. 10, Str. 11 fino a Paterno di Avezzano località Pietragrossa, si prosegue sempre fino alla casa di guardia n. VI di Borgo Str. 14. Senza lasciare la strada Circonfucense si prosegue attraversando gli incroci di Str. 17, Str. 18, Str. 19, Str. 20 fino ad arrivare a S. Benedetto dei Marsi incrocio di Str. 22. Si prosegue attraversando gli incroci di Str. 23, Sr. 24, Str. 25, Str. 26, Str. 27 fino ad arrivare al Comune di Ortucchio incrocio di Str. 28. Si prosegue attraversando gli incroci di Str. 29, Str. 30, Str. 31, Str. 32 in località Balzone fino ad arrivare al Comune di Trasacco incrocio di Str. 36. Proseguendo e costeggiando sempre il Canale Allacciante Meridionale si attraversano gli incroci di Str.37, Str. 38, Str. 39, Str. 40 fino al Comune di Luco dei Marsi, si oltrepassa il paese e si prosegue attraversando gli incroci di Str. 43, Str. 44, Str. 45 fino ad arrivare a Borgo Incile Str. 1. Proseguendo ancora si incontra l'ex Zuccherificio di Avezzano fino ad arrivare all'incrocio di Via Fucino, punto di partenza. Articolo 4. Origine del prodotto La coltivazione delle carote in pieno campo è iniziata, nell'Altopiano del Fucino nel 1950. I notevoli redditi assicurati dalla coltura hanno destato l'interesse degli agricoltori, che hanno così inserito la carota nella rotazione colturale classica in uso nell'Altopiano del Fucino. Insieme ai benefici economici, la coltivazione della carota ha determinato un allungamento della rotazione colturale, cosa che ha ridotto notevolmente fenomeni negativi come le proliferazioni di patologie o il fenomeno della stanchezza del terreno che tanti problemi arrecavano alle colture del Fucino. Al riguardo è da sottolineare come il controllo dei nematodi della patata e della barbabietola da zucchero sia oggi affidato alla corretta rotazione colturale, resa possibile anche grazie all'introduzione della carota, contrariamente a quanto si faceva in passato con trattamenti nematocidi, effettuati con fumigazioni. II successo raggiunto da tale coltura, che la pone come coltivazione di punta trainante tutto il comparto orticolo dell'Altopiano del Fucino, è individuabile anche nel grado di preferenza e nella notorietà che questa produzione riscontra nei mercati nazionali ed esteri. Una notorietà che induce molti operatori a far uso della denominazione di Origine "Fucino" per commercializzare prodotto proveniente da altre aree di produzione. Ne consegue, pertanto, la necessità di garantire l'origine del prodotto, mediante procedure che assicurino la tracciabilità delle varie fasi di produzione, ed il controllo dei produttori e delle particelle catastali su cui si coltiva la carota del Fucino iscritti in appositi elenchi. I predetti controlli verranno svolti da un organismo conforme a quanto riportato al successivo art. 7. Lo stesso organismo, accreditato presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, dovrà verificare anche la rispondenza del prodotto "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" alle prescrizioni del disciplinare. Articolo 5. Terreni — Semine - Tecniche colturali — Raccolta e Lavorazione Terreni I terreni destinati alla coltivazione della carota dovranno essere ubicati nella zona di produzione di cui al precedente art. 3. Nella preparazione degli impianti si procede con: - aratura ; - fresatura per l'affinamento della superficie; - rullatura per consentire una profondità di semina costante; - non è consentita la concimazione diretta mediante letamazione onde evitare fenomeni di imbrunimento delle radici a causa della decomposizione della sostanza organica durante il ciclo vegetativo. Semine La semina è esclusivamente meccanica per garantire uniformità di distribuzione e densità colturale ottimale dei semi. Si provvede a mettere a dimora il seme in interfile di 35-40 cm, mentre sulla fila il seme è distribuito su bande della larghezza di 5 - 7 cm oppure in file binate continue. Il seme è posto ad una profondità variabile dai 0.5 ai 1,5 cm. L'avvicendamento o rotazione colturale da osservare obbligatoriamente è minimo di 4 anni. Tecniche colturali Eseguite normalmente a macchina, le operazioni colturali si effettuano facendo attenzione a non danneggiare le radici o costipare eccessivamente il terreno nelle interfile. Sono comunque prescritte: -almeno una sarchiatura per consentire il controllo delle infestanti e la riduzione di compattezza del terreno per assicurare uno sviluppo armonioso della radice senza strozzature o piegamenti; -almeno una rincalzatura per evitare fenomeni di inverdimento del colletto. Irrigazioni Le irrigazioni vanno effettuate con modesti ma frequenti volumi di adacquamento che non superano i 400 mc/ha per intervento, il sistema usato è per aspersione. Nel periodo estivo (luglio, agosto), le irrigazioni, se necessarie, vengono effettuate durante le ore notturne o al massimo nelle prime ore del mattino; tale scelta si rende necessaria per evitare danni alle piante a causa delle elevate temperature e della forte ventosità diurne che caratterizzano l'Altopiano del Fucino. Raccolta e lavorazione La raccolta è praticata valutando gli stadi di maturazione più idonei in funzione della destinazione del prodotto e della tipologia di confezionamento; essa si effettua nel rispetto delle norme di qualità fissate dalla regolamentazione comunitaria e delle caratteristiche di cui all'art. 2 del presente disciplinare. Un prodotto da destinare alla conservazione dovrà essere raccolto a sviluppo ultimato e non prima del termine previsto per la cultivar. Inoltre si dovrà tener conto dell'andamento climatico per garantire conservabilità e mantenimento delle caratteristiche qualitative ed organolettiche. Pertanto durante il periodo estivo (luglio, agosto) la raccolta si effettua nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio così da evitare l'esposizione al sole del prodotto. Appena raccolte, le carote devono essere trasportate, entro quattro ore, nei centri di condizionamento, dove, prima del lavaggio e confezionamento, subiscono un raffreddamento utile a garantire loro il mantenimento delle caratteristiche di croccantezza, colore dell'epidermide e sapore. Caratterístiche del Prodotto Le carote ammesse a tutela, all'atto della commercializzazione, devono avere le seguenti caratteristiche minime: • forma della radice prevalentemente cilindrica con punta arrotondata, priva di peli radicali e assenza di cicatrici profonde nei punti di emissione del capillizio, epidermide liscia, colore arancio intenso su tutta la radice; • dimensioni e peso delle radici tali da soddisfare le norme comuni di qualità e confezionamento fissate dalla normativa comunitaria. Articolo 6. Legame con l'ambiente La diffusione della coltivazione nel territorio suddetto si identifica negli oltre 2000 ha investiti a carota. La produzione si attesta su circa 1,5 milioni di quintali annui, che rappresenta mediamente il 30% della produzione nazionale, il 5% della produzione europea e ľ l% di quella mondiale. La grandissima disponibilità di prodotto ha favorito, limitatamente all'area considerata, attività correlate di condizionamento e confezionamento del prodotto nonché la realizzazione di impianti di trasformazione della carota sia in cubetti che in succhi. Tutto ciò ha contribuito a creare un sistema che associa alle ottime caratteristiche pedoclimatiche dell'area, il notevole grado di specializzazione degli operatori di settore, sia essi coltivatori che commercianti e il notevole patrimonio di strutture di lavorazione che assicurano all'area la notorietà di area caroticola per eccellenza. Articolo 7. Controlli e vigilanza I controlli e la vigilanza saranno garantiti da un Organismo conforme all'art. 10 del Reg. CEE2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura II prodotto deve essere posto in vendita in appositi imballaggi nuovi, realizzati in legno, cartone o plastica distinto da apposita etichetta riportante le seguenti indicazioni: La denominazione "CAROTA DELL'ALTOPIANO DEL FUCINO" IGP INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA, realizzata a caratteri almeno doppi a quelli di ogni altra iscrizione. Sulle confezioni di cui sopra devono essere apposti tutti gli elementi atti ad individuare nome, ragione sociale, indirizzo dell'azienda produttrice/confezionatrice e quant'altro previsto dalle norme in materia. E' vietata qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quella prevista dal presente disciplinare. Articolo 9. Utilizzo della denominazione geografìca protetta per i prodotti derivati I prodotti per la cui elaborazione è utilizzata come materia prima la "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP", anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione, senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: la "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" certificata come tale, deve costituire il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori della "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" siano iscritti in apposito registro attivato, tenuto ed aggiornato dall'organismo autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e dallo stesso controllati limitatamente alla denominazione protetta. L'utilizzazione non esclusiva della "Carota dell'Altopiano del Fucino IGP" consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. Articolo 10. Logo II marchio di identificazione è rappresentato, nella parte superiore, dalla scritta di colore verde Pantone P.C.S. (S 274-1 CVS), bordato di nero. Carota dell'Altopiano del Fucino, carattere Cooper blk hd bt, con evidente andamento sinuoso come a rappresentare un'altura nella parte centrale della scritta (Altopiano) e una più bassa nella parte finale (Fucino). Nella parte sottostante, la scritta -INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA, carattere Anal rounded mt bold, di colore bianco ottenuto dal contorno con riempimento di colore blu, Pantone reflex blue. A sinistra delle scritte il logo I.G.P. della CE. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Abruzzo | L'Aquila |
Carota Novella di Ispica Carota Novella di Ispica IGP Disciplinare di produzione - Carota Novella di Ispica IGPArticolo 1. Denominazione L’indicazione Geografica Protetta “Carota Novella di Ispica” è riservata esclusivamente alle carote che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione e caratteristiche al consumo La “Carota Novella di Ispica” ad indicazione geografica protetta è il prodotto della coltivazione della specie Daucus carota L. Le varietà utilizzate derivano dal gruppo di varietà carota semilunga nantese e i relativi ibridi, quali: Exelso, Dordogne, Nancò, Concerto, Romance, Naval, Chambor, Selene. Potranno essere aggiunti altri ibridi purché derivanti dal gruppo di varietà carota semilunga nantese e purché i produttori abbiano dimostrato attraverso prove sperimentali documentate la conformità ai parametri qualitativi della Carota Novella di Ispica. L’utilizzo dei nuovi ibridi ai fini della produzione della Carota Novella di Ispica è consentito previa valutazione positiva delle prove sperimentali da parte del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali che potrà acquisire allo scopo il parere tecnico dell’Organismo di Controllo o di altro soggetto. All’atto della sua immissione al consumo presenta i seguenti parametri qualitativi: 1) Morfologici - forma cilindrica-conica; - assenza di radichette secondarie e radice apicale; - aspetto lucido dell’epidermide; - uniformità di colore; - assenza di fessurazioni del fittone; - calibro minimo: diametro 15 mm – peso 50 g; - calibro massimo: diametro 40 mm – peso 150 g. 2) Fisici - polpa tenera, consistente e croccante; - cuore poco fibroso. 3) Chimici-Nutrizionali - contenuto in glucidi: > 5% del peso fresco; - contenuto in beta-carotene, in considerazione dell’epoca di produzione: > 4 mg/100 g di prodotto fresco; - contenuto in sali minerali: compreso tra 0.5% e 0.9%. 4) Organolettici - sensoriali Le caratteristiche sensoriali sono state valutate attraverso il metodo UNI 10957 del 2003 che ha portato alla definizione di un profilo sensoriale costruito mediante un panel di 12 assaggiatori esperti, secondo quanto definito dalla norma ISO 8586-2 del 2008. Tutte le valutazioni sono state effettuate in locali di analisi in linea con quanto definito dallo standard UNI ISO 8589 del 1989. I descrittori sono stati quantificati utilizzando una scala di intensità a 5 punti secondo lo schema UNI ISO 4121 del 1989 con un intervallo che va dalla più bassa intensità (valore 1) alla più alta (valore 5). Il punteggio minimo espresso dai giudici per i principali descrittori sono i seguenti: - intensità del colore 2.5 - odore tipico di carota 2.5 - aroma erbaceo 2.5 - croccantezza 2.5 Può ottenere il riconoscimento solo la “Carota Novella di Ispica” appartenente alle categorie commerciali Extra e I , definite dalla norma CEE-ONU riguardante la commercializzazione e il controllo della qualità commerciale delle carote, così distinte: a) Categoria extra Le carote di questa categoria devono essere di qualità superiore e obbligatoriamente lavate. Le radici devono essere: - intere; - lisce; - di aspetto fresco; - di forma regolare; - non spaccate; - senza ammaccature e screpolature; - esenti da danni provocati da gelo. Esse non devono presentare la colorazione verde o rosso – violacea. b) Categoria 1° Le carote di questa categoria devono essere di buona qualità. Le radici devono essere: - intere; - di aspetto fresco. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Carota Novella di Ispica” comprende i comuni delle seguenti province fino ad un’altitudine di 550 m.s.l: - provincia di Ragusa: comuni di Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Ispica, Modica, Pozzallo, Ragusa, Santa Croce Camerina, Scicli, Vittoria; - provincia di Siracusa: comuni di Noto, Pachino, Portopalo di Capo Passero, Rosolini; - provincia di Catania: comune di Caltagirone; - provincia di Caltanissetta: comune di Niscemi. Le aree interessate alla coltivazione della Carota di Ispica e appartenenti ai suddetti comuni, sono da sempre state caratterizzate da un’omogeneità delle condizioni climatiche e pedologiche che ne hanno permesso la coltivazione fin dagli anni ’50. Infatti, il territorio di produzione della “Carota Novella di Ispica” è caratterizzato da temperature medie invernali elevate, elevato numero di ore di luce solare, terreni di medio impasto tendente allo sciolto, talvolta al sabbioso, con scheletro non grossolano, con buona dotazione di elementi nutritivi, con buone caratteristiche di profondità e freschezza. La zona di produzione delimitata ha inizio sulla costa sud-occidentale presso la foce del torrente Acate e prosegue risalendo il torrente, che prende il nome di Ficuzza, lungo il confine geografico tra le province di Ragusa e Caltanissetta. In contrada Baudarello continua sul confine tra le province di Caltanissetta e Catania. Giunti a casa Iacona in contrada Terrana, lascia il confine percorrendo una stradella che, costeggiando buona parte del vallone Terrana, passa nei pressi della torre di Terrana, delle case capreria Cocuzza, del mulino Terrana, del Palazzetto e delle case di Cristo incrociando in fine il confine tra le province di Catania e Ragusa. Prosegue poi percorrendo tale confine fino all’incrocio con la statale 514 RG-CT e lungo detta statale continua per circa km. 8 in direzione Ragusa fino in c/da Favarotta. Da qui prosegue lungo la strada provinciale n. 77, attraversando le contrade Ganzeria e Cifali dove presso le case Pizzarelle continua lungo una stradella vicinale, passando presso le case Muliesina e case Don Pietro per giungere alle case Canicarao. Da quì lungo la strada vicinale giunge in contrada Pupi di Canicarao presso l’abitato di Comiso che viene escluso aggirandolo in direzione NordOvest fino a incontrare la strada provinciale n. 20 Comiso-S.Croce Camerina percorrendola in direzione S.Croce fino all’incrocio con la ferrovia. Prosegue poi lungo quest’ultima fino alle case Paolina scendendo per un tratto di circa 1 km, sulla strada provinciale n.13 fino in contrada Passolato, dove si prosegue lungo la linea che separa la zona pianeggiante da quella collinare per arrivare in contrada Mistretta al km. 1 della SP 21. Da qui in linea diretta si prosegue giungendo alkm. 19 della SP 60, Ragusa - S. Croce Camerina, in contrada Malavita. Tale strada si percorre fino a raggiungere l’abitato di S. Croce Camerina che viene aggirato percorrendo la tangenziale Sud-Est, immettendosi così sulla SP 36 S. Croce Camerina-Marina di Ragusa che si percorre fino all’abitato di Marina di Ragusa. Escludendo il centro abitato si percorre la SP 89 Marina di Ragusa-Donnalucata fino a incrociare il fiume Irminio, lungo il quale si risale fino in contrada Scarfaletto per proseguire lungo una strada vicinale, fino alle case Roccasalva sulla SP 38, che si percorre giungendo in contrada Fondo di Marta. Da detta contrada si percorre, in direzione sud, il confine naturale sul ciglio superiore del versante destro del torrente Modica-Scicli che, da contrada Bommacchiella, dopo circa km.4 incrocia la SP 39 in contrada Porta di Ferro. Proseguendo lungo la cava di Pizzilucca si arriva alle case Timpa Rossa dalle quali si prosegue per una strada vicinale fino a incrociare la SP 56 ScicliCava D’alica. Proseguendo su questa passata da Villa S.Marco ci si immette lungo la cava S.Bartolomeo che si percorre fino a incrociare la SS 194 Modica-Pozzallo. Da qui percorrendo porzioni delle SP 41, 43 e 96 si arriva sulla SS 115 al km. 344,500 presso la bettola del Capitano. Da qui si prosegue per la SP 32 che passa per la Cava d’ Ispica e prosegue per contrada Favarottella e ancora per case Poidomani da dove si prosegue percorrendo una stradella vicinale che porta sul fiume Tellaro passando per case Terrenazzo. Passato il fiume in contrada Tatatauso si percorre la strada che porta alla SS 115 dove prosegue in direzione di Noto. In prossimità di Noto prosegue sulla strada che incrocia la SS 115 e che da Noto porta fino a Calabernardo. Articolo 4. Origine del Prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali su cui avviene la coltivazione, dei produttori, dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva entro il mese di dicembre, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Ogni produttore deve possedere degli appositi quaderni di campagna dove registrare tutte le operazioni colturali (lavorazioni, trattamenti di fertilizzazione, fitosanitari, etc.), negli stessi verrà annotato un codice per ogni lotto seminato, che seguirà la partita in tutte le fasi successive (coltivazione, raccolta, trasporto in magazzino, lavorazione e commercializzazione) per garantire in qualsiasi momento la tracciabilità e la totale trasparenza a tutela del consumatore. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Tecniche di produzione 5.1 - Lavorazioni preparatorie Le lavorazioni preparatorie principali consistono nell’eseguire un’aratura profonda 40-50 cm almeno un mese prima della semina. Successivamente si eseguiranno le lavorazioni preparatorie complementari volte ad ottenere un amminutamento e affinamento dello strato arato, mediante strumenti discissori e una o più fresature per interrare la concimazione di base. Ultima lavorazione prima della semina sarà effettuata con l’aiolatrice per la formazione delle prode rialzate in cui vengono seminate le carote. 5.2 – Tecniche di avvicendamento La rotazione colturale deve essere effettuata allo scopo di ridurre le problematiche fitosanitarie e di evitare fenomeni di stanchezza del terreno. A tal fine dovrà essere attuata una rotazione triennale e, pertanto, la coltivazione di carota non potrà ritornare sullo stesso appezzamento prima che siano trascorse due annate agrarie. E’ ammessa la coltivazione sullo stesso appezzamento per due annate successive solo nei terreni in cui non sia stata mai coltivata la carota (ad esempio terreni in cui vi è stato un espianto di colture arboree). La rotazione non è di tipo “chiuso”, nel senso che la coltivazione di carota può essere avvicendata con ortaggi da pieno campo, cereali e leguminose con schemi di rotazione “aperta”, secondo le programmazioni colturali aziendali. E’ da escludere ogni forma di consociazione. 5.3 - Semina La semina è eseguita in autunno e effettuata con l’ausilio di seminatrici pneumatiche di precisione a sesto prestabilito e successiva rullatura con interramento medio del seme a cm 1. L’investimento colturale varia da 1.500.000 a 2.000.000 di semi per ettaro di superficie a seconda del sistema colturale adottato. 5.4 - Fertilizzazione La fertilizzazione viene effettuata con un intervento in pre-semina (concimazione di base) e un paio di interventi post-emergenza (concimazione di copertura). Le unità fertilizzanti (U.F.) distribuite vengono calcolate in relazione ai livelli di asportazione della coltura per una resa media stimata in 400 – 500 quintali per ettaro, privilegiando sempre concimi misto-organici onde evitare accumulo di nitrati nei fittoni. E’ ammesso l’uso di concimi a base di meso e micro elementi. In ogni caso non possono essere superate le seguenti quantità di U.F. ad ettaro: Sono ammesse due o più sarchiature atte ad eliminare le erbe infestanti, migliorare la sofficità del terreno e distribuire i concimi di copertura. 5.5 - Irrigazione Svolgendosi il ciclo vegetativo della pianta nel periodo autunnale – invernale – primaverile, le irrigazioni verranno effettuate per aspersione o irrigazione localizzata, utilizzando 150-300 mc di acqua per ettaro. 5.6 - Difesa fitosanitaria La difesa fitosanitaria viene basata sui principi della lotta integrata, attraverso interventi agronomici (semine rade, rispetto delle rotazioni colturali, scelta degli appezzamenti di coltivazione in funzione dell’esposizione, semine tardive nella seconda decade di ottobre meno suscettibili agli attacchi di alternaria), biologici (utilizzo di Bacillus per la lotta a lepidotteri nottuidi, oculata scelta delle varietà) e chimici. La lotta chimica va effettuata solo nei casi in cui il fitofago raggiunge le soglia di intervento o nei casi in cui si verificano le condizioni ottimali di sviluppo di alcuni patogeni. Per le malattie crittogamiche quali: Sclerotinia, Oidio, Rizoctonia, si interviene alla comparsa dei sintomi, mentre per l’Alternaria il mezzo chimico viene utilizzato dopo una attenta valutazione di alcuni parametri riguardanti le condizioni favorevoli di sviluppo del patogeno (elevata umidità, prolungata bagnatura delle foglie, temperature diurne superiori ai 10° C) e lo stadio fenologico delle piante (elevato vigore, notevole sviluppo epigeo, tenerezza dei tessuti). I danni da fitofagi sulla “Carota Novella di Ispica” sono normalmente poco rilevanti perché quasi tutto il ciclo della coltura coincide con il periodo di riposo invernale degli insetti e, pertanto, gli interventi con insetticidi chimici sono molto limitati. Tuttavia, in caso di erosioni precoci delle plantule, da parte di lepidotteri nottuidi (Agrotis spp.), il trattamento è giustificato al raggiungimento della soglia di intervento (1-2 larve oppure 1-2 piante erose per metro quadrato). 5.7 - Raccolta La raccolta, effettuata giornalmente, sarà eseguita a partire dal 20 febbraio e fino al 15 di giugno. Viene eseguita con l'ausilio di macchine raccoglitrici a operazioni riunite atte, come tali, a svolgere l’intera fase di raccolta in una sola passata in campo. Tali macchine sono, in genere, di tipo trainato o portato posteriormente dalla trattrice, con organi di lavoro comandati dalla p.d.p. e operano su una o due file di lavoro. Sono costituite da: un apparato defogliatore o cimatore; un apparato sterratore e caricatore dei fittoni in appositi contenitori. L’apparato estirpatore consiste in un vomerino che solleva il fittone, completo di apparato fogliare. Questo poi viene preso da una coppia di cinghie gommate che lo sollevano portandolo al dispositivo di cimatura del tipo a lama oscillante. Mentre le foglie vengono espulse verso la parte posteriore cadendo a terra, i fittoni cadono in un sottostante trasportatore trasversale a barrette rivestite di gomma che provvedono ad una prima separazione dalla terra. Altri trasportatori – elevatori, poi completano tale pulizia, provvedendo a riversare i fittoni in appositi contenitori (bins) che, una volta riempiti, vengono scaricati a terra. 5.8 - Lavorazione del prodotto La lavorazione del prodotto fresco raccolto sarà eseguita giornalmente con le linee di lavorazioni presenti nelle aziende. Le fasi principali che caratterizzano il processo di lavorazione delle carote sono le seguenti: lavaggio, selezione scarti, calibratura, confezionamento. Le strutture di condizionamento e lavorazione devono ricadere nella zona di produzione individuata all’art. 3 del presente disciplinare, al fine di garantire la qualità, il controllo e la tracciabilità del prodotto. La data finale per la commercializzazione viene fissata al 15 giugno. Le operazioni di produzione e di primo condizionamento devono avvenire nella zona di produzione individuata al punto 4.3, al fine di garantire la qualità, il controllo e la tracciabilità del prodotto. Sono ammesse ulteriori riconfezionamenti al di fuori dell’ area geografica delimitata. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il riconoscimento della Carota Novella di Ispica come indicazione geografica protetta è giustificato dalla caratteristica di precocità del prodotto. La particolare combinazione di fattori pedoclimatici e produttivi nell’area delimitata a cui si fa riferimento, consente al territorio di esprimersi al meglio, offrendo al prodotto le note caratteristiche organolettiche, giustificando quindi la sua reputazione. Le favorevoli condizioni pedo-climatiche caratterizzano l’epoca di produzione della “Carota Novella di Ispica”. Infatti, la Carota di Ispica è “novella” cioè raggiunge la maturazione commerciale già alla fine di Febbraio (20 febbraio) e fino agli inizi di Giugno (15 giugno). Si delinea così un prodotto novello, tipico siciliano, che si lega totalmente al territorio di produzione. La “Carota Novella di Ispica”, pertanto, è una carota presente sul mercato nel periodo invernale – primaverile avente le caratteristiche organolettiche tipiche del prodotto fresco, quali croccantezza, profumo intenso ed un aroma di erbaceo. Il territorio di produzione della “Carota Novella di Ispica” è caratterizzato da temperature medie invernali elevate, elevato numero di ore di luce solare, terreni di buona fertilità. I parametri qualitativi e il particolare ciclo produttivo risultano intimamente legati alle caratteristiche fisiche (pedologiche e climatiche) e biochimiche (processi di trasformazione e utilizzazione delle sostanze necessarie alla vita) che interagendo, fanno del territorio ibleo un indispensabile sistema armonico, capace di esaltarli e caratterizzarli. La vocazionalità del territorio ne facilita la coltivazione in quanto le ottimali condizioni ambientali e in particolare il clima temperato e asciutto della fascia costiera, consentono alla pianta di mantenere un’ottima salubrità generale. Nel contempo l’estensione del comprensorio consente alle aziende un più ampio avvicendamento colturale con altre ortive, evitando i fenomeni negativi di stanchezza del terreno. Tutto questo, in generale, permette una netta riduzione degli interventi fitoiatrici. Nel territorio interessato alla produzione della “Carota Novella di Ispica” non si verificano né eccessivi cali di temperatura, né eccessi di piovosità o di aridità. E’ dimostrato che le temperature che si verificano nel comprensorio sono quelle che favoriscono una colorazione molto intensa, anche per effetto non indifferente della luminosità, una conformazione molto regolare e un’ottimizzazione dei contenuti in zuccheri, beta carotene e sali minerali. Anche i terreni rispondono alle esigenze della coltivazione, che predilige il medio impasto tendente allo sciolto, con scheletro non grossolano, con buona dotazione di elementi nutritivi, con buone caratteristiche di profondità e freschezza, ma che va bene anche in terreni tendenti al sabbioso purché sostenuti da adeguate concimazioni e irrigazioni. Questi di fatto sono le caratteristiche pedologiche delle superfici su cui si sviluppa la coltivazione della “Carota Novella di Ispica”. Nasce così in un’intima connessione tra l’area di produzione e la carota novella. Il consumatore identifica le sue caratteristiche con il territorio di origine. I vecchi produttori ricordano ancora che gli importatori europei dicevano di riconoscere immediatamente un carico di “Carota Novella di Ispica”, appena si apriva il vagone che le conteneva, per il profumo particolare e intenso che si sviluppava. Nello stesso tempo nel territorio, a cominciare dagli anni ‘50, accadeva una rivoluzione socio – economica che segnerà il territorio e che ne caratterizzerà il suo sviluppo nel futuro. Rimane ancora il ricordo di quel grosso fenomeno sociale della migrazione bracciantile che avveniva nelle provincie di Ragusa e Siracusa nel periodo della raccolta della “Carota Novella di Ispica” che, nel passato impegnava notevoli quantità di manodopera, innescando un flusso verso le zone del comprensorio proveniente, in particolare, dall’area montana dove le occasioni di lavoro erano limitate. Sin dagli anni 70 l’intima connessione della “Carota Novella di Ispica” con il territorio del comprensorio delimitato è stata occasione di pubblicazioni scientifiche (Pina avveduto, “La coltivazione della Carota ad Ispica”, L.E.R, 1972), convegni, tesi di laurea con riferimenti a prove e sperimentazioni svolte nel territorio del comprensorio, (G. Corallo, “La carota ad Ispica”, A.A 1969-1670, Università degli studi di Catania –Facoltà di Economia e Commercio). Le origini documentate della coltivazione della carota di Ispica risalgono al 1955 e a pochi anni dopo le prime notizie sulla sua esportazione. Dagli anni ’50, la coltivazione della Carota di Ispica si è progressivamente allargata fino a comprendere l’area delimitata al punto 4, sia per motivi legati al fenomeno agrario della “stanchezza del terreno” sia per il grande successo commerciale riscontrato sui mercati nazionali ed esteri. Importanti testimonianze sono fornite dalla pubblicazione di Pina Avveduto “La Coltivazione della Carota ad Ispica” del 1972, l’autrice relativamente alla rapida espansione della coltivazione della Carota di Ispica scriveva: “ Come è intuibile , la rapida diffusione della nuova coltivazione è stata favorita dalla facile commerciabilità del prodotto, accettato ed anzi richiesto da tutti i mercati nazionali ed internazionali per i sui pregi intrinseci […]. La nostra carota infatti si fa preferire per precocità, qualità di forma (pezzatura), proprietà organolettiche (colore, sapore), proprietà chimiche ( ricchezza di carotene e glucosio)”. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo Suolo e Salute, Via Paolo Borsellino, 12/B - 61032 Fano (PU), tel./ fax. +39 0721 860543, e-mail : info@suoloesalute.it. Articolo 8. Confezione ed Etichettatura La “Carota Novella di Ispica” IGP è confezionata in imballaggi sigillati, in maniera tale che l’apertura della confezione comporti la rottura del sigillo. Sono ammesse le seguenti confezioni: - vassoio fino a 2 kg ricoperto da film di protezione; - sacco di peso compreso tra 1 e 6 kg, in polietilene o polipropilene; - sacco salva-freschezza di peso compreso tra 6 e 12 kg. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e le informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: - logo della denominazione “Carota Novella di Ispica” IGP; - il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice; - la categoria commerciale di appartenenza “extra” e “I”. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore. Il logo della “Carota Novella di Ispica” si compone di un segno grafico (colore arancio) che rappresenta una carota, sormontato da un triangolo irregolare (verde) con il vertice rivolto verso il basso. Il segno grafico è disposto a sinistra rispetto alla dicitura “Carota Novella di Ispica”. La “N” maiuscola di “Novella” interseca la sagoma della carota circa a metà della propria altezza, mentre la dicitura “di Ispica” viene riportata sotto ”Novella”, tutte le lettere sono di colore verde. I caratteri hanno le estremità arrotondate. I colori pantone di riferimento sono: Pantone 348 C (verde) stampa in quadricromia: C=100; M=0; Y=79; K=27; Pantone 144c (arancio) stampa in quadricromia: C=0; M=47; Y=100; K=0. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Ragusa, Siracusa, Catania, Caltanissetta |
Castagna Cuneo Castagna di Cuneo IGP Disciplinare di produzione - Castagna di Cuneo IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Piemonte | Cuneo |
Castagna del Monte Amiata Castagna del Monte Amiata IGP Zona di produzioneLa indicazione geografica protetta "Castagna del Monte Amiata IGP" è stata registrata con Reg. CE 1904/00. Il disciplinare di produzione è stato modificato nel dicembre 2010. Zona di produzione: Toscana. La zona di produzione della Castagna del Monte Amiata comprende i comuni di Arcidosso, Casteldelpiano, Santa Fiora, Seggiano, Cinigiano e Roccalbegna in provincia di Grosseto e i comuni di Castiglione d'Orcia, Abbadia S. Salvatore e Piancastagnaio in provincia di Siena. Sono pertanto da considerarsi idonee le fustaie di castagne da frutto site nella zona fitoclimatica del «Castanetum» del Monte Amiata, ubicate nella fascia compresa tra i 350 e i 1 000 m.s.l.m., coltivate in terreni derivanti in massima parte da rocce vulcaniche e arenacee e comunque a prevalente o abbondante componente silicea. Fin dal XIV secolo all'interno degli Statuti delle Comunità dell'Amiata si registrano precise norme per la salvaguardia e lo sfruttamento della risorsa «castagno», in merito sia alla raccolta dei frutti sia alla raccolta del legname da opera o a scopo energetico. CaratteristicheLa Castagna del Monte Amiata IGP designa le castagne riferibili alle varietà correntemente conosciute come: Marrone, Bastarda Rossa, Cecio. Cecio L’albero, di grandi dimensioni, ha lento sviluppo, la chioma è folta con rami espansi, il tronco marrone scuro e i rametti sono grossi e lisci. Le gemme sono piccole e coniche e le foglie ovato-lanceolate.Il frutto è generalmente di grosse dimensioni con una forma globosa. Il pericarpo è bruno-rossastro, lucente, con striature più scure. L’episperma ha color fulvo chiaro e si asporta facilmente. Il seme ha un color crema chiaro ed al gusto risulta dolce. È una cultivar precoce di buon pregio e buona conservabilità, ed è utilizzata per consumo fresco e per l’industria alimentare. Bastarda Rossa L’albero è di grandi dimensioni e ha medio sviluppo. La chioma è aperta e i rami espansi, i rametti sono lisci color fulvo ed il tronco è grigio chiaro. Le gemme sono medio piccole e le foglie lanceolate-ellittiche. Il frutto ha grandi dimensioni e forma ovale con apice poco pronunciato. Il pericarpo è persistente di colore rossastro con striature marroni poco evidenti al tatto. L’episperma è piuttosto aderente di colore avana, con difficoltà media di asportazione. Il seme ha un colore crema chiaro e sapore dolce. È una varietà di buon pregio particolarmente diffusa per il consumo fresco. Marrone L’albero, di medie-grandi dimensioni, ha buon vigore e sviluppo vegetativo. La sua chioma è aperta con rami eretti, e talvolta penduli. Il tronco è rugoso e marrone grigiastro, i rametti lisci sono di notevole grandezza. Le gemme sono grandi di color rosso fulvo e le foglie ellittico-lanceolate. A seconda della zona di origine, il frutto ha generalmente dimensioni grandi e forma variabile tra obovata-rotondeggiante ed ovale-ellittica. Anche il pericarpo, ossia l’involucro esterno, può avere una maggiore o minore consistenza con striature in rilievo, più o meno pronunciate, di colore variabile dal rosso fulvo al marrone rossastro. L’episperma, l’involucro interno, può essere di colore avana o marrone, facilmente asportabile, ed il seme generalmente ha un colore bianco crema, dal sapore particolarmente dolce e delicato. Ha un elevato valore commerciale ed essendo una varietà di pregio viene usata per il consumo fresco, ma in maniera speciale, per l’industria dolciaria. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Grosseto, Siena |
Castagna di Montella Castagna di Montella IGP Disciplinare di produzione - Castagna di Montella IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Avellino |
Castagna di Vallerano Castagna di Vallerano DOP Disciplinare di produzione - Castagna di Vallerano DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Viterbo |
Ciliegia dell'Etna Ciliegia dell'Etna DOP Disciplinare di produzione - Ciliegia dell'Etna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Le categorie di vendita della “Ciliegia dell’Etna sono così definite:
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania |
Ciliegia di Marostica Ciliegia di Marostica IGP Disciplinare di produzione - Ciliegia di Marostica IGPArticolo 1.
Articolo 2. Piattaforma varietale La denominazione "Ciliegia di Marostica" designa i frutti ottenuti dalla coltivazione delle seguenti varietà: a) precocissime "Sandra" e "Francese", quest’ultima ascrivibile alla varietà Bigareaux, Moreaux e Burlat; b) medio precoce "Roana" e il durone precoce "Romana"; c) tardive duracine: "Milanese", "Durone Rosso" (Ferrovia simile) e "Bella Italia"; d) "Sandra Tardiva"; ed inoltre le varietà "Van"; "Giorgia"; "Ferrovia"; "Durone Nero I"; "Durone Nero II"; "Mora di Cazzano"; "Ulster". Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della "Ciliegia di Marostica" comprende i territori dei seguenti comuni in provincia di Vicenza: Salcedo, Fara Vicentino, Breganze, Mason, Molvena, Pianezze, Marostica, Bassano, limitatamente al territorio che si estende alla destra idrografica del fiume Brenta ed infine la parte del territorio del comune di Schiavon così delimitata: a est della statale per Vicenza la porzione a nord di via Olmi fino all’altezza di via Vegra; ad ovest della statale per Vicenza la porzione a nord di via Roncaglia Vecchia. Articolo 4. Ambiente di coltivazione e tecnica colturale L’ambiente di coltivazione e la tecnica colturale per la produzione della "Ciliegia di Marostica" sono le seguenti: terreni: i terreni dovranno essere ubicati nella zona di produzione di cui al precedente art. 3 con esclusione di quelli pianeggianti non drenati; preparazione del terreno: la preparazione dei terreni per l’impianto dovrà essere eseguita con idonea lavorazione della superficie interessata. Nei terreni di collina è obbligatoria almeno l’esecuzione di una lavorazione localizzata a "buche", con dimensioni minime delle stesse di metri 1,0 x 1,0 x 1,0. È obbligatoria l’effettuazione di analisi chimico fisiche del terreno oggetto d’impianto da eseguirsi secondo i metodi ufficiali di analisi chimica del suolo allo scopo di predeterminare la necessità e la quantità di eventuali concimazioni di fondo; impianto: viene ammesso esclusivamente l’impiego di astoni innestati su Prunus Avium. È ammesso l’uso sia di astoni innestati con le varietà di cui al precedente art. 2 e l’innesto a dimora del selvatico con le varietà medesime; forma di allevamento: sono ammesse tutte le forme di allevamenti sia in volume che in parete. Per le forme in volume la chioma dovrà assumere una forma mono/poli conica o tronco/conica, con base/i all’estremità inferiore. Gli impianti dovranno in ogni caso rispondere ai seguenti altri requisiti: le chiome di alberi contigui dovranno essere tra loro separate, ovvero senza presenza di intersecamenti tra rami delle stesse; assenza di seccumi interni alle chiome; densità e distribuzione delle ramificazioni dovranno essere tali da garantire illuminazione e arieggiamento di tutta la chioma degli alberi; per i nuovi impianti, i sesti non dovranno essere inferiori alle seguenti ampiezze minime: metri 4,00 sul filare e metri 4,00 tra i filari; consociazione varietale: la distribuzione delle varietà nell’impianto dovrà essere rapportata all’epoca di fioritura e di maturazione delle stesse, predisponendo i nuovi impianti per blocchi varietali omogenei per epoca di fioritura e maturazione delle varietà comprese in uno stesso blocco varietale o di consociazione varietale; difesa fitosanitaria: allo scopo do salvaguardare e tutelare il patrimonio apistico locale: sono rigorosamente vietati gli interventi antiparassitari durante la fase della fioritura; prima dell’esecuzione di eventuali interventi dovrà essere eseguita la trinciatura dell’erba oppure lo sfalcio e la raccolta della stessa. La difesa fitosanitaria dovrà comunque essere attuata secondo i criteri della difesa integrata. Per il preventivo contenimento del rischio di infezioni di Monilia sui fiori, è obbligatoria la potatura di arieggiamento delle chiome e l’eliminazione dagli alberi delle eventuali produzioni non raccolte; raccolta e condizionamento: la raccolta delle ciliegie deve essere effettuata a mano, disponendo il prodotto in contenitori con pareti rigide. Già in azienda agricola le ciliegie devono essere sottoposte a cernita per eliminare i frutti di scarto e con pezzatura insufficiente. Fino al momento della consegna per la commercializzazione i frutti devono comunque essere mantenuti in luoghi freschi e ombreggiati per evitare perdite di qualità e conservabilità. Qualora non venisse effettuata una commercializzazione della produzione nell’arco delle 48 ore i frutti dovranno essere sottoposti a raffreddamento anche con la tecnica dell’idrocooling. Articolo 5. Controlli Gli impianti idonei alla produzione dell’I.G.P. "Ciliegia di Marostica" sono iscritti in un apposito elenco attivato, tenuto e aggiornato dall’organismo di controllo di cui all’art. 10, comma 2, del regolamento (CEE) n. 2081/92. Il produttore o l’organismo associativo deve comunicare all’organismo di controllo la data indicativa d’inizio raccolta dieci giorni prima che avvenga la stessa. Entro trenta giorni dalla data di fine raccolta, il produttore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale di produzione annuale. Analogamente, alla fine del periodo di commercializzazione il confezionatore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale. Articolo 6. Caratteristiche del prodotto Caratteristiche qualitative: le caratteristiche qualitative del prodotto devono essere, tranne che per il calibro, quelle corrispondenti alla categoria "I" stabilite dalle norme comunitarie di commercializzazione. Calibrazione: la calibrazione è determinata dal diametro massimo della sezione normale all’asse del frutto. Le ciliegie devono avere un calibro minimo di 20 mm. Colorazione: la colorazione dei frutti commerciabili dovrà in linea generale essere: - rosso fuoco/rosso scuro per le ciliegie appartenenti alle seguenti varietà: Francese, Sandra, Durone rosso, Milanese, Ferrovia, Mora di Cazzano, Romana; - rosso scuro per le altre varietà. Tolleranze: è consentita una tolleranza nella calibrazione e colorazione del 10% in numero o in peso di ciliegie non rispondenti alle caratteristiche sopra indicate. Articolo 7. Confezionamento Disposizioni generali relative alla presentazione Per essere ammesse al consumo le ciliegie dovranno essere confezionate in apposito contenitore (di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo) con una capacità della minima unità commercializzabile pari al massimo di 10 kg di prodotto. Omogeneità Il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere esclusivamente ciliegie di uguale varietà e qualità. La grandezza dei frutti deve essere omogenea. Inoltre le ciliegie devono presentare colorazione e maturazione uniformi. La parte visibile del contenuto dell’imballaggio deve essere rappresentativa dell’insieme. Condizionamento I materiali utilizzati all’interno dell’imballaggio devono essere nuovi, puliti e di sostanze che non possano provocare alterazioni esterne o interne dei prodotti. L’impiego di materiali e in particolare di carte o marchi recanti indicazioni commerciali deve essere effettuato solo con stampa o etichettatura realizzate con inchiostro o colla non tossici. Gli imballaggi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. All’esterno di ogni imballaggio devono essere apposte con indicazione diretta o con apposita etichetta le seguenti indicazioni: CILIEGIA DI MAROSTICA – I.G.P. inoltre, nello stesso campo visivo, devono essere indicati gli estremi atti ad individuare: - nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore; - data di confezionamento. Deve essere inoltre inserito il logo sotto riportato e raffigurante una ciliegia di colore rosso pantone 032C con peduncolo, di colore verde pantone 361C, con foglia di colore grigio pantone 404C, sovrapposta ad una torre medioevale che rappresenta un pezzo della scacchiera della partita a scacchi, di colore grigio pantone 404C, su sfondo bianco e con ai margini riportata la scritta "Ciliegia di Marostica Ciliegia I.G.P.", carattere serie Elvetica, di colore rosso pantone 032C; la dimensione dei disegni f.to cm 9x7 e cm 3x4 del logo, la grandezza dei caratteri per le etichette grandi 28/29 punti, per le etichette piccole 11/12 punti, per le dimensioni il logo apposto sulle confezioni dovrà rispettare il rapporto altezza/base pari a 1,2. | I.G.P. Cigliegia marostica Video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=i2_xpeYcxkw[/embedyt] | Ortofrutticoli | Veneto | Vicenza |
Ciliegia di Vignola Ciliegia di Vignola IGP Disciplinare di produzione - Ciliegia di Vignola IGPArticolo 1. Denominazione. L’Indicazione Geografica Protetta “Ciliegia di Vignola” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto. La denominazione “Ciliegia di Vignola” designa il frutto delle seguenti cultivar di ciliegio: Precoci: Bigarreau Moreau, Mora di Vignola; Medie: Durone dell’Anella, Anellone, Giorgia, Durone Nero I, Samba, Van; Tardive: Durone Nero II, Durone della Marca, Lapins, Ferrovia, Sweet Heart; coltivate nel territorio definito nel successivo art. 3. Caratteristiche qualitative La “Ciliegia di Vignola” deve rispondere alle seguenti caratteristiche qualitative: - polpa consistente e croccante ad esclusione della Mora di Vignola; - buccia sempre lucente ma di colore giallo e rosso brillante per la varietà Durone della Marca e di colore dal rosso brillante al rosso scuro per tutte le altre varietà; - sapore dolce e fruttato; - gradi brix non inferiori a 10° per le varietà precoci e 12° per tutte le altre; - acidità da 5 a 10 g/l di acido malico. In relazione alla tipologia varietale vengono definiti i seguenti calibri minimi: 20 mm: Mora di Vignola 21 mm: Durone dell’Anella, Giorgia, Durone Nero II, Durone della Marca, Sweet Heart 22mm: Bigarreau Moreau, Lapins, Van 23 mm: Durone Nero I, Anellone, Samba, Ferrovia. All’atto dell’immissione al consumo i frutti devono essere: - integri, senza danni; - provvisti di peduncolo; - puliti, privi di sostanze estranee visibili; - sani, esenti da marciumi e da residui visibili di fitofarmaci; - esenti da parassiti. Articolo 3. Zona di produzione. La zona di produzione della “Ciliegia di Vignola” consiste nella fascia formata dal tratto pedemontano del fiume Panaro e altri corsi d’acqua minori, dai 30 metri s.l.m. fino alla quota di 950 metri e comprende il territorio dei seguenti Comuni delle Province di Modena e Bologna: 1) In Provincia di Modena: Castelfranco Emilia, Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Guiglia, Lama Mocogno, Marano sul Panaro, Modena, Montese, Pavullo nel Frignano, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Serramazzoni, Spilamberto, Vignola, Zocca; 2) In Provincia di Bologna: Bazzano, Casalecchio di Reno, Castel d’Aiano, Castello di Serravalle, Crespellano, Gaggio Montano, Marzabotto, Monte S. Pietro, Monteveglio, Sasso Marconi, Savigno, Vergato, Zola Predosa. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione degli agricoltori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. Forme di allevamento Le forme di allevamento sono palmetta libera, bandiera, vaso basso, vaso ritardato, con densità per ettaro fino a 1000 piante. Concimazione Il piano di concimazione prevede comunque di non superare annualmente le seguenti dosi massime: - Azoto 100 Kg/Ha; - Anidride fosforica 70 Kg/Ha; - Ossido di potassio 100 Kg/Ha. Potatura La potatura viene effettuata durante tutto l’arco dell’anno. Difesa fitosanitaria La difesa dei ceraseti viene condotta: - attuando la lotta convenzionale in uso nella zona, con osservanza delle norme di buona pratica colturale dettate dalla Regione Emilia Romagna; - attuando la lotta integrata, ottenuta nel rispetto delle norme tecniche previste dal Disciplinare della Regione Emilia Romagna; - attuando la lotta biologica, secondo il Reg. CE n. 834/2007 e successive modifiche. Il metodo prescelto viene utilizzato in modo esclusivo per l’intero processo produttivo. L’utilizzo di regolatori di crescita per l’incremento dell’allegagione e del calibro dei frutti e prevenzione dello spacco è ammesso nei termini previsti dalla normativa vigente. E’ ammessa la copertura dei fruttiferi con teli di plastica per prevenire il cracking indotto dalle piogge. Raccolta Le varietà precoci vengono raccolte dal 1° maggio al 30 giugno; le varietà medie dal 15 maggio al 15 luglio e le tardive dal 25 maggio al 30 luglio. Le ciliegie devono essere raccolte a mano provviste di peduncolo. Articolo 6. Legame con l’ambiente. La produzione della “Ciliegia di Vignola” è legata a molti fattori, in connessione tra loro, pedoclimatici, tecnici, agronomici, sociali, culturali ed economici, specifici dell’areale di coltivazione. Il range di coltivazione delle ciliegie va dai 30 metri ai 950 metri sul livello del mare. Al di fuori della zona geografica delimitata non viene coltivato ciliegio; nelle zone limitrofe infatti la coltivazione è stata da tempo abbandonata, in quanto la produzione e la qualità del prodotto risultavano nettamente inferiori rispetto al prodotto proveniente dall’interno della zona delimitata, tali da renderne economicamente non vantaggiosa la coltivazione. I terreni, di origine alluvionale sono tendenzialmente sciolti, ben drenati e freschi, e sono resi particolarmente fertili dai sedimenti trasportati, durante gli episodi di alluvionamento, dal fiume Panaro e da altri corsi d'acqua minori; le caratteristiche di questi terreni fanno sì che il ciliegio cresca particolarmente rigoglioso Il clima è fresco e scarsamente continentale con precipitazioni primaverili abbondanti ed estati mai troppo siccitose. La quantità della radiazione solare, non eccessivamente elevata, influenza positivamente l’intensità di colorazione delle drupe e stimola la loro naturale lucentezza, permettendo di presentare sul mercato un prodotto esteticamente eccellente senza ricorrere a trattamenti particolari. Oltre alle peculiarità pedoclimatiche del territorio e all’eccezionalità del microclima sopra descritto, gli altri fattori che determinano l’eccellente qualità e la reputazione della ciliegia di Vignola sono la sapienza e la capacità dei produttori; queste vengono tramandate da padre in figlio attraverso le generazioni, e consistono nella tecnica agronomica, nella raccolta e nel confezionamento del prodotto, effettuati esclusivamente a mano, che permettono di presentare al consumatore un prodotto unico nella sua specie. L’assortimento varietale che nel corso del tempo si è affermato nella zona geografica e lo sviluppo della coltivazione in un’ampia fascia altimetrica assicurano un ampliamento del calendario di raccolta e la presenza del prodotto sul mercato per l’intera stagione di produzione ottenendo regolarmente il gradimento dei consumatori e un positivo riscontro sui prezzi. Le Ciliegie di Vignola vengono selezionate con dimensioni maggiori di quelle stabilite dalle norme di commercializzazione e raggiungono calibri di oltre 28 mm. Questa particolarità fa si che, come testimoniato da indagini di mercato e studi svolti da società specializzate, in mercati quali Torino, Milano, Amburgo il prezzo delle Ciliegie di Vignola sia quasi sempre superiore rispetto a quello dei diretti concorrenti, e che per la maggior parte dei consumatori Vignola venga associata alla zona di produzione delle ciliegie per eccellenza. Gli agricoltori dell’area geografica identificata, da tempo concentrano l’offerta di ciliegie in Vignola, dove già dal 1928 era presente il Mercato Ortofrutticolo di Vignola, uno dei più antichi d’Italia, seguito poi da altre strutture di lavorazione e commercializzazione. L’affermazione della Ciliegia di Vignola ha consentito pertanto lo sviluppo di un forte indotto commerciale, con un’importante ricaduta sull’intera filiera che va dalla produzione alla commercializzazione del frutto; si sono infatti sviluppate nel territorio: - circa 1.100 aziende agricole; - 3 cooperative di lavorazione/commercializzazione; - 1 Mercato Ortofrutticolo che comprende 4 commissionari; - Alcuni commissionari e commercianti che svolgono l’attività presso le loro sedi; - Artigiani, produttori di imballaggio, trasportatori e raccoglitori. Da questi dati è evidente l’importanza sociale ed economica che la Ciliegia di Vignola riveste per l’intero areale di produzione. L’importanza economica e culturale della Ciliegia di Vignola per il territorio che storicamente la produce è stata testimoniata nel corso degli anni da numerose edizioni di fiere, sagre e pubblicazioni; grande importanza rivestono per Vignola la “Festa dei Ciliegi in Fiore”, la cui prima edizione si tenne nell’aprile del 1970, e la festa “a Vignola, è tempo di Ciliegie”, organizzata dall’1989. L’Associazione Nazionale “Città delle Ciliegie”, fondata nel giugno del 2003 , indice ogni anno un Concorso Nazionale “Ciliegie d’Italia” in occasione della Festa Nazionale “Città delle Ciliegie” organizzata ogni anno in una località differente; le ciliegie di Vignola hanno vinto il primo premio nel 2005 a Celleno (VT), nel 2006 a Orvieto (TR) e nel 2009 a Bracigliano (SA), confermando la reputazione di elevata qualità che la Ciliegia di Vignola è stata in grado di ottenere negli anni. L’insieme di questi fattori ha determinato che i consumatori identificassero la produzione dell’area con il nome di Ciliegia di Vignola. Storicamente vari documenti scritti evidenziano che la coltivazione del ciliegio a Vignola risale, attraverso la presenza di alberi adulti inseriti in consociazione con la vite, già a metà dell’Ottocento. Le due colture nel tempo si alternano, con prevalenza ora dell’una ora dell’altra a seconda della zona, poi emerge decisamente il ciliegio, più longevo e adatto alle peculiarità pedoclimatiche della zona. Le produzioni agricole dalla fine del secolo progrediscono progressivamente, dal secondo dopoguerra la produzione aumenta notevolmente generando un notevole indotto commerciale e artigianale tale da far diventare la Ciliegia di Vignola il biglietto da visita di Vignola in tutti i mercati italiani ed esteri. “L’indagine sulla coltivazione del ciliegio in Provincia di Modena” realizzata a Vignola, nel febbraio del 1977, dalla Camera di Commercio di Modena e che fa riferimento alla produzione e alla commercializzazione della “Ciliegia di Vignola” dimostra che la denominazione “Ciliegia di Vignola” è sin da allora presente nell’uso del linguaggio comune e commerciale. Articolo 7. Controlli. Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dalla struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE n. 510/06. L’organismo di controllo prescelto è Agroqualità S.P.A. – P.zza Marconi, 25 – 00144 Roma. Tel. +39 0654228675 Fax. +39 0654228692 – e-mail: agroqualita@agroqualita.it. Articolo 8. Etichettatura e confezionamento. Confezionamento La “Ciliegia di Vignola” I.G.P. viene immessa sul mercato nelle seguenti confezioni, sigillate in modo che l’apertura della confezione stessa non ne permetta il riutilizzo: - plateaux in legno, cartone o plastica da 5 kg, divisa in due parti da appositi cartoncini disposti in senso trasversale, rispetto al lato lungo. - plateaux in cartone, legno o plastica 40x60 contenente 10/12 vassoi per un totale di 5 o 6 kg. - plateaux in cartone, legno o plastica 30x40 contenente 6 vassoi da g. 500 per un totale di kg. 3. - confezione in cartone da g. 1200, 2000 e 2500. - confezione a sacchetto in film polimerico traspirante da g. 250, 500 e kg. 1. Il contenuto di ciascuna confezione dovrà essere omogeneo e comprendere ciliegie della stessa qualità e varietà; sono previste le seguenti classi di calibro: - da 20 a 24 mm - da 24 a 28 mm - oltre 28 mm Il condizionamento, cioè la preparazione adeguata del prodotto all’imballaggio e alla confezione, nonché il confezionamento negli imballaggi indicati, devono essere effettuati all’interno della zona di origine; la Ciliegia di Vignola è un frutto particolarmente deperibile e necessita di essere manipolato il meno possibile, così da evitare lesioni della polpa e/o della buccia, che determinerebbero marciumi e altri difetti che la renderebbero non commercializzabile. Una delle caratteristiche di specificità della Ciliegia di Vignola è quella che il prodotto viene lavorato e confezionato subito dopo la raccolta, direttamente in azienda o presso le cooperative del comprensorio. In questo modo il prodotto arriva al mercato e al consumatore in tempi brevi e senza ulteriori manipolazioni garantendo quindi la freschezza, l’integrità e la maggior salubrità. Conservazione E’ ammesso il ricorso a tecniche di frigo-conservazione in celle frigorifere, evitando di scendere sotto -0.5°C e di superare il 90% di U.R.; il tempo massimo per la frigo-conservazione dei frutti è di quattro settimane. Norme di etichettatura Il logo della denominazione “Ciliegia di Vignola I.G.P.” dovrà essere apposto sulle confezioni di vendita. Nella designazione è vietata l’aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare. Dovranno inoltre essere indicati: Nome, Ragione Sociale e Indirizzo del produttore e del confezionatore; Il logo della “Ciliegia di Vignola” I.G.P. è il seguente: e deve essere accompagnato obbligatoriamente dal simbolo comunitario per la Indicazione Geografica Protetta. Il logo consiste in una fascia ripiegata suddivisa in due parti da una linea di distacco trasversale obliqua, la prima parte di colore verde, la seconda di colore rosso. Sulla parte destra di colore rossoè riportata in bianco la parola “VIGNOLA”; sulla parte sinistra di colore verde è riportato un rettangolo contenente 9 ciliegie stilizzate di cui otto bianche dal bordo verde e l’ultima rossa a campo pieno. Le dimensioni standard sono: altezza pari a mm 24 e larghezza pari a mm 235; sulla prima parte, in campo verde separato da uno spazio bianco, il simbolo rappresentato da una cornice di larghezza pari a mm 23 e altezza mm 24 contenente 9 ciliegie stilizzate a contorno verde, di cui l’ultima in basso a destra impressa a campo pieno di colore rosso; sulla seconda parte, a campo rosso, la dicitura Vignola, carattere ITC Souvenir Demi, pari a mm 17 in altezza, di colore bianco. Sotto la striscia verde, sulla parte sinistra, la dicitura Ciliegia di Vignola I.G.P., carattere ITC Souvenir Demi, pari a mm 7 in altezza, di colore verde. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Modena, Bologna |
Cipolla bianca di Margherita Cipolla bianca di Margherita IGP Disciplinare di produzione - Cipolla bianca di Margherita IGPArticolo 1.
Articolo 2. CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO La denominazione “Cipolla bianca di Margherita” designa la popolazione locale di bulbi della specie Allium cepa L. prodotta nella zona delimitata dal successivo art. 3 del presente disciplinare. E’ un prodotto fresco, caratterizzato da bulbi bianchi, teneri e con un elevato contenuto in zuccheri. In base al periodo di produzione, si differenziano quattro ecotipi locali: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’, ‘Maggiaiola’, ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’. In particolare, le caratteristiche delle diverse selezioni sono le seguenti: ‘Marzaiola’ o ‘Aprilatica’: tipologia precoce (epoca di raccolta a partire da metà marzo) con forma schiacciata ai poli; ‘Maggiaiola’: rispetto alla precedente è meno precoce e la forma è meno schiacciata (epoca di raccolta maggio); ‘Giugniese’, ‘Lugliatica’: sono più tardive (epoca di raccolta giugno-metà luglio), hanno forma più isodiametrica. Al momento della raccolta il prodotto deve presentare il seguente requisito misurabile: solidi solubili: 6,4 - 9,2 mg 100g-1 di peso fresco. sostanza secca: 6,2 - 8,9 g. contenuto per 100g -1 di peso fresco. Calibro: da un minimo di mm. 20 ad un massimo di mm 100. Proprietà fisiche: colore bianco. Sapore: dolce e succulento. Il contenuto totale in zuccheri riducenti deve essere maggiore di 3.8 g 100g-1 di peso fresco. Consistenza: tenera e croccante. E’ ammessa la commercializzazione sia del prodotto spazzolato sia di quello non spazzolato. Nel prodotto non spazzolato è ammessa la presenza di sabbia. Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della “Cipolla bianca di Margherita” è ubicata lungo la fascia costiera adriatica che si estende dalla foce del fiume Ofanto alla foce del torrente Candelaro e comprende partendo da Sud: Territorio del Comune di Margherita di Savoia: l’area interessata è la fascia costiera che parte dalla foce del fiume Ofanto ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalla SP 141 (ex SS 159 delle Saline) fino al centro abitato; dopo quest’ultimo l’area è delimitata dalle Saline e dal confine amministrativo con il Comune di Zapponeta rappresentato da un termine lapideo; Territorio del Comune di Zapponeta: l’area interessata è la fascia costiera che parte dal confine amministrativo con il Comune di Margherita di Savoia ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalle Saline, dalla zona umida “San Floriano”, dal confine amministrativo con il Comune di Cerignola, dalla SP 77 (ex SS 545) fino all’innesto con la SP 141 (ex SS 159 delle Saline), dal confine amministrativo con il Comune di Manfredonia; Territorio del Comune di Manfredonia: l’area interessata è la fascia costiera che parte dal confine amministrativo con il Comune di Zapponeta ed è delimitata dal Mare Adriatico, dalla zona umida “Terra Apuliae”, dal tratto della SP 73 (Beccarini), dal tratto della SP 141 (ex SS 159 delle Saline) limitatamente alla parte confinante con la zona umida “Lago Salso”, dalla foce del Torrente Candelaro. Articolo 4. PROVA DELL’ORIGINE Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO La coltivazione è basata su ecotipi locali autoriprodotti, selezionati da diverse generazioni di agricoltori della zona. Gli ecotipi hanno una spiccata adattabilità al particolare ambiente pedoclimatico quale ad esempio quella di sviluppare un apparato radicale idoneo ad approfondirsi in terreno sabbioso. La tecnica colturale utilizzata prevede i seguenti interventi tecnico-colturali: A - Impianto della coltura: semina nei semenzai nel periodo fine agosto-settembre e trapianto delle piantine nel periodo compreso tra novembre e febbraio. B - Irrigazione: l’apporto irriguo, commisurato all’andamento stagionale delle piogge e alla domanda evapotraspirativa, deve essere protratta fino a quando le piante iniziano a manifestare il collasso del “collo”. C - Controllo delle infestanti e difesa fitosanitaria: Sono ammessi tutti i principi attivi autorizzati nell’agricoltura integrata purché consentiti dalle normative vigenti. D – Raccolta: La maturazione generalmente non è contemporanea per cui la raccolta può iniziare quando almeno il 50% delle piante presenta le foglie incurvate. La raccolta viene effettuata a mano. E - Produzione del seme: Il seme utilizzato per i nuovi impianti deve essere prodotto localmente e si deve ottenere mediante il piantamento dei bulbi selezionati durante la raccolta. Per la tecnica colturale e la difesa fitosanitaria rimane valido quanto riportato per la produzione dei bulbi. F - Fasi successive alla raccolta: Il confezionamento deve essere effettuato subito dopo la raccolta nella zona individuata dall’art. 3 e non è ammesso riconfezionare il prodotto al di fuori della zona geografica onde evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni del prodotto sfuso possano causare danni meccanici, quali ammaccature e lesioni. Ammaccature e lesioni favoriscono lo sviluppo di muffe e la perdita di consistenza del bulbo e sono responsabili del decadimento qualitativo della “Cipolla bianca di Margherita”. Il prodotto può essere confezionato in cassette da 10 kg o da 5 kg, in rete da 0,5 kg o da 1,0 kg, in vaschette da 1,0 kg, in “trecce” di peso variabile con numero minimo di bulbi pari a 5. Articolo 6. LEGAME CON L’AMBIENTE Nella zona di produzione della “Cipolla bianca di Margherita” indicata all’art. 3 del disciplinare si è sviluppata sin dagli inizi del secolo XIX questa tecnica colturale caratterizzata dalla capacità di ottenere, su un terreno sabbioso, il seme (dal piantamento di bulbi selezionati), di creare semenzai e di trapiantare le piantine da essi ottenuti, di ripararle dall’erosione del vento con la paglia e di raccoglierle a mano per non danneggiare la cipolla. Tale elevata specializzazione si è tramandata nel tempo e sussiste intatta ai giorni nostri, permettendo di esaltare le caratteristiche qualitative della “Cipolla bianca di Margherita” ed in particolare il colore bianco “cristallino”, la tenerezza, la croccantezza, la dolcezza, la bellezza della forma, caratteristiche uniche e riconosciute. La zona di produzione della “Cipolla Bianca di Margherita” è caratterizzata: - da condizioni climatiche particolarmente miti durante il periodo invernale – primaverile; - da terreno sabbioso con presenza di una falda molto superficiale che consente di creare uno stress idrico controllato nella pianta in grado di favorire una crescita piuttosto contenuta della pianta e un basso contenuto di sostanza secca, da cui derivano la croccantezza e la succulenza; - da terreno sabbioso che, riscaldandosi velocemente in primavera, favorisce la precocità della coltura. Il terreno sciolto, inoltre, non oppone alcuna resistenza allo sviluppo dei bulbi e di conseguenza il prodotto si presenta morfologicamente perfetto nelle diverse espressioni ecotipiche, senza presentare difetti di forma. La crescita della parte edule del prodotto, avviene, infine, in uno strato di terreno asciutto essendo i terreni sabbiosi “autopacciamanti”, condizione favorevole alla sanità del prodotto. Il terreno sabbioso inoltre non oppone alcuna resistenza all’accrescimento e permette una scarsa percentuale di bulbi con collo inverdito, in quanto la tecnica colturale praticata prevede il trapianto manuale ad una profondità tale da favorire il completo imbianchimento del prodotto. - dalla leggerezza del terreno, che favorisce il completo imbianchimento del prodotto che non presenta difetti di colorazione; Tracce di commercializzazione della “Cipolla bianca di Margherita” risalgono agli inizi dell’ottocento ma è a partire dalla metà del secolo scorso che è diventata una presenza importante nei mercati ortofrutticoli italiani, principalmente nel periodo che va da aprile a luglio. Articolo 7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dell’Organismo di controllo CSQA Certificazioni S.r.l., con sede in via San Gaetano n. 74 36016 Thiene (VI), telefono: 0445/313011, fax: 0445/313070 e-mail: csqa@csqa.it. Articolo 8. ETICHETTATURA All'atto dell'immissione al consumo il contenuto di ogni imballaggio deve essere omogeneo e comprendere cipolle dello stesso ecotipo e dello stesso standard qualitativo. I contenitori devono presentare la dicitura “Cipolla bianca di Margherita” I.G.P. accompagnata dal logo della denominazione e dal simbolo I.G.P. dell’Unione. Sui contenitori devono essere riportati il nome, la ragione sociale, l’indirizzo del produttore e del confezionatore e ogni altra informazione prevista dalla normativa vigente in materia di etichettatura. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista dal disciplinare di produzione. E’ tuttavia consentito l’uso di nomi, ragioni sociali, marchi privati purché non traggano in inganno il consumatore. Si riporta la descrizione del logo: “La sagoma ovale del logo richiama il carattere curvilineo delle forme naturali del prodotto in oggetto. All’interno di una cornice verde (C71 M15 Y93 K44) è disegnato il paesaggio stilizzato del luogo di coltivazione (sabbia, mare e sole), in posizione centrale, l’immagine della cipolla. I colori utilizzati, cielo ciano sfumato, sabbia (C00 M20 Y60 K20) mare sfumato da ciano (C100 M00 Y00 K00) a blu (C100 M80 Y00 K40), Sulla cornice verde riporta la scritta “Cipolla bianca di Margherita” I.G.P. con carattere Arial grassetto di colore bianco e la silhouette della regione Puglia e un puntino rosso sulla zona di produzione. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Barletta-Andra-Trani, Foggia |
Cipolla Rossa di Tropea Calabria Cipolla Rossa di Tropea IGP Disciplinare di produzione - Cipolla Rossa di Tropea IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
Modifica del Disciplinare di produzione
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia |
Cipollotto Nocerino Cipollotto di Nocerino DOP Disciplinare di produzione - Cipollotto di Nocerino DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno, Napoli |
Clementine del Golfo di Taranto Clementine del Golfo di Taranto IGP Disciplinare di produzione - Clementine del Golfo di Taranto IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | T aranto |
Clementine di Calabria Clementine di calabria IGP Disciplinare di produzione - Clementine di calabria IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valenzia, Crotone |
Fagioli Bianchi di Rotonda Fagioli Bianchi di Rotonda Disciplinare di produzioneArticolo 1
Articolo 2
Articolo 3
Articolo 4
Articolo 5
Articolo 6
Articolo 7
Articolo 8
| D.O.P. | cereali | Basilicata | Potenza |
Fagiolo Cannellino di Atina Fagiolo Cannellino di Atina Disciplinare di produzioneArticolo 1
Articolo 2. Descrizione del prodotto Il “Fagiolo Cannellino di Atina” DOP designa il prodotto ottenuto dalla coltivazione della pianta di Phaseulus vulgaris L, ecotipo locale “Cannellino di Atina”. Caratteristiche del prodotto: All’atto dell’immissione al consumo il “Fagiolo Cannellino di Atina” deve presentare le seguenti caratteristiche: Forma: reniforme, leggermente ellittico e schiacciato Dimensione: lunghezza da 0,9 cm a 1,4 cm e larghezza da 0,5 cm a 0,6 cm Colore : bianco opaco Tegumento: sottile Peso medio per 100 semi: da un minimo di 38 g ad un massimo di 50 g Umidità dei fagioli secchi al momento della commercializzazione: ≤ 13%. Caratteristiche organolettiche: Epicarpo tenero e deliquescente al palato dopo la cottura. Il “Fagiolo Cannellino di Atina”, a differenza degli altri fagioli, non necessita di essere messo a bagno prima della cottura. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della Denominazione di Origine Protetta “Fagiolo Cannellino di Atina” è costituita dai sottoelencati comuni nella provincia di Frosinone: Comune di Atina: frazione di Settignano, Oboca, Sacco, Sabina, S. Marciano e Case di Melfa Comune di Villa Latina: frazione di Saccoccia Comune di Picinisco: frazione di Di Vito e Immoglie Comune di Casalvieri: frazione di Guagno, Casal Delle Mole e Plauto Comune di Casalattico: frazione di S. Nazzario e S. Gennaro Comune di Gallinaro: frazione di Rosanisco Descrizione della perimetrazione dell’areale di produzione: Il limite dell’areale parte dal corso del Fiume Melfa alla località Piana di Santa Lucia in territorio del Comune di Picinisco, poco a monte del Ponte Ascanio; da qui si spinge verso Sud seguendo una mulattiera alla base dei versanti in sinistra dell’alveo, intersecando la Strada Provinciale Atina Inferiore – Picinisco alle Case Izzi (stabilimento “Zarrelli”). Il limite segue lo stesso percorso, divenuto ormai strada percorribile con automobile, fino alla località Mole di Vito, dove lascia il tracciato stradale poco a monte del Ponte sul Melfa ed inizia a seguire la curva di livello dei 400 m s.l.m.. L’isoipsa è seguita per tutta la “Piana di Vito, tagliando il Confine Comunale Picinisco – Atina alla base dei versanti Nord – orientali del Colle Cimento fino all’altezza della località Rosanisco, dove segue il sentiero pedecollinare che conduce alla località “ il Re”. Dalla località il Re il limite ruota intorno alla base del Colle Vallepaura e si allinea in direzione NordOvest – SudEst seguendo la curva di livello dei 380 metri s.l.m., alla base dei versanti collinari di “Spineto”, fino ad agganciarsi alla strada che conduce alla località “Le Lamie”. Questa viene seguita per un breve tratto ed abbandonata poco prima di iniziare la salita, piegando in direzione dell’alveo del Torrente Mollarino fino ad intercettarlo; quindi il limite si aggancia alla curva di livello dei 420 m intercettando nuovamente il Confine Comunale Atina – Picinisco nei pressi della località Ponte Firenze. Da qui il limite coincide con l’asta torrentizia fino alla località Mola di Coppo, escludendo tutta la regione in destra dell’alveo fino ad agganciare la strada comunale per la località Serre; la strada viene seguita brevemente fino all’inizio della salita, quindi il limite piega in direzione Ovest – Est in allineamento con il bordo del terrazzo alluvionale del Torrente, a valle delle Case Bianchini. Detto bordo, ben evidente, è seguito fino alla base dei versanti delle Immoglie ed ancora oltre verso la località Molino Capaldi; qui attraversa l’alveo del Torrente Rava per proseguire verso i versanti meridionali di San Gennaro, dove in corrispondenza del Cimitero omonimo viene intercettata prima la strada comunale di accesso, quindi la ex Strada Statale n. 627 della Vandra (Ponte Americano). In corrispondenza del Ponte il limite si chiude allineandosi con l’asta torrentizia del Mollarino e seguendola in direzione Ovest fino al Ponte di Sant’Anna, dove torna a seguire la ex Statale verso l’abitato di Villa Latina. Alla località “Fontana dei Bagni” il limite lascia l’arteria viaria ed inizia a seguire un canale di regimazione che corre parallelamente ad essa fino alla Cappella di San Domenico; da qui si allinea con la Strada Provinciale che conduce al centro storico, includendo tutta la regione che si estende ad occidente. Giunti all’altezza della Chiesa della S.S. Annunziata il limite si allinea quindi con un sentiero che corre alla base del versante meridionale della Serra del Cavaliere (Madonna dell’Orto), seguendone la direzione SudOvest – NordEst fino all’altezza di Palazzo Franchi (Panetta Superiore). Il limite ruota qui su se stesso, seguendo la strada parallela al Rio di Villa Latina fino all’incrocio con la Strada Comunale per il Colle Santo, si allinea quindi a quest’ultima ridiscendendo verso il Cimitero Comunale fino a disegnarne la cinta muraria. Dal Cimitero il limite segue la strada dei “Lanni” fino alla sorgente della “Fontana Fredda” includendo tutta la regione a valle dei “Colozzi”. Dalla località Colozzi il limite piega in direzione Sud-Ovest seguendo la curva di livello dei 450 m s.l.m.; quindi si allinea con la base del versante montuoso in sinistra del Fosso dell’Oliva Sola procedendo ad occidente oltre l’abitato dei Valenti, fino alla località “Sacco”; qui va oltre il Monte della Trinità correndo parallelamente alla Strada Provinciale per il centro storico di Atina sempre alla base del versante, includendo tutta la regione alluvionale in sinistra del Rio di Villa Latina fino alla sua confluenza nel Torrente Mollarino alla località Pié delle Piagge, dove si reintercetta la ex S.S. della Vandra. La ex Statale viene seguita fino all’altezza dell’incrocio con la Via Comunale della Mola del Capitolo da dove il limite piega verso il nuovo Cimitero Comunale di Atina giungendo fino alla base del Colle, aggirando lo stesso; da qui il suddetto limite piega verso l’incisione del Rio Cancello, quindi segue per brevi tratti la viabilità comunale fondovalliva dirigendosi verso la strada a scorrimento veloce Cassino – Avezzano. Il tracciato dell’arteria viaria viene seguito in direzione di Sora fino al sottovia della Strada Comunale di Monte Cicuto, dove il limite si allinea con il versante settentrionale del Monte; infine si aggancia al corso del Fiume Melfa escludendo la regione in sinistra dell’alveo fino all’altezza della Serra, lambendo il Confine con il Comune di Casalattico. Dalla suddetta località esso si allinea nuovamente con il versante, intercetta la Strada Provinciale di accesso al centro abitato e la percorre fino alla località Sant’Andrea. Da Sant’Andrea il limite corre parallelamente alla Via Comunale che conduce al Ponte Romano sul Fiume Melfa, all’altezza del quale inizia a seguire la curva di livello dei 300 m s.l.m.. Poco a valle della località Plauto il limite infine attraversa l’alveo del Melfa entrando in territorio di Casalvieri, ruota su se stesso seguendo ancora l’isoipsa dei 300 m fino a Casal delle Mole. Da qui il limite si aggancia alla curva dei 310 metri s.l.m., la segue fino alla sponda destra dell’asta fluviale, allineandosi alla stessa verso monte fino all’altezza di Sant’Andrea. Da qui il limite segue il Melfa fino al punto di affluenza del Rio Molle, dove inizia a seguire l’alveo minore in direzione Nord fino al ponte della Strada Provinciale Roccasecca – Isernia; procede parallelamente alla curva dei 316 m s.l.m. fino alla Strada Comunale che da “Sorelle” conduce alla località Muracce, percorrendone un tratto fino all’attraversamento sul Rio Nero. Dal Rio Nero il limite piega a Sud, abbandonando la Comunale, fino ad incontrare la via per le “Sode” e percorrendo la stessa fino all’incrocio con la ex S.S. n. 627 della Vandra. La ex statale viene seguita in direzione di Atina Inferiore fino a circa 100 metri prima dell’attraversamento sul Rio Molle, quindi il limite si dirige a Nord seguendo la curva di livello dei 330 m s.l.m. fino ad intercettare l’alveo. Dall’intercetta dell’alveo segue la Via Comunale che riconduce sulla ex S.S. 627, seguendo quest’ultima fino all’abitato di Atina Inferiore, dove include tutta l’area pianeggiante in destra del Melfa. Dal “Ponte Melfa” il limite si allinea con la Via della Ferriera fino ad oltre la suddetta località, dove corre alla base dei versanti meridionali delle località Caira e Volante, lungo la curva dei 360 m s.l.m. Detta curva viene seguita fino incrociare la ex S.S. 509 di Forca d’Acero, che viene accompagnata per un breve tratto in territorio del Comune di Gallinaro; il limite torna quindi su se stesso seguendo il corso del Rio di Gallinaro fino all’altezza dell’incrocio con la Via Comunale che conduce alla località Colle Pizzuto, che viene seguita per un breve tratto. Essa viene abbandonata piegando in direzione Sud, secondo l’andamento del Rio di Settefrati, fino ad intercettare un sentiero che porta alla località Tufo. E’ esclusa la zona che partendo dalla Strada Provinciale per Picinisco, in località Fregone in direzione Ovest, intercetta la curva di livello di 380m s.l.m; la segue in direzione Nord fino a raggiungere il Rio Settefrati ed in direzione Nord/Est la strada comunale. Qui in direzione Sud, oltrepassando la località Tufo, va ad incontrare il punto di partenza, in località . Fregone. Riprendendo dalla località Tufo, si segue l’isoipsa dei 390 metri s.l.m.; detta curva di livello viene seguita lungo il tratto che abbraccia la Piana di Vito fino ad agganciarsi alla Strada Provinciale per Picinisco nei pressi delle Mole di Vito. La S.P. segna il limite dell’areale fino quasi all’altezza del Ponte Ascanio, dove viene intercettata la curva di livello dei 420 m s.l.m., seguita fino alla chiusura sulla Piana di Santa Lucia nei pressi di “Borgo Castellone.” Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Metodo di coltivazione: La semina, effettuata a mano o con la seminatrice, viene praticata dal 15 giugno al 15 luglio di ciascun anno. L’investimento di semi è di 70-90 kg/ha. Non è ammesso alcun tipo di concimazione. La dotazione di elementi nutritivi è solo quella residua della eventuale precessione colturale con graminacee autunno–vernine. È ammessa la lotta fitosanitaria nel rispetto della normativa vigente. L’irrigazione viene effettuata ogni 6-10 giorni, utilizzando le acque del fiume Melfa, del torrente Mollarino e loro affluenti con il metodo a scorrimento, a pioggia o a goccia. La raccolta viene effettuata nel periodo compreso fra il 10 settembre ed il 30 ottobre di ciascun anno. Le piante, una volta raccolte, vengono poste per l’essiccazione in ambienti coperti o scoperti per un periodo massimo di 45 giorni dalla raccolta; successivamente vengono sottoposte a trebbiatura. In seguito il prodotto viene sottoposto alla fase di selezione manuale o meccanica allo scopo di eliminare le impurità ed i fagioli non rispondenti all’ideotipo. La produzione ed il condizionamento del Fagiolo Cannellino di Atina devono avvenire nella zona delimitata all’art. 3 poiché il prodotto che non è trattato con alcun tipo di conservante, se trasportato risentirebbe di variazioni sensibili di temperatura e di umidità che oltre a variarne le caratteristiche organolettiche creerebbero le condizioni per l’attecchimento del tonchio rendendo il fagiolo inutilizzabile. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il Fagiolo Cannellino di Atina” D.O.P. viene considerato un simbolo della cultura e della tradizione dei territori dell’areale di produzione così come individuato all’art 3. La sua denominazione è riconducibile all’area geografica storicamente più vocata alla coltivazione, che determina in modo univoco le peculiarità del prodotto, rendendolo perfettamente distinguibile ed inimitabile. Infatti, le qualità organolettiche del “Fagiolo Cannellino di Atina” sono dovute alla specificità dell’ecotipo, ma soprattutto al terreno, definito “focaleto”, localizzato lungo le sponde del fiume Melfa, del torrente Mollarino e dei loro affluenti, di origine alluvionale e ricco di manganese, molto percolante e di colore scuro su cui è coltivato il fagiolo. Tale composizione e struttura del terreno di coltivazione determina la principale caratteristica del prodotto data dalla presenza di un tegumento sottile, che rende il Fagiolo Cannellino di Atina più tenero rispetto a quello coltivato in altre condizioni podologiche ed è l’unico, infatti, che non necessita di essere messo a bagno prima della cottura. L’acqua utilizzata per l’irrigazione, proveniente dal fiume Melfa, dal torrente Mollarino e dai loro affluenti, si caratterizza per un contenuto di fosforo e azoto molto bassi, ampiamente al di sotto dei limiti consentiti, testimone di un’assenza di inquinamento antropico; risulta, invece, presente il Manganese, seppure in basse concentrazioni, che contraddistingue il terreno su cui viene coltivato il Fagiolo Cannellino di Atina; il calcio, presente in quantità apprezzabile, influenza la quantità di pectine presenti nel prodotto finale. Anche dal punto di vista climatico l’areale di produzione è caratterizzato da una situazione molto favorevole alla coltivazione del Fagiolo Cannellino di Atina. Difatti questa coltura è caratterizzata da un ciclo produttivo esclusivamente estivo e piuttosto breve (75-95 giorni), che per le sua crescita necessita di temperature diurne piuttosto elevate e notturne relativamente basse. L’escursione termica fra giorno e notte, tipica dell’area di coltivazione, influenza la crescita della pianta e di conseguenza le caratteristiche del prodotto finale. Le precipitazioni sono concentrate soprattutto nel periodo autunno-inverno, anche se frequenti sono le piogge estive tali da ridurre, o addirittura rendere assente, il periodo di aridità nei mesi di luglio ed agosto. Il fattore umano contribuisce in modo determinante all’ottenimento di un buon prodotto. Buona parte della popolazione residente dell’areale coltiva con passione e competenza il Fagiolo Cannellino di Atina, utilizzando tecniche tramandate da generazioni di padre in figlio. Il seme che viene annualmente auto-riprodotto a livello aziendale è gelosamente custodito. In un territorio particolarmente depresso dal punto di vista economico ed occupazionale, dove il fenomeno dell’emigrazione è ancora fortemente presente, la “riscoperta” del Fagiolo Cannellino di Atina costituisce un concreto sbocco occupazionale. Gli elementi storici del “Fagiolo Cannellino di Atina” DOP non mancano di certo. Molteplici sono, infatti, le testimonianze, che attestano come questa leguminosa sia entrata a far parte della società locale. Già nel 1811 il Demarco definisce il “Fagiolo Cannellino di Atina” di ottima qualità, così come il Cirelli nel “Il Regno delle due Sicilie” (Vol.III 1855/60) fornisce dati statistici molto significativi sulla produzione agricola del 1853, e fra questi menziona la produzione del “Fagiolo Cannellino di Atina” dell’Agro di Atina pari a 2500 tomoli annui. Il “Fagiolo Cannellino di Atina” era molto diffuso nei poderi Visocchi, dove venivano coltivati i fagioli nelle loro tre diverse qualità: fagioli banchi, meglio conosciuti come Cannellini di Atina, fagiolo rossi e fagioli misti. Il “Fagiolo Cannellino di Atina” è stato sempre l’alimento principe dei contadini, che lo cucinavano nella caratteristica “pignata” e lo condivano con un filo di olio di oliva; in passato rappresentava il pasto unico a mezzogiorno. Dalle registrazioni riportate sui Mastri si può apprendere che i fagioli, oltre ad essere destinati al consumo familiare ed alla vendita, venivano regalati ai conoscenti ed ai parenti, proprio perché qualitativamente molti pregiati. Dal punto di vista economico la coltivazione del “Fagiolo Cannellino di Atina”, rappresenta una delle colture di maggior reddito nella valle, insieme alla coltivazione della vigna e dell’olivo. Questo legume, inoltre, ha una notevole influenza sulla gastronomia locale, essendo un ingrediente base di molte ricette tradizionali dell’areale. La sua denominazione è entrata ormai prepotentemente nell’uso del linguaggio comune e commerciale come largamente testimoniato dalle numerose ricette, da fatture , etichette, e depliant pubblicitari. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE n. 510/06. Tale struttura è l’Autorità pubblica Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Frosinone indirizzo: Viale Roma, 03100 Frosinone, Tel. 0775.2751 - Fax 0775.270442 E-mail info@fr.camcom.it. Articolo 8. Etichettatura Confezionamento Le tipologie di confezionamento ammesse sono:
Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relative e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni:
E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La denominazione “Fagiolo Cannellino di Atina” è intraducibile. Logo Il logo, della denominazione “Fagiolo Cannellino di Atina” è costituito da due cerchi concentrici di colore pantone patinato 7522:
| D.O.P. | cereali | Lazio | Frosinone |
Fagiolo Cuneo Fagiolo di Cuneo IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Cuneo IGPArticolo 1
Articolo 2. Descrizione del prodotto L’indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Fagiolo Cuneo” designa i baccelli allo stato ceroso da sgranare e la granella secca ottenuti dagli ecotipi Bianco di Bagnasco, Vedetta e dalle varietà Billò, Corona, Stregonta, Bingo, Rossano, Barbarossa, Solista e Millenium, appartenenti alle specie di fagiolo rampicante Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus. a) Il baccello allo stato ceroso da sgranare deve avere le seguenti caratteristiche: - appartenente all’ecotipo Vedetta o alle varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Solista e Millenium, Barbarossa; - la lunghezza del bacello allo stato ceroso per l’ecotipo Vedetta e le varietà Stregonta, Bingo, Rossano, Solista e Millenium è compresa tra 15 e 28 mm; per la varietà Barbarossa è compresa tra 12 e 22 mm; intensamente striato di rosso; La granella all’ interno del baccello ceroso deve presentare: - striature rosa-rosse su fondo crema; - il diametro minimo verticale e orizzontale non può essere rispettivamente inferiore a 9 e 15 mm; - la granella deve essere esente da attacchi di parassiti o di malattie con una tolleranza massima del 1% di prodotto con alterazioni visibili. b) La granella secca deve avere le seguenti caratteristiche: - appartenente all’ecotipo Bianco di Bagnasco o alle varietà Billò, Corona - l’umidità massima consentita del seme è del 15%; - il diametro minimo verticale e orizzontale della granella non può essere, rispettivamente, inferiore a 9 e 14 mm per il Billò, 13 e 20 mm per il Corona, 8 e 14 mm per il Bianco di Bagnasco; - il colore della granella deve essere per il Billò, con screziature bruno-violacea su fondo crema, per il Corona e il Bianco di Bagnasco bianco. - la granella secca non deve presentare alterazioni di colore e di aspetto esteriore tali da comprometterne le caratteristiche, con una tolleranza massima complessiva del 1,5% di impurità intese come prodotto spaccato, macchiato, tonchiato o alterato a livello di colorazione. E’ consentita, inoltre, una percentuale massima di 1,5 di fagioli secchi fuori calibro. - contenuto in ferro che raggiunge valori compresi tra 80 e 105 ppm per il Billò e 65 e 75 ppm per il Corona e il Bianco di Bagnasco - contenuto in proteine che raggiunge valori compresi tra 23 e 30 (% di proteina sul secco). Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dei fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagiolo Cuneo”, comprende i seguenti comuni della Provincia di Cuneo: Aisone, Alba, Albaretto Torre, Arguello, Bagnasco, Barge, Bastia Mondovì, Battifollo, Belvedere Langhe, Beinette, Benevagienna, Benevello, Bergolo, Bernezzo, Bonvicino, Borgomale, Borgo San Dalmazzo, Bosia, Bossolasco, Boves, Bra, Briaglia, Brondello, Brossasco, Busca, Camerana, Caraglio, Caramagna Piemonte, Cardè, Carrù, Cartignano, Casalgrasso, Castellar, Castelletto Stura, Castelletto Uzzone, Castellino Tanaro, Castelnuovo Ceva, Cavallerleone, Cavallermaggiore, Centallo, Ceresole, Cerretto Langhe, Cervasca, Cervere, Ceva, Cherasco, Chiusa Pesio, Cigliè, Cissone, Clavesana, Cortemilia, Costigliole Saluzzo, Cravanzana, Cuneo, Demonte, Dogliani, Dronero, Entracque, Envie, Farigliano, Faule, Feisoglio, Fossano, Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Frassino, Gaiola, Gambasca, Garessio, Genola, Gorzegno, Gottasecca, Guarene, Isasca, Igliano, Lagnasco, Lequio Berria, Lequio Tanaro, Lesegno, Levice, Lisio, Magliano Alpi, Manta, Marene, Margarita, Marsaglia, Martiniana Po, Melle, Moiola, Mombarcaro, Mombasiglio, Monastero Vasco, Monasterolo Casotto, Monasterolo Savigliano, Monchiero, Mondovì, Monesiglio, Montaldo Mondovì, Montanera, Montemale, Monterosso Grana, Montezemolo, Moretta, Morozzo, Murazzano, Murello, Narzole, Niella Belbo, Niella Tanaro, Novello, Nucetto, Ormea, Pagno, Paroldo, Perletto, Perlo, Peveragno, Pezzolo Valle Uzzone, Pamparato, Pianfei, Piasco, Piozzo, Polonghera, Pradleves, Priero, Priola, Prunetto, Racconigi, Revello, Rifreddo, Rittana, Roascio, Roaschia, Robilante, Roburent, Roccavione, Roccabruna, Roccacigliè, Roccadebaldi, Roccaforte Mondovì, Roccasparvera, Rossana, Ruffia, S. Albano Stura, S. Benedetto Belbo, Sale Langhe, Sale San Giovanni, Saliceto, Salmour, Saluzzo, San Damiano Macra, San Michele Mondovì, Sanfrè, Sanfront, Savigliano, Scagnello, Scarnafigi, Serravalle Langhe, Somano, Sommariva Bosco, Sommariva Perno, Tarantasca, Torre Mondovì, Torre Bormida, Torre San Giorgio, Torresina, Trezzo Tinella, Trinità, Valdieri, Valgrana, Valloriate, Valmala, Venasca, Vernante, Verzuolo, Vicoforte, Vignolo, Villafalletto, Villanova Mondovì, Villanova Solaro, Villar San Costanzo, Viola, Vottignasco. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Preparazione del terreno e semina Successivamente alla preparazione del terreno, viene effettuata la semina nel periodo tra aprile e luglio. Si effettua a postarelle, utilizzando una quantità massima di seme ad ettaro di 120 Kg. La semina può essere manuale o meccanizzata. Per la semina degli ecotipi Bianco di Bagnasco e Vedetta, utilizzabili sia per la produzione di granella secca che di baccelli a maturazione cerosa da sgranare, deve essere utilizzato seme proveniente dal territorio descritto all’art. 3. Tutori Per il sostegno dei fagioli vengono utilizzate da due a quattro canne legate insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”. Ogni “tenda da indiano” viene collegata a quella precedente e a quella successiva con un filo orizzontale che passa tra i punti in cui le canne si incrociano al fine di rendere più rigidi e resistenti i tutori nei confronti delle avversità atmosferiche e del peso delle piante. Concimazione L’azoto viene apportato in post-emergenza delle plantule (max 50 U/ha), il fosforo in pre-semina (max 40 U/ha), il potassio in pre-semina, (max 80 U/ha), il calcio e magnesio in pre-semina (max 120 U/ha di calcio e max 30 U/ha di magnesio) e il letame la cui somministrazione avviene prima dell’aratura con un quantitativo max 150 ql/ha. Difesa I metodi di difesa adottati sono quelli agronomici, attraverso l’uso di seme non infetto, la distruzione dei residui colturali infetti, rotazione delle superfici utilizzate e l’utilizzo di principi attivi registrati sulla coltura. La monosuccessione della coltura deve essere intercalata alla fine del terzo anno con un erbaio a semina autunnale E’ consentito l’utilizzo di prodotti diserbanti registrati sulla coltura nonché le lavorazioni meccaniche del terreno tra le bine. Raccolta La raccolta dei baccelli a maturazione cerosa avviene manualmente. La raccolta del fagiolo a granella secca avviene con la pianta completamente appassita e in modo meccanico o manuale. Nelle tipologie a maturazione cerosa il prodotto raccolto è il baccello, mentre per le secche il prodotto raccolto è la granella o il baccello. L’epoca di raccolta va da maggio a novembre. La resa massima per il fagiolo a maturazione cerosa è di 150 q.li/ha, mentre per la tipologia secca è di 45 q.li/ha. Tutte le fasi sopra descritte dovranno essere svolte nell’area di produzione del Fagiolo Cuneo, tranne quella di confezionamento. La granella deve essere successivamente lavorata per la cernita, pulitura e calibratura del prodotto. In seguito avviene il confezionamento. Articolo 6. Legame con il territorio Il Fagiolo Cuneo ha una forte “reputazione” sul territorio nazionale, sia a livello commerciale che a livello di consumi, in quanto fortemente stimato ed apprezzato soprattutto per le sue caratteristiche peculiari, sia a livello socio-economico nonché storico colturale, sia sotto l’aspetto organolettico. Importanti, infatti, sono i fattori umani fortemente radicati sul territorio. Ne sono un esempio la tradizionalità che si tramanda da padre in figlio nel coltivare il fagiolo rampicante. Una coltura che sicuramente necessita di molta manodopera e che nell’areale di Cuneo è esclusivamente di tipo famigliare. Tutto ciò ha sempre determinato un certo legame umano con la coltura stessa: ne sono ancora un esempio oggi i “raduni famiglia” dove i componenti la famiglia stessa, i parenti e gli amici si ritrovano per aiutare il conduttore aziendale a “sfilare” le piante di fagiolo Cuneo secco prima della trebbiatura, a seminare e piantare le canne. La coltivazione di fagioli rampicanti necessita, infatti, di sostegni quali le canne. Anche su questo aspetto c’è un forte legame tra il produttore e questo tipo di tecnica colturale esclusivo della zona di produzione, in quanto esiste solo ed esclusivamente nell’areale cuneese la tradizione di legare da due a quattro canne insieme nella parte apicale a formare una specie di “tenda da indiano”. Ogni “tenda da indiano” viene collegata a quella precedente e a quella successiva con un filo orizzontale che passa tra i punti in cui le canne si incrociano al fine di rendere più rigidi e resistenti i tutori nei confronti delle avversità atmosferiche e del peso delle piante. A conferma della lunga tradizione di coltivazione del fagiolo Cuneo sono anche le notizie storiche relative alla commercializzazione del fagiolo Cuneo: nel 1877, nel comune di Centallo, furono prodotti 15 quintali di fagioli e l’intera quantità servì a soddisfare le esigenze dei centallesi. Il Fagiolo Cuneo presenta caratteristiche peculiari rispetto agli altri fagioli. Infatti ha un ottima consistenza della granella secca e del baccello allo stato ceroso. Nella granella secca si evidenzia un elevato contenuto in ferro e proteine che raggiungono, rispettivamente, valori compresi tra 80 e 105 ppm per il Billò e 65 e 75 ppm per il Corona e il Bianco di Bagnasco, e 23 e 30 (% di proteina sul secco) per tutte le tipologie. Ciò dimostra l’importanza della vocazionalità pedoclimatica dell’areale di Cuneo e presenta tutte le caratteristiche idonee per originare un prodotto diverso da altri. Il baccello allo stato ceroso si caratterizza invece per la marcata colorazione sia del baccello stesso sia anche della granella al suo interno, merito delle escursioni termiche che favoriscono il processo di produzione degli antociani. In questo ambiente, caratterizzato da un clima fresco e da escursioni termiche tra giorno e notte, gli investimenti produttivi di fagiolo risultano molto elevati e di ottima qualità in quanto le escursioni termiche giornaliere associate ad elevata luminosità dell’ambiente conferiscono ai baccelli e alla granella maggior colore e consistenza. Inoltre le temperature contenute nella fase tardo invernale determinano significativi posticipi delle semine-fioritura tanto da prolungare, rispetto alle altre aree di produzione nazionale, le epoche di maturazione e quindi di commercializzazione. Articolo 7. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare sono svolti conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo ISTITUTO NORD-OVEST QUALITA’ Soc. Coop. - Piazza Carlo Alberto Grosso, 82 – 12033 Moretta (CN) – Tel. 0172.911323 – Fax 0172.911320 – e-mail: inoq@inoq.it. Articolo 8. Etichettatura L’Igp Fagiolo Cuneo allo stato di maturazione cerosa da sgusciare viene immesso al consumo in appositi imballaggi in plastica, in cartone o in confezioni sigillate (vassoi, cartoni, sacchetti e similari), in materiale per uso alimentare con un sigillo di garanzia non riutilizzabile della capacità di kg 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15. L’Igp Fagiolo Cuneo allo stato secco, in granella o in baccello, viene immesso al consumo in appositi imballaggi o confezioni in materiale per uso alimentare con un sigillo di garanzia non riutilizzabile della capacità di kg 0,100, 0,200, 0,300, 0,400, 0,500, 0,800, 1, 2, 3, 4, 5, 10, 15, 25. Le confezioni e gli imballaggi devono recare obbligatoriamente sull’etichetta, a carattere di stampa chiaro e leggibile, oltre al simbolo grafico comunitario e alle informazioni obbligatorie ai sensi della normativa vigente, l’indicazione “IGP Fagiolo Cuneo” con il logo di seguito descritto. Il logo, a forma circolare, rappresenta sullo sfondo la catena delle Alpi marittime sovrastato dallo schizzo del fagiolo di colore bianco crema con striature rosse. Tutti i colori del logo sono ottenuti con la tecnica della quadricromia con diverse sfumature nelle tonalità. Nel logo è inserita in forte evidenza la scritta “Fagiolo Cuneo I.G.P.”, mentre lungo la circonferenza del logo stesso è presente la scritta ”Indicazione Geografica Protetta”. I caratteri delle scritte sono: Arial Bold corsivo per “Indicazione Geografica Protetta”, Arial Bold per “Fagiolo Cuneo” e Arial Regular corsivo per “I.G.P.” I riferimenti colorimetrici riferiti alla scala PANTONE sono: 371C (le montagne e peduncolo), 382C (la pianura), 1807C (striature del baccello) e 304C (cielo). | I.G.P. | cereali | Piemonte | Cuneo |
Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGPArticolo 1
Articolo 2. Delimitazione della zona di produzione La zona di produzione si estende nei seguenti comuni: Alano di Piave, Arsiè, Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Lamon, Pedavena, Quero, S. Giustina, S.Gregorio nelle Alpi, Lentiai, Mel, Trichiana, Belluno, Sospirolo, Sedico, Ponte nelle Alpi, Vas, Limana, Sovramonte, Seren del Grappa. Articolo 3. Caratteristiche pedoclimatiche dell'ambiente di produzione I terreni calcareo dolomitici ed i terrazzamenti pluvio-glaciali tipici della zona pedemontana dell’area delimitata che rappresentano il supporto allo strato di terreno vegetale ricco di sostanza organica stabile costituiscono il substrato ideale per la crescita di un fagiolo dalle caratteristiche organolettiche inimitabili caratterizzato da una buccia finissima e solubile attribuibile all’alto tenore di potassio tipico dei terreni della zona di produzione. Il potassio, infatti, competitivo nei confronti del calcio e del magnesio, forma composti più solubili e contribuisce a rendere più facilmente degradabile, durante la cottura, alcuni componenti della buccia del fagiolo. Articolo 4. Varietà Sono idonee a produrre Fagiolo di Lamon a denominazione di origine protetta i seguenti ecotipi: 1. Fagiolo borlotto "Spagnolit" di Lamon 2. Fagiolo borlotto "Spagnol" di Lamon 3. Fagiolo borlotto "Calonega" di Lamon 4. Fagiolo borlotto "Canalino" di Lamon. Da accurata indagine è stato stabilito che le quattro varietà succitate hanno le seguenti caratteristiche. 1. Tipo "Spagnolit" Si presenta con una forma piuttosto rotondeggiante ed a botte, con striatura rosso brillante su fondo crema. Di ridotte dimensioni (gr. 0.90) e di modesta resa. È però il più ricercato per la delicatezza del gusto e per la buccia particolarmente tenera. Indicato per le insalate e "pendolon" (piatto tipico pastorale locale). Raramente si può ancora incontrare la coltivazione dello "Spagnolit Bass" (Fagiolo Spagnolit Nano), le cui dimensioni risultano ancora minuscole, ma più esaltate ne risultano le qualità. Le dimensioni medie del seme sono le seguenti: la lunghezza del seme è di 14.8 mm., la sua grossezza di 8 cm., il peso del seme di 0,75 gr. la lunghezza del baccello di norma è di 11 cm. ed il numero dei semi per baccello è di 4-5 cm. L'asse ipocotile risulta di colore verde intenso ed i cotiledoni di colore verde con striatura rosa mezzo carico. Si tratta di pianta rampicante con foglie di colore verde pisello a levatura bassa media i cui fiori compaiono a 35-40 cm. dal suolo. Il colore dei fiori è rosa chiaro con una fioritura in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura fino al completo sviluppo del baccello (maturazione fisiologica), trascorrono l0-20 giorni. Per quanto riguarda la morfologia delle foglie, del fusto e dei fiori si rimanda a quanto detto per il Fagiolo di Lamon "Spagnol". 2. Tipo "Spagnol" detto altrimenti "Ballotton" Questo tipo non è molto comune; lì seme si presenta con le tipiche striature rosso vinose, è di forma ovoidale (subellittico) e possiede una buccia abbastanza fine. Il seme ha le seguenti dimensioni medie: una lunghezza di 16,5 mm., una grossezza di 8,8 mm. ed un peso di 1 gr. Il baccello è lungo di norma 11,5 cm. ed il numero di semi per baccello varia da 4 a 5. Il fusto risulta volubile; le foglie a picciolo lungo, pennate, trifogliate. I fiori (da 5 a l2) sono a fecondazione autogena e risultano composti in raceni che partono dalle ascèlle delle foglie. Gli organi sessuali si trovano racchiusi in uno speciale involucro, a foggia di rostro spiralato, detto più propriamente "carena". Per causa di piogge violente, di forti venti ed anche per l'opera dell’uomo, le "ali" ed il "vessillo" del fiore possono imprimere alla carena un leggero movimento rotatorio sì da facilitarne l'apertura. Ciò spiega la non "stretta" autogamia nel fagiolo e quindi la scarsa stabilità genetica della specie con la comparsa di molti semi incrociati. L'asse ipocotile dei cotiledoni risulta verde con i cotiledoni di colore verde e con leggere striature rosa ai bordi. Per quanto riguarda le caratteristiche vegetative si tratta di una pianta rampicante con foglie di colore verde carico a levatura media, i primi fiori compaiono a 60-65 cm. dal suolo. Il colore dei fiori risulta rosa vinato a fioritura in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura allo sviluppo completo del baccello (maturazione fisiologica) intercorrono 20-22 giorni. 3. Tipo "Calonega" È una varietà molto coltivata perché alla resa buona si accompagnano ottime qualità culinarie (il suo peso medio è di gr. 1). Ha forma schiacciata con striature rosso vivo su fondo crema. È particolarmente indicato per minestre. Le dimensioni medie del seme sono le seguenti: la sua lunghezza è di 17 mm., la grossezza del seme è di 7 mm., presenta un peso di 0,65 gr., la lunghezza del baccello è di 15,5 cm. ed un numero di semi per baccello da 4 a 6. L'ipocotile è di colore verde intenso, mentre i cotiledoni hanno pagine verdi con striature rosa intenso. È pianta rampicante con foglie di colore verde intenso. E pianta rampicante con Foglie di colore verde mezzo carico a levatura media alta. I primi fiori compaiono a 85-90 cm. dal suolo. I fiori sono di colore rosa quasi bianco a fioritura scalare. Dall'inizio delle fioriture allo sviluppo completo del baccello (maturazione fisiologica.) intercorrono. 25-26 giorni. Anche per questa varietà si rimanda a quanto detto per lo "Spagnol" per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche del culmo, delle foglie e dei fiori. 4. Tipo "Canalino" Di buon peso e di ottima resa si presenta con striature rosso cupo, talora nero. Anche se di gusto molto gradevole e particolarmente resistente alle malattie, non è tuttavia coltivato a causa della buccia piuttosto consistente e del baccello particolarmente coriaceo che ne rende difficile la sgranatura. Le dimensioni del seme sono le seguenti: la lunghezza del seme è di mm. 15,6, la grossezza è di mm. 8,7, con peso di 1-1,3 gr. e con 6-7 semi per baccello che risulta essere lungo cm. 15. L'ipocotile è di colore verde, i cotiledoni hanno pagine verdi con leggere striature rosa ai bordi. Si tratta di pianta rampicante con foglie di colore verde carico, a levatura alta. I primi fiori compaiono a 100-105 cm. dal suolo. Il colore dei fiori è rosa vinato carico, la fioritura e in unica soluzione. Dall'inizio della fioritura allo sviluppo completo del baccello intercorrono 22-25 giorni. Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche del culmo, delle foglie e dei fiori si rimanda a quanto detto per la varietà "Spagnol". Esistono altri ecotipi la cui coltivazione e ormai quasi scomparsa, ma che tuttavia potranno essere oggetto di eventuali progetti di recupero e rilancio. Articolo 5. Caratteristiche organolettiche Acqua 10,52% Sostanze Azotate 24,52% Sostanze Grasse 1,32% Idrati di Carbonio 58,20% Cellulosa 3,15% Ceneri 3,00% Le caratteristiche di cui sopra riguardano il Fagiolo Lamon "Spagnolit", ma sono ritenute valide anche per gli altri tipi, dall'esame dei dati suesposti si rileva l'elevato tenore di sostanze proteiche (in particolare di Faseoline) ed il bassissimo tenore di cellulosa, tali caratteristiche sono da ritenere peculiari del Fagiolo Lamon della Vallata Bellunese. Infatti, in questa zona esiste una escursione termica abbastanza elevata tra il giorno e la notte; inoltre questa zona è interessata da un continuo ricambio d’aria che evita, quindi, la possibilità di formazione di nebbia e la presenza, perciò, di elevati tassi di umidità. Anche a questi due motivi si devono ricondurre le caratteristiche organolettiche peculiari riscontrate nel Fagiolo coltivato a Lamon. Articolo 6. Pratiche di coltivazione 1. Lavori preparatori È opportuno eseguire una accurata preparazione del terreno prima della semina. La buona riuscita della coltura è strettamente dipendente da questa pratica. L'aratura dovrà essere effettuata preferibilmente entro la fine dell'autunno per favorire i processi di decomposizione della sostanza organica interrata e sfruttare l'azione dei geli invernali sulla struttura del terreno. Inoltre il clima primaverile piovoso potrebbe impedire l'ingresso ai campi nel periodo immediatamente precedente la semina. La profondità dell'aratura dovrà essere di 25-30 cm. in terreni sciolti o di medio impasto, 40 cm. in terreni pesanti ed argillosi. Nel caso di terreni molto sabbiosi l'aratura si può effettuare poco prima della semina per evitare una eccessiva perdita di acqua dal suolo per evaporazione che potrebbe determinare difficoltà di germinazione dei semi e di emergenza delle plantule. Successivamente si potrà procedere con erpicata e fresatura, queste ultime sono da consigliare in terreni troppo pesanti. Nel caso della preparazione del letto di semina si può procedere alla sistemazione del terreno, che prevede la realizzazione di una rete di canali e fossi di scolo per lo smaltimento delle acque in eccesso. 2. Semina Il seme non deve essere di più di tre anni e prodotto nella zona di Lamon; eventualmente conciato con prodotti consentiti a norma di legge. È obbligatoria la coltivazione di un solo ecotipo per ogni singolo appezzamento. La semina è consigliabile farla a postarella con 4-5 semi per posta; la distanza tra le poste deve mantenersi tra i 40-50 cm., la semina si può effettuare anche a file con distanza sulle file di 7-10 cm. e tra le file di 100120 cm. In conclusione si dovrà ottenere una densità di semina di 10-15 semi per metro quadrato. La profondità di semina va da 3 a 6 cm.; le profondità maggiori possono essere attuate per terreni particolarmente asciutti dove in superficie può esserci una quantità d'acqua insufficiente alla germinazione. Dove è possibile la semina può essere meccanizzata mediante apposite seminatrici pneumatiche di precisione. È opportuno attuare due sarchiature: una alcuni giorni dopo la semina, un'altra 20-30 giorni dopo la prima. Per quanto riguarda il tutoraggio, che si effettua fin dai primi stadi di sviluppo e che deve garantire una adeguata aerazione delle piante, si prevede di pali o canne preferibilmente bloccati all'estremità superiore a dei fili di ferro o di plastica, sostenuti da robusti pali in legno o di cemento, disposti all'estremità dei filari. Si possono anche unire le canne o i pali di sostegno all'apice prendendoli a tre a tre o a quattro a quattro (sistema a piramide o capannina), che offrono maggiori garanzie di stabilità. Nelle zone di produzione comunque, è in uso il tutoraggio mediante pali di abete non fissati all'estremità. Sono ritenuti validi anche sistemi che prevedevano l'uso di spaghi disposti verticalmente che hanno dato buoni risultati e quindi possono anche questi essere presi in considerazione. 3. Irrigazione È una coltura che si avvantaggia molto dell'irrigazione, quindi sarebbe opportuno praticarla avendo cura di evitare stress idrici prolungati. Le irrigazioni diventano indispensabili nei momenti di scarsa piovosità che, in Provincia di Belluno, coincidono con il periodo di ingrossamento dei baccelli. E preferibile irrigare con sistemi a microportata (es. manichetta forata) al fine di evitare la bagnatura dell'apparato fogliare; e sconsigliato l'utilizzo di acqua stagnante per evitare malattie da funghi e batteri. 4 . Concimazione Il fagiolo è una leguminosa in grado di porsi in simbiosi con batteri azotofissatori presenti nel suolo. La concimazione del fagiolo mira pertanto al mantenimento della fertilità biologica, ovvero al mantenimento della flora microbica presente nel suolo stesso. Si consigliano analisi chimiche solo dove i terreni non dimostrano intrinseca fertilità. Importante è la valutazione del contenuto di molibdeno, fattore limitante per il corretto funzionamento dei processi metabolici di azotofissazione. La concimazione deve prevedere un discreto apporto di sostanza organica, sotto forma di letame ben maturo, o altro concime organico certificato e privo di residui nocivi ed un modesto apporto di fertilizzante chimico; ricordiamo che 100 kg di fagioli secchi prodotti sottraggono al terreno 0,75 kg di azoto, 0,20 kg di fosforo, 0,60 kg di potassio. Se riferiti ad ettaro i quantitativi fertilizzanti da utilizzare sono i seguenti: 300 q. di letame bovino o altro concime organico - 50 unità di azoto - 70 unità di fosforo e 70 di potassio. 5. Difesa fitosanitaria È opportuno valutare le modalità ed i momenti di intervento in relazione alle informazioni di modelli previsionali sia per i parassiti animali che vegetali, alle informazioni dei bollettini agrometeorologici, all'andamento climatico, alla varietà (o tipi), alla fase fenologica. È d'obbligo da parte del produttore denunciare l'utilizzo del principio attivo usato con le modalità indicate dal Consorzio. Si insiste sull'uso di prodotti ecocompatibili ed ove possibile sostituire l'intervento chimico con adeguate pratiche agronomiche. Infestanti Per il controllo delle infestanti è importante effettuare, al momento della preparazione del terreno, ripetute fresature ogni 10-15 giorni; è vietato l'uso dei diserbanti. 5.a Parassiti vegetali Antracnosi Stagioni caldo-umide costituiscono la migliore condizione per lo sviluppo della fitopatia. La lotta agronomica si basa sulla distruzione dei residui vegetali, sulla rotazione delle colture, sull'impiego di seme sano, di concimazioni potassiche ed azotate in equilibrato rapporto. Ruggine Sono ammessi interventi chimici con composti a base di rame solo in condizioni climatiche favorevoli alla malattia, ovvero umidità elevata e temperature comprese tra 200 C. e 240 C.. Batteriosi Vengono applicati metodi di lotta agronomica: impiego di seme sano, ampie rotazioni, concimazioni azotate ridotte e potassiche ben equilibrate, rapida eliminazione della vegetazione infetta. Virosi La lotta agronomica prevede lo sfalcio delle erbe. infestanti 'ai bordi degli appezzamenti, al fine di ridurre il potenziale di inoculo; per i virus trasmissibili per seme è importante evitare la raccolta di seme da piante virosate. 5.b Parassiti animali Afidi Danneggiano le piante rallentandone lo sviluppo; possono trasmettere virus. a lotta si effettua con aficidi, eventualmente associati con ovicidi, se la popolazione presente sulla pianta supera la soglia di danno. Gli afidi producono maggiori danni quando la pianta si trova in fase di fioritura e di ingrossamento dei baccelli. Acari La comparsa può essere causata da una non corretta gestione fitosanitaria. Sono permessi trattamenti localizzati sui focolai con exitiazox; propargite, tetradifon, ma solo su indicazioni del tecnico. L'esplosione delle popolazioni di acari dipende da una mancanza di nemici naturali, questi ultimi sempre presenti in loco; alcuni interventi fungicidi limitano fortemente l'affermarsi dei predatori degli acari dannosi e, conseguentemente, Favoriscono l'insorgere della patologia da acari. Tripidi Possono creare problemi in caso di semine e raccolti posticipati. Sono consentiti interventi localizzati previa indicazione del tecnico. 6. Raccolta Si effettua a mano perché molto spesso la maturazione è scalare. Inizia indicativamente, per la granella fresca, una ventina di giorni dopo l'impollinazione e si può protrarre per circa un mese. Per quanto riguarda la granella secca si può iniziare quando almeno i 3/4 dei baccelli sono ormai diventati secchi e di colore chiaro. 7. Conservazione Al fine di evitare l'infestazione di Tonchio (Acanthoscelides Obtectus) si deve attuare a scelta uno dei seguenti accorgimenti: Conservare il prodotto ad una temperatura compresa tra 0 e 15 °C; Conservare il prodotto sotto zero tenendo presente che se il prodotto è secco si conserva pienamente la capacità germinativa, se invece è fresco questa viene persa; Conservare il prodotto sotto vuoto, avendo l'accortezza di conservarlo dopo l'apertura a una temperata tra 0 e 15 °C. Articolo 7. Produzione massima di granella/ettaro Si quantifica per impianti specializzati una produzione massima di: 40 quintali ad ettaro per granella secca; 100 quintali ad ettaro per fagiolo fresco (in baccello ed in irriguo); 70 quintali ad ettaro per fagiolo fresco (in baccello e senza irrigazione). Articolo 8. Disposizioni sulla certificazione di produzione del fagiolo di Lamon ed attività del consorzio di tutela 1. Sono autorizzati a produrre Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese ad indicazione geografica protetta tutti i produttori della zona definita all'art.2 che aderiscono al Consorzio di Tutela. Tale Organismo per la tutela del Fagiolo di Lamon è stato regolarmente istituito con atto notarile n.72930 di Rep. n.13726 di raccolta. L'adesione al Consorzio comporta una richiesta allo stesso (entro il 1° aprile di ciascun anno) nella quale gli aderenti dichiarano di accettare i controlli dei Funzionari del Consorzio di Tutela, affinché sia possibile effettuare opportuni sopralluoghi ed accertamenti al fine di valutare preventivamente la consistenza e l'autenticità del prodotto. La semente è fornita dal Consorzio di Tutela al fine di mantenere le caratteristiche.2. Tutti i produttori sono obbligati, a semine ultimate, a procedere ad una denuncia di produzione su appositi moduli forniti dal Consorzio di Tutela, con indicata la superficie investita a fagiolo per tutti gli ecotipi seminati ed i relativi dati catastali. Allo stesso modo, entro la data che verrà indicata annualmente dal Consorzio di Tutela, i produttori dovranno denunciare, sempre su dal Consorzio di Tutela stesso, i quantitativi di prodotto dei diversi ecotipici di Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese. 3. Il seme è prodotto solo in Aziende autorizzate ed opportunamente controllate dal Consorzio, la zona di produzione della stessa sarà limitata alla zona comprendente il comprensorio di Lamon, tale scelta ha le seguenti motivazioni: tale zona è la zona di origine; la zona è caratterizzata da un particolare clima idoneo a questo legume; è possibile garantire controlli adeguati e puntuali; data la limitatezza della zona in oggetto è più facile controllare l’introduzione e l'uso di semente esterna. Il prodotto deve essere commercializzato in apposite confezioni, nelle quali è posto il marchio ed il timbro del Consorzio e rilasciate dallo stesso, fatte salve le prescrizioni previste dalle norme vigenti in materia di etichettatura e confezionamento dei prodotti agricoli alimentari. Su ogni confezione è apposta la certificazione che deve indicare: anno di produzione e data di confezionamento; data di scadenza; luogo di provenienza (Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese); quantità; ecotipo ("Spagnol", "Spagnolit", "Calonega" e "Canalino"); marchi di denominazione di origine; norme del produttore; eventuale dichiarazione di prodotto biologico, ai sensi delle vigenti leggi in materia. Il Consorzio controlla strettamente sia la distribuzione della semente che delle confezioni marchiate. La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del Fagiolo di Lamon del Consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dal reg. 2081/92 del 14 luglio 1992. Articolo 9. Disposizioni circa le capacità dei contenitori I fagioli possono essere commercializzati freschi o secchi. Per i fagioli freschi sono consentite confezioni in cassetta da 5 kg - 10 kg. Per quanto riguarda i fagioli secchi sono consentite confezioni da 1 kg - 55 kg. È vietata la vendita di prodotto sfuso. | I.G.P. | cereali | Veneto | Belluno |
Fagiolo di Sarconi Fagiolo di Sarconi IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Sarconi IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Sostegni: pertiche di castagno, canne, rete, filo di ferro
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | cereali | Basilicata | Potenza |
Fagiolo di Sorana Fagiolo di Sorana IGP Disciplinare di produzione - Fagiolo di Sorana IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Il logo del "Fagiolo di Sorana" su fondo giallo, e' costituito dalla fedele riproposizione dell'antico stemma del paese in nero, il cui nome sembra provenire da "Rocca Sovrana", ed e' formato da uno scudo contornato da tralci d'alloro e quercia. Nella parte alta e' posta la scritta SOvRANA e la lettera v e' sormontata da corona gigliata. Lo scudo, diviso in tre sezioni, e' cosi formato: sulla parte inferiore destra, e' stata raffigurata la vetta del Monte Lignana sul cui crinale e' posta l'immagine stilizzata dell'antica "Castella" turrita di Sorana, in nero. Al centro della sezione superiore e' riportata la "Rosa dei Venti" e sulla destra una banda orizzontale di colore azzurro. In basso sotto lo stemma, la scritta di traverso "Fagiolo di Sorana" in carattere Old English, nero, con sotto riportato su tre righe "Indicazione Geografica Protetta" in carattere Courier New. Le dimensioni massime del logo sopra descritto da usarsi sulle etichette dovranno essere di cm 10,5 per 10,5: le dimensioni minime potranno essere ridotte fino a 1/4 di quelle massime (vedi anche prova di stampa). Sul lato destro, in verticale, e' prevista una casella rettangolare per l'apposizione di un numero progressivo. Infine, sul lato sinistro e' previsto il logo regolamento CE 1726/98 "Indicazione Geografica Protetta", nelle dimensioni minime. Colorimetria: I colori del logo sono "Colori Pantone"; la realizzazione e' prevista su carta e su pellicola plastica (in questo secondo caso il colore e' identificato dal secondo numero quando e' necessario): Giallo = 607 U/1205 C; Nero = 433 U2X/Process Black C; Argento = 427 U/427C; Azzuno = 298 U/2915C; e' vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compreso gli aggettivi extra, superiore, fine, scelto, selezionato e similari; e' consentito esclusivamente l'uso della menzione aggiuntiva: di ghiareto di poggio, in relazione all'area di coltivazione (per la definizione della zona di ghiareto vedi art. 3 del presente disciplinare, mentre con poggio s'intende l'area esterna al ghiareto); bianco o rosso, in relazione al colore della granella; e' altresi consentito l'uso d'indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa, non aventi significato laudativo e tali da trarre in inganno il consumatore e di quant'altro previsto dalla vigente legislazione in materia d'etichettatura. Le eventuali menzioni aggiuntive e le indicazioni sopra specificate, ad eccezione del simbolo grafico del logo "Indicazione Geografica Protetta" previsto dal regolamento CE 1726/98, devono avere carattere tipografico non superiore alla meta' di quello usato per la denominazione. | I.G.P. | cereali | Toscana | Sorana, Pescia (PT) |
Farina di castagne della Lunigiana Farina di castagne della Lunigiana DOP Disciplinare di produzione - Farina di castagne della Lunigiana DOPArticolo 1. Nome del prodotto La Denominazione di Origine Protetta “Farina di Castagne della Lunigiana” è riservata alla farina di castagne che risponde alle condizioni e ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1 La specie e le cultivar La D.O.P. “Farina di Castagne della Lunigiana” è attribuita alla farina dolce ottenuta mediante la lavorazione di castagne prodotte da castagni della specie Castanea sativa (Mill.) delle varietà di cui si riconosce storica presenza sul territorio interessato: Bresciana, Carpanese, Fosetta, Marzolina, Moretta, Primaticcia, Rigola, Rossella, Rossola di cui le specie Bresciana, Carpanese, e Rossola devono percentualmente raggiungere almeno il 70%. 2.1 Caratteristiche del prodotto. Al momento dell'immissione al consumo la “Farina di Castagne della Lunigiana” deve possedere i seguenti requisiti: Umidità massima del 8%. Vellutata al tatto e fine al palato. Granulometria minore o uguale a 0.8 mm, di cui almeno l’80% minore o uguale a 0.3 mm. Colore che può variare dal bianco all’avorio. Sapore dolce al palato. Zuccheri totali, complessivamente non inferiori al 20%. Profumo di castagne, assenza di odore di muffe e di stantio. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della D.O.P. "Farina di Castagne della Lunigiana" ricade in provincia di Massa Carrara e comprende l’intero territorio amministrativo dei Comuni di: Aulla, Bagnone, Casola in Lunigiana, Comano, Filattiera, Fivizzano, Fosdinovo, Licciana Nardi, Mulazzo, Podenzana, Pontremoli, Tresana, Villafranca in Lunigiana e Zeri. L’areale della zona di produzione è costituito da un corpo unico ed è interamente compreso nel territorio della Comunità Montana della Lunigiana. Articolo 4. Origine del prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali su cui avviene la coltivazione, dei produttori di castagne, degli essiccatori,dei molitori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva, alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Sono inoltre iscritti in appositi registri sia i “gradili” adibiti all’essiccazione delle castagne, che i mulini e i locali di confezionamento. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di produzione La “Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P. è prodotta con tecniche e metodi tradizionali tipici locali, utilizzando castagneti, essiccatoi (“gradili”), e mulini tradizionali situati nell’area indicata nell’art. 3. 5.1 – produzione delle castagne. La densità delle piante da frutto in produzione non può superare le 160 unità per ettaro. La resa produttiva massima non può superare 3.500 Kg. per ettaro. La raccolta delle castagne deve avvenire tra il 29 settembre (tradizionale data di inizio della raccolta in corrispondenza della festa di San Michele) e il 15 dicembre. 5.2 - essiccazione e sbucciature (pistatura) delle castagne. Le castagne vengono essiccate in strutture localmente denominate “gradili”. I “gradili” o essiccatoi sono strutture in muratura di pietrame, calce e sabbia, a due piani, di forma rettangolare o quadrata, aventi il pavimento costruito con lastre di pietra arenaria. Tra pavimento e soffitto, ad un’altezza di circa 2-2,50 m, poggia su traverse la grata (o “canniccio”), formata da assicelle di legno di castagno, sistemate ad una distanza di 1 - 2 cm l’una dall’altra. L’essiccazione delle castagne per la produzione della "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. deve avvenire a fuoco lento con l’utilizzo esclusivo di legna di castagno, per un periodo minimo di 25 giorni. Dopo il processo di essiccazione, le castagne devono essere pulite dalla loro buccia esterna, con le tradizionali macchine a battitori, e ventilate a macchina o con tecniche tradizionali e ripassate a mano, per levare le parti impure. La resa massima delle castagne secche pelate, rispetto ad 1 quintale di castagne crude non può superare il 32% in peso. 5.3 – molitura delle castagne essiccate I mulini destinati alla macinatura delle castagne secche, da trasformare in "Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P., devono essere di tipo tradizionale a macine di pietra. L’energia per il funzionamento delle macine potrà essere sia elettrica che idraulica. La macinatura non potrà essere effettuata dopo il 30 gennaio dell’anno successivo a quello di raccolta. Il mulino, al fine di evitare che una veloce macinatura impasti la pietra e la faccia riscaldare, con la conseguente perdita al prodotto finito della sua preziosa caratteristica di “borotalcatura” ossia vellutata al tatto e fine al palato, non deve macinare più di cinque quintali di castagne secche al giorno per macina. Il quantitativo di castagne secche macinate al giorno, il nome del fornitore e la durata del tempo di macinatura dovranno essere riportati in apposito registro redatto dal molitore. Le operazioni di coltivazione, essiccazione, macinatura e confezionamento devono avvenire nell’areale di produzione indicato all’articolo 3 del presente disciplinare. Articolo 6. Legame con l’ambiente La denominazione d’origine protetta “Farina di Castagne della Lunigiana” si caratterizza per uno spiccato sapore dolce che deriva principalmente dal castagno coltivato e dalle caratteristiche pedoclimatiche dell'areale di produzione, nonché dall’attività dell’uomo che nei secoli ha mantenuto la produzione di farina. La conformazione territoriale, infatti, ed in particolare l’altitudine e le condizioni climatiche determinano la dolcezza del frutto. Le particolari caratteristiche orografiche, morfologiche, idrografiche e climatiche, della Lunigiana rendono questo territorio un ambiente particolarmente adatto a determinare la dolcezza del castagno, che prospera ovunque, dal fondovalle fin verso i mille metri di altitudine. La particolare configurazione orografica a “conca” del territorio interessato dalla produzione, insieme ad un' esposizione est – ovest dei versanti su cui si sviluppano i castagneti, le temperature mai eccessive presenti durante tutto l'anno e in particolare durante i mesi di attività biologica della pianta (giugno – settembre), le correnti fresche estive provenienti dal vicino mare, mitigano i picchi elevati delle temperature estive, evitando alla pianta stress e consentendole un costante e notevole accumulo di zuccheri nelle castagne dalle quali si produce la farina. La Lunigiana, dal punto di vista morfologico, si caratterizza per strette e profonde valli percorse da corsi d’acqua a carattere torrentizio, colline, montagne e fosse tettoniche. Questa particolare morfologia è all’origine di un reticolo idrografico abbondante e ricco dal regime tipicamente torrentizio, che è stato sapientemente sfruttato dalla popolazione come fonte di energia di numerosi mulini ad acqua. Ancora oggi, i mulini caratterizzano l’architettura rurale della zona e sono tuttora utilizzati per la macinatura delle castagne secche. Inoltre, le macine in pietra presenti in questi mulini, alimentate in tempi più remoti dalla corrente dei torrenti e poi successivamente anche da corrente elettrica, rendono possibile una macinazione delle castagne lenta e costante, senza surriscaldamenti, così da produrre una farina vellutata al tatto e fine al palato. Oltre a ciò, nel territorio sono presenti degli impianti di essiccazione (gradili) che, sparsi ovunque nei castagneti, oltre a caratterizzare insieme ai mulini il territorio della Lunigiana, testimoniano la storica lavorazione delle castagne nell’area geografica. Basti pensare, infatti, alle cronache quattrocentesche di Giovanni Antonio da Faie, dove viene ribadita l’importanza del castagno nell’economia locale e la necessità di non perdere la produzione delle castagne che rappresentavano “per i due terzi il pan di Lunigiana”. Lo stesso autore riferisce anche della poca differenza tra il prezzo della farina di frumento e quello della farina di castagne. Alla specificità della zona geografica e alla tecnica di macinazione tradizionale, va unito il contributo del fattore umano. L’uomo infatti, segue e controlla tutte le fasi della trasformazione dalla farina, iniziando dalla raccolta delle castagne fino all’andamento dell’essiccazione e della macinatura, nel pieno rispetto della tradizione locale. La data di inizio della raccolta, che coincide con il periodo di inizio della caduta spontanea dei frutti, avviene ancora oggi, nel giorno di San Michele, il 29 settembre, epoca storicamente fissata in cui le condizioni climatiche favoriscono l’apertura dei ricci nelle varietà più precoci. Anche nei proverbi utilizzati nell’areale è noto il detto “per San Michelo la castagna nel panéro”. Al momento della raccolta avviene una prima selezione sul terreno dei frutti sani, a cui segue la preparazione e la cura dei gradili (essiccatoi) in cui vengono poste le castagne e nei quali, per almeno 25 giorni, viene mantenuto acceso il fuoco costantemente curato dall'uomo ed alimentato, come da tradizione, esclusivamente dalla legno di castagno. Dopo l’essiccazione, è ancora l’uomo che manualmente controlla le castagne secche eliminando le parti impure, prima di destinarle alla molitura. Senza dubbio la produzione e la trasformazione delle castagne nella Lunigiana nel tempo assunse una rilevanza economia molto importate, infatti, dal XV al XVIII secolo, vennero stabilite in tutti gli statuti delle varie Comunità della Lunigiana, dalla Rocca Sigillina a Tresana, ad Equi e a Moncigoli, da Gragnola a Pontremoli norme precise e sanzioni per salvaguardare i castagneti che da secoli erano presenti nell’area. Testimonianze archeologiche dimostrano la presenza del castagno in Lunigiana dal I secolo d.C., e la sua affermazione tra il V ed il VI secolo. I reperti rinvenuti nei pressi della Pieve di Sorano (Filattiera), laddove era posto un insediamento bizantino su una preesistente fattoria romana, sono tra i più antichi conosciuti in Italia, e soprattutto testimoniano come una rapida “rivoluzione” attuata nell’agricoltura, sostituendo alla quercia il castagno, che trovando il suo ambiente ideale ha mantenuto la sua presenza nei secoli ed ha contributo a garantire alle popolazioni una sicura ed importante fonte alimentare. Terra di antiche origini, la Lunigiana ha conservato usi e costumi, che la caratterizzano nel quadro del folklore italiano. Nella festa della Ricca, la più “ricca” massaia del paese offriva la merenda e a Filetto si chiedeva farina dolce di castagne. Anche la baladura (la ballatura), operazione che consisteva nel calpestare nell’aia le castagne parzialmente sgusciate, al fine di ottenere la loro totale mondatura, costituiva una vera e propria festa, la più gioiosa e allegra di tutto il ciclo di lavorazione delle castagne ed era accompagnata dal canto di canzoni popolari. In questa terra non mancano neanche proverbi dialettali e consuetudini sociali legati alla castanicoltura. Anche l’arte culinaria lunigianese annovera una notevole gamma di piatti a base di farina di castagne, fra cui si evidenziano la pattona (pattòna), focaccine (cian), frittelle cotte in padella (fritei, padléti), lasagne particolari (lasagna bastarda), pane (pane marocca). Questi prodotti gastronomici erano spesso accompagnati con latticini o carni insaccate. Infine, per capire quanto il castagno abbia permeato la terra di Lunigiana, basterà riflettere sul fatto che qui i bambini non nascevano sotto i cavoli e neppure venivano portati dalla cicogna, ma venivano trovati nel tronco cavo di un vecchio castagno. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) 510/2006. Tale struttura è l’ Autorità pubblica designata Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Massa Carrara,Via VII Luglio, 14 – 54033 Carrara (MS),Tel. : 0585- 7641, Fax: 0585- 776515. Articolo 8. Etichettatura La "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. viene immessa al consumo a partire dal 15 novembre dell’anno di produzione. La "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. viene confezionata in sacchetti di plastica trasparenti del peso di 500 g , 1 Kg o 5 Kg. I sacchetti di plastica possono essere inseriti in contenitori di carta o tela. Le confezioni devono essere chiuse con un sigillo inamovibile, in modo da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo di chiusura. Il sigillo, di tipo monouso, posto a chiusura di ogni confezione deve riportare la dicitura stampigliata in fusione "Farina di Castagne della Lunigiana" D.O.P. e l’anno di produzione del prodotto. Il colore del sigillo, che risulta diverso a seconda del peso, è il seguente: bianco per la confezione da 500 g; marrone per quella da 1 Kg e rosso per quella da 5 Kg. Ad ogni sacchetto viene inoltre applicata una etichetta con le seguenti indicazioni oltre a quelle di legge: a. il logo della “Farina di Castagne della Lunigiana” D.O.P come descritto nell’art. 10; b. la data di confezionamento e la data di scadenza che non può essere superiore ad un anno. Articolo 9. Logo Il logo del prodotto, come da riproduzione sotto riportato, è costituito da: la dicitura “Farina di Castagne della Lunigiana” che deve essere apposta al di sopra del simbolo grafico e riportata con caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinti e di dimensioni almeno doppie rispetto ad ogni altra scritta presente in etichetta. La dicitura, di carattere Tahoma e di colore nero, è seguita, immediatamente, dalla sigla D.O.P.; un simbolo grafico che presenta, sulla sinistra, l’immagine di due castagne sovrapposte, con la castagna in primo piano inclinata verso sinistra e la seconda raffigurata in modo verticale. Le castagne sono ambedue di colore marrone (pantone n° 1807 C) con riflesso sulla parte tondeggiante di colore marrone chiaro (pantone n° 50% 1807 C) con il fondo della castagna di colore nocciola (pantone n° 5035 C). Lo sfondo è rappresentato da tre strisce di uguali dimensioni, che comunque non possono occupare più del 40% della superficie totale del logo, con i colori della bandiera italiana: verde (pantone n° 348 C), bianco, rosso (pantone n° 206 C). Sulla destra della striscia verde appare la scritta “Denominazione di origine protetta”; la scritta è in carattere Tahoma e di colore nero; Le dimensioni minime del logo sono di nove cm. di larghezza e otto cm. di altezza; dette misure potranno essere aumentate a seconda delle confezioni. La dicitura “Farina di Castagne della Lunigiana” deve essere riportata in lingua italiana. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Massa Carrara |
Farina di Neccio della Garfagnana Farina di Neccio della Garfagnana DOP Disciplinare di produzione - Farina di Neccio della Garfagnana DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto La denominazione di origine protetta "Farina di Neccio della Garfagnana" è riservata alla farina dolce di castagne ottenute da alberi di castagno (Castanea Sativa Mill.) delle varietà descritte al successivo articolo 2, le cui caratteristiche sono da attribuirsi esclusivamente a fattori naturali e all'opera dell'uomo, conformemente agli elementi e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La "Farina di Neccio della Garfagnana" è prodotta con metodi e tecnologie tradizionali tipiche locali, utilizzando castagne, seccatoi (in seguito denominati metati) e mulini tradizionali situati nell'area delimitata al successivo art. 3, e ottenuta mediante la trasformazione di castagne derivate dalle seguenti varietà: Carpinese; Pontecosi; Mazzangaia; Pelosora; Rossola: rossolina, rossarda, rossale, rosetta, rosellina; Verdola: verdarella, verdona; Nerona: gragnanello, bocca storta, morona. Capannaccia: capannaccina, insetina. Più quelle varietà di castagne sempre delle stesse zone di origine di cui all'art. 3, ma con denominazione puramente locali. Articolo 3. Delimitazione area di produzione L'area di provenienza delle castagne dove altresì insistono i metati e i mulini per la trasformazione in farina di Neccio della Garfagnana, nonché gli impianti di confezionamento, è individuabile nella seguente zona della provincia di Lucca: Comune di Castelnuovo di Garfagnana; Comune di Castiglione Garfagnana; Comune di Pieve Fosciana; Comune di San Romano di Garfagnana; Comune di Sillano; Comune di Piazza al Serchio; Comune di Minucciano; Comune di Camporgiano; Comune di Careggine; Comune di Fosciandora; Comune di Giuncugnano; Comune di Molazzana; Comune di Vergemoli; Comune di Vagli; Comune di Villa Collemandina; Comune di Gallicano; Comune di Borgo a Mozzano; Comune di Barga; Comune di Coreglia Antelminelli; Comune di Bagni di Lucca; Comune di Fabbriche di Vallico. Tale area in un unico corpo si estende per circa ha 90.657, così come da cartografia allegata. Articolo 4. Origine del prodotto La farina di Neccio, attualmente destinata quasi esclusivamente alla produzione dolciaria, ha rappresentato nel corso di molti secoli uno degli alimenti base per il sostentamento delle popolazioni rurali della Garfagnana. Per questo l'uso del prodotto è fortemente radicato nella cultura locale avendo acquisito grossi spazi nella cucina tradizionale della zona. Proprio salvaguardando gli aspetti culturale e tradizionale si assicurerà un futuro a questo prodotto visto che i redditi modesti che garantisce ne potrebbero causare la scomparsa nel giro di qualche decennio. Pertanto, dovrà essere assicurato il mantenimento di elementi tradizionali anche nel processo di produzione in modo che contribuiscano a perpetuare le caratteristiche di pregio del prodotto e a mantenere inalterato l'ambiente nel quale si opera. Si dovrà pertanto prestare cura anche alla realizzazione o ristrutturazione dei metati, caratteristici essiccatoi delle castagne a due piani, realizzati con pietrame, calce e sabbia e dei mulini che dovranno avere macine di pietra e strutture conformi alle tipologie architettoniche locali. Articolo 5. Metodo di ottenimento del prodotto I castagneti da frutto destinati alla produzione di castagne per la "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. devono avere una densità di piante in produzione non superiore alle 150 per ettaro. I metati tradizionali conformi a quanto riportato nel precedente articolo devono essere situati nella zona delimitata ed iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo art. 6. I mulini destinati alla macinatura delle castagne secche da trasformare in "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P., localizzati nella zona delimitata, devono essere di tipo tradizionale a macine di pietra e devono essere iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo art. 6. Le castagne prodotte nella zona delimitata di cui all'art. 3 e riconducibili alle varietà di cui all'elenco dell'art. 2 devono essere essiccate nei metati tradizionali. L'essiccazione deve avvenire a fuoco lento con l'utilizzo esclusivo di legna di castagno. Le castagne devono essere immesse nel metato in quantità tali da formare uno strato compreso tra un minimo di 20 e un massimo di 90 centimetri, in modo che l'umidità possa evaporare onde non creare ristagni all'interno di esso con sobbollimenti tali da lasciare alle castagne sapori sgradevoli. Dopo un periodo di essiccazione, non inferiore a 40 giorni, le castagne dovranno essere pulite dalla loro buccia esterna, con le tradizionali macchine a battitori, ventilate a macchina o con tecniche tradizionali e ripassate a mano per levare le parti impure. La resa massima delle castagne secche pelate, rispetto alle castagne crude non può superare il 30% in peso. Il mulino non potrà macinare più di cinque quintali di castagne secche al giorno per macina onde evitare che il riscaldamento dovuto alla elevata velocità di lavorazione delle macine stesse conferisca al prodotto cattivi sapori oltre che una grana grossolana. La "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. prima di essere posta in commercio deve rispondere alle seguenti caratteristiche: fine sia al tatto che al palato, umidità massima del 13%, colore che può variare dal bianco all'avorio scuro, sapore dolce con un leggero retrogusto amarognolo, profumo di castagne. I produttori che intendono porre in commercio il proprio prodotto con la D.O.P. "Farina di Neccio della Garfagnana" sono tenuti ad iscrivere i loro castagneti in un elenco gestito dall'organismo di controllo accreditato dalla norma EN 45011. Le domande di iscrizione dei castagneti nell'elenco devono contenere gli estremi atti ad individuare la proprietà e/o il possesso, gli estremi catastali desunti dagli estratti: il comune, il numero di foglio, mappa e la partita catastale, le superfici a castagneto, il numero di piante ad ettaro e le varietà presenti. Tali domande devono essere presentate entro il 30 giugno dell'anno a decorrere dal quale si intende commercializzare il prodotto "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. Entro la stessa data devono essere presentate le domande intese ad approvare eventuali modifiche alle iscrizioni stesse. La raccolta delle castagne deve avvenire tra il 1° ottobre e il 30 novembre di ogni anno. I produttori aventi i castagneti iscritti nell'elenco di cui al presente articolo devono dichiarare al soggetto gestore dell'elenco: il metato presso il quale avverrà l'essiccazione, la quantità di castagne fresche poste ad essiccare, il giorno di inizio dell'essiccazione e la resa finale in castagne secche e il mulino presso il quale avverrà la molitura. Il mugnaio avente il mulino iscritto nell'apposito elenco deve dichiarare al soggetto gestore dell'albo, per ogni partita: il produttore, il periodo di molitura e il quantitativo di farina prodotta. Il metato e il mulino dovranno essere scelti tra quelli iscritti nell'apposito elenco di cui al successivo comma. La domanda di iscrizione deve contenere l'indicazione del titolo di proprietà e/o di possesso, il comune e la località di ubicazione degli immobili, il foglio catastale, il numero/i di particella/e. I mulini che si intende abilitare alla trasformazione di castagne in "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. devono essere adibiti esclusivamente alla molitura delle castagne. La domanda di richiesta di iscrizione per i metati ed i mulini deve essere presentata entro il 30 giugno dell'anno a decorrere dal quale si intende adibire le strutture alla trasformazione del prodotto da commercializzare con il marchio "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. Articolo 6. Legame con l'ambiente I produttori di castagne nonché i gestori di metati e mulini dovranno essere iscritti in un apposito elenco gestito dall'organismo di controllo di cui al successivo art. 7. Entro 10 giorni dalla fine della raccolta deve essere presentata all'organismo di controllo la denuncia di produzione di castagne fresche raccolte relativa all'annata in corso. La denuncia di produzione da parte di un produttore può essere fatta in più volte, e l'organismo di controllo rilascerà, di volta in volta, attestazione del prodotto denunciato dopo avere verificato la corrispondenza all'elenco. Articolo 7. Organismo di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dall'A.I.A.B. ente certificatore privato, sulla base di quanto stabilito dall'art. 10 del registro CEE 2081/92. Articolo 8. Etichettatura Ogni anno la nuova "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. potrà essere commercializzata soltanto dopo il primo giorno di dicembre. I prodotti trasformati possono menzionare in etichetta che il prodotto stesso è ottenuto con "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. purché il trasformatore si sottoponga ai controlli da parte dell'organismo di cui all'art. 6 e rispetti le prescrizioni impartite da detto organismo per l'identificabilità delle partite del prodotto. La "Farina di Neccio della Garfagnana" D.O.P. può essere venduta dal produttore solo confezionata in sacchetti trasparenti inseriti in una fascia di protezione di cartone. Le confezioni, saranno da 500 grammi e da 1 chilogrammo. Per forniture a ristoranti, pasticcerie ed altri trasformatori è consentito commercializzare la confezione di 12 chilogrammi in due sacchi trasparenti e sigillati da 6 kg cadauno sempre inscatolati. Detti contenitori devono essere chiusi e sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. Il sigillo è costituito da una etichetta inamovibile che deve riportare le seguenti indicazioni: A) "Farina di Neccio della Garfagnana", seguita immediatamente al di sotto dalla dicitura "Denominazione origine protetta" (D.O.P.) come dall'allegato che fa parte integrante del disciplinare; B) nome cognome o ragione sociale del produttore, nonché la ditta e la sede di chi ha effettuato il confezionamento del prodotto (sia esso il produttore o terzi); C) quantità di prodotto contenuta all'origine nei contenitori, espressa in conformità delle norme metrologiche vigenti. L'etichetta deve altresì contenere il logo europeo della D.O.P. così come definito dal registro CE n. 1726/98. In etichetta è vietata l'indicazione di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi "extra", "superiore", "fine", "scelta", "selezionata" e similari. È vietato inoltre l'uso di indicazioni aventi significato laudativo ed atte a trarre in inganno il consumatore. È consentito l'uso di indicazioni relative al produttore e al luogo di confezionamento. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Lucca |
Farro della Garfagnana Farro della Garfagnana IGP Disciplinare di produzione - Farro della Garfagnana IGPArticolo 1. L'Indicazione Geografica Protetta "Farro della Garfagnana" è riservata alla granella prodotta dalla specie Triticum dicoccum (Schubler) che risponda ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La zona di produzione del "Farro della Garfagnana" è costituita dalla parte del territorio della Provincia di Lucca ricadente nei seguenti Comuni: Camporgiano, Castelnuovo Garfagnana, Castiglione di Garfagnana, Guncugnano, Minucciano, Piazza al Serchio, Pieve Fosciana, San Romano Garfagnana, Sillano, Villa Collemandina, Fosciandora, Vagli di Sotto, Careggine, Molazzana, Gallicano, Vergemoli. Articolo 3. Il "Farro della Garfagnana" è un cereale tipico della Garfagnana e presenta un genotipo che si è ben adattato al clima ed ai terreni locali. Le principali caratteristiche morfo-biologiche sono le seguenti: - Altezza pianta (in centimetri) dai 110 ai 170 - Spighe aristate, mutiche o mucronate - Peso ettolitrico del seme vestito (minimo 40,0 kg) - Peso ettolitrico del seme nudo brillato (minimo 70,0 kg) - Caratteristiche dell'endosperma: prevalente struttura farinosa, con evidenti striature biancastre a seguito della brillatura - Spiccata autunnalità, ovvero un ciclo che per compiersi adeguatamente deve partire da un semina autunnale fino alla raccolta nell'estate successiva. Articolo 4. Le condizioni ambientali e di coltura del "Farro della Garfagnana" devono essere quelle tradizionali della zona, e comunque atte a conferire al prodotto le caratteristiche specifiche di tipicità. Sono pertanto da considerarsi idonei i terreni ubicati dai 300 ai 1000 metri s.l.m. con giacitura ed esposizione adatti. La semina, previa adeguata lavorazione del terreno e nel rispetto delle tradizionali rotazioni (in particolare il prato), deve effettuarsi con seme vestito derivante dalla popolazione locale con quantità che vanno dai 100 ai 150 kg per ettaro. È escluso l'impiego di concimi chimici, di fitofarmaci e di diserbanti. È ammesso l'uso di concimi organici. La produzione massima di granella vestita per ettaro non dovrà superare 25 quintali. Articolo 5. Il produttore che voglia certificare la propria produzione dovrà presentare all'organismo di controllo di cui all'art. 8, entro il 3 dicembre di ogni anno, una dichiarazione di coltivazione con le esatte superfici aziendali seminate impegnandosi a rispettare le condizioni previste dal precedente articolo. Dopo la raccolta verranno assegnati da parte dell'Organismo di controllo i bollini di riconoscimento in base alle quantità di Farro effettivamente prodotto e rispondente alle caratteristiche qualitative di cui sopra. Tali superfici e le quantità di Farro prodotte saranno registrate in un albo secondo criteri definiti da apposito regolamento elaborato dall'organismo di controllo di cui all'art. 8. Articolo 6. Il prodotto ottenuto dovrà essere conservato in locali idonei senza l'utilizzo di antiparassitari. Le operazioni di brillatura saranno effettuate nelle zone di produzione con apposite macchine. La resa in brillato non potrà eccedere il 60% del prodotto iniziale. Il "Farro della Garfagnana" sarà commercializzato come seme brillato. Il Farro brillato sarà commercializzato in sacchetti da kg 0,5 – kg 1,0 - kg 5,0 - kg 10,0 - kg 25,0 - kg 50,0. Il sacchetto deve rispettare le norme di legge in vigore ed in particolare riportare le indicazioni sulla annata di produzione e la scadenza per il consumo. La confezione sarà adeguatamente sigillata. Articolo 7. Oltre alla denominazione di cui all'art. 1, è consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi d'impresa non aventi significato laudativo e non tali da trarre in inganno l'acquirente. È consentito, altresì, l'uso per il prodotto in granella di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone e località comprese nei territori dei comuni di cui all'art. 2 e dai quali effettivamente proviene il Farro ad Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Viene istituito un apposito organismo di controllo con sede presso la C.M. zona C2 della Garfagnana in Castelnuovo Garfagnana. L'organismo di controllo sarà presieduto dal Presidente della Comunità montana o da un suo delegato e composto da 2 esperti tecnici nominati dalla comunità montana e da 4 rappresentanti dei produttori designati dagli stessi riuniti in assemblea. I controlli a campione vengono decisi di volta in volta dallo stesso Organismo di controllo sulla base delle dichiarazioni di produzione presentate. L'organismo di controllo sovrintende alla tenuta dell'albo. Nel suddetto albo che sarà tenuto presso la sede della C.M. saranno inoltre annotate le singole superfici destinate alla produzione di Farro e le produzioni ottenute. Chiunque produce, vende, pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo farro con la indicazione geografica protetta "Farro della Garfagnana" che non corrisponde alle condizioni ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare, è punito a norma delle vigenti leggi per la repressione frodi. L'organismo di controllo ha il potere di interdire l'utilizzo della Indicazione Geografica Protetta ai produttori che non rispettino le condizioni stabilite dal presente disciplinare. Articolo 9. La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del "Farro della Garfagnana" di un consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dall'art.10 del reg. (CEE) 2081/92. | I.G.P. | cereali | Toscana | Lucca |
Farro di Monteleone di Spoleto Farro di Monteleone di Spoleto DOP Disciplinare di produzione - Farro di Monteleone di Spoleto DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta “Farro di Monteleone di Spoleto” è riservata alla granella prodotta dalla varietà locale della specie Triticum dicoccum (Schubler) e che risponda ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Il “Farro di Monteleone di Spoleto” è un ecotipo locale della specie Triticum dicoccum (2n=4x=28), tipico della zona delimitata all’art. 3, e che ha assunto, grazie all’adattamento nel tempo al clima ed ai terreni dell’area delimitata, le singolari caratteristiche morfo-fisiologiche che lo distinguono dal farro ottenuto in altre zone geografiche: - habitus primaverile - altezza della pianta inferiore a 120 centimetri; - grado di accestimento medio; - portamento semieretto a fine accestimento; - piante con culmi e foglie sottili con glaucescenza variabile da debole a media; - spiga di piccole dimensioni, tendenzialmente piatta e aristata a maturazione di colore bianco sporco; - glumelle strettamente aderenti alla cariosside; - cariosside con abbondante peluria apicale, pronunciata gibbosità, a frattura vitrea; - colore marrone chiaro ambrato, caratteristica che conferisce un particolare carattere di differenziazione, riscontrabile in tutti i prodotti anche dopo la molitura. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP viene immesso al consumo nelle seguenti tipologie: • Farro integrale: si presenta in chicchi allungati e ricurvi di colore marrone chiaro ambrato, spogliato della pula. Al palato risulta consistente e asciutto; • Farro semiperlato: differisce da quello integrale solo per una leggera graffiatura (molatura) della superficie della cariosside che resta intera. Visivamente risulta più chiaro del farro integrale e al palato più morbido. Pertanto è il più indicato per minestre ed insalate di farro; • Farro spezzato: è ottenuto dai chicchi di farro integrale cioè semplicemente svestiti della pula spezzando ogni chicco in più parti (3 o 4 parti) e successivamente vagliato nel calibro attraverso una macchina vagliatrice. Visivamente presenta una colorazione marrone chiaro ambrato ed un aspetto caratterizzato da scaglie vitree; • Semolino di farro: è ottenuto per molitura del farro integrale, si presenta come tritello più fine dello spezzato, ma non polveroso per la sua caratteristica vitrea. Al palato si dissolve con una sensazione di pastosità. Il colorito è marrone molto chiaro. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della DOP “Farro di Monteleone di Spoleto” ricade nell’area montana (di altitudine maggiore o uguale a 700 m s.l.m) dell’area sud est della Provincia di Perugia e comprende: l’intero territorio amministrativo dei comuni di Monteleone di Spoleto e Poggiodomo e parte del territorio amministrativo dei comuni di Cascia, Sant’Anatolia di Narco, Vallo di Nera e Scheggino. La linea di delimitazione dell’areale inizia, in senso antiorario, da sud e segue il confine tra la Provincia di Perugia e la Provincia di Rieti, fino alla località Fonte Ruzzo. La linea risale quindi verso nord seguendo la strada doganale che collega Fonte Ruzzo alla località Fonte del Sorcio, successivamente prosegue sulla strada che si dirige verso la località Onelli, all’interno del Comune di Cascia, fino alla località Chiesa di San Sisto. Prosegue poi sulla strada che si dirige a Cascia. Da Cascia procede per la strada in direzione ovest verso Roccaporena passando per località Capanne di Roccaporena, fino ad intersecare il confine amministrativo tra il Comune di Cascia e il comune di Poggiodomo. Risale quindi verso nord lungo il confine amministrativo del Comune di Poggiodomo, fino alla località Casali del Lago. Da Casali del Lago la linea segue la strada verso sud fino a località Forcella e di seguito località San Pietro, fino a giungere alla località Forchetta di Vallo. Da Forchetta di Vallo la linea segue la strada che passa per località Casale Montecastello e Casale Forcella, fino all’innesto con la strada provinciale n. 471 all’interno del territorio comunale di Sant’Anatolia di Narco. Il confine dell’areale procede lungo il corso della strada provinciale n. 471 in direzione sud e passando per località Caso fino a località Gavelli. Da località Gavelli la linea passa lungo la strada che si dirige verso località Romitorio di Sant’Antonio e successivamente, entrando nel Comune di Scheggino, fino a località Pozzo Massarini. Da località Pozzo Massarini prosegue fino a località Immagine, poi continua in direzione sud ovest lungo il confine amministrativo della Provincia di Perugia con la provincia di Terni. La delimitazione segue fino al confine con la Provincia di Rieti (punto di fine e partenza). Articolo 4. Prova dell’origine Al fine di garantire l’origine del prodotto ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali, dei coltivatori/produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Lavorazioni del terreno. La lavorazione del terreno viene eseguita in ottobre-novembre per permettere ai semi delle erbe infestanti di germinare ed insediarsi dopo le piogge di fine estate. La tecnica colturale adottata è quella tradizionale, in uso da centinaia di anni: le lavorazioni principali del terreno, quali aratura e rippatura, sono autunnali o primaverili. La profondità di aratura è di 30-35 cm con rovesciamento completo della zolla; il terreno così lavorato viene lasciato “maturare” per tutto l’inverno. Prima della semina viene effettuata l’erpicatura. Semina. La semente da utilizzare per la produzione di granella, certificabile come “Farro di Monteleone di Spoleto”, è compresa tra 120 e 150 kg/ha di granella vestita che deve provenire esclusivamente da coltivazioni effettuate nel territorio delimitato. La produzione massima consentita di granella vestita di “Farro di Monteleone di Spoleto” è fissata in 3,0 tonnellate per ettaro. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” viene seminato a primavera, dal 1 febbraio fino al 10 maggio. La semina è fatta meccanicamente a file o a spaglio. Concimazione, diserbo. Al “Farro di Monteleone di Spoleto” vengono somministrate concimazioni in copertura soltanto nei terreni meno fertili e nelle situazioni di avvicendamento più sfavorevoli. Questa consuetudine è legata sia alle abitudini dell’agricoltura locale che, a causa delle scarse potenzialità produttive dell’ambiente, fa poco uso di prodotti chimici, sia alla grande suscettibilità all’allettamento del farro, se coltivato su terreni troppo fertili. Sui terreni più poveri, o in successione a cereali ripetuti per diversi anni, al farro vengono praticate letamazioni nell’autunno precedente la semina. Il “Farro di Monteleone di Spoleto” non viene mai diserbato chimicamente. La concimazione all’impianto è esclusivamente organica, letamica, o di derivazione letamica. Raccolta. La raccolta avviene nei mesi di luglio, agosto, settembre. La raccolta è eseguita per mietitrebbiatura. Le produzioni sono comprese tra 0,6 e 3,0 tonnellate per ettaro di granella vestita. Fasi successive alla raccolta. La filiera tecnologica prevede, dopo la raccolta, anche una serie di altre operazioni, diverse a seconda della tipologia da ottenere: • Farro integrale: è il farro solamente decorticato ovvero viene tolta soltanto la pula esterna, si tratta della tipologia di farro lavorato che subisce meno interventi tra quelle immesse nel commercio; • Farro semiperlato: è il farro intero molito esternamente con una leggera molatura della cariosside attraverso l’utilizzo di una macchina molitrice, per portare ad una riduzione dei tempi di cottura; • Farro spezzato: consiste nella spezzatura, molto grossa, del farro decorticato, ottenendo come risultato una grana tradizionalmente usata per ridurre i tempi di cottura di zuppe e minestre; • Semolino di farro: consiste nella molitura del farro al fine di ottenere un semolino piuttosto grezzo, con un tritello più grande della farina, ma più fine del farro spezzato; Conservazione. Il prodotto viene immagazzinato, come da tradizione, nelle seguenti modalità: - in sacchi o balloni, - in silos. Le operazioni di coltivazione e lavorazione devono avvenire nel territorio indicato all’articolo 3 al fine di garantire la tracciabilità ed il controllo e per non alterare la qualità del prodotto. Articolo 6. Legame con l’ambiente Le particolari caratteristiche fisiche ed organolettiche del “Farro di Monteleone di Spoleto” e soprattutto la tipica cariosside dal colore ambrato e dalla consistenza vitrea alla frattura sono da imputare alla combinazione delle condizioni pedoclimatiche della zona di produzione ed in particolare ai terreni calcarei sassosi posizionati sopra ai 700 m slm che impediscono il ristagno dell’acqua nelle stagioni umide. Le sperimentazioni e gli studi scientifici realizzati, dimostrano che l’utilizzazione della semente del Farro di Monteleone di Spoleto in altre zone della Valnerina dà un prodotto che col passare degli anni perde le caratteristiche specifiche diventando bianconato, a testimonianza del fatto che c’è stata una forte ecotipizzazione connessa alla zona di produzione individuata all’articolo 3 del presente disciplinare di produzione, causata anche da un forte isolamento geografico, tanto da costituire uno specifico ecotipo locale. Dalle analisi sperimentali ufficiali, ne è derivata la descrizione botanica della cariosside: la descrizione morfologica prevede dimensioni medio- piccole, frattura vitrea e di colore marrone chiaro ambrato, distinguendosi dagli altri tipi di farro. E’ una pianta ad habitus primaverile, adatta alla semina di fine inverno nelle zone montane, questo spiega il forte legame geografico ed antropologico con l’ambiente della zona delimitata all’art.3. La conformazione dell’altopiano è origine delle particolari caratteristiche climatiche del territorio con lunghi inverni molto rigidi con frequenti gelate che si protraggono fino a maggio e pochissime settimane estive con elevate temperature diurne; condizioni climatiche alle quali resiste fruttuosamente l’ecotipo “Farro di Monteleone di Spoleto” adattatosi nel corso del tempo. Il terreno è di tipo alluvionale carsico, mediamente dotato di sostanza organica, con elevata dotazione di fosforo e bassa disponibilità di potassio. Tali caratteristiche e condizioni hanno determinato l’individuazione della perimetrazione sopra esposta per garantire le caratteristiche organolettiche del prodotto. A Monteleone di Spoleto, nella “tomba della biga” (tomba etrusca risalente al VI sec. Avanti Cristo), sono stati rinvenuti reperti di cereali, tra cui anche cariossidi di farro appartenenti molto probabilmente proprio alla specie che tradizionalmente viene coltivata oggi a Monteleone di Spoleto, ovvero Triticum dicoccum, a testimonianza della sua larga diffusione e utilizzo tra le colture cerealicole di quel tempo. Nell’area in questione, la ricerca d’archivio ha consentito di recuperare e conservare prove documentali attestanti che fin dal XVI secolo la coltivazione del farro era largamente praticata, poi il suo uso si è protratto nelle consuetudini agrarie della zona nei secoli successivi fino ai nostri giorni. Un dato certo e inconfutabile conferma che nel passato la principale zona di coltivazione del farro era Monteleone e ne danno testimonianza persino i residenti nelle zone limitrofe a quella delimitata all’art. 3 sostenendo: “ lo coltivano là perché fin dagli antichi romani…questo farro di Monteleone… qui nella zona c’è sempre stato”. Gli usi tradizionali della granella di farro inquadrano meglio la dimensione storica del farro rispetto al suo ambiente. Le tecniche di preparazione dei terreni, la scelta dei tempi giusti della semina e della raccolta la cura con cui viene lavorato ed immesso al commercio nelle varie tipologie e soprattutto le numerose ricette culinarie locali che i produttori della zona hanno saputo mantenere e tramandare nell’arco degli anni aggiungono quel valore umano che più di ogni altro fattore rende tipica la denominazione di origine di un prodotto. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. CE 510/2006. Articolo 8. Etichettatura Il “Farro di Monteleone di Spoleto” viene immesso al consumo in sacchetti di plastica garantiti per l’inalterabilità delle caratteristiche organolettiche e di salubrità del prodotto, del peso di ½ kg e di 1 kg e in sacchi di carta o di nylon del peso di 25 kg. Il prodotto confezionato in sacchetti di plastica viene commercializzato con la tecnica del sottovuoto, utilizzata per tutte le tipologie di prodotto, ovvero per farro integrale, semiperlato, spezzato e semolino. Le confezioni del “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP devono rispettare tutte le norme di legge in materia di etichettatura ed in particolare dovranno essere adeguatamente sigillate. Il prodotto deve essere condizionato in modo tale da garantire una adeguata protezione. Gli imballaggi devono essere nuovi, puliti atossici e conformi alla vigente normativa comunitaria e nazionale di riferimento, così come carte o stampe ivi inserite e a contatto con il prodotto. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al logo della denominazione, al simbolo grafico comunitario e relative menzioni e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: - Nome e cognome o ragione sociale, indirizzo o sede del confezionatore; - Data di confezionamento; - Peso netto all’origine (comunque soggetto a calo naturale); - L’acronimo D.O.P.; - La tipologia di farro confezionata secondo quanto descritto all’articolo 2 del presente disciplinare di produzione. - La dicitura “Prodotto di montagna” a) Il logo è composto da un rettangolo contenente una cornice-linea, con rapporto base/altezza = 1,15. Nella parte destra, compare la sagoma di profilo di un leone rampante con 2 spighe di farro sulla zampa anteriore destra. In basso vi è un campo, con in evidenza sei spighe di farro. Di fronte al leone in alto a sinistra è scritto “Farro di Monteleone di Spoleto” D.O.P. b) La base minima ammessa è di 2,5 cm; c) La dicitura “Farro di Monteleone di Spoleto” D.O.P. è ammessa sia in colore nero, sia in pantone 1805 (Rosso Bordeaux); d) Tipo di caratteri: Times SC; e) Specifiche dei colori: pantone 131 (Bronzo), pantone 1805 (Rosso Bordeaux), Nero, sfondo Bianco. Nel caso dell’utilizzazione del logo per l’etichettatura, si fa obbligo di rispettare rigorosamente le proporzioni dei caratteri, secondo la rappresentazione grafica di seguito riportata. E’ comunque ammesso l’uso del logo in scala di grigi o monocromatico. Articolo 9. Prodotti Trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzato il “Farro di Monteleone di Spoleto” DOP anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione, senza l’apposizione del logo comunitario. Il menzionato riferimento alla denominazione dovrà riportare la seguente frase: “prodotto realizzato con Farro di Monteleone di Spoleto”. Le sopramenzionate disposizioni sono subordinate a condizione che: la Denominazione di Origine Protetta certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della specie Triticum dicoccum (Schubler); il suddetto riferimento sia fatto in modo tale che non possa sussistere dubbio per il consumatore circa il fatto che la protezione DOP concerne esclusivamente l’ingrediente e non il prodotto elaborato o trasformato. | D.O.P. | cereali | Umbria | Perugia |
Fichi di Cosenza Fichi di Cosenza DOP Disciplinare di produzione - Fichi di Cosenza DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Cosenza |
Fico Bianco del Cilento Fico Bianco del Cilento DOP Disciplinare di produzione - Fico Bianco del Cilento DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Ficodindia dell'Etna Ficodindia dell'Etna DOP Disciplinare di produzione - Ficodindia dell'Etna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania |
Ficodindia di San Cono Ficodindia di San Cono DOP Disciplinare di produzione - Ficodindia di San Cono DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania, Enna, Caltanissetta |
Fungo di Borgotaro Fungo di Borgotaro IGP Disciplinare di produzione - Fungo di Borgotaro IGPArticolo 1.
Articolo 2. La denominazione "Fungo di Borgotaro" designa i carpofori delle seguenti varietà di boletus derivate da crescita spontanea nel territorio definito nel successivo art. 3. A) Boletus aestivalis (anche Boletus reticulatus Schaffer ex Baudin) chiamato dialettalmente "rosso" o "fungo del caldo"; cappello: dapprima emisferico, poi convesso - pulvinato: cuticola pubescente secca (viscida con la pioggia, screpolata con il secco): colore bruno rosso più o meno scuro, uniforme; gambo: sodo, prima ventricoso, poi più slanciato cilindrico od ingrossato alla base, dello stesso colore del cappello, ma a toni più chiari, interamente percorso da un reticolo, quasi sempre molto evidente, a maglie biancastre poi più scure; carne: di consistenza più soffice rispetto ad altri porcini, bianca senza sfumature sotto la cuticola del cappello - odore e sapore molto gradevoli; habitat: in prevalenza nei castagneti - epoca di produzione maggio-settembre. B) Boletus pinicola Vittadini (anche B. pinophilus Pilat e Dermek) chiamato dialettalmente "moro"; cappello: da emisferico a convesso appianato: cuticola pruinosa biancastra poco aderente e tomentosa prima, glabra e secca poi, colore granata bruno-rossiccio-vinoso; gambo: massiccio e sodo, tozzo, di colore da bianco ad ocra a bruno-rossiccio, reticolo non eccessivamente evidente e solo in prossimità del bulbo; carne: bianca, immutabile, bruno-vinosa sotto la cuticola del cappello, odore poco rilevante, sapore dolce e delicato; habitat: la forma estiva - più tozza - è presente da giugno in prevalenza nel castagneto: quella autunnale più slanciata - cresce di preferenza nel faggeto e sotto l'abete bianco. C) Boletus aereus Bulliard ex Fries, chiamato dialettalmente "magnan"; cappello: emisferico, poi convesso, infine piano - allargato: cuticola secca e vellutata, colorazioni bronze-ramate specie negli esemplari adulti; gambo: sodo, prima ventricoso poi allungato, colore bruno - ocraceo, finemente reticolato, per lo più in vicinanza della sommità; carne: soda, bianca, immutabile, odore profumato, sapore fungino intenso, ma purissimo; habitat: in prevalenza nei querceti e nei castagneti, presente da luglio a settembre, è la specie più xerotermofila rispetto alle altre varietà di Boletus. D) Boletus edulis Bulliard ex Fries che dialettalmente prende il nome "fungo del freddo" in particolare la "forma bianca"; cappello: prima emisferico poi convesso appianato: superficie glabra e opaca, un po' vischiosa a tempo umido: cuticola non separabile, con colorazione variabile dal bianco crema al bruno castano e bruno nerastro con tutte le tonalità intermedie; gambo: sodo, panciuto prima, allungato poi, da colore biancastro al colore nocciola più chiaro alla base, reticolo non sempre presente; carne: soda , bianca, sfumata della tinta della cuticola, immutabile, odore delicato, sapore tenue; habitat: nei boschi di faggio, abete e castagno, presente da fine settembre alla prima neve. Rare le forme estive. Articolo 3. La zona di produzione del "Fungo di Borgotaro" comprende il territorio idoneo dei comuni di Borgotaro ed Albareto in provincia di Parma ed il comune di Pontremoli in provincia di Massa Carrara. Tale zona è così delimitata: il confine nord partendo dal crinale spartiacque del torrente Cogena a quota 1413 m.s.m. tra l'Emilia Romagna e la Toscana, la linea di delimitazione prosegue lungo il corso del torrente Cogena fino alla confluenza del fiume Taro - Sul lato ovest - risale il corso del fiume Taro fino alla confluenza con il torrente Gotra (suo affluente di destra) indi lo stesso torrente Gotra, quindi il riolo del lago secco e raggiunge a quota 1140 il crinale spartiacque tra la Liguria e l'Emilia - Romagna. Il confine sud partendo da quota 1140 a monte del rio del lago Secco segue lo spartiacque tra la regione Emilia - Romagna e la Liguria fino al monte Gottero a quota 1639 indi ridiscende al passo della Colla, da cui segue il confine spartiacque tra la regione Emilia - Romagna e Toscana fino al passo dei 2 Santi a quota 1507 prosegue quindi in territorio toscano - seguendo la delimitazione amministrativa tra il comune di Zeri e quello di Pontremoli fino al raggiungimento del torrente Betigna, indi la mulattiera dei Chiosi fino Case Cervi e al cimitero Traverde e da questa località alla confluenza del torrente Mogiola nel fiume Magra, in località Mignano. Il confine est è rappresentato dal corso del torrente Cisavola dalla sua immissione nel fiume Magra in località Molinello fino alla sorgente e da questa raggiunge il passo della Cisa, indi prosegue lungo lo spartiacque tra l'Emilia - Romagna e Toscana e poco a nord del monte Molinatico raggiunge quota 1143. Articolo 4. 1. Le condizioni ambientali dei boschi destinati alla produzione del "Fungo di Borgotaro" devono essere quelle tradizionali della zona: trattamento a taglio raso con rilascio mediamente di 100 matricine ad ettaro per i boschi governati a ceduo o a ceduo composto di faggio, castagno, essenze quercine e miste; trattamento a taglio a saltuario per i castagneti da frutto o da legno governati ad alto fusto: trattamento a tagli successivi per l'alto fusto di faggio, anche proveniente da conversioni di ceduo, tagli colturali secondo le norme previste dalle prescrizioni di massima e polizia forestale per i boschi di alto fusto di conifere. E' pure consentito il trattamento a sterzo per i boschi governati a ceduo di faggio, castagno ed essenze quercine miste al fine di migliorare la produzione fungina ed assicurare migliore protezione del terreno. 2. L'inizio delle operazioni di raccolta deve essere specificatamente autorizzato per un periodo massimo di sessanta giorni, rinnovabile, dagli organi tecnici della regione Emilia - Romagna di concerto con la regione Toscana su proposta dei produttori interessati. 3. Durante le operazioni di raccolta è fatto divieto di: utilizzare per la raccolta dei carpofori uncini, rastrelli ed altri strumenti in legno, ferro, plastica ecc. che possono ledere e danneggiare il micelio fungino o l'apparato radicale delle piante arboree ed arbustive. asportare la lettiera formata da foglie, parti di rametto, erba ecc. marcescenti sul letto di caduta, al fine di evitare il danneggiamento del sottostante micelio; raccogliere carpofori con diametro della cappella inferiore ai 2 cm sempreché non siano concresciuti con carpofori di dimensioni superiori al limite suddetto; utilizzare prodotti ottenuti per sintesi chimica al fine di stimolare la produzione o l'accrescimento dei carpofori; non avvalersi per la raccolta di contenitori di plastica rigidi o a borsa, in quanto non consentono la dispersione eventuale delle spore fungine. Sono consentite, perché favoriscono la produzione fungina, le seguenti operazioni: a) ripuliture del sottobosco in particolare da calluna brugo, erica sp., rovi e similari; b) dispersione dei residui della pulitura di carpofori sul terreno; c) separazione del carpoforo dal micelio per mezzo di torsione manuale o con strumento tagliente, purché non venga leso il micelio. Articolo 5. La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità di cui al precedente art. 4 è accertata dalla Regione Emilia - Romagna di concerto con la regione Toscana. I boschi idonei alla produzione del "Fungo di Borgotaro" saranno inseriti in apposito albo tenuto, attivato, aggiornato e pubblicato dalla camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Parma, di concerto con la camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Massa Carrara per i boschi situati in provincia di Massa Carrara. Sono idonei alla produzione del "Fungo di Borgotaro" i boschi allo stato puro o misto delle seguenti specie: a) latifoglie: faggio, castagno, cerro ed altre specie quercine, carpino, nocciolo, pioppo tremolo; b) conifere: abete bianco e rosso, pino nero e silvestre, pseudotsuga menzienzii governate sia a ceduo, ceduo composto e fustaia sia derivata da evoluzione naturale che da conversione. Anche le aree arbustive, prative, pascolative intercluse o confinanti con i boschi fino ad una distanza di m 100 dal bordo dei boschi, si ritengono atte alla produzione del fungo di Borgotaro in quanto correlato allo sviluppo dell'apparato radicale delle piante. Con Decreto del Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali sentiti gli Enti e organizzazioni interessati saranno emanate norme per la tenuta e l'attivazione dell'albo dei boschi e dei raccoglitori abilitati per la modulistica da adottarsi per le iscrizioni, le denuncie annuali di produzione e le certificazioni conseguenti, ai fini del controllo della produzione riconosciuta e commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta. Articolo 6. Il "Fungo di Borgotaro" all'atto di immissione al consumo deve presentare per tutte le varietà caratteristiche organolettiche specifiche, di cui alla descrizione dell'art. 2 ed in particolare all'olfatto i carpofori devono essere caratterizzati da odore pulito, non piccante e senza inflessioni di fieno, liquerizia, legno fresco. Il fungo fresco deve essere sano, con gambo e cappella sodi sprovvisto di terriccio, foglie ed altri corpi estranei. I carpofori non devono presentare alterazioni infracutanee dovute a larve di ditteri od altri insetti su una superficie superiore al 20%. I carpofori devono presentare superficie liscia, non disidratata ed avere una umidità inferiore al 90% del peso totale oppure un peso specifico compreso tra 0,8 e 1,1 esente da grinzosità dovute a perdita di umidità. Articolo 7. Per l'immissione al consumo i carpofori devono essere possibilmente separati per varietà e devono essere commercializzati in contenitori di legno, preferibilmente di faggio o castagno, dalle dimensioni di 50 cm di lunghezza e 30 cm di larghezza e con sponde basse (padelle) in modo da essere collocati in un unico strato per facilitare i controlli. Al contenitore dovrà essere apposta una retina con inserita fasciatura sigillata in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. Sui contenitori stessi dovranno essere indicati, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni le diciture "Fungo di Borgotaro" e "Indicazione geografica protetta" oltre agli elementi atti ad individuare: nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, data di raccolta, peso netto all'origine, nonché eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo o non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del fungo. Articolo 8. E' fatto divieto di usare, con la denominazione di cui all'art.1 qualsiasi altra denominazione ed aggettivazione aggiuntiva. Articolo 9. Chiunque produce, pone in vendita o comunque utilizza per la trasformazione con la denominazione "Fungo di Borgotaro" un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione è punito a norma degli articoli 515 e 516 del codice penale e dell’Art. 18 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 109. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna, Toscana | Parma, Massa Carrara |
Insalata di Lusia Insalata di Lusia IGP Disciplinare di produzione - Insalata di Lusia IGPArticolo 1.
Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Le colture destinate alla produzione dell’Indicazione Geografica Protetta “I.G.P. Insalata di Lusia”, nelle due varietà Cappuccia e Gentile, devono essere costituite da piante della famiglia delle Asteracee, genere Lactuca, specie Sativa, varietà Capitata (denominata Cappuccia) e Crispa (denominata Gentile) I.G.P. Insalata di Lusia: Fusto: molto corto, da 2 a 6 cm, e molto carnoso; su di lui s’inseriscono le foglie di numero, forma, dimensione e colore variabile in funzione dell’andamento climatico; Gusto: fresco e croccante; Carattere essenziale: morbidezza, dovuta all’assenza di fibrosità, accompagnata dalla turgidità anche dopo 10 -12 ore dalla raccolta, assenza di fenomeni di lignificazione; Pianta: il prodotto in serra presenta una struttura più contenuta con grumo leggermente più aperto rispetto alla coltura in pieno campo. A) Cultivar Cappuccia Foglia: compatta e ondulata presenta il margine intero di un colore verde medio brillante che può essere soggetto a sensibili variazioni in relazione all’andamento climatico. Peso medio del cespo: 200/450 grammi; B) Cultivar Gentile Foglia: bollosa con margine frastagliato, di colore verde chiaro brillante che può essere soggetto a sensibili variazioni in relazione all’andamento climatico. Peso medio del cespo: 150/450 gr. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione comprende parte del territorio delle province di Rovigo e Padova vocata per l’ottenimento dell’insalata ed è circoscritta ai seguenti comuni: - Provincia di Rovigo: Lusia, Badia Polesine, Lendinara, Costa di Rovigo, Fratta Polesine, Villanova del Ghebbo e Rovigo; - Provincia di Padova: Barbona, Vescovana e Sant’Urbano. In allegato (n° 1) copia della cartina geografica con evidenziata la zona di produzione. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine L’orticoltura a Lusia è iniziata nei primi anni del 1900, come attività che produceva ortaggi per consumo familiare, anche in ragione delle caratteristiche dei terreni più adatti ai prodotti orticoli che alle colture a seminativo. Una lettera di un produttore dell’epoca ad un’autorità ecclesiastica descrive le condizioni dei terreni negli anni 30, degli orticoltori, e della loro difficoltà nel trattare con i commercianti. Inoltre alcuni quaderni manoscritti da produttori della zona nel 1930, menzionano l’insalata che in quel periodo era usata come termine per indicare in modo generico sia le lattughe sia le indivie. Ma già nel 1933 in quei quaderni compariva la dicitura “Latuga” o “salata” che a quell’epoca come accade ancora tra alcuni produttori d’oggi era intesa come Lattuga Cappuccia. La prima documentazione statistica risale agli anni 50 e coincide con la fondazione della Centrale Ortofrutticola di Lusia. Nei dati statistici del 1956, le insalate compaiono come secondo prodotto (in termini quantitativi) transitato per la struttura, seconda solo alla patata. Negli anni 60 poi, alcuni commercianti di Lusia, che frequentavano il mercato di Verona, notarono la Lattuga Gentile che fu presto introdotta nella maggioranza delle aziende locali; nelle quali, grazie alle favorevoli condizioni pedoclimatiche, vennero ottenuti ottimi risultati quali-quantitativi tanto da indurre i produttori ad iniziare una selezione genetica per migliorare le cultivar e le caratteristiche organolettiche di questa insalata. L’origine del prodotto è comprovata oggi dalla notorietà “provenienza Lusia”, indicazione con la quale il prodotto è conosciuto anche nei mercati diversi da quello di origine. L’origine è inoltre garantita dall’iscrizione dei produttori e dei confezionatori in apposito elenco tenuto dalla struttura di controllo di cui all’articolo 7 i quali devono assicurare la rintracciabilità del prodotto in ogni fase della filiera attraverso: - nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato; - l’iscrizione, per ciascuna campagna produttiva, dei terreni coltivati a “insalata di Lusia” nell’elenco depositato presso la sede dell’Organismo di Controllo; - l’indicazione degli estremi catastali dei terreni coltivati ad “Insalata di Lusia” e, per ciascuna particella catastale, la ditta proprietaria, la ditta produttrice, la località, la superficie coltivata a “insalata di Lusia” distinta per cultivar Cappuccia e cultivar Gentile. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta ESIGENZE DI TERRENO E CLIMA: L’insalata di Lusia deve essere coltivata in terreni con substrato sciolto o franco, caratterizzato da una tessitura piuttosto grossolana che lo rende particolarmente permeabile, e con disponibilità di acqua per l’irrigazione. Pertanto il terreno deve essere costituito da una percentuale di sabbia non inferiore al 30% e da una quantità di argilla non superiore al 20%. PREPARAZIONE DEL TERRENO: Per la preparazione del terreno è obbligatorio effettuare una aratura, per l’interramento sia dei residui colturali della coltura precedente, sia dei concimi usati per la concimazione di fondo, alla profondità di 35 - 40 cm. Successivamente si eseguirà una estirpatura seguita da una fresatura combinata con rullatura per affinare e livellare il terreno creando le migliori condizioni per l’attecchimento delle piantine poste a dimora. AVVICENDAMENTO: Viste le caratteristiche fisico-agronomiche del suolo di Lusia (buona percorribilità e lavorabilità, buona accettazione delle piogge e capacità di ritenzione idrica bassa) nonè obbligatorio alcun tipo di avvicendamento. TRAPIANTO TIPO E SESTO D’IMPIANTO: Tale operazione si effettua utilizzando piantine con 3 - 5 foglie vere dotate di pane di terra e poste in contenitore alveolare. Si adotta il seguente sesto d’impianto: TRA LE FILE SULLA FILA da 30 - 35 cm. da 30 - 35 cm. La produzione dell’insalata di Lusia può avvenire sia in pieno campo, sia in coltura protetta. FERTILIZZAZIONE Le analisi del terreno devono essere eseguite ogni cinque anni. Per azoto, fosforo e potassio la quantità delle unità fertilizzanti da apportare per singolo ciclo colturale va decisa in funzione dell’analisi del terreno e non può comunque superare le seguenti unità per ettaro: Þ AZOTO = 150 Þ FOSFORO = 100 Þ POTASSIO = 200 Risulta indispensabile la stesura di un piano di concimazione eseguito da un tecnico agrario, conservato in azienda e depositato in copia presso l’ente di certificazione. E’ obbligatorio apportare sostanza organica, sotto forma di letame di bovino maturo o composti organici confezionati, per evitarne il depauperamento. Tali apporti per ciclo di coltivazione riferiti ad ettaro di superficie sono pari a 13 tonnellate di letame bovino maturo (azoto 50 u/ha; fosforo 20 u/ha; potassio 80 u/ha) o in alternativa massimo 2,0 tonnellate di composti organici confezionati (con contenuti in azoto compresi tra il 2% e il 3,5%). Vista la permeabilità dei terreni, l’apporto di concimi chimici azotati deve essere frazionato in almeno due interventi di cui quello in pre trapianto non deve superare il 40% della quantità massima da distribuire mentre l’ultimo deve essere effettuato non oltre i 15 giorni seguenti il trapianto. IRRIGAZIONE Si dovrà intervenire, adottando volumi d’acqua ridotti e costanti, una o due volte al giorno dopo la messa a dimora delle piantine e fino al superamento della crisi di trapianto, la cui durata varia in relazione all’epoca di coltivazione e comunque non oltre i 15 giorni dal trapianto stesso. Successivamente si dovranno evitare gli apporti idrici (fatto salvo per periodi eccezionali di siccità) in quanto la presenza di una falda freatica alta tipica della zona, consente alla coltura di sopperire alle normali esigenze idriche. Inoltre, l’intervento irriguo eseguito dopo la crisi di trapianto, oltre ad essere inutile, risulta dannoso in quanto favorisce lo sviluppo di marciumi. Circa il metodo di irrigazione, in alternativa al tipo localizzato a goccia, è preferibile ricorrere all’aspersione a bassa portata che evita il compattamento del terreno. In serra i metodi irrigui consigliati sono quelli localizzati: a goccia e/o manichetta. DIFESA FITOSANITARIA E CONTROLLO DELLE INFESTANTI E’ richiesta una corretta applicazione delle pratiche colturali quali la concimazione, l’irrigazione, la scelta del materiale vivaistico al fine di consentire una riduzione degli attacchi parassitari. Þ si dovranno utilizzare prodotti ammessi dalle vigenti normative e che a parità di principio attivo abbiano la tossicità più bassa; Þ i trattamenti dovranno essere eseguiti con attrezzature in buona efficienza e, in ogni caso, tarati almeno una volta ogni 5 anni; Þ il contenimento delle malerbe può essere effettuato con prodotti chimici (diserbanti) e/o tecniche agronomiche (pacciamatura, false semine). PRODUZIONE E RACCOLTA La produzione unitaria massima per ettaro e per ciclo produttivo è di: - Cultivar Cappuccina ton. 45. - Cultivar Gentile ton. 45. Le operazioni di raccolta devono avere inizio quando i cespi raggiungono un peso non inferiore a 150 gr/ciascuno per la cultivar gentile e 200 gr/ciascuno per la cultivar cappuccia; il periodo intercorrente fra raccolta e conferimento non deve essere superiore alle 6 ore, mentre per chi ha una cella frigorifera l’intervallo tra la raccolta e la commercializzazione può essere di 12 ore. Dopo la toelettatura ed il lavaggio effettuato in azienda, i cespi vanno confezionati e conservati in ambienti freschi. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico La zona di produzione è caratterizzata da terreni sciolti e di medio impasto, con tessitura grossolana, tipica della zona arginale del fiume Adige, che consentono una lavorazione ottimale con qualsiasi condizione climatica, garantendo una buona permeabilità che favorisce lo sgrondo dell’acqua piovana. La falda superficiale di Lusia si trova a un metro di profondità ed è mantenuta costante grazie ad un sistema di canali artificiali. Ne deriva una disponibilità di acqua per tutto l’anno che permette di ottenere in tutte le stagioni una insalata con delle caratteristiche che la rendono tipica della zona di produzione. L’insieme di questi fattori consente di diminuire gli interventi irrigui e di conseguenza la diffusione di marciumi, lasciando intatto il gusto fresco e la croccantezza tipiche della“insalata di Lusia”, che la contraddistingue da insalate prodotte in altri areali. Tale distinguo è evidenziato dalla dicitura “provenienza Lusia” sul prodotto collocato in mercati diversi da quello di origine. La disponibilità di acqua garantita dal fiume Adige, l’altezza della falda freatica e la tessitura del terreno, consentono la coltivazione dell’insalata anche nei periodi estivi (Luglio – Agosto), con ottimi risultati arantendone la presenza sul mercato per 10 – 11 mesi all’anno. Inoltre nel corso di un cinquantennio di coltivazione delle insalate, si sono affinate le tecniche produttive, trovando i giusti equilibri tra fattori climatici ed agronomici. In allegato (n° 2) copia dell’estratto dalla pubblicazione “Cartografia dei suoli e indagini agronomiche in provincia di Rovigo”. Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzioneè svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento (CEE) n. 208/92. Articolo 8. Modalità di confezionamento ed etichettatura Per l’immissione al consumo l’insalata di Lusia che si fregia dell’I.G.P. INSALATA DI LUSIA deve essere confezionata in monostrato utilizzando contenitori di plastica, legno, cartone, polistirolo e altri materiali per alimenti con le seguenti dimensioni esterne di base espresse in centimetri: - 40 x 60 contenenti massimo 12 pezzi per la varietà cappuccia e 18 pezzi per la varietà gentile; - 30 x 50 contenenti massimo 6 pezzi per la varietà cappuccia e 10 pezzi per la varietà gentile. Comunque sarà ammesso l’utilizzo di contenitori per alimenti di diverse dimensioni e materiali in relazione alle esigenze di mercato. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo ed includere soltanto insalata della stessa varietà, della stessa origine, tipo, categoria e calibro. La parte visibile dell’imballaggio deve essere rappresentativa dell’insieme. Gli imballaggi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Sui contenitori deve essere apposta l’etichetta con il logo indicante in caratteri di stampa delle medesime dimensioni e le diciture “I.G.P. INSALATA DI LUSIA” con specifico riferimento alla varietà (Gentile o Cappuccia). Tale logo è formato dalle lettere “I”(sormontata da un punto di forma ellitica) e “L” i cui lati interni sono di forma concava a formare una cornice ellitica al centro della quale è collocata, in forma stilizzata la torre medioevale di Lusia. Le parti esterna e superiore del logo sono delimitate da una cornice all’esterno della quale, nella parte superiore in zona centrale, è riportata la scritta “I.G.P.. Alla base del logo c’è la scritta “INSALATA di LUSIA” delimitata nella parte inferiore dalla cornice di cui sopra. Caratteristiche logo Tipo di carattere: Scritta “INSALATA di LUSIA” RotisSerif Bold cp. 40,9 – Spazio crenatura – 1,55%em - fattore di scala orizzontale 90% Scritta “I.G.P.” RotisSerif Bold cp. 40,9 – Spazio crenatura – 1,55%em - fattore di scala orizzontale 90% Pantoni del logo: Lettere “i” e “L”, scritte “I.G.P.” e “INSALATA di LUSIA” e bordi della torre: Pantone 348 C (rif. quadricromia) Ciano 100%, Magenta 0%, Giallo 79%, Nero 27%. Torre e cornice: Pantone 368 C (rif. quadricromia) Ciano 11%, Magenta 0%, Giallo 94%, Nero 0%. Il logo “I.G.P. INSALATA DI LUSIA”, già apposto sui contenitori, non potrà essere riutilizzato. Sui medesimi contenitori devono essere altresì riportati gli elementi atti ad individuare: - nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del condizionatore, - la categoria, eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. In ogni caso le indicazioni diverse da “I.G.P. INSALATA DI LUSIA” dovranno avere dimensioni significativamente inferiori di quelle utilizzate per “I.G.P. INSALATA DI LUSIA”. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Rovigo e Padova |
Kiwi Latina Kiwi Latina IGP Disciplinare di produzione - Kiwi Latina IGPArticolo 1.
Articolo 2. Descrizione Frutti della specie botanica Actinidia deliciosa, cultivar Hayward, destinati ad essere forniti allo stato fresco al consumatore. Il frutto ha forma-cilindrica-ellissoidale con altezza superiore al diametro, buccia di colore bruno chiaro con fondo verde chiaro, tomentosità morbida, calice leggermente infossato; polpa verde smeraldo chiaro, columella biancastra, morbida, circondata da una corona di piccoli e numerosi semi neri. I frutti selezionati per la commercializzazione, tenuto conto delle disposizioni specifiche previste per ciascuna categoria e delle tolleranze ammesse, devono essere: interi (ma senza peduncolo); sani, sono comunque esclusi i prodotti affetti da marciume o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo; puliti, praticamente privi di sostanze estranee visibili: sufficientemente sodi, né molli, né avvizziti, né impregnati di acqua: ben formati; sono esclusi i frutti doppi o multipli; praticamente privi di parassiti; praticamente privi di danni provocati da parassiti; privi di umidità esterna anormale: privi di odore e/o sapore estranei. I frutti devono avere un grado di maturazione minimo pari a 6,2°Brix al momento della raccolta e commercialmente sono classificati in due categorie. - Categoria "Extra" peso: > 90 g I kiwi di questa categoria devono essere ben sviluppati e presentare tutte le caratteristiche e la colorazione della varietà. Devono essere privi di difetti, salvo lievissime alterazioni superficiali, che non pregiudichino la qualità e l’aspetto del prodotto o la sua presentazione nell’imballaggio. - Categoria I peso: > 80 g I kiwi di questa categoria devono essere di buona qualità. I frutti devono essere sodi e la polpa non deve presentare difetti. Devono presentare le caratteristiche tipiche della varietà. Tuttavia, sono ammessi i difetti seguenti, purchè non pregiudichino l’aspetto esterno del frutto né la sua conservazione: - un lieve difetto di forma (esclude protuberanze o malformazioni); - un lieve difetto di colorazione. Tolleranze di calibro Nei limiti del 10%, in numero o in peso, il peso dei frutti della categoria extra può variare da 85 a 89 g.; il peso dei frutti della categoria I può variare da 77 a 79 g. Articolo 3. Zona geografica La zona di produzione comprende 24 comuni in due province ( Latina e Roma ). Per la Provincia di Latina n. 9 comuni di cui 7 per l'intero territorio e 2 in parte; per la provincia di Roma n. 15 Comuni di cui 3 in parte e 12 per l'intero territorio. Nella cartografia su base CTR 1:100.000 il perimetro dell'intera zona è marcato in nero grassetto, mentre sono delimitati con reticolo i confini amministrativi comunali. Per i comuni compresi parzialmente, la parte delimitante la zona viene riportata in particolari su base IGM 1:25.000, così da evidenziare i punti del limite, che normalmente è rappresentato da un elemento facilmente individuabile come strade, fossi ecc. La tavola n. 5 riporta i particolari dei comuni di Sabaudia, Latina e Aprilia; la tavola n. 6 i particolari di Ardea e Pomezia, la tavola n. 7 il particolare del Comune di Artena. PROVINCIA DI LATINA 1 ) SABAUDIA (parte) 2 ) LATINA (parte) 3) PONTINIA 4) PRIVERNO 5) SEZZE 6 ) SERMONETA 7 ) CORI 8) CISTERNA DI LATINA 9) APRILIA PROVINCIA DI ROMA 1 ) ARDEA (parte) 2 ) POMEZIA (parte) 3 ) MARINO 4 ) CASTEL GANDOLFO 5 ) ALBANO LAZIALE 6 ) ARICCIA 7 ) GENZANO DI ROMA 8 ) LANUVIO 9 ) VELLETRI 10 ) LARIANO 11 ) ARTENA (parte) 12 ) PALESTRINA 13 ) ZAGAROLO 14 ) SAN CESAREO 15 ) COLONNA Si parte dal vertice sud-ovest e proseguendo in senso orario si ha : incrocio della SS 148 (già strada Mediana) con la Migliara 53 all'altezza di Borgo Vodice; da qui si prosegue verso nord-ovest lungo la SS 148 fino ad incrociare la Migliara 49; dall'incrocio si prosegue verso sud-ovest fino ad incontrare la strada Litoranea, quindi, si prosegue su questa verso nord-ovest lungo la Litoranea; si attraversa Borgo Sabotino e si continua lungo la Strada Alta fino a raggiungere il fosso Astura; si sale lungo l'Astura per circa 400 metri; si taglia trasversalmente "Valle D'Oro" in linea retta immaginaria con direzione ovest fino al confine provinciale Latina-Roma; si prosegue verso N-O seguendo il confine provinciale che delimita prima il Comune di Latina, indi quello di Aprilia da quello di Nettuno. Si prosegue sempre lungo il confine provinciale Roma-Latina fino ad incontrare la Strada Ardeatina; su questa con andamento nord nord-ovest, si attraversa Torre della Moletta, C.le la Fossa, il confine di Ardea-Pomezia, si raggiunge Borgo Santa Rita da dove ci si dirige a Nord fino al Bivio per Pratica di Mare; che si attraversa e si prosegue fino al confine Comunale di Pomezia con Roma; da qui seguendo il confine comunale verso nord-est, si riincontra il confine con Ardea. Si segue questo confine fino allo spigolo nord e ci si collega con il confine Sud-Ovest di Albano; si incontra e si segue con andamento a zeta il confine di Castel Gandolfo e si collega con il confine sinuoso di Marino in direzione dapprima verso Nord poi verso Est e quindi verso Sud ove raggiunge Castel Gandolfo; prosegue su quest'ultimo in direzione Sud-Est fino a riincontrare Albano Laziale; segue questo in direzione Sud-Est fino ad Ariccia, indi in direzione Est, raggiunge il confine di Genzano di Roma che segue in direzione sud sud-est, fino ad incontrare il confine territoriale di Velletri. Da qui si derige verso nord fin dove incontra il confine del comune di Lariano; prosegue lungo questo confine fino a quello di Artena sul quale, in direzione nord, si raggiunge il confine di Lariano e si procede su questo fino ad immettersi sul confine di Palestrina. Incontrato il confine di San Cesareo ne segue l'andamento sinuoso verso ovest; si raggiunge il confine di Colonna e proseguendo verso nord-ovest si riimmette sul confine nord di San Cesareo, fino ad incontrare il confine di Zagarolo. Segue il perimetro di questo verso nord e va ad incontrare il confine del Comune di Palestrina, che segue prima verso nord e continua fino ad incrociare il confine di Artena, lo attraversa e, seguendo lo stradone di campagna, prima in direzione sud e quindi sud-ovest raggiunge il confine di Artena con Lariano. Prosegue verso sud sullo stesso fino ad incontrare il limite provinciale Roma-Latina con il vertice dei Comuni Lariano, Cori ed Artena; prosegue lungo il confine provinciale in direzione sud-est fino al confine comunale tra Norma e Cori, che segue verso sud fino ad incontrare il confine di Cisterna di Latina, che segue in direzione sud-est fino al confine ovest del Comune di Sermoneta che percorre verso sud-est . Prende il confine verso sud-est e percorrendo tutto il semiperimetro nord del Comune di Sezze raggiunge il Comune di Priverno che con andamento prima verso est poi verso sud e sud-ovest incontra il Comune di Pontinia. Percorre tutto il lato est, attraversa la ss 7 Appia e raggiunge il confine di Sabaudia sul Fiume Sisto; da qui si dirige verso nord fino alla migliara 53 che, percorsa in direzione sud-ovest raggiunge sulla SS 148 la rotonda all'altezza di Borgo Vodice da cui si è partiti. Articolo 4. Prova dell’origine La provincia di Latina è stata tra le prime ad ospitare impianti specializzati della coltura dell’actinidia, a partire dai primi anni 70. Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli alla specie hanno consentito un rapido sviluppo della coltura che già alla fine degli anni 70 era diventata un punto di riferimento nazionale per frutticoltori, commercianti e studiosi. Nel 1978 è stato organizzato a Torino il primo convegno sull’actinidia, nel corso del quale la zona dell’Agro Pontino è stata menzionata quale zona italiana particolarmente vocata per la produzione del kiwi, vero e proprio frutto simbolo dell’agricoltura pontina. Nel 1981, a distanza di tre anni, è stato realizzato un secondo convegno a livello nazionale a cura della Camera di Commercio I.A.A. di Latina. A questo si sono susseguiti, ad intervalli regolari, altri convegni, seminari e mostre-mercato, non solo nel capoluogo pontino ma anche a Cisterna di Latina ed Aprilia; tali incontri hanno consacrato la città di Latina e l’intero territorio circostante, compresa la parte meridionale della provincia di Roma, quale rilevante polo produttivo di kiwi in Italia, per buona qualità e pezzatura. L’importanza dell’actinidia laziale (e, dunque, pontina) nell’area frutticola italiana è stata testimoniata anche fuori dai confini nazionali nel corso di un seminario tenutosi a Santiago del Cile il 25 e 26 ottobre 1988: un dato di fatto, questo, già risultato nello "Studio conoscitivo sull’actinidia in Italia", datato 1986 e curato dall’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste cui ha fatto seguito anche una tavola rotonda organizzata dall’ERSAL (Ente regionale di Sviluppo Agricolo nel Lazio) il 22 giugno 1988, a Roma. Inoltre, uno studio condotto nel 1990 dall’Istituto Sperimentale per la Valorizzazione Tecnologica dei Prodotti Agricoli di Milano (Gorini et al., 1987), documentava in modo sperimentale le innegabili caratteristiche del Kiwi di Latina. Nel corso di questi 30 anni, sia la stampa quotidiana sia le riviste specializzate del settore a tiratura nazionale ed internazionale (Il Messaggero, Latina Oggi, Economia Pontina, L’Informatore Agrario, Terra e Vita, Italia Agricola, Lazio Agricolo, Rivista di Frutticoltura, Asiafruit Magazine, solo per citarne alcuni) hanno seguito e dedicato ampi articoli al progressivo sviluppo dell’actinidia nella provincia di Latina, la quale offre un habitat pedoclimatico ottimale e produzioni quanti-qualitative altamente competitive. Nel tempo, inoltre, si è registrato un potenziamento delle strutture di frigoconservazione e di lavorazione dei frutti nonché una metodologia di coltivazione innovativa che ha come conseguenza frequenti visite a Latina da parte di frutticoltori provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo (Corea del Sud, Nuova Zelanda e Giappone). Nella prova di valutazione sensoriale condotta con l’ausilio di un "panel taste", dopo 3 mesi di conservazione frigorifera, i frutti maturi sono stati valutati per il grado di accettabilità che teneva conto dell’aspetto della polpa, del sapore e della sensazione di piacevolezza. I frutti di Latina hanno registrato un grado di accettabilità molto elevato (Gorini et al., 1987). Questa maggiore piacevolezza e sapidità tipica di dolce-acidulo gradevole a completa maturazione deriva dalla combinazione di più fattori favorevoli alla coltura quali clima e suoli molto simili a quelli della zona di origine. E’ noto ed accertato che in alcune zone di Latina Borgo Flora, Borgo Grappa, la bontà dei frutti e lo stato vegetativo delle piante supera quelli di origine. La maggiore radiazione globale e la mancanza o quasi di gelate precoci dà la possibilità di posticipare la raccolta fino alla seconda decade di novembre ed anche oltre, permettendo il raggiungimento nei frutti di un contenuto zuccherino di 6,5-7 gradi Brix. Il maggior grado zuccherino, consentendo l’abbassamento della temperatura di conservazione di alcuni decimi di gradi centigradi, assicura una conservazione, anche in atmosfera normale, di almeno due o tre mesi in più rispetto alla media. Il legame con l’ambiente è comprovato dai seguenti adempimenti cui si sottopongono i produttori e/o confezionatori: iscrizione ad apposito elenco dei produttori di "Kiwi Latina"; catasto di tutti i terreni sottoposti alla coltivazione di "Kiwi Latina"; tenuta di appositi registri di produzione e condizionamento. Articolo 5. Metodo di ottenimento Gli impianti sono realizzati con piante innestate su Franco, di 1 anno di innesto, oppure con piante autoradicate sempre di un anno di moltiplicazione. Le forme di allevamento adottate sono: - il tendone: distanza di impianto 4-5 m x 4-5 m - pergoletta: distanza di impianto 5 m x 3-5 m Il terreno, a seconda della natura fisica, è coltivato nell’interfilare e diserbato lungo il filare, oppure inerbito con taglio periodico della vegetazione erbacea. La dotazione naturale di acqua è integrata dalla irrigazione praticata mediante la tecnica della aspersione o nebulizzazione sottochioma. I volumi irrigui variano da 6000 a 8000 m3/ha/anno. La raccolta del frutto, senza il peduncolo, avviene tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Questa, coincide con un grado Brix superiore al valore di 6.2° e la durezza al penetrometro (con puntale di 8 mm) non inferiore a 6 kg. - La potatura invernale è fatta in modo da lasciare 100-120.000 gemme per ettaro. - Tra la fine di giugno e l’inizio di luglio si effettua il diradamento che provvede sia ad eliminare i frutti multipli che quelli deformi e con difetti di buccia in modo da lasciare per un totale di 800-1000 frutti per pianta. Il limite massimo di produzione per ettaro deve essere non superiore a 330 quintali. Articolo 6. Rapporto con la zona Clima Il clima è temperato-umido, simile a quello della zona di origine della specie (area della Cina dello Yang Tzechiang) caratterizzato da una temperatura media di 13-15°C, da una minima-media di 8-10°C, da una massima media di 28-30°C e una umidità relativa media, nei mesi estivi, del 75-80%, assenza di gelate precoci che consente di raccogliere i frutti al giusto grado di maturazione (mediamente 6,5° Brix, e, in ogni caso, mai inferiore ai 6,2° Brix) sia per il raggiungimento delle migliori caratteristiche qualitative che per la ottimale conservazione frigorifera fino ai mesi di maggio/giugno e il raggiungimento di un grado zuccherino al consumo non inferiore a 12° Brix, con durezza non superiore a 3 kg misurata con puntale da 8 mm. - Scarsissima incidenza di danni da gelate invernali e primaverili che, in altre aree del Paese, provocano importanti riduzioni della produzione nelle stagioni seguenti non consentendo la continuità di approvvigionamento nel tempo. - Elevata radiazione luminosa globale che caratterizza l’area pontina e consente di raggiungere più precocemente il grado di maturazione ottimale per la vendita. Suolo I suoli dell’area di coltivazione sono di origine alluvionale, vulcanica-rimaneggiata, poggianti su sottosuoli pozzolanici e tufacei caratterizzati da elevata fertilità e si sono dimostrati, da subito, particolarmente adatti alla coltivazione dell’actinidia. Professionalità L’area dove l’Actinidia si è insediata aveva una lunga tradizione di coltivazione dell’uva da tavola, specie che, come l’Actinidia ha un portamento sarmentoso che richiede una struttura di sostegno e una tecnica di coltivazione molto simile. Ciò ha consentito un facile adattamento alle tecniche più idonee alla nuova coltura e l’ottenimento di un prodotto tipico di elevate qualità. Articolo 7. Struttura di controllo Il prodotto sarà assoggettato al controllo di una struttura conforme all’art.10 del Reg. CEE 2081/92 e successive integrazioni e modifiche. Articolo 8. Etichettatura Denominazione "Kiwi Latina". Il marchio ha la forma di un cerchio con al centro la rappresentazione grafica del Colosseo, al cui interno c’è la sezione trasversale dei frutti di kiwi di colore verde smeraldo tipico con semi e columella. Nella corona circolare tra la figura del Colosseo ed il cerchio esterno è riportata la denominazione "KIWI LATINA" di colore verde e in carattere romano in composizione circolare suddivisa in due parti, KIWI in alto e LATINA nella parte bassa della figura. A destra della parola kiwi è raffigurata una coccinella rossa puntata di nero. La rivendicazione dei colori è la seguente: rosso pantone, verde pantone, marrone e nero. Imballaggio: sono gli stessi utilizzati per il commercio nazionale ed internazionale. Il marchio deve essere apposto sulla confezione e può anche essere apposto sui singoli frutti. Il marchio può essere utilizzato solamente dalle ditte che confezionano nell’area di produzione del Kiwi Latina al fine di garantire la tracciabilità ed assicurare i controlli. Articolo 9. Commercializzazione prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la IGP KIWI LATINA, anche a seguito di processi di elaborazione e trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario a condizione che: Il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; Gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della IGP riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene o in cui è trasformato o elaborato. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Latina, Roma |
La Bella della Daunia La Bella della Daunia DOP Disciplinare di produzione - La Bella della Daunia DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Foggia |
Lenticchia di Castelluccio di Norcia Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP Disciplinare di produzione - Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGPArticolo 1
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | cereali | Umbria, Marche | Perugia, Macerata |
Limone Costa d'Amalfi Limone Costa d'Amalfi IGP Disciplinare di produzione - Limone Costa d'Amalfi IGPArticolo 1.
Articolo 2. L'Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone Costa d'Amalfi" designa i limoni prodotti nella zona delimitata al successivo art. 3 del presente disciplinare, riferibili alla cultivar "Sfusato" avente le caratteristiche afferibili all'ecotipo amalfitano. Articolo 3. La zona di produzione del "Limone Costa d'Amalfi" di cui al presente disciplinare comprende: l'intero territorio del comune di Atrani; parte del territorio dei comuni di: Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare. La descrizione del confine è effettuata dall'estremo ovest fino a raggiungere l'estremo est. Il confine sud è individuato dal Mar Tirreno. Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 IV N.O. "Positano": partendo da ovest il confine dell'area interessata dalla coltivazione del "Limone Costa d'Amalfi" inizia con la delimitazione tra la provincia di Napoli e quella di Salerno all'altezza del Mar Tirreno; prosegue incrociando la strada statale Amalfitana n. 163 e quindi devia lungo il sentiero che da P.ta Pantanello porta alla frazione Corvo e, procedendo lungo il sentiero che porta a S. Maria del Castello, giunge al rudere "Il Mandrino" passando al di sotto di monte Gambera e di monte Pertuso, attraverso il colle di Latte. Dal Mandrino esso continua fino alla grotta di S. Barbara, percorrendo il sentiero che attraversa la frazione Nocella, la località Grotte, la località "I Cannati" e il colle "La Serra". Da qui, il confine prosegue fino ad incrociare la strada statale che da Furore porta a Bomerano, e quindi lungo la stessa strada, imbocca il sentiero che giunge a Tovere attraverso le località Pino e Acquarola e giunge in prossimità dell'abitato di Tovere. Di qui prosegue lungo il sentiero che porta al convento di Cospita (carta di Amalfi). Carta I.G.M. n. 197 IV N.E. "Amalfi": dal convento di Cospita, il confine raggiunge la contrada Lucibello, proseguendo lungo le pendici del monte Sorca, e di qui giunge al rudere delle Ferriere, passando al di sopra della località Frassito. Dal rudere procede lungo il sentiero che da Punta d'Aglio porta a Scala e da qui prosegue lungo la via provinciale Scala-Ravello, fino all'altezza della Madonna della Pomice (carta di Nocera Inferiore). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 111 S.E. "Nocera Inferiore": a partire dalla via provinciale, all'altezza della Madonna della Pomice, il confine procede lungo la delimitazione tra i comuni di Ravello e Minori e, quindi, all'altezza di C.se Ciaramello, prosegue lungo il sentiero che porta a Paternò S. Elia, passando sotto Punta Mele, attraversando il vallone Capo d'Acqua e Vitagliano. Da qui procede lungo il sentiero che conduce a Polvica di Tramonti, attraversando la contrada Casale, la frazione Carbonaro, S. Caterina e Zamafaro, fino ad arrivare all'abitato di Figlino e quindi a Polvica. Da qui procede lungo la via comunale per la frazione Torina attraversando Forno Vecchio e Cardamone. Esso prosegue per un breve tratto lungo il sentiero che dalla località Gete sfiora la località Pendolo ed arriva al di sotto di Colle Vigne, sfiorando Pizzolungo e la località Mandrino. Esso prosegue fino al Vallone di Vecite, incontrando la località Macchione, passando tra il Vallone dei Fuondi e le vene di S. Antonio (carta di Amalfi). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 IV N.E. "Amalfi": partendo dal vallone Vecite (carta di Nocera Inferiore), il confine costeggia Paternoster, il colle Pascullo, colle La Misericordia, la località S. Maria, le Vene del Suono, passando al di sopra della località Badia, e al di sotto di Grotta Piana e monte Pertuso. Da qui discende al di sotto del monte "l'Uomo a cavallo", costeggia il vallone S. Nicola, la località Falanca, fino a S. Maria del Popolo. Prosegue passando in prossimità della sorgente Cannello tra la località Simicella e San Gineto, fino alle falde del monte Falerio (carta di Pastena). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 197 I N.O. "Pastena": il confine segue il sentiero che passa tra il monte Falerio ed il monte Collo (carta di Salerno). Carta I.G.M. 1:25.000 n. 185 II S.O. "Salerno": il confine segue il sentiero che passando al di sopra della località Manganala, sfiora l'abitato di Albori, prosegue al di sotto di Poggio Pianello e arriva alla frazione S. Vincenzo. Di qui segue la via comunale per Dragonea e, quindi, all'altezza della frazione Padovani, continua lungo il vallone fino all'incrocio con la strada statale n. 18, all'altezza della frazione Molina, continuando lungo la suddetta strada fino alla via comunale che da Vietri sul Mare porta alla frazione Marina e di qui alla Torre della Cristarella e, quindi, al Mar Tirreno. Articolo 4. Il sistema di coltivazione deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona, fortemente legato ai peculiari caratteri orografici e pedologici. Le unità colturali tipiche prevalenti sono costituite da terrazzamenti inglobati in muretti di contenimento (macere). I sesti e le distanze di piantagione ed i sistemi di potatura dei limoneti di cui al presente disciplinare sono in uso tradizionale della zona. La forma di allevamento è riconducibile ad un vaso libero, detta localmente "cupola", adattata ad un idoneo sistema di copertura. È facoltà degli organi tecnici regionali ammettere anche forme di allevamento diverse, nel rispetto comunque delle specifiche caratteristiche di qualità del prodotto descritte nel successivo art. 6. La tecnica tradizionale di produzione consiste nel coltivare le piante sotto impalcature di pali di legno, preferibilmente di castagno, (di altezza non inferiore a cm 180), utilizzando eventualmente coperture di riparo dagli agenti atmosferici avversi e per garantire una scalarità di maturazione dei frutti. La densità di impianto non dovrà essere superiore ad 800 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre, in funzione del conseguimento delle caratteristiche qualitative di cui al successivo art. 6 e delle particolari richieste del mercato in tale periodo. Tuttavia, in considerazione soprattutto dell'andamento climatico dell'annata, la regione Campania si riserva di modificare tali date con proprio provvedimento. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano; va impedito il contatto diretto dei limoni con il terreno. La produzione massima consentita di limoni per ettaro ammessa a tutela non deve superare le 25 tonnellate in coltura specializzata o promiscua (in tal caso si intende la produzione ragguagliata). I limoni raccolti devono presentarsi sani, indenni da attacchi parassitari, come per legge. Articolo 5. Gli impianti idonei alla produzione dell'I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" sono iscritti nell'apposito albo attivato, tenuto e aggiornato dalla regione Campania, direttamente attraverso i propri uffici competenti per territorio o attraverso organismi conformi alle norme EN 45011. Gli organi tecnici sono tenuti a verificare, anche attraverso opportuni sopralluoghi, i requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo di cui sopra. Entro dieci giorni dalla data indicata di fine raccolta deve essere presentata, all'organismo che detiene l'elenco, la denuncia finale di produzione dell'anno. Durante il periodo della raccolta, il predetto organismo può rilasciare, su conformi denuncie di produzione, parziali ricevute di produzione. Articolo 6. Il prodotto ammesso a tutela, all'atto dell'immissione al consumo o quando è destinato alla trasformazione, deve avere le seguenti caratteristiche: - forma del frutto: ellittico-allungata; lobo pedicellare lievemente prominente, con area basale media; - dimensioni: medio-grosse, peso non inferiore a 100 grammi; i limoni con peso inferiore a 100 grammi, ma in possesso delle altre caratteristiche di cui al presente articolo, possono essere destinati alla trasformazione; - peduncolo: di medio spessore e lunghezza; - attacco al peduncolo: forte; - umbone (apice): grande e appuntito; - solco apicale: quasi assente; - residuo stilare: assente; - colore della buccia: giallo citrino; - buccia (flavedo e albedo): di spessore medio; - flavedo: ricco di olio essenziale, aroma e profumo forte; - asse carpellare: rotondo, medio e semipieno; - polpa: di colore giallo paglierino; - succo: abbondante (resa uguale o superiore al 25%) e con elevata acidità (non inferiore a 3,5 gr/100 ml). Articolo 7. L'immissione al consumo dell'I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" deve avvenire secondo le seguenti modalità. Il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, con capienza da un minimo di 0,5 kg fino ad un massimo di 15 kg, realizzati preferibilmente con materiale di origine vegetale. Sono ammessi anche contenitori rigidi di cartone. Sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime, devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: a) "Limone Costa d'Amalfi" e "Indicazione Geografica Protetta" (o la sua sigla I.G.P.); b) il nome, la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda confezionatrice o produttrice; c) la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti. Dovrà figurare, inoltre, il simbolo grafico relativo all'immagine artistica del logotipo specifico ed univoco da utilizzare in abbinamento inscindibile con l'Indicazione Geografica Protetta. Il simbolo grafico è costituito da un limone affogliato che è posto sul lato sinistro di un doppio cerchio che racchiude su uno sfondo giallo la scritta di colore nero Limone Costa d'Amalfi. All'interno del doppio cerchio vi è il profilo della costa, da Maiori fino a Capo Conca, mentre in primo piano vi è un cespuglio di macchia mediterranea. Il limone e lo sfondo sono di colore giallo pantone CV, mentre le foglie del limone, il cespuglio r la seconda linea di colline sono di colore verde pantone 369 CV, la prima e la terza linea di colline sono di colore verde pantone 349 CV, il mare di colore blu pantone 301CV ed il cielo azzurro pantone 297 CV. Dovrà figurare, inoltre, la dizione "prodotto in Italia" per le partite destinate all'esportazione. I prodotti elaborati, derivanti dalla trasformazione del limone, possono utilizzare, nell'ambito della designazione degli ingredienti, il riferimento al nome geografico "Costa d'Amalfi" a condizione che rispettino le seguenti condizioni: 1) i limoni utilizzati per la preparazione del prodotto siano esclusivamente quelli conformi al presente disciplinare; 2) sia esattamente indicato il rapporto ponderale tra quantità utilizzata della I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" e quantità di prodotto elaborato ottenuto; 3) l'elaborazione e/o la trasformazione dei limoni avvenga esclusivamente nell'intero territorio dei comuni individuati all'art. 3 del presente disciplinare; 4) venga dimostrato l'utilizzo della I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" mediante l'acquisizione delle ricevute di produzione, rilasciate dai competenti organi della regione ai sensi dell'art. 5 del presente disciplinare, e la annotazione sui documenti ufficiali. Il controllo del corretto utilizzo dalla I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi" per i prodotti elaborati e/o trasformati potrà essere delegato dall'organismo di controllo al consorzio di tutela e valorizzazione che ne faccia richiesta. Alla Indicazione Geografica Protetta, di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivo: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari. È tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l'Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, utilizza per la trasformazione o comunque distribuisce per il consumo, con la I.G.P. "Limone Costa d'Amalfi", un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, è punito a norma di legge. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Limone di Rocca Imperiale Limone di Rocca Imperiale IGP Disciplinare di produzione - Limone di Rocca Imperiale IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7. Controlli e struttura di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale) – Via N. Sauro, 2– 40121 Bologna (BO), - Tel. 051-272986; Fax 051-232011; e-mail: icea@icea.info – www.icea.info Articolo 8. Etichettatura e Logo 8.1 Confezionamento L’ IGP «Limone di Rocca Imperiale» è immesso al consumo nelle seguenti confezioni: 1. in contenitori e/o vassoi di: legno, plastica e/o cartone; 2. in sacchi retinati di peso massimo di 5 Kg. 3. bins alveolari. Per ognuna di queste confezioni è ammessa la bollinatura di ogni singolo frutto. 8.2 Etichettatura La confezioni recano obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili: 1. La denominazione IGP «Limone di Rocca Imperiale» e il Logo più avanti descritto, con caratteri superiori a quelli delle altre diciture presenti in etichetta; 2. Il simbolo comunitario della IGP; 3. Il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e/o confezionatrice; 4. La categoria commerciale di appartenenza “Extra” , “I” e “II”. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. 8.3 Logo Il Logo risulta composto, come da figura sotto riportata, da due cerchi concentrici con in mezzo la scritta “Limone di Rocca Imperiale” su uno sfondo verde. Il cerchio più piccolo, con sfondo azzurro, è completato dalla denominazione IGP e dalla rappresentazione di un frutto di limone di colore giallo con una sola foglia verde. Il font scelto, Friz Quadrata Std, è un carattere tipografico sobrio, con grazie presenti ma poco marcate, a testimoniare il giusto equilibrio tra l’ufficialità del logo e la sua modernità e vicinanza al consumatore. I colori rievocano quelli associati all’accezione di natura e naturale: il giallo, il colore del limone e dei caldi raggi solari; il verde, il colore delle foglie degli alberi; e l’azzurro del cielo e del mar Mediterraneo, poco distante dal territorio d’origine del prodotto. Il logo si potrà adattare alle varie declinazioni di utilizzo. Il limite massimo di riduzione del marchio è mm 10 di base. Font Utilizzato 1. Friz quadrata std medium 2. Friz quadrata std bold Colori: 3. Verde 4. Verde scuro 5. Verde chiaro C=85,94 M=29,3 Y=82,42 K=13,67 C=100 M=0 Y=100 K=50 C=50 M=0 Y=100 K=0 6. Giallo 7. Giallo scuro 8. Giallo chiaro C=0 M=0 Y=100 K=0 C=0 M=17,65 Y=100 K=0 C=0 M=0 Y=56 K=0 9. Azzurro sfumato Le gradazioni dello sfumato vanno da: C=98,04 M=84,31 Y=0 K=0; a: C=89,8 M=20 Y=0 K=0; a: C=8,63 M=2,35 Y=1,96 K=0 | I.G.P. | Ortofrutticoli | Calabria | Cosenza |
Limone di Siracusa Limone di Siracusa IGP Disciplinare di produzione - Limone di Siracusa IGPArticolo 1.
Articolo 2. Descrizione del prodotto L’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” è riservata alla cultivar popolazione “Femminello di Siracusa”, riferibile alla specie botanica Citrus limon (L) Burm. coltivata in impianti specializzati nel territorio della Provincia di Siracusa definito nel successivo art.3, rispondenti ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare. In particolare, i dati caratterizzanti le tipologie di frutto a seconda delle epoche di raccolta, sono le seguenti: Primofiore sono così sono intesi commercialmente secondo la consuetudine locale i frutti raccolti da settembre ad aprile che rispondono alle seguenti caratteristiche: Colore della buccia: da verde chiaro a giallo citrino; Forma ellittica; Pezzatura: da media a grossa; Peso dei frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: di colore verde chiaro o giallo citrino; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 25% e con acidità >5%; Semi: presenti o assenti. Bianchetto o Maiolino (o limone primaverile) Colore della buccia:giallo chiaro; Forma ellittica o ovoidale; Pezzatura: grossa; Peso frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: di colore giallo; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 25% e con acidità >4,5%; Semi: presenti o assenti. Verdello (o limone d’estate): Colore della buccia: verde chiaro; Forma ellittica- sferoidale; Pezzatura: medio-grossa; Peso frutti: non inferiore a 100 gr; Polpa: giallo; Succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 20% e con acidità >4,5%; Semi: in massima parte abortiti. Articolo 3. La zona di produzione La zona di produzione e di confezionamento dell’I.G.P. “Limone di Siracusa” comprende, in Provincia di Siracusa, in tutto o in parte il territorio amministrativo dei comuni di: Augusta, Avola, Floridia, Melilli, Noto, Priolo Gargallo, Rosolini, Siracusa, Solarino, Sortino. La zona di produzione inizia sul versante est nel porto Grande di Siracusa prosegue verso ovest, comprendendo l’abitato di Belvedere, attraversando il territorio del Comune di Priolo Gargallo, Melilli ed Augusta, sino a lambire il territorio di Sortino; a ovest interessa i Comuni di Solarino, Floridia, Siracusa; a sud Avola, Noto e Rosolini. Confina nel suo insieme a nord con parte del territorio di Augusta, a est con parte del territorio di Augusta, Melilli e con il Mar Ionio, a sud con il territorio del Comune di Pachino, a ovest risalendo con parte del territorio dei Comuni di: Rosolini, Noto, Avola, Siracusa, Canicattini Bagni, Floridia, Palazzolo Acreide, Solarino, Sortino, Priolo Gargallo, Melilli, e Augusta. Partendo dal versante nord-est, l’area interessata alla coltivazione del “Limone di Siracusa”, inizia dallo sbocco sul Porto Grande di Siracusa, del Canale Pisimotta fino all’intercettazione della via Elorina (SS 115) che percorre verso nord fino all’incrocio con via Columba. Prosegue verso nord su tale via fino ad immettersi nella S.S. n°124 (in direzione Floridia). La percorre fino all’incrocio con la strada provinciale n°77 Fusco-Tremilia-Grottone; la risale per 350 m. fino ad intercettare il canale comunale di contrada Canalicchio, percorrendola verso nord fino ad incontrare il canale Galermi . In direzione ovest si percorre il Canale Galermi fino ad incontrare la S.P. n°46 Siracusa–Belvedere–Carancino all’altezza dell’incrocio ubicato a quota 118. Il limite percorre la SP in direzione Belvedere, supera l’ingresso al Castello Eurialo e svolta alla prima carrabile sulla destra per Targia. La percorre verso est, fino ad intercettare a quota + 109 le Mura di Dionisio, discende lungo le stesse fino ad incontrare a quota + 31, rispettivamente la carrabile predetta e la strada statale 114. Prosegue per la S.S. 114, fino alla stazione ferroviaria di Targia. Segue la linea ferrata in direzione nord, fino alla stazione di Castelluccio Siculo. Lasciata la stazione, il confine dell’area procede verso sud lungo la strada che partendo da quota + 36, arriva fino a quota + 94. Da questo punto svolta ad ovest sulla strada Villasmundo-Brucoli-Arcile, fino ad intercettare la S.S. 114 al Km 125,500. Discende lungo la S.S. 114 in direzione Siracusa, fino al Km 135, in corrispondenza dell’intersezione con il Torrente Cantera, prosegue lungo il Torrente Cantera fino a quota + 29. Il confine dell’area delimitata risale verso nord-ovest, lungo la S.P. 96 Augusta-Melilli, fino a intercettare la S.P. 2 “S. Catrini-Passo di Vè”, che viene percorsa in direzione ovest, per tutto il suo tracciato fino all’incrocio con la S.P. 95 Lentini-Priolo. Quest’ultima viene percorsa fino al centro abitato di Priolo. Si prosegue sulla S.P. 25 Priolo-Floridia, fino all’incrocio con la S.P. 46 Siracusa-Belvedere-Carancino, dove si interseca con il Canale Galerni. La linea di delimitazione segue il canale Galermi, nella vallata dell’Anapo, fino a raggiungere il suo limite estremo nel punto di intersezione col tracciato della ferrovia in disarmo Siracusa-Vizzini a quota +138. Discende lungo il vecchio tracciato della suddetta ferrovia, lungo il fiume Anapo, fino a M. Isola Mola a quota +115; percorre quindi la strada carrabile che si collega con la SP N°28 Solarino-Fusco-Sortino a quota +146 presso le Case Don Vito. Si percorre la S.P. in direzione Solarino fino a quota +152 nel punto di intersezione con la linea di confine del Comune di Solarino. La linea di perimetrazione continua verso ovest lungo il confine comunale di Solarino fino alla quota +205, prosegue sulla curva di livello in direzione sud fino ad incontrare la SP N°78 “Balatazza-Trigona” che percorre in direzione Solarino fino all’incrocio con la SP N°28 Solarino-Fusco-Sortino. Da questo punto discende lungo il tracciato in disarmo della ferrovia “Siracusa-Fusco-Vizzini” fino alla località “La Masseria”, percorre la strada carrabile in direzione sud-ovest fino ad immettersi sulla S.S. 124. Prosegue in direzione Solarino lungo la stessa, oltrepassa il cimitero, svolta a sinistra costeggiando lo stesso, e risale lungo la strada carrabile Macchiotta fino ad incontrare a quota +150 il limite comunale di Floridia, coincidente con Cava Culatello – Cirino. Si percorre il predetto confine fino ad intercettare la Cava Spampinato a quota +201. La linea di perimetrazione ridiscende verso est fino ad intercettare a sud l’acquedotto comunale di Solarino percorrendolo fino al serbatoio in località Cozzo Su Cola, prosegue sull’acquedotto in direzione di Canicattini Bagni, oltrepassa il confine tra Siracusa e Floridia, segue la linea dell’acquedotto fino ad intercettare il confine tra Siracusa e Canicattini Bagni in contrada Passetti. Prosegue verso sud lungo la linea di confine comunale fino ad intercettare la S.P. n°74 Floridia-Canicattini Bagni, in contrada Monasteri. Si percorre la S.P. n°74 in direzione Floridia fino ad incontrare la quota + 204 seguendo il crinale di Cugno Balio e Cugno Trappetazzo, fino ad incrocio con la strada "Diego Canicattini Bagni", si discende fino al vallone Cavadonna, che si risale per un breve tratto (m.100 circa) fino al congiungimento con la curva di livello di quota + 154. La delimitazione procede in direzione sud-est fino ad intercettare al Km.12,500 la S.P. 14 “Fusco-Canicattini Bagni-Passo Ladro”, prosegue verso ovest parallelamente ad essa fino al km.12 per continuare verso sud fino a raggiungere la linea di confine Siracusa-Noto presso il torrente Moscasanti. Da questo punto si prosegue lungo la linea del predetto confine comunale fino alla foce del fiume Cassibile di Cava Grande. Dalla foce del fiume Cassibile si risale il corso del fiume in direzione nord-ovest fino al vertice dei confini comunali di Siracusa, Noto e Avola: da qui svoltando a destra si segue la strada vicinale “Palazzetti” fino ad incrociare la strada vicinale “Tangi”; successivamente si incontra la strada comunale Uzzo-Cugno di Fazio; da qui, seguendo il confine tra il foglio di mappa catastale 10 e il foglio di mappa catastale 20 si arriva alla strada vicinale “Rosciola” che si segue attraversando il fosso “Rosciola”, “Cava l’Unica” (o Cava dell’Umbra) fino ad arrivare alla “Cava Carrubeto”. Attraversata la cava, si segue la strada vicinale “Carrubeto” fino al congiungimento con la strada vicinale “Mandalà – Petrara”; svoltando a destra si prosegue fino ad arrivare alla “Cava Bugliola”, ed oltrepassatola, percorrendo la strada vicinale dei “Mulini”, si arriva alla strada provinciale n°4 “Avola-Manghisi” al km.2. Svoltando a destra, si percorre la S.P. N°4 per km.1 in direzione Avola Antica e si arriva alla prima curva a gomito. A sinistra ci si immette nella stradella interpoderale che collega la S.P. 4 al Torrente Pisciarello. A questo punto si segue il corso del Torrente Pisciarello fino alla confluenza con il Torrente Talibelli. Si risale il corso del Torrente Talibelli fino ad incrociare la strada vicinale Cifaleo e giunti al bivio con la strada vicinale Seggio-Piano della Pace si svolta a destra e dopo 0,4 km circa ci si immette nella SP N°15 “Avola-Bochini-Noto”. Si procede in direzione Noto per circa 3 km e, dopo aver oltrepassato la strada per “Cozzo Meti”, arrivati al punto quotato 135 m. slm, ci si immette a destra nella strada vicinale “Oscuro”. Da cui, dopo aver attraversato il Torrente S. Giovanni (diventata strada comunale) si arriva al centro abitato di Noto, giungendo alla S.S. 287. Si svolta a destra e si procede lungo la S.S. 287 (via dei Mille) in direzione S. Giovanni; arrivati alla circonvallazione di Noto, si svolta a sinistra percorrendola in direzione della S.S. 115 Noto – Rosolini fino all’incrocio con la S.P. n°64 “Noto Antica – Burlò – S. Maria della Scala – Noto”. Si svolta a destra e ci si inoltra attraversando C.da S. Caterina, la Cava del Ferraro, Case Hernandez (a valle della strada), si attraversa il fiume Asinaro e si arriva all’incrocio con l’acquedotto di Pachino e la strada comunale “Schifazzo-Mazzara”. Si gira a sinistra e percorrendo la strada comunale in direzione sud si arriva alla S.P. 24 “Noto-Testa dell’Acqua al km. 25,2 si svolta a destra e si procede in direzione Palazzolo Acreide per circa km.1; quindi si svolta a sinistra imboccando la strada comunale “Renna – Panatanello – Serra del Vento” in direzione del Torrente Tre Fontane. Dopo aver attraversato il Torrente Tre Fontane e il Fiume Gioi, s’incrocia la strada consortile Torresana; si svolta a sinistra e la si percorre fino a lambire il Fiume Gioi, si gira a destra e si procede verso la strada comunale Fontanella – Molisena – Portelle. Si svolta a sinistra (imboccando la strada comunale Fontanella - Molisena – Portelle) in direzione contrada Valle Vascelli; si procede sino alla S.S. 115 Noto – Rosolini al km.370,4. Si percorre la S.S. 115 in direzione Rosolini per km.1,2 giungendo all’incrocio con la strada comunale Ponte Vecchio – Tre Maiali; girando a destra, si percorre la strada comunale per km.1,2 fino ad incrociare la S.P. 18 Giarratana – Castelluccio – Noto al km.0,6. Si svolta a destra e si percorre la S.P. 18 in direzione di Cozzo Carialo per km.2 giungendo al bivio con la strada consorziale Renna – S. Carialo; si svolta a destra e percorrendo la strada consorziale, la strada comunale Enna – Panatanello – Serra del Vento, ed infine la strada vicinale Renna – Sriula arrivando alla cava Lentini – Renna Alta (o Cava Bottali). Seguendo la cava si ritorna sulla S.P. in direzione Castelluccio per km.2,7 fino ad incrociare la Cava – Strada dell’Asino. Si gira a sinistra e si percorre la stradella che delimita il foglio di mappa catastale 222 di Noto fino ad arrivare al Fiume Tellaro. Si segue il corso del fiume (limite di comprensorio tra il territorio di Noto e Rosolini) fino ad incrociare la cava Scorzone, e da qui si percorre la stradella interpoderale di modo che rimanga a sinistra l’ex feudo del Prainito; si attraversa la S.P. 17 Ritillini – Favarotta e si prosegue fino alla cava del Prainito. Da questo punto si segue il confine amministrativo tra la provincia di Siracusa e Ragusa fino alla cava di Scalarancio prima e alla strada Carbonarella poi (punto quotato 210 m. slm). Si percorre detta strada in direzione Rosolini, fino alla S.S. 115 all’altezza dell’Hotel Europa (km.362,2). Si svolta a destra lungo la S.S. 115 fino al Ponte Cipolla (confine amministrativo tra le Province di Siracusa e Ragusa) (S.P. N°56 Agliastro – Bimmisca) in direzione S.E. fino al confine tra i fogli di mappa catastale n°396 e n°403 di Noto. Si gira a sinistra percorrendo la S.P. N°56 e poi la strada comunale Bommiscuro-Agliastro fino ad incrociare la S.P. 26 Rosolini – Belliscala – Pachino al km.8,4; si svolta a destra e si percorre la SP 26 Rosolini – Belliscala - Pachino in direzione Pachino, arrivando alla S.P. N°19 Noto – Pachino al km.16,9. Si gira a sinistra verso Noto fino al km.13,8, al quadrivio S.P. 19, Strada comunale Baroni – Maccari – S. Lorenzo Nuovo e la Strada Comunale Scirbia – Terreni Nuovi – Reitani – Marzamemi, si svolta a destra, e percorrendo la strada comunale Scirbia – Terreni Nuovi – Reitani – Marzamemi in direzione nord-est, si arriva al mare Ionio. Seguendo la costa in direzione nord si chiude la zona perimetrata al punto di inizio coincidente con il Porto Grande di Siracusa. Articolo 4. Origine del prodotto in relazione alla zona geografica Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata e documentata. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei coltivatori-produttori e dei confezionatori, nonché la tenuta di registri di produzione e confezionamento, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Qualora l’organismo di controllo verifichi delle non conformità, anche solo in una fase della filiera produttiva, il prodotto non potrà essere commercializzato con l’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa”. Articolo 5. Il sistema di coltivazione Il sistema di coltivazione deve essere quello tradizionalmente adottato nella zona. I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli atti a mantenere un perfetto equilibrio e sviluppo della pianta oltre ad una normale aerazione e soleggiamento della stessa. La densità di piantagione massima è di 400 piante per ettaro. Per impianti esistenti ed in fase di produttività decrescente è ammessa una densità fino ad un massimo di 500 piante per ettaro. Per i sesti dinamici la densità massima ammessa è di 850 piante per ettaro. I portinnesti sono i seguenti: “Arancio amaro”, “ Poncirus trifoliata “, “Citrange Troyer”, “Citrange Carrizo” e “Citrus macrophylla”, dotati di alta stabilità genetica. Le operazioni colturali, per la gestione tecnica convenzionale e le modalità di raccolta, devono essere quelle previste dalla “Normale Buona Pratica Agricola”. Queste norme, per il limone, si riferiscono alla gestione del suolo, agli interventi di concimazione (non oltre 250 kg/ha di N, 150 kg/ha di P2O5, 200 kg/ha di K2O), all’irrigazione (metodi a localizzazione dell’area bagnata), alla difesa (“difesa guidata” basata sul concetto di “soglia economica d’intervento”). La produzione dell’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” può avvenire da impianti condotti con il metodo di coltivazione: a) convenzionale: che è quello in uso nella zona, con l’osservanza delle norme di “Normale Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana; b) integrato: con produzione ottenuta mediante l’osservanza delle norme tecniche previste dal Disciplinare della Regione Siciliana in adozione dei Regolamenti comunitari in materia agroambientale; c) biologico: in osservanza del Reg Ce 2092/91 e successive modifiche ed integrazioni Articolo 6. La raccolta La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano. Il distacco dei frutti deve essere effettuato con l’ausilio di forbicine di raccolta per il taglio del peduncolo. La raccolta va fatta direttamente dalla pianta secondo i metodi tradizionali ad un livello di sviluppo dei frutti tale da garantire la buona qualità organolettica ed estetica degli stessi. E’ ammesso che il colore dei frutti sia variabile in funzione delle condizioni pedo-climatiche, in funzione delle varie fioriture e della particolare epoca di raccolta. La produzione massima consentita di limoni è fissata in q.li 550 per ettaro per l’intera campagna di produzione comprendente i frutti di tutte le fioriture. L’annata agraria inizia il 01/09 e termina il 31/08 dell’anno successivo. Articolo 7. Legame con l’ambiente Il limone, che in inverno subisce soltanto un leggero rallentamento del suo metabolismo, è specie molto sensibile al freddo, mentre rispetto ad altri agrumi è piuttosto resistente alle alte temperature. Per questi motivi la coltivazione del limone è diffusa lungo la fascia costiera della Sicilia ed in alcune limitate aree comprese nelle valli dei corsi d’acqua che solcano la provincia di Siracusa dal Porcaria (a nord) fino al Tellaro, trovando le più favorevoli condizioni sui versanti esposti a sud. La temperatura è il principale fattore climatico che limita la coltura limonicola. Dall’analisi dei valori medi annui delle temperature rilevate nella pianura costiera di Siracusa è possibile evidenziare che l’ambiente siracusano presenta condizioni di clima temperato da ottobre a marzo ed arido da aprile a settembre. La temperatura media annua è di 18-19°C, la media delle massime nel periodo estivo non supera la soglia di 31°C, mentre quella delle minime dei mesi più freddi (gennaio e febbraio) non scende al di sotto di 8-9°C. Dopo la temperatura, l’acqua è il fattore limitante più importante nei riguardi della coltura del limone. In effetti gli agrumi si sono estesi fuori della loro area naturale nelle zone ove l’inverno non è molto freddo ed anche con pluviometria inferiore ai 50 millimetri annuali, attraverso l’intervento costante dell’irrigazione. Del resto, l’abbondanza di acqua è stato sicuramente l’elemento decisivo nella scelta di stanziarsi in questo territorio fatto dai popoli preistorici e dai Siculi prima, dai colonizzatori greci poi, e per ultimo, con un balzo di quasi 3000 anni, dai grandi gruppi industriali nel secolo scorso. L’umidità atmosferica ha un ruolo importante nella determinazione della qualità dei frutti di limone: un’atmosfera mediamente umida consente di ottenere frutti più succosi, di forma regolare e di buccia fine. Rispetto al suolo, il limone nella costa ionica siracusana viene coltivato principalmente in terreni appartenenti al gruppo dei suoli bruno-calcarei, i quali poggiano su substrati di calcari e calcari dolomitici, ed al gruppo dei suoli alluvionali presenti lungo i depositi alluvionali dei corsi d’acqua. Infatti, nel Siracusano i terreni sono dotati di ottima fertilità, sono più o meno profondi e ben dotati di elementi nutritivi e di sostanza organica. La Sicilia annovera una storica tradizione nella coltivazione degli agrumi ed il rispetto delle antiche tradizioni nella coltivazione di queste piante, tramandata di generazione in generazione continua ancora oggi nel siracusano, dando vita ad una vera e propria scuola di specialisti nella coltivazione del “Limone di Siracusa”. Nelle campagne Iblee si riservavano nuovi spazi ai giardini delle ville in costruzione, concettualmente diverse da quelli delle masserie, nelle quali il giardino, esclusivamente produttivo, era posto a lato e chiuso con un cancello e alte mura. Nei più raffinati giardini delle ville suburbane di Siracusa e di Noto, gli aranci ed i limoni erano valorizzati per le qualità estetiche ed utilitaristiche. Dei numerosissimi "giardini di delizia" settecenteschi, ormai scomparsi, resta solo il ricordo di piccoli paradisi orientali, talora nobilitati dal lavoro di ricerca e di interesse alle novità botaniche dei colti proprietari. Per questi motivi il “Limone di Siracusa” mantiene un profondo legame con l’ambiente che si evidenzia in tutta la filiera del prodotto. Articolo 8. Il confezionamento I frutti che si fregiano dell’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” devono essere commercializzati allo stato fresco nelle categorie Extra e Prima, secondo quanto disposto dalle norme comuni di qualità. I calibri ammessi sono: 3,4,5. E’ obbligatorio indicare a caratteri leggibili e visibili su almeno uno dei lati dell’imballaggio, mediante stampatura diretta indelebile o mediante etichetta integrata nel collo o solidamente fissata ad esso: varietà, origine, categoria, calibro, lotto. Per le merci spedite alla rinfusa, caricate direttamente su un mezzo di trasporto, tali indicazioni devono essere riportate su un documento che accompagna la merce o su una scheda collocata in modo visibile all’interno del mezzo di trasporto (Reg. Ce 2200/96 art. 5). Nella fase di vendita al minuto, le indicazioni previste per la marcatura devono essere presentate in modo chiaro e leggibile. Per i prodotti presentati in imballaggi preconfezionati a norma della direttiva 79/112/Ce deve essere indicato il peso netto, oltre a tutte le menzioni previste dalle norme. Per i frutti venduti a pezzo è obbligatoria la bollinatura di almeno il 50 % di essi. Gli imballaggi utilizzabili devono essere nuovi. I materiali ammessi sono: cartone, legno, plastica. E’ ammesso l’uso di imballaggi in plastica a noleggio, riciclabili. Le confezioni ammesse sono: reti e borse con banda plastica attaccata alla rete. Ogni imballaggio ed ogni confezione devono riportare il logo del “Limone di Siracusa”. Articolo 9. I controlli L’Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione sarà controllata da un organismo di controllo autorizzato, in conformità all’Art. 10 del Reg. Ce 2081/92. Articolo 10. I prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la I.G.P. “Limone di Siracusa”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta Indicazione Geografica senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: -Il prodotto a Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; -Gli utilizzatori del prodotto a Indicazione Geografica Protetta “Limone di Siracusa” siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione dell’I.G.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della Indicazione Geografica Protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. Ce 2081/92. Articolo 12. Il logo e l’etichettatura Il logo consiste in un ovale orizzontale con il bordo colore verde quadricromia contenente una raffigurazione in bianco e nero del Teatro Greco di Siracusa nella cui cavea, nella parte destra, sono poggiati due limoni. Di questi uno è intero, con una foglia, posto in secondo piano, l’altro è in sezione e copre in parte il primo limone. Il limone con la foglia ha un peduncolo, e la foglia è di colore verde quadricromia. La foglia è rivolta verso il centro del marchio e copre in parte il limone a cui è attaccata col peduncolo. La buccia dei due limoni è di colore giallo quadricromia, la polpa del limone in sezione è di colore giallo quadricromia, la scritta <<Limone di Siracusa>> è di colore nero, font Times New Roman grassetto, alto 24; lo sfondo è di colore bianco. In etichetta è obbligatorio indicare: il nome, la ragione sociale e l’indirizzo del produttore e/o del confezionatore e quanto previsto dal D. Lgs 109/92 e successive modifiche ed integrazioni. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione e menzione diverse da quelle espressamente previste dal disciplinare, ivi compresi aggettivi qualificativi del tipo “fine, superiore, selezionato, scelto” e similari. Non è consentito l’uso di termini laudativi. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Siracusa |
Limone di Sorrento Limone di Sorrento IGP Disciplinare di produzione - Limone di Sorrento IGPArticolo 1. La Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone di Sorrento" è riservata ai limoni che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento CEE n. 2081/92 e dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Limone di Sorrento" designa i limoni prodotti nella zona delimitata al successivo art. 3 del presente disciplinare, riferibili agli ecotipi derivanti dal femminello ovale (Citrus Limon, L., Burmann), "Ovale di Sorrento" – sinonimo: "Limone di Massa Lubrense" o "Massese". Articolo 3. La zona di produzione del "Limone di Sorrento" di cui al presente disciplinare comprende parte del territorio dei comuni di: Vico Equense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Massa Lubrense, Capri e Anacapri. La penisola sorrentina inizia dal versante est con il comune di Vico Equense e prosegue verso ovest con i comuni di: Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento e Massalubrense. Confina, nel suo insieme, a nord col mar Tirreno (golfo di Napoli), a est con i comuni di Castellammare di Stabia (Napoli) e Positano (Salerno), a sud e ad ovest ancora col mar Tirreno. A ovest della penisola, a circa 3,5 miglia da Punta Campanella, e’ ubicata l’isola di Capri. Per la delimitazione dei confini, sono state utilizzate le carte I.G.M. 1:25.000 ricadenti sui fogli: n. 184 Punta Orlando, II S.E.; n. 196 Sorrento, I N.E.; n. 197 Positano, IV N.O.; n. 196 Isola di Capri, I S.O. PERIMETRAZIONE DELL’AREA INTERESSATA Penisola Sorrentina Partendo dal versante nord, l’area interessata alla coltivazione del "Limone di Sorrento" inizia a est dello "Scoglio Tre Fratelli" (comune di Vico Equense), risale lungo il "Fosso Sperlonga" fino alla sua sorgente dove incrocia via Sperlonga. Prosegue in tale via verso ovest (direzione cimitero), fino ad incrociare il sentiero che porta a Trino del Monte, di qui segue il crinale fino ad incrociare la curva di livello a quota +503. Seguendo la stessa verso est fino ad incrociare via Vecchio Faito, segue poi lungo la stessa mulattiera fino alla curva di livello a quota +526, prosegue poi su tale curva in direzione sud fino a raggiungere il "Rivolo Vergini". Scende lungo la valle di questo rivolo fino ad incrociare la "statale R. Bosco", km 5,78 segue detta strada verso monte fino alla curva "Tuoro", km 5,78 e scende diritto verso "Rivo dell’Arco"; proseguendo verso valle fino all’incrocio con via Antignano segue la stessa verso Monte fino al Vallone Centinara. Si prosegue con lo stesso verso monte fino all’incrocio con la mulattiera Moiano-Ticciano. Si segue detta mulattiera fino a raggiungere la "statale R. Bosco" in localita’ Ticciano, si percorre tale strada fino a raggiungere la curva di livello a quota +277, segue la via Alberi fino alla intersezione tra il comune di Vico Equense e Meta e percorre la linea di confine verso sud fino a raggiungere via Lavinola. A valle del Monte Vico Alvano costeggia le falde dello stesso fino a incrociare la mulattiera "Scaricatoio"; prosegue verso sud fino a incrociare la s.s. 163 Amalfitana, risale verso ovest fino a raggiungere i colli di S. Pietro. Prosegue lungo la provinciale Nastro Azzurro; all’incrocio si immette su via Pontecorco e all’imbocco segue la linea di livello da quota +321 e degrada proseguendo verso sud fino a quota +250, su tale quota prosegue verso ovest (includendo a monte gli abitati di via Pontecorco, via Lepantine e Colli di Fontanelle) fino a raggiungere quota +300 che si collega con la parte terminale di via Belvedere; risale tale strada fino ad incrociare la curva di livello a quota +400, proseguendo lungo la stessa in direzione sudovest sino ad incrociare il rivolo Rimaiulo. Lungo il corso del rivolo degrada fino a quota +250 s.l.m. Mantenendosi a tale quota in direzione ovest includendo a monte le localita’ di Monticello, Torca, Nula, Spina, Campi e Tuoro fino al rivolo Acchiungo all’altezza di Capo d’Arco. Dal rivo il limite superiore degrada fino a mare all’insenatura di Recommone per proseguire lungo la costa, sempre in direzione ovest, includendo l’intera Marina del Cantone, fino allo scoglio di Pila Nuova. All’altezza dello scoglio si sale fino alla via comunale che conduce alla baia di Jeranto, lasciando ad est Villa Rosa. Si segue via Jeranto fino a Nerano all’innesto con la strada provinciale via A. Vespucci. Si costeggia il piede del costone nord-est del Monte San Costanzo fino a Petrale andando da quota +200 a +325. Da Petrale si segue quota +325 fino all’incrocio tra via Campanella e via Mitigliano. Si segue via Campanella fino all’insenatura a sud della Torre di Fossa Papa per concludere a mare nel golfo di Napoli-mar Tirreno. Isola di Capri Comprende l’intero territorio di Capri e Anacapri sino alla quota di 500 m.s.l.m. Articolo 4. Il sistema di coltivazione deve essere quello tipico e tradizionalmente adottato nella zona. I sesti e le distanze di piantagione ed i sistemi di potatura dei limoneti di cui al presente disciplinare sono in uso tradizionale della zona. La forma di allevamento è riconducibile ad un vaso libero, adattato ad un idoneo sistema di copertura. È facoltà degli organi tecnici regionali ammettere anche forme di allevamento diverse, nel rispetto comunque delle specifiche caratteristiche di qualità del prodotto descritte nel successivo art. 6. La tecnica tradizionale di produzione consiste nel coltivare le piante sotto impalcature di pali di legno, preferibilmente di castagno, (di altezza non inferiore a mt. 3,00) o sotto ombreggiature di altre essenze vegetali, utilizzando stagionalmente coperture di riparo dagli agenti atmosferici avversi e per garantire una scalarità di maturazione dei frutti. La densità di impianto non dovrà essere superiore ad 850 piante per ettaro. La raccolta va effettuata nel periodo che va dal 1° febbraio al 31 ottobre, in funzione del conseguimento delle caratteristiche qualitative di cui al successivo art. 6 e delle particolari richieste del mercato in tale periodo. Tuttavia, in considerazione soprattutto dell’andamento climatico dell’annata, la regione Campania si riserva di modificare tali date con decreto del presidente della giunta regionale. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano; va impedito il contatto diretto dei limoni con il terreno. Nei limoneti di cui sopra è ammessa la presenza di altre varietà nella misura massima del 15%. La produzione massima consentita di limoni per ettaro ammessa a tutela non deve superare le 35 tonnellate in coltura specializzata o promiscua (in tal caso si intende la produzione ragguagliata). I limoni raccolti devono presentarsi sani, indenni da attacchi parassitari, come per legge. Per il trasporto del prodotto fino ai centri di raccolta devono essere impiegati contenitori atti a non provocare danno ai frutti. Articolo 5. Gli impianti idonei alla produzione dell’I.G.P. "Limone di Sorrento" sono iscritti nell’apposito albo attivato, tenuto e aggiornato dalla Regione Campania, direttamente attraverso i propri uffici competenti per territorio o attraverso gli organismi di cui al precedente comma del presente articolo. Gli organi tecnici sono tenuti a verificare, anche attraverso opportuni sopralluoghi, i requisiti richiesti per l’iscrizione all’albo di cui sopra. Entro dieci giorni dalla data indicata di fine raccolta (31 ottobre) deve essere presentata, all’organismo che detiene l’albo, la denuncia finale di produzione dell’anno. Durante il periodo della raccolta, che inizia il 1° febbraio e termina il 31 ottobre, come indicato all’art. 4, il predetto organismo può rilasciare, su conformi denunce di produzioni, parziali ricevute di produzione. Articolo 6. Il prodotto ammesso a tutela, all’atto dell’immissione al consumo o quando è destinato alla trasformazione, deve avere le seguenti caratteristiche: forma del frutto: ellittica, simmetrica; lobo pedicellare lievemente prominente, con area basale media; dimensioni: medie, medio-grosse, peso non inferiore a 85 grammi; i limoni con peso inferiore a 85 grammi, ma in possesso delle altre caratteristiche di cui al presente articolo, possono essere destinati alla trasformazione; peduncolo: di medio spessore e lunghezza; attacco al peduncolo: forte; umbone (apice): presente; solco apicale: assente; residuo stilare: assente; colore della buccia: giallo citrino per una superficie superiore al 50%; buccia (flavedo e albedo): di spessore medio; flavedo: ricco di olio essenziale, aroma e profumo forte; asse carpellare: rotondo, medio e semipieno; polpa: di colore giallo paglierino, con tessitura media; succo: giallo paglierino, abbondante (resa non inferiore al 30%) e con elevata acidità (non inferiore a 3,5 gr/100 ml). Articolo 7. L’immissione al consumo dell’I.G.P. "Limone di Sorrento" deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto deve essere posto in vendita in appositi contenitori rigidi, con capienza da un minimo di 0,5 kg fino ad un massimo di 15 kg, realizzati con materiale di origine vegetale, con cartone o con altro materiale riciclabile, consentito, in ogni caso, dalle normative comunitarie. Sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime, devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le seguenti indicazioni: "Limone di Sorrento" e "Indicazione Geografica Protetta" (o la sua sigla I.G.P.); il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice; la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti. Dovrà figurare, inoltre, il simbolo grafico relativo all’immagine artistica del logotipo specifico ed univoco da utilizzare in abbinamento inscindibile con l’Indicazione Geografica Protetta. Il simbolo grafico è composto dall’immagine di tre limoni affogliati, di cui due piccoli messi in posizione leggermente laterale e uno grande. Quest’ultimo, all’interno, ha raffigurato il panorama della costiera sorrentina fino a Punta Scutolo. Il paesaggio è di colore verde Pantone 360 CV, le foglie sono di colore verde Pantone 362 CV, i due limoni piccoli ed il riquadro con la scritta "Limoni di Sorrento" sono di colore giallo Pantone Process Yellow, il mare è di colore azzurro Pantone 284 CV, la scritta "Limoni di Sorrento" è di colore nero. I prodotti elaborati, derivanti dalla trasformazione del limone, possono utilizzare, nell’ambito della designazione degli ingredienti, il riferimento al nome geografico "Sorrento" a condizione che rispettino le seguenti condizioni: 1) i limoni utilizzati per la preparazione del prodotto siano esclusivamente quelli conformi al presente disciplinare; 2) sia esattamente indicato il rapporto ponderale tra quantità utilizzata della I.G.P."Limone di Sorrento" e quantità di prodotto elaborato ottenuto; 3) l’elaborazione e/o la trasformazione dei limoni avvenga esclusivamente nell’intero territorio dei comuni individuati all’art. 3 del presente disciplinare; 4) venga dimostrato l’utilizzo della I.G.P. "Limone di Sorrento" mediante l’acquisizione e detenzione delle ricevute di acquisto dai produttori iscritti all’albo e successiva annotazione sui documenti ufficiali. Il controllo del corretto utilizzo dalla I.G.P. "Limone di Sorrento" per i prodotti elaborati e/o trasformati potrà essere delegato dall’organismo di controllo al consorzio di tutela e valorizzazione che ne faccia richiesta. Alla Indicazione Geografica Protetta, di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivo: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’Indicazione Geografica Protetta. Articolo 8. Chiunque produce, pone in vendita, utilizza per la trasformazione o comunque distribuisce per il consumo, con la I.G.P. "Limone di Sorrento", un prodotto che non risponda alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, è punito a norma di legge. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Napoli |
Limone Femminello del Gargano Limone Femminello del Gargano IGP Disciplinare di produzione - Limone Femminello del Gargano IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Foggia |
Limone Interdonato di Messina Limone Interdonato Messina Jonica IGP Disciplinare di produzione - Limone Interdonato Messina Jonica IGPArticolo 1. L'indicazione geografica protetta «Limone Interdonato Messina Jonica» e' riservata ai frutti di limone che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente Disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto L'indicazione geografica protetta «Limone Interdonato Messina Jonica» e' riservata alla cultivar «Interdonato», ibrido naturale tra un clone di cedro e un clone di limone, appartenente alla Fam. Rutacee; Gen: Citrus; Sp: C. limon. All'atto della sua immissione al consumo l'indicazione geografica protetta «Limone Interdonato Messina Jonica» presenta le seguenti caratteristiche: frutto: (esperidio) di pezzatura medio-elevata compresa tra 80 e 350 gr.; forma: tipicamente ellittica con umbone pronunciato e cicatrice stilare poco depressa; epicarpo: sottile, poco rugoso con ghiandole oleifere distese; colore: ad inizio della maturazione commerciale verde opaco con viraggio sul giallo e alla maturazione fisiologica colore giallo ad eccezione delle estremita' che mantengono una colorazione verde opaco; polpa: di colore giallo, tessitura media e deliquescente con semi rari o assenti. succo: di colore giallo citrino, con resa non inferiore al 25% e acidita' totale inferiore al 5%. Possono ottenere la denominazione IGP Limone Interdonato Messina Jonica solo i limoni appartenenti alla categoria commerciale «Extra» e «I». Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento dell'IGP «Limone Interdonato Messina Jonica» comprende interamente i seguenti territori comunali della provincia jonica messinese: Messina, Scaletta Zanclea, Itala, Ali', Ali' Terme, Nizza di Sicilia, Roccalumera, Fiumedinisi, Pagliara, Mandanici, Furci Siculo, S. Teresa di Riva, Letojanni, S. Alessio Siculo, Forza D'Agro', Taormina e Casalvecchio Siculo. Articolo 4. Origine del prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei confezionatori, nonche' attraverso la denuncia tempestiva, alla struttura di controllo, delle quantita' prodotte, e' garantita la tracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche iscritte nei relativi elenchi saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La produzione della IGP «Limone Interdonato Messina Jonica» avviene in impianti condotti con il metodo di coltivazione: a) integrato: che e' quello in uso nella zona, con l'osservanza delle norme di «Normale buona pratica agricola»; previste dalla regione Siciliana in conformita' ai regolamenti comunitari in materia agroambientale; b) biologico: in conformita' al Reg. CE 2092/91, e successive modifiche ed integrazioni. Tecniche di allevamento Per la produzione della IGP «Limone Interdonato Messina Jonica» sono utilizzate due tecniche di allevamento: costituzione di nuovi impianti tramite la messa a dimora di giovani piante da vivaio e la riconversione varietale di agrumeti gia' esistenti con la cv. Interdonato tramite reinnesto. Entrambe le tecniche prevedono che il materiale di propagazione utilizzato (marze, portinnesti, piante innestate) sia certificato. Nuovo impianto Il sesto adottato deve essere tale da consentire un'agevole esecuzione delle principali operazioni colturali e il transito delle attrezzature agricole e al contempo garantire un equilibrato sviluppo vegeto-produttivo delle piante. A tal fine la densita' d'impianto e' compresa tra 400 e 500 piante/Ha. La messa a dimora viene effettuata dal 1° settembre al 30 giugno con piante di uno o due anni e punto di innesto ad un altezza compresa tra 50 e 60 cm avendo cura di lasciare parzialmente scoperto il colletto per prevenire l'insorgenza di fitopatie. Reinnesto La tecnica del reinnesto della cv. Interdonato si esegue su impianti di agrumeto preesistenti che rispondano ai seguenti requisiti minimi: densita' e sesti d'impianto compresa tra 400 e 500 piante/ha; buone condizioni vegetative e fitosanitarie. I reinnesti si effettuano nella stagione primaverile o autunnale adottando la tecnica «a penna» «a corona» o «a pezza». Il reinnesto deve essere preceduto da una energica potatura che induca il futuro portainnesto all'emissione di nuovo apparato radicale e al contempo contenga lo sviluppo dell'apparato vegetativo. Il soggetto (portinnesto) viene sezionato orizzontalmente ad un'altezza compresa tra 50-100 cm e sul piano di sezione si eseguono piccole incisioni verticali corticali quante sono le marze che si desidera innestare (generalmente da 4 a 6). Le marze vengono in precedenza preparate eseguendo una sezione trasversale e perfettamente liscia e vengono inserite sulle incisioni della corteccia avendo cura che le porzioni del cambio siano a diretto contatto. Successivamente la corona viene fasciata con del filo elastico per mantenere saldo il contatto tra le porzioni e successivamente si pennellano i punti di innesto con del mastice medicato adatto all'uso. Il reinnesto cosi' ottenuto viene coperto con un sacchetto di plastica, per mantenere un tasso di umidita' ideale per l'attecchimento, che si attesta tra 70% e l'80%, ed uno di carta per impedire l'azione termica del sole. Tale copertura viene rimossa ad attecchimento avvenuto che si ottiene generalmente dopo 3 - 4 settimane. Gestione della flora spontanea Le piante infestanti vanno distrutte prima che producano semi attraverso lavorazioni superficiali o mediante l'impiego dei diserbanti. Nutrizione e concimazione Si distinguono due differenti tecniche a seconda che si adotti il metodo integrato o il metodo biologico: metodo integrato: la concimazione invernale si esegue con concimi granulari complessi organo-minerali o minerali che andranno interrati tramite una leggera lavorazione del terreno. Nel periodo primaverile-estivo, nel caso in cui lo stato di accrescimento dei frutti non consenta di prevedere il raggiungimento delle caratteristiche di cui all'art. 2 del presente disciplinare, potra' essere eseguita una concimazione azotata con concimi granulari da distribuire localmente attorno alle piante o tramite prodotti idrosolubili da apportare in fertirrigazione; metodo biologico: la concimazione si esegue con prodotti certificati ai sensi del reg. UE 2092/91. Quella invernale si esegue con concimi organici o organo-minerali che andranno interrati tramite una leggera lavorazione del terreno unitamente ad eventuali leguminose da sovescio o letame maturo. Nel periodo primaverile-estivo nel caso in cui lo stato di accrescimento dei frutti non consente di prevedere il raggiungimento delle caratteristiche di cui all'art. 2 del presente disciplinare, potra' essere eseguita una fertirrigazione con concimi idrosolubili ammessi. Irrigazione L'irrigazione viene praticata da aprile ad ottobre al fine di garantire un apporto idrico ottimale in quanto la cv. Interdonato risulta essere particolarmente soggetta a danni da stress idrico e termico. Le tecniche utilizzate sono: a scorrimento, ad aspersione localizzata, a microirrigazione. Difesa fitosanitaria Negli agrumeti la prevenzione ed il controllo fitosanitario dai fitopatogeni, insetti e acari fitofagi, si differenzia a seconda della tecnica di produzione attuata in metodo integrato e metodo biologico. Metodo integrato: e' attuata in conformita' alle «Norme di Buona Pratica Agricola» definite nel piano di sviluppo rurale regione Sicilia e periodicamente aggiornate. Metodo biologico: e' attuata in conformita' al reg. UE 2091/92 e succ. Potatura Gli interventi di potatura vengono eseguiti dal 15 febbraio al 15 settembre e devono conseguire l'apertura di spazi all'interno della chioma, in modo da consentire il passaggio dell'aria, e per quanto possibile, dei raggi solari. Si tratta, quindi, di operazioni di sfoltimento di branche superflue che occupano spazi gia' impegnati da altra vegetazione. Raccolta La raccolta avviene dal 1° settembre al 15 aprile e avviene manualmente con l'utilizzo di forbici al fine di evitare il distacco della porzione calicina. La resa in prodotto fresco e' compresa tra 80-130 kg/pianta. Condizionamento Per i frutti non commercializzati immediatamente dopo la raccolta e' permessa la conservazione a basse temperature. Si impiegano a tal fine celle frigorifere in cui l'umidita' relativa si mantiene elevata (75 - 95%), per mantenere la turgidita' del frutto, mentre va ricambiata l'aria (5 volte il volume della cella per 24 ore), al fine di allontanare l'anidride carbonica e l'etilene che si sviluppano durante la respirazione dei frutti. Le temperature di conservazione sono comprese tra 6 e 11 °C. I tempi di condizionamento non devono superare i trenta giorni dalla raccolta. Articolo 6. Legame con l'ambiente Il «Limone Interdonato Messina Jonica» ha colonizzato e caratterizzato in modo naturale l'areale ionico messinese, che si contraddistingue per particolari e peculiari elementi pedologici, orografici, climatici ed ambientali. Grazie a tali caratteristiche il«Limone Interdonato Messina Jonica» presenta un frutto invernale con un ritmo di accrescimento molto elevato ed un periodo di maturazione molto precoce, che consente la sua immissione al consumo gia' da settembre sfruttando i vantaggi economici derivanti dall'assenza di offerta di prodotti sostituibili. Per tale motivo la coltivazione del «Limone Interdonato Messina Jonica» riveste tuttora una grandissima importanza sociale ed economica per tutto il territorio. I profili pedologici sono in prevalenza di tipo alluvionale, risultando estremamente fertili sotto il profilo agricolo. Sotto l'aspetto idrologico e' da porre in evidenza la diffusa presenza di torrenti di cui solo alcuni rivestono una certa importanza ai fini irrigui, mentre gli altri assumono carattere torrentizio solo eccezionalmente in presenza di forti precipitazioni. Il clima e' quello tipico temperato con inverni miti ed estati siccitose e una particolare rilevanza assume la ventosita' caratterizzata da venti dominanti di maestrale, libeccio e di scirocco. Il limone come pianta ornamentale e per il consumo locale in Sicilia ha ormai una storia millenaria, la sua presenza risale infatti al periodo bizantino-arabo. Si puo' cominciare a parlare di limonicoltura, come comparto economico vero e proprio, solo dopo la meta' del sec. XVI, quando i prodotti agricoli siciliani divennero strategici per l'approvvigionamento delle truppe di Carlo V, impegnato nella lunga guerra per l'egemonia in Europa. La storia del «Limone Interdonato», ha inizio nel 1875 quando l'eroe dell'epopea garibaldina, il colonnello Giovanni Interdonato, seleziono' questa particolare cultivar i cui frutti si distinguevano per il periodo di maturazione precoce, le dimensioni elevate, forma allungata e cilindrica, con umbone conico, discreto contenuto in succo, buccia molto liscia e colore giallo-chiaro, che gli valsero la denominazione anche «limone speciale» o «fino». Cosi' gia' nel XIX sec. e' il «Limone Interdonato» a dare il proprio volto al paesaggio dell'intera fascia ionica della provincia di Messina, che acquista la nomea di «terra dai giardini sempre verdi»; e l'economia, le abitudini, influenzandone la composizione sociale, le vicende, la cultura, i riti, le tradizioni, i ritmi di vita. Articolo 7. Controlli e struttura di controllo Il controllo sulla conformita' del prodotto e' svolto conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del reg. CEE n. 2081/92. Articolo 8. Etichettatura e logotipo Confezionamento L'IGP «Limone Interdonato Messina Jonica» e' immesso al consumo nei seguenti modi: 1) in contenitori e/o vassoi di: legno, plastica e/o cartone; 2) in sacchi retinati di peso massimo di 5 Kg; 3) bins alveolari; 4) allo stato sfuso. Le confezioni, i sacchetti e i bins devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa esser estratto senza la rottura del sigillo. Per il prodotto venduto allo stato sfuso e' prevista la bollinatura del singolo frutto. Etichettatura La confezioni recano obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili: 1) la denominazione IGP «Limone Interdonato Messina Jonica» e il Logo, con caratteri superiori a quelli delle altre diciture presenti in etichetta; 2) il nome, la ragione sociale, l'indirizzo dell'azienda produttrice e/o confezionatrice; 3) la categoria commerciale di appartenenza «Extra» o «I». E' vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E' tuttavia ammesso l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purche' questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell'indicazione del nome dell'azienda dai cui appezzamenti il prodotto deriva, nonche' di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalita' e i contenuti del presente disciplinare. Logo Il logo risulta composto da due cerchi concentrici. All'interno del primo cerchio lo sfondo verde richiama il colore del limone Interdonato ad inizio maturazione che fa da base alla scritta: LIMONE INTERDONATO, e alle due estremita' delle stesse sono raffigurate due foto dello stesso limone. Il secondo cerchio ha per sfondo il colore azzurro raffigurante il mare che lambisce le aree costiere ove la cultivar e' presente e racchiude i seguenti elementi: - una striscia di colore azzurro raffigurante un orizzonte immaginario; - una effige in scala di grigio raffigurante l'immagine del Colonnello Interdonato selezionatore della omonima cultivar; - nella porzione centrale si rappresenta la Sicilia di colore giallo paglierino con il tratto della riviera ionica messinese evidenziata in giallo piu' scuro; - la scritta: MESSINA JONICA che completa la denominazione IGP. - il logo comunitario di indicazione geografica protetta sovrastato dall'acronimo: I.G.P. Infine sulla parte inferiore del logo sovrapposta ad entrambi i cerchi, compare un'immagine fotografica in quadricromia di forma ovale che raffigura un particolare di albero di limone Interdonato con frutti e foglie. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione e' utilizzata la I.G.P.«Limone Interdonato Messina Jonica» anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta Indicazione geografica, protetta senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a Indicazione geografica protetta «Limone Interdonato Messina Jonica» certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; gli utilizzatori del prodotto a Indicazione geografica protetta «Limone Interdonato Messina Jonica» siano autorizzati dai titolari del diritto di proprieta', intellettuale conferito dalla registrazione della I.G.P. riuniti in Consorzio di Tutela incaricato dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvedera' anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della Indicazione geografica protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorita' nazionale preposta ll'attuazione del reg. CE 2081/92. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Messina |
Marrone del Mugello Marrone di Mugello IGP Disciplinare di produzione - Marrone di Mugello IGPArticolo 1. La Indicazione Geografica Protetta “Marrone del Mugello” è riservata ai frutti che rispondano alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. La zona di produzione del “Marrone del Mugello” è costituita dalla parte di territorio della Provincia di Firenze individuato come segue: - Comune di Borgo S. Lorenzo Parte - Comune di Dicomano Per intero - Comune di Firenzuola Parte - Comune di Londa Parte - Comune di Marradi Per intero - Comune di Palazzuolo Sul Senio Per intero - Comune di Rufina Parte - Comune di S. Godenzo Parte - Comune di Scarperia Parte - Comune di Vicchio Mugello Parte Tale area in un unico corpo si estende per circa ha. 87.420. Articolo 3. Il “Marrone del Mugello” deriva da una serie di ecotipi correntemente indicati col nome della località e/o Comune di provenienza ma tutti riconducibili alla varietà Marrone Fiorentino che viene propagato per via agamica da molti secoli. I frutti rispondenti alla denominazione “Marrone del Mugello” hanno in comune le seguenti caratteristiche: - numero di frutti per riccio (o cardo) in nessun caso superiori a tre; - pezzatura medio-grossa (non più di 80 frutti/Kg.), con tolleranza del 10% in più in caso di annate sfavorevoli; - forma prevalentemente ellissoidale, apice poco pronunciato con presenza di tomento, terminante con residui stilari (torcia) anch’essi tomentosi: di norma una faccia laterale tendenzialmente piatta, l’altra marcamente convessa; cicatrice ilare (base) di forma sensibilmente rettangolare di dimensioni tali da non debordare sulle facce lateriali, generalmente piatta e di colore più chiaro del pericarpo; - pericarpo sottile di colore bruno rossiccio con striature in senso meridiano, rilevate e più scure, in numero variabile da 25 a 30. Esso è facilmente distaccabile dall’episperma il quale si presenta di colore “camoscio” e poco invaginato; - il seme, di norma uno per frutto, si presenta di polpa bianca, croccante e di gradevole sapore dolce con superficie quasi priva di solcature; molto limitati i frutti con seme diviso (settato). Articolo 4. I castagneti da frutto destinati alla produzione del “Marrone del Mugello” devono trovarsi in condizioni ambientali e devono essere condotti con tecniche colturali tali da conferire al prodotto le specifiche caratteristiche di qualità. Sono da considerarsi idonei i castagneti ubicati da 300 a 900 metri s.l.m. su terreni aventi giacitura, esposizione, e caratteristiche pedologiche adatte. La densità degli impianti, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura e di raccolta nonché la propagazione, esclusivamente agamica, devono essere quelli generalmente usati in zona o, comunque, atti a non modificare le caratteristiche di tipicità dei frutti. E’ vietata negli impianti in produzione ogni somministrazione di fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi. La resa produttiva è stabilita in un massimo di Kg. 15 di frutti per pianta ed in Kg. 1500 per ettaro. Anche in annate eccezionalmente favorevoli dovranno essere rispettati i massimali di produzione sopra riportati. Il numero di piante in produzione per ettaro non può superare le 120 unità nei vecchi impianti e le 160 unità nei nuovi impianti. Articolo 5. Le operazioni di cernita, di calibratura , di trattamento del prodotto con “cura” in acqua fredda e con la sterilizzazione e secondo le tecniche già acquisite dalla tradizione locale, nonché il confezionamento, devono essere effettuate sul territorio della Comunità Montana Zona “E” Alto Mugello Mugello Val di Sieve. Ai locali idonei. Il prodotto fresco può essere immesso al consumo a partire dal 5 ottobre dell’anno fini della commercializzazione il prodotto può essere conservato, per graduarne la vendita, in di produzione. Articolo 6. Il “Marrone del Mugello” allo stato fresco, all’atto dell’immissione al consumo, deve rispondere alle seguenti caratteristiche: - prodotto fresco senza alcun trattamento, o prodotto curato in acqua fredda per non più di otto giorni senza aggiunta di alcun additivo, o prodotto sterilizzato con bagno in acqua calda e successivo bagno in acqua fredda senza aggiunta di alcun additivo e secondo la corretta tecnica locale; - prodotto selezionato e calibrato in diverse pezzature come previsto dal decreto ministeriale 10 luglio 1939, recante norme speciali tecniche per l’esportazione delle castagne. Le norme di cui trattasi si applicano sia per la commercializzazione del prodotto nell'ambito dei Paesi CEE che per l’esportazione verso i paesi terzi; - prodotto confezionato di norma in sacchetti in rete di colore rosso nelle confezioni da Kg. 0,5, Kg.1, Kg.2, Kg. 3, Kg.5, Kg.10, ed in sacchetti di juta per le confezioni da 25 e 30 Kg.: confezioni di tipologia diversa dalle precedenti devono essere preventivamente approvate dal Comitato tecnico di cui all’art. 10, e dall’organismo di controllo di cui all’art. 10 del Reg. 2081/92. Ogni confezione deve recare un contrassegno con la scritta“Marrone del Mugello” I.G.P. Il contrassegno dovrà, inoltre, obbligatoriamente riportare i dati relativi alla pezzatura, al peso, all’annata di produzione, la data di confezionamento ed essere apposto all’esterno della confezione in modo da sigillarla. Articolo 7. Il “Marrone del Mugello” può essere commercializzato, oltre che allo stato fresco, come prodotto trasformato rispondente alle seguenti caratteristiche: - stato secco in guscio, sgusciato intero o sfarinato, ottenuto con la tecnica acquisita dalla tradizione locale mediante essiccazione in“metati” su graticci ed a fuoco lento e continuo alimentato esclusivamente da legna di castagno. Per la trasformazione nelle diverse tipologie di prodotto allo stato secco devono essere utilizzati frutti freschi di pezzatura inferiore agli 80 frutti/Kg.. L’umidità contenuta nei frutti interi o sfarinati non deve superare il 15%; il prodotto deve essere immune da attacchi parassitari di qualsiasi natura; la resa in marroni secchi pelati non può superare la percentuale del 35% mentre la resa in marroni secchi in guscio non può superare il 65%; i marroni secchi sgusciati devono presentarsi interi, sani di colore paglierino chiaro e con non più del 10% di difetti (tracce di bacatura, deformazioni etc.). La resa massima in farina non può superare il 30% del prodotto fresco. Il prodotto trasformato deve essere commercializzato in contenitori di materiale idoneo alla conservazione come previsto dalle leggi vigenti e rispondenti alle caratteristiche delle diverse tipologie di prodotto richiamate al primo comma. Le confezioni possono essere di peso variabile in relazione alle richieste di mercato e devono recare un contrassegno con la scritta “Marrone del Mugello” I.G.P. Per il prodotto secco in guscio, è facoltativo procedere alla calibratura per la vendita al fine di ottenere pezzature migliori. Ai fini della commercializzazione e della esportazione del prodotto secco si applicano le norme di cui al citato decreto ministeriale 10 luglio 1939. Altri prodotti trasformati in cui il frutto rimane singolarmente individuabile ed ottenuti dal“Marrone del Mugello” potranno fare riferimento al prodotto di origine. Per i marroni sotto sciroppo o sotto spirito è ammessa l’utilizzazione di frutti freschi aventi una pezzatura fino a 95 frutti/Kg. Articolo 8. Alla indicazione geografica protetta “Marrone del Mugello “ è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi“extra”, “superiore”, “fine”, “scelto”, “selezionato” e similari. E’ vietato inoltre l’uso di indicazioni aventi significato laudativo ed atte a trarre in inganno il consumatore. E’ consentito, sia per il prodotto fresco che per quello trasformato, l’uso al massimo di due indicazioni che facciano riferimento al comune, e/o località e/o azienda comprese nel territorio di cui all’art. 2 e dai quali effettivamente provengono i marroni con la indicazione geografica protetta. E’ consentito naturalmente l’apposizione del nome e marchio di impresa. Articolo 9. I produttori che intendono porre in commercio il proprio prodotto con la indicazione geografica protetta “Marrone del Mugello” sono tenuti ad iscrivere i loro castagneti, la cui produzione sia costituita per almeno il 95% dalla varietà denominata di cui all’art. 3, in un apposito albo pubblico istituito presso la Comunità Montana Zona “E” con sede a Borgo S. Lorenzo, per il tramite del comune in cui ricadono i castagneti medesimi. Nell’albo di cui al comma 1 devono essere indicati gli estremi atti ad individuare la ditta produttrice , gli estremi catastali desunti dagli estratti di mappa e di partita, le superfici a castagneto, la produzione massima per ettaro e per pianta di frutti, le località, l’età del castagneto, lo stato fitosanitario ed il numero delle piante. Le domande di iscrizione dei castagneti all’albo devono essere presentate entro il 30 giugno dell’anno a decorrere dal quale si intende commercializzare il prodotto con la indicazione geografica protetta. Entro la stessa data devono essere presentate le domande intese ad apportare eventuali modifiche alle iscrizioni stesse. Articolo 10. Un apposito comitato tecnico, istituito presso la Comunità Montana Zona “E”, è incaricato dell’esame delle domande di iscrizione e di modifiche all’albo. Detto comitato è presieduto dal Presidente della Comunità Montana o da un suo delegato ed è composto da due esperti tecnici nominati dalla Comunità Montana stessa e da due esperti designati dall’eventuale consorzio volontario dei produttori castanicoli incaricato della vigilanza o , in mancanza di questo, dalla Comunità Montana su proposta delle organizzazioni professionali di categoria maggiormente rappresentative nella zona. Il comitato stesso, che sovraintende anche alla tenuta dell’albo, è tenuto ad effettuare annualmente sopralluoghi prima della raccolta nei castagneti iscritti all’albo per accertare la media di produzione di marroni e controllare la rispondenza delle denunce effettuate dai produttori. Fintanto non venga designata un specifica struttura di controllo, la Comunità Montana avvalendosi di detto comitato potrà assumere in forma provvisoria e su disposizione dell’autorità competente, le funzioni di vigilanza per l’applicazione del presente disciplinare di produzione. Articolo 11. Le ditte produttrici aventi i castagneti iscritti all’albo che intendono commercializzare il proprio prodotto con la denominazione di origine sono tenuti a dichiarare alla Comunità Montana, per il tramite del comune competente per territorio, entro dieci giorni dalla fine della raccolta, la quantità di marroni prodotta e, nel caso che l’abbiano venduta in partite non confezionate secondo le modalità di cui all’art. 6, il nominativo e l’indirizzo dell’acquirente nonché il castagneto da cui deriva il prodotto. La Comunità Montana, per il tramite del comune competente per territorio, rilascia al dichiarante ricevuta per il quantitativo denunciato. Articolo 12. Per il prodotto che verrà certificato si dovrà pagare un contributo di entità sufficiente a coprire i costi che l’Ente incontrerà nello svolgimento della sua attività di tutela: tale contributo sarà rapportato al quantitativo di marroni per il quale il produttore ha richiesto i contrassegni di indicazione geografica, e il suo prezzo verrà fissato di anno in anno. La richiesta volta ad ottenere i contrassegni di cui sopra dovrà essere conforme con la dichiarazione presentata ai sensi degli artt. 9 e 11 e nei limiti delle quantità fissate dall’art. 4. Qualora il prodotto non venga confezionato in azienda, il produttore consegnerà al compratore apposita certificazione che dia diritto all’acquirente di ritirare contrassegni da inserirsi nelle confezioni. La ditta acquirente è obbligata al rispetto di tutte le norme del presente disciplinare e soggetta ai relativi controlli. Articolo 13. La vigilanza per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del marrone del Mugello di un consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Regolamento CEE 2081/92. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Firenze |
Marrone della Valle di Susa MARRONE della VALLE di SUSA Disciplinare di produzioneArticolo 1
Articolo 2
Articolo 3
Articolo 4
Articolo 5
Articolo 6
Articolo 7
Articolo 8
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Piemonte | T orino |
Marrone di Caprese Michelangelo Marrone di Caprese Michelangelo DOP Disciplinare di produzione - Marrone di Caprese Michelangelo DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta (D.O.P.) “Marrone di Caprese Michelangelo”è riservata esclusivamente ai frutti allo stato fresco e secco della specie Castanea sativa Mill. che corrispondono alle condizioni ed ai requisiti descritti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Per la produzione del “Marrone di Caprese Michelangelo” DOP vengono utilizzati i frutti dell’ecotipo locale “Marrone di Caprese Michelangelo” riconducibile alla varietà “Marrone”, da utilizzarsi per il consumo fresco e secco. Le caratteristiche carpologiche al consumo della castagna fresca sono le seguenti: Frutti: buccia di colore avana con striature marroni, più o meno intense; Forma: tendenzialmente ellittico–arrotondata o, nel frutto centrale, tendenzialmente quadrangolare; Polpa: di colore bianco avorio poco incisa dall’episperma (pellicina sottile che la riveste), caratterizzata da lievi note profumate di mandorla e vaniglia. Le caratteristiche al consumo della castagna secca devono essere le seguenti: Aspetto dei frutti: sano, integro, con non oltre il 5 % di frutti deformati o con tracce di bacatura o di muffa; Colore: avorio o paglierino chiaro. La denominazione di origine protetta “Marrone di Caprese Michelangelo” ha inoltre le seguenti caratteristiche: il frutto crudo presenta una polpa croccante, zuccherina, con un lieve profumo di mandorla e vaniglia. La cottura come caldarrosta, intensifica le caratteristiche di profumo, amalgamandole con quelle dell'arrostimento di parti della buccia e del primo strato del seme, e rende la polpa gradevolmente friabile e pastosa. I frutti bolliti hanno un sapore più delicato delle 'caldarroste', più zuccherino per parziale depolimerizzazione dell'amido. I frutti sbucciati, bolliti in acqua leggermente salata con aggiunta di alcuni rametti di finocchio selvatico, sono pastosi e presentano sapori e profumi complessi e particolarmente gradevoli. Articolo 3. Zona di Produzione L’area geografica di produzione, di essiccazione e condizionamento del “Marrone di Caprese Michelangelo” è rappresentata dal territorio montano dei seguenti comuni in provincia di Arezzo: Comune di Caprese Michelangelo, intero territorio amministrativo; Comune di Anghiari, la parte di territorio nord a partire dall’incrocio del confine amministrativo del comune di Caprese Michelangelo delimitato dalla strada provinciale n. 57 Catenaia, fino all’inizio del confine del comune di Subbiano. Articolo 4. Origine del prodotto Tutte le fasi del processo produttivo debbono essere monitorate documentando per ognuna i prodotti in entrata e i prodotti in uscita. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, degli essiccatori e dei confezionatori, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità dell’intera filiera di produzione del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Qualora l’organismo di controllo verifichi delle non conformità rispetto a quanto stabilito dal disciplinare di produzione, il prodotto non potrà essere commercializzato con la denominazione di origine protetta “Marrone di Caprese Michelangelo”. Articolo 5. Metodo di ottenimento Tecnica colturale Per la tecnica colturale non sono previste particolari condizioni, se non la preparazione del terreno prima della raccolta che deve essere effettuata esclusivamente con mezzi meccanici. Possono essere consentiti trattamenti fitoiatrici nei confronti della Cidia e del Balanino esclusivamente mediante prodotti ammessi per la castanicoltura biologica. Possono essere consentiti interventi di fertilizzazione del suolo mediante prodotti ammessi per la castanicoltura biologica. La densità degli impianti in produzione non deve superare le 120 piante ad ettaro. Al fine di garantire una efficace impollinazione negli impianti possono essere presenti fino ad un massimo del 10% altre varietà. Tempi e modalità di raccolta La raccolta è consentita dal 20 settembre, escludendo l’impiego della bacchiatura o di altri mezzi meccanici e/o chimici che anticipano o accelerano il distacco dall’albero. E’ consentito l’uso della raccattatura meccanica, dell’andanatura dei ricci con apposite macchine, della battitura meccanica dei pegliai (ovvero piccole ricciaie), della spazzatura delle foglie con ventilatori meccanici, purché tali interventi non danneggino le caratteristiche del prodotto. Ottenimento dei frutti destinati al consumo fresco Cernita e calibratura La cernita viene effettuata per eliminare i frutti lesionati da patogeni o da altri fattori. La cernita viene svolta manualmente. La percentuale massima di frutti non rispondenti alle caratteristiche suddette non deve superare il 5% del peso. La calibratura viene effettuata esclusivamente sulla varietà “Marrone”. La stessa può essere eseguita anche prima della cernita e della eventuale curatura. Può essere effettuata anche con apposite macchine calibratrici. Il numero dei frutti non deve superare 90 unità per Kg. Il prodotto che non presenta le caratteristiche stabilite dal presente disciplinare per essere destinato al consumo fresco, può essere utilizzato per la produzione in castagna secca. Curatura La curatura dei frutti serve al mantenimento della serbevolezza del prodotto e nonè obbligatoria. Qualora la stessa venga effettuata, deve essere eseguita esclusivamente mediante acqua, sia a freddo con immersione in acqua a temperatura ambiente per un periodo dai 5 ai 9 giorni; sia a caldo, consistente nell’immersione dei frutti in acqua calda a 48 °C per 50’ e successivamente tenuti in acqua fredda per altri 50’. Tale processo non danneggia le caratteristiche tipiche del prodotto. Non è consentito in alcun caso l’uso di additivi chimici. Caratteristiche dei frutti per il consumo fresco Per il consumo allo stato fresco del “Marrone di Caprese Michelangelo” sono ammessi soltanto i frutti della varietà “Marrone”. I frutti devono presentare le caratteristiche descritte all’articolo 2. Ottenimento della castagna secca Per la produzione di castagne secche “Marrone di Caprese Michelangelo” è ammessa l’utilizzazione dei frutti della varietà “Marrone”. Tale prodotto viene ottenuto tramite essiccazione e successiva sbucciatura dei frutti. L’essiccazione viene effettuata con la tradizionale tecnica del seccatoio a legna, oppure mediante utilizzo di essiccatoi ad aria calda. Gli essiccatoi tradizionali sono delle costruzioni, monocamera, localizzate sia nei castagneti che nei pressi delle abitazioni, in cui internamente è predisposto, un graticcio orizzontale costruito con paletti di castagno, sul quale viene disteso uno strato minimo di 30 cm di castagne. Sul pavimento dell’essiccatoio viene tenuto acceso un fuoco “morto” ovvero senza fiamma. L’essiccazione si completa entro 40 giorni, a partire dal momento in cui si immettono le castagne sui graticci, in funzione del raggiungimento delle caratteristiche tipiche della castagna secca “Marrone di Caprese Michelangelo”. L’essiccazione può essere attuata anche mediante essiccatoi ad aria calda, operanti con temperature opportunamente variate durante l’essiccazione e comprese tra i 25 e i 45 °C. Il giusto grado di essiccazione si ottiene entro un massimo di 15 giorni a partire dall’immissione delle castagne nell’essiccatoio. La sbucciatura viene effettuata mediante l’utilizzo di macchine sbucciatrici. E' uso consolidato da tempi antichissimi confezionare insieme il prodotto essiccato delle due varietà. Le caratteristiche al consumo della castagna secca devono essere quelle indicate all’art. 2. Il condizionamento dei frutti pelati utilizzati per il consumo allo stato essiccato è uguale a quello per i frutti non pelati destinati al consumo fresco. Il “Marrone di Caprese Michelangelo” DOP deve essere condizionato nella zona individuata all’articolo 3 del presente disciplinare di produzione per evitare che i lunghi tempi che intercorrono tra la raccolta ed il confezionamento, il trasporto e le eccessive manipolazioni possano danneggiare il prodotto. Il prodotto viene raccolto fresco e ancora con presenza di ricci, l’elevata umidità nei frutti ammassati potrebbe generare fenomeni di riscaldamento con insorgenza di muffe, marcescenza o odori sgradevoli con forti compromissioni delle qualità del prodotto che pertanto deve essere condizionato in tempi brevi. Articolo 6. Legame con l’ambiente La caratteristica peculiare del Marrone di Caprese Michelangelo è la presenza nello stesso di una quantità elevata di amido, dovuta alle consistenti riserve idriche di cui sono dotati i terreni sui quali sono presenti i castagneti da frutto. Altri elementi che determinano l’accumulo di amido sono l’esposizione particolare dei castagneti, che permette di fruire dell'energia solare fin dalle prime ore del mattino con il benefìcio di una più rapida eliminazione delle eventuali rugiade estive, la geomorfologìa e l'altitudine che favoriscono inoltre frequenti moderate ventilazioni. L’ottimizzazione dell’illuminazione della chioma è ottenuta grazie alla bassa densità di piantagione e allo sfoltimento attuato con la potatura. Tutti questi fattori uniti insieme conferiscono al prodotto tipiche caratteristiche morfologiche ed organolettiche che lo rendono estremamente apprezzato e facilmente riconoscibile. Il “Marrone di Caprese Michelangelo”rappresenta la denominazione storica che si identifica con una coltura tipica del territorio documentata, fra l’altro, da fonti storiche risalenti al XII secolo, quali: rogiti notarili relativi a compra-vendita e trasmissioni ereditarie di castagneti, specifiche norme contenute negli “Statuti di Caprese del 1386”, dall’esistenza di monumentali esemplari di castagno innestato con età stimabile oltre i 500-600 anni. I castagneti “capresani” coprono tutto il versante dell’Alpe di Catenaia in modo uniforme. La comunità locale è stata di generazione in generazione continuatrice di un fenomeno di “popolamento forestale” iniziato nei secoli IX e X, durante il dominio degli Arimanni, ai quali erano state assegnate in godimento terre di interesse strategico. Da allora inizia il lungo processo di trasformazione che ha modificato il castagneto selvatico in castagneto domestico con l’introduzione dell’innesto. Da quel tempo la cura del castagno ha rappresentato l’impegno primario di ogni famiglia, condizione propria dell’84% della popolazione di Caprese già nei primi decenni del ‘400. Successivamente la coltivazione del castagneto istituì forme rigorose di tutela del castagno. A nessuno era consentito il taglio e l’asportazione di legname se non previa autorizzazione di tutti i consiglieri ed anche la raccolta era regolata da norme locali: la rubrica VIII del castagno cita ”... in settembre convochi il Podestà i Consiglieri per stabilire il modo ed il tempo del raccorre le castagne e i Consiglieri facciano campari e custodi che le badino, e denunzino chiunque o personalmente o con bestie danneggino i castagneti, e parimente chi facesse la raccolta prima del tempo o diversa da quello ordinato.” Le varietà, che oggi troviamo nei castagneti dell’areale, sono ecotipi evoluti nel tempo attraverso una secolare accurata selezione (definibile “massale”) di materiale di propagazione prelevato dagli esemplari più rappresentativi e migliori sotto il profilo agronomico e pomologico, più adatti alle caratteristiche ambientali. La castagna è da secoli inserita profondamente nella cultura locale, sia per la preparazione di numerosi piatti tipici della cucina capresana (oltre 20 sono i piatti e i dolci a base di castagne), sia per l’esistenza di filastrocche e cantilene popolari inerenti alle castagne, sia per i numerosi vocaboli e locuzioni specifici del vernacolo locale ( quale ad esempio “gonghio” = achenio vuoto di seme; “grifato” = achenio con seme incompletamente sviluppato; “cuccola” o “cruccola” = castagna caduta separata dal riccio; “balocca” = castagna lessa; “brucia” = caldarrosta; ecc,). La omogeneità, la tipicità e la peculiarità del prodotto sono, inoltre, determinate da fattori pedoclimatici particolari. Il territorio è costituito da suoli bruni, brunoacidi e bruno-lisciviati, di solito con carbonati assenti o molto scarsi, e quindi acidi o sub acidi. Il clima è quello tipico sub-continentale, con inverni mediamente rigidi ed estati miti con precipitazioni oscillanti intorno a 800 mm. l’anno. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Reg. CEE 2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura Le indicazioni relative alla designazione e presentazione del prodotto sono le seguenti: Consumo fresco. Confezionamento del prodotto allo stato fresco: Il confezionamento deve avvenire entro l’areale delimitato per la D.O.P. Per il confezionamento il prodotto prevede l’impiego di contenitori, opportunamente sigillati, da Kg 1, 2, 3, 5, 10, 25. E’ consentita la vendita al dettaglio di frutti sfusi prelevati da contenitori sigillati esposti al pubblico. Indicazioni in etichetta: - “Marrone di Caprese Michelangelo” e “Denominazione di Origine Protetta” in caratteri superiori a tutte le altre iscrizioni. - “Prodotto della Montagna”. - Logo della D.O.P. obbligatorio. - Ragione sociale di chi ha effettuato il confezionamento - Eventuali informazioni per il consumatore Castagna secca. Confezionamento della castagna secca: - Il confezionamento della castagna secca avviene in contenitori, opportunamente sigillati, da Kg. 0,5, 1, 2, 3, 5, 10, 25. Il confezionamento deve avvenire entro l’areale delimitato per la D.O.P. Indicazioni in etichetta: castagne secche - “Marrone di Caprese Michelangelo” e “Denominazione di Origine Protetta” in caratteri superiori a tutte le altre iscrizioni. - “Prodotto della Montagna” - Logo della D.O.P. - Ragione sociale di chi ha effettuato il confezionamento - Eventuali informazioni a garanzia del consumatore | D.O.P. | Ortofrutticoli | Toscana | Arezzo |
Marrone di Castel del Rio Marrone di Castel del Rio IGP Marrone di Castel del Rio IGPZona di produzioneIl territorio dei Comuni di Castel del Rio, Fontanelice, Casal Fiumanese e Borgo Tassignano, in provincia di Bologna. CaratteristicheIl Marrone di Castel del Rio è un frutto dalla forma prevalentemente ellissoidale, con apice poco pronunciato e tomentoso, avente una faccia laterale piatta e l’altra marcatamente convessa; la pezzatura è medio-grossa (90 frutti/kg) ed il riccio (o cardo ) contiene non più di tre frutti. Il pericarpo, sottile e striato, è di colore bruno rossiccio, mentre la polpa del seme è bianca, croccante, priva di solcature e di gradevole sapore dolce. Consorzio Castanicoltori di Castel del Rio c/o Comunità Montana della Valle del Santerno Via Mengoni, 7 - 40025 Fontanelice (bo) Tel. 0542 92638 / Fax 0542 92491 info@marronedicasteldelrio.it | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Bologna |
Marrone di Combai Marrone di Combai IGP Disciplinare di produzione - Marrone di Combai IGPArticolo 1. DENOMINAZIONE L’indicazione geografica protetta “Marrone di Combai” è riservata ai frutti di castagno della tipologia Marroni della sottospecie Domestica macrocarpa, specie Sativa, genere Castanea, famiglia Fagacee, rispondenti alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Presentazione del prodotto. Il Marrone di Combai è un ecotipo che si è selezionato nell’ambiente tipico delle Prealpi trevigiane grazie alle condizioni pedoclimatiche della zone di coltivazione e alle cure dei coltivatori locali. Il “Marrone di Combai” rispetto alla castagna, esige terreni più fertili, con esposizioni più favorevoli e maggiori cure colturali. I frutti, nel momento di immissione al consumo, devono rispettare le seguenti caratteristiche morfologiche e commerciali: • Forma ellissoidale, apice abbassato. • L’ilo presenta un contorno regolare tomentoso e una raggiatura stellare ben visibile. • Il pericarpo presenta un colore marrone variabile dal chiaro allo scuro, comunque mai opaco e con striature evidenti. Il pericarpo si deve separare agevolmente dall’episperma. • L’episperma del colore marrone chiaro copre la massa commestibile presentando introflessioni poco profonde e poco frequenti tali da consentire, al momento della pelatura, una agevole separazione dalla polpa. • Il seme, di norma uno per frutto e con basse percentuali di settatura, si presenta a corpo unico con solcature superficiali. • La polpa, dalla pasta farinosa, è di colore biancastro. Al momento della commercializzazione i frutti devono essere in ottimo stato dal punto di vista fitosanitario e devono possedere i seguenti requisiti: Categoria extra: dimensione elevata del frutto: 50-80 frutti per chilogrammo; massimo 4% in peso di frutti con endocarpo colpito da insetti; massimo 3% in peso di frutti presentanti rosura del pericarpo. Categoria prima: 81-105 frutti per chilogrammo; massimo 6% in peso di frutti con endocarpo colpito da insetti; massimo 5% in peso di frutti presentanti rosura del pericarpo. Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE L’area geografica di produzione del Marrone di Combai, è rappresentata dal territorio dei comuni della provincia di Treviso di seguito elencati: Cison di Valmarino, Cordignano, Follina, Fregona, Miane , Revine Lago, Sarmede, Segusino, Tarzo, Valdobbiadene e Vittorio Veneto. Articolo 4. PROVA DELL’ORIGINE (tracciabilità) Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna, gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori, dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO Descrizione delle modalità di coltivazione. La coltivazione dell’ecotipo “Marrone di Combai” dovrà svolgersi attraverso le tecniche e le operazioni colturali di seguito elencate: Scelta varietale Ricostituzione di vecchi castagneti tramite innesto o realizzazione di nuovi impianti: dovrà essere utilizzato esclusivamente l’ecotipo “Marrone di Combai”. Innesti Tipologie di innesto: dovranno essere preferiti gli innesti a triangolo, spacco inglese, spacco diametrale pieno e zufolo, compiuti su polloni di piccole dimensioni aventi un diametro, a 60-80 cm di altezza da terra, non superiore a 3 – 3,5 cm. Nel caso di innesti a corona utilizzare come porta innesti, polloni con al massimo 5-6 cm di diametro. Protezione delle ferite: si dovrà porre molta cura nell’evitare ogni soluzione di continuità tra marza e portainnesto limitando in questo modo le infezioni da parte del Cancro corticale (Cryphonectria parasitica). Scelta e conservazione delle marze Vanno utilizzate porzioni di ramo di un anno ben lignificate o al massimo di due anni, impiegando le parti centrali prive di costolature. Per gli innesti come ad esempio la corona o lo spacco diametrale pieno, il materiale deve essere raccolto alcune settimane prima del suo utilizzo. La conservazione dei materiali di propagazione va fatta in ambiente leggermente umido ad una temperatura di 3-4° C. Se il periodo è superiore alle 2-3 settimane la temperatura di conservazione deve essere di 1-2°C. Scelta dei portainnesti e del materiale vivaistico I portainnesti potranno derivare sia dalla semina di frutti selezionati che dal trapianto di semenzai. In ogni caso il materiale vivaistico utilizzato dovrà essere munito di certificazione. Nel caso di ricostituzione di castagneti esistenti si potranno utilizzare come portainnesti i polloni ricacciati dopo la ceduazione delle ceppaie. I selvatici prodotti dovranno appartenere alla specie Castanea sativa (castagno europeo) per evitare problemi di disaffinità. Nuovi impianti Scelta e preparazione del terreno: per i nuovi impianti sono da preferire le esposizioni sud e sud- ovest. I terreni devono essere sciolti, leggeri, freschi, privi di calcare attivo e con un tenore di sostanza organica superiore all’1%. Si devono escludere quelli in cui sono frequenti i ristagni d’acqua o al contrario quelli soggetti a prolungati periodi di siccità. La predisposizione del terreno preferibile è tramite lavorazioni localizzate ed in ogni caso l’aratura su tutta la superficie non va fatta troppo in profondità. In occasione dei lavori preparatori è consentita una abbondante concimazione letamica (300-500 q.li/ha). Epoca di piantagione modalità e profondità di impianto: La realizzazione dei nuovi impianti potrà avvenire tramite la messa a dimora di astoni innestati o selvatici e attraverso la semina di materiale pregerminato. 1) Impianto con astoni devono essere rispettati i seguenti accorgimenti: • utilizzare astoni innestati appartenenti all’ecotipo “Marrone di Combai” aventi altezza massima di 150-160 cm • utilizzare astoni selvatici di un’altezza massima di 80 cm. • lasciare l’apparato radicale il più integro possibile limitandosi a tagliare le parti secche ed il fittone se troppo pronunciato; • le piante vanno messe a dimora in modo che la zona del colletto si trovi a livello del “piano di campagna”; • non effettuare concimazioni in prossimità della radice; • intervenire se necessario con irrigazioni di soccorso; • collocare al momento dell’impianto i pali tutori; • la disposizione è quella a triangolo con distanza 7-8 m lungo le file e di 8-9 m tra le file. La densità di impianto deve essere superiore nel caso di terreni poco fertili non superando mai le 200 piante ad ettaro; • le piante impollinatrici possono essere presenti in percentuale massima del 20%. 2) Semina avviene attraverso la messa a dimora di materiale pregerminato rispettando i seguenti accorgimenti: • i frutti vanno raccolti durante il periodo autunnale e fatti pregerminare in un idoneo substrato composto in parti uguali da sabbia e torba; • la semina va fatta in primavera; • sono concesse concimazioni letamiche; • dalla germinazione del seme saranno ottenuti semenzai che già dal secondo anno potranno venire innestati; • per quanto riguarda le caratteristiche e le densità di impianto vanno seguiti i criteri indicati precedentemente; Potatura e forme di allevamento: si devono effettuare sia nel caso di vecchi castagneti sia per i nuovi impianti. 1) Vecchi castagneti L’intensità della potatura dovrà essere proporzionata alla condizione vegetativa della pianta, tanto più energica quanto più l’albero si trova in cattive condizioni fitosanitarie. Per le piante in buono stato adottare potature di alleggerimento atte ad equilibrare la chioma e permettere l’entrata della luce all’interno con conseguente miglioramento produttivo. In caso di parti di piante gravemente colpite dal cancro corticale, si prevede un intervento di potatura più energica della parte malata; in questo caso bisogna poi intervenire nei successivi 2-3 anni per diradare i numerosi ricacci, con il fine di ricostituire una chioma equilibrata 2) Nuovi impianti Vanno effettuate delle potature di allevamento in modo da costruire in breve tempo una chioma ben conformata (a vaso), impostata su 3-4 branche principali. Già nel mese di giugno seguente l’innesto si può eseguire sui germogli che hanno raggiunto una lunghezza di 60-70 cm, una potatura verde in modo da favorire la lignificazione e l’emissione di rametti laterali. Le potature di produzione vanno eseguite ad intervalli di 4-6 anni. Cure colturali, irrigazioni e concimazioni Va sempre mantenuta la cotica erbosa soprattutto in terreni con giacitura pendente. Nei primi anni dopo l’impianto si può eseguire una pacciamatura con materiale organico (segatura, paglia, ecc.) in modo da evitare il diffondersi di specie infestanti. E’ vietata la pacciamatura con film di polietilene nero. Lo sfalcio dell’erba dovrà avvenire almeno due volte l’anno, nella prima metà di luglio e a fine settembre, allo scopo di limitare la competizione idrica alle piante e ridurre gli attacchi di parassiti fungini ed animali. L’erba tagliata andrà lasciata sul terreno a decomporsi, limitando così il nuovo ricaccio e l’evaporazione dell’acqua. L’irrigazione è sempre permessa e deve essere necessariamente eseguita come tecnica di soccorso nei primi anni di vita del castagneto quando la carenza idrica può compromettere il buon esito dell’impianto. La somministrazione di concimi chimici potrà avvenire solo con prodotti compatibili con una coltivazione biologica; si può fare la concimazione letamica. Difesa fitosanitaria e diserbo Descrizione delle modalità di raccolta e conservazione La raccolta La raccolta si effettua dal 15 settembre al 15 novembre e può avvenire in modo tradizionale e cioè a mano ma anche attraverso macchine raccoglitrici che aspirano i frutti. La raccolta deve essere tempestiva per evitare attacchi fungini soprattutto quando si è in presenza di temperature miti. Già nella fase di raccolta il produttore è tenuto ad operare una prima cernita del prodotto, al fine di evitare la presenza di frutti infetti o comunque non rispondenti ai requisiti prefissati. Descrizione delle modalità di conservazione La facile deperibilità del prodotto richiede cure particolari e specifiche tecniche di conservazione sia nelle fasi immediatamente successive alla caduta che in quelle che precedono l’utilizzo del frutto. È consentito l’impiego delle seguenti tecniche: • Ricciaia: metodo tradizionale che può essere utilizzato dai produttori. Consiste nell’ammassamento del prodotto, ancora chiuso nei ricci, in mucchi che non superino i centoventi centimetri di altezza, coperti con foglie, ricci e terra ben compressi. • Curatura (o novena): i marroni devono essere sottoposti alla curatura entro le 24 ore dalla raccolta; eventualmente, in attesa di tale trattamento, il prodotto deve essere mantenuto in cella frigorifera per un massimo di 3 giorni, ad una temperatura compresa tra 0.5-2°C, ed un’umidità compresa fra 95-98 %, dopo il quale deve necessariamente essere sottoposto alla curatura. Tale fase consiste nell’immergere le castagne in acqua ad una temperatura ambiente per un periodo che va dai 5 ai 7 giorni, con il cambio dell’acqua a metà periodo; in alternativa i marroni possono venir immersi ad una temperatura di 45-48° per un periodo di 45 minuti dopo il quale vengono rapidamente immersi in acqua fredda fino al completo raffreddamento. • Asciugatura: i frutti vengono asciugati con la macchina asciugatrice ad aria calda e con ventilatori o, in alternativa, stesi su graticci e movimentati giornalmente fino alla completa asciugatura. • Frigoconservazione: consiste nel conservare il prodotto in celle frigo da 1°C a 5°C per un periodo massimo di un mese. Il prodotto deve essere stoccato in locali freschi ed aerati, steso in strati movimentato periodicamente. Descrizione delle modalità di lavorazione Le modalità di lavorazione del prodotto, al fine di renderlo pronto per la commercializzazione, seguono le seguenti fasi: Prodotto senza sterilizzazione: • Calibratura • Cernita su nastro o tavolo • Spazzolatura • Confezionamento • Frigoconservazione Prodotto con sterilizzazione Dopo la calibratura sono aggiunte le seguenti fasi: • Schiumatura • Sterilizzazione. • Asciugatura Descrizione delle modalità di distribuzione I frutti destinati alla vendita al mercato fresco dovranno essere posti in sacchetti dalle caratteristiche descritte all’art. 8 del presente Disciplinare e muniti di apposita etichetta. E’ vietata la manomissione dei cartellini e delle confezioni, compresa l’aggiunta di aggettivi laudativi del prodotto. La commercializzazione non potrà avvenire antecedentemente al 15 settembre di ogni anno. Legame storico Articolo 6. LEGAME CON L’AMBIENTE La presenza e le particolari caratteristiche qualitative del castagno nella pedemontana trevigiana, che va da Segusino a Cordignano e che trova in Combai il suo epicentro, sono confermate da numerose testimonianze storiche che risalgono a partire dal XII secolo. In tal senso la documentazione storica reperita, che va dal 1200 al 1700, identifica ed individua in modo particolare l’area della pedemontana, in sinistra Piave, come un’area di naturale vocazione allo sviluppo della castanicoltura di cui rappresentano sicura certificazione storica anche i numerosi toponimi. Tra le varie testimonianze storiche una, del 18 settembre 1665, pone in risalto anche gli aspetti sociali e di partecipazione connessi alla raccolta delle castagne: tutta la popolazione, donne e bambini compresi, partecipava alla raccolta dei frutti, regolamentata attraverso l’assegnazione di quote in funzione della composizione dei nuclei familiari. In epoca più recente la valorizzazione del Marrone di Combai è stata portata avanti dalla Pro Loco grazie alla Festa dei Marroni di Combai , che – a partire dal 1945 – costituisce un avvenimento di rilevanza per tutta la provincia e, negli ultimi anni, anche a livello nazionale. Nel 1995 è stata costituita l’Associazione dei Produttori del Marrone di Combai che si è affiancata alla Pro Loco nella organizzazione delle manifestazioni di valorizzazione commerciale del prodotto e che ha assunto direttamente il compito di unire i produttori al fine di omogeneizzare i comportamenti e le pratiche colturali. Legame territoriale e climatico Le caratteristiche fisiche ed organolettiche del Marrone di Combai derivano e sono strettamente legate all’ambiente geografico di produzione. L’abbondante piovosità distribuita secondo un regime pluviometrico equinoziale, la totale assenza di nebbie, la distribuzione della catena prealpina e delle “corde collinari” secondo un asse SW-NE e l’evoluzione dei suoli determinano un clima favorevole ed un’area altamente vocata alla produzione castanicola di qualità. La media annua delle precipitazioni, distribuite secondo un regime subequinoziale autunnale è poco superiore ai 1200 mm (1263 mm/anno) mentre la temperatura media annua risulta pari a 12 – 13 °C (12,7°C). Le formazioni litologiche che caratterizzano l’area di produzione appartengono alla categoria dei substrati carbonatico terrigeni e più precisamente al gruppo dei substrati flyscioidi del Cenozoico (terziario). Si tratta di substrati ad elevato valore pedogenetico con ottime caratteristiche di permeabilità ed alterabilità. Questi aspetti climatici e geolitologici, riferiti ad una fascia altimetrica compresa tra i 150 m e gli 800 m slm, fanno rientrare il territorio della Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane nella Regione Forestale esalpica; qui il castagno trova il suo optimum climatico ed esprime nel miglior modo tutte le potenzialità produttive. Solo con il verificarsi di tali condizioni pedoclimatiche si possono ottenere frutti con le caratteristiche peculiari del Marrone di Combai IGP. Articolo 7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Regolamento CE n. 510/2006. Articolo 8. ETICHETTATURA Contenitori e formato Tutto il prodotto viene commercializzato nelle seguenti tipologie di imballaggio: Sacchi di Juta da 1,2,3,5, e 25 kg. Retine di materiale plastico da 1,2,3,5, e 25 kg. Cestini e cassette in legno da un minimo di 1 kg. ad un massimo di 5 kg. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo Sigillatura/Cucitura La chiusura delle confezioni (sacchi in juta e retine di materiale plastico) avverrà mediante l’utilizzo di clipsatrice meccanica che apporrà graffe metalliche; o cucitura con filo di nylon tramite cucitrice oppure legatura con spago piombato. La sigillatura verrà eseguita in modo tale da fissare sulla confezione l’etichetta con il logo. I cestini e le cassette verranno confezionati con cellophane e sigillati con spago piombato e logo ben visibile. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso |
Marrone di Roccadaspide Marrone di Roccadaspide IGP Disciplinare di produzione - Marrone di Roccadaspide IGPArticolo 1. Nome del prodotto L’Indicazione geografica protetta (I.G.P.) “Marrone di Roccadaspide” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, elaborato ai sensi del Reg. CEE n. 2081/92. Articolo 2. Varietà L’Indicazione geografica protetta “Marrone di Roccadaspide” designa il frutto ottenuto dagli ecotipi Anserta, Abate e Castagna Rossa riconducibili alla varietà “Marrone”. Articolo 3. Caratteristiche del prodotto Il prodotto recante la I.G.P. “Marrone di Roccadaspide”, all’atto dell’immissione al consumo allo stato fresco, deve avere le seguenti caratteristiche: forma del frutto: tendenzialmente semisferica, talvolta leggermente ellissoidale; pericarpo: di colore castano bruno, tendenzialmente rossastro, con strie scure generalmente poco evidenti; episperma: sottile, poco approfondito nel seme, tendenzialmente aderente; pezzatura: non più di 85 frutti per Kg. di prodotto selezionato e/o calibrato; seme: bianco latteo, con polpa consistente, di sapore dolce, settato per non più del 5%. Il prodotto recante la I.G.P. “Marrone di Roccadaspide”, commercializzato allo stato essiccato (in guscio o sgusciato), deve rispondere alle seguenti caratteristiche: a) castagne essiccate in guscio: umidità nei frutti interi: non superiore al 15%; il prodotto deve essere immune da infestazione attiva di qualsiasi natura (larve di insetti, muffe, etc.); resa in secco con guscio: non superiore al 50% in peso. b) castagne essiccate sgusciate: devono essere sane, di colore bianco paglierino e con non più del 20% di difetti (tracce di bacatura, deformazioni, etc.). L’indicazione geografica protetta “Marrone di Roccadaspide” è caratterizzato da uno spiccato sapore dolce e da un elevato contenuto di zuccheri. Tra gli altri aspetti organolettici è da mettere in evidenza una texture croccante e poco farinosa. Le caratteristiche organolettiche sono verificate da un panel di degustatori individuato dalla struttura di controllo. Articolo 4. Area geografica di produzione La zona di produzione dell’I.G.P. “Marrone di Roccadaspide” di cui al presente disciplinare comprende il territorio al di sopra dell’altitudine di 250 metri s.l.m. dei seguenti comuni della provincia di Salerno, per intero: ALFANO, AQUARA, AULETTA, BELLOSGUARDO, BUONABITACOLO, CAMPORA, CANNALONGA, CASALBUONO, CASALETTO SPARTANO, CASELLE IN PITTARI, CASTEL SAN LORENZO, CASTELCIVITA, CELLE DI BULGHERIA, CERASO, CICERALE, CONTRONE, CORLETO MONFORTE, CUCCARO VETERE, FELITTO, FUTANI, GIOI, LAUREANA CILENTO, LAURINO, LAURITO, LUSTRA, MAGLIANO VETERE, MOIO DELLA CIVITELLA, MONTANO ANTILIA, MONTE SAN GIACOMO, MONTEFORTE CILENTO, MORIGERATI, NOVI VELIA, OMIGNANO, ORRIA, OTTATI, PERDIFUMO, PERITO, PETINA, PIAGGINE, POLLA, POSTIGLIONE, ROCCADASPIDE, ROCCAGLORIOSA, ROFRANO, ROSCIGNO, SACCO, SAN MAURO LA BRUCA, SAN PIETRO AL TANAGRO, SAN RUFO, SANT’ANGELO A FASANELLA, SANT’ARSENIO, SANZA, SASSANO, SESSA CILENTO, SICIGNANO DEGLI ALBURNI, STELLA CILENTO, STIO, TEGGIANO, TORRACA, TORTORELLA, TRENTINARA, VALLE DELL’ANGELO, VALLO DELLA LUCANIA. I comuni parzialmente interessati sono: ASCEA, CAMEROTA, CAPACCIO, PISCIOTTA, POLLICA, SAN GIOVANNI A PIRO, SAN MAURO CILENTO. La zona di produzione risulta delimitata, partendo da Nord, da una linea che, dal punto di intersezione tra il confine dei comuni di Postiglione, Sicignano degli Alburni e Contursi Terme (foglio I.G.M. 1:50.000 N. 468 di Eboli), in corrispondenza del fiume Tanagro, prosegue verso Ovest lungo il confine tra i comuni di Postiglione e di Contursi Terme - immettendosi nel fiume Sele - poi continua lungo il confine tra i comuni di Postiglione e di Campagna - sempre lungo il fiume Sele – quindi scende fino al punto di intersezione tra i comuni di Postiglione, di Campagna e di Serre. Da qui la linea di delimitazione scende lungo il confine tra i comuni di Postiglione e di Serre passando tra Bosco Lagarelli e Macchia Soprana; prosegue lungo il confine tra i sopraindicati comuni tagliando la Statale 19 tra il Km. 24 e il Km. 25 (siamo passati alla carta I.G.M. 1:50.000 N. 487 di Roccadaspide) fino a giungere al punto di intersezione tra i comuni di Postiglione, di Serre e di Altavilla Silentina. Prosegue lungo il confine tra i comuni di Postiglione e di Altavilla Silentina, corrispondente al fiume Calore - quindi lungo il confine tra i comuni di Altavilla Silentina e di Controne, di Altavilla Silentina e di Castelcivita - passando per Tempa di Cianci - di Castelcivita e di Albanella, poi di Roccadaspide e di Albanella, quindi, per breve tratto, lungo il confine tra i comuni di Roccadaspide e di Capaccio. La linea di delimitazione si immette sulla Statale 166 tra il Km. 5 e il Km. 6 lungo cui prosegue fino ad immettersi, tra il Km. 3 ed il Km. 2, sulla strada che, costeggiando Torricelle e Pisciolo giunge fino a Varco Cilentano (carta I.G.M. 1: 50.000 di Vallo della Lucania N. 503), al punto di intersezione tra i comuni di Capaccio, di Ogliastro Cilento e di Cicerale; continua, quindi, lungo il confine tra i comuni di Capaccio e di Cicerale, prima, di di Capaccio e di Giungano poi, fino al punto di intersezione tra i comuni di Capaccio, di Giungano e di Trentinara (si è ritornati per breve tratto al foglio I.G.M. 1: 50.000 di Roccadaspide). Prosegue, poi, lungo il confine tra i comuni di Trentinara e di Giungano (si ritorna al foglio I.G.M. 1:50.000 di Vallo della Lucania), quindi lungo il confine tra i comuni di Giungano e di Cicerale; ripassa lungo il fiume Solofrone fino al punto di intersezione tra i comuni di Capaccio, di Ogliastro Cilento e di Cicerale. La linea di delimitazione della zona interessata prosegue lungo il confine tra i comuni di Cicerale e di Ogliastro Cilento costeggiando Ramata e il colle Torrito; prosegue lungo il confine, prima tra i comuni di Cicerale e di Prignano Cilento, poi di Prignano Cilento e di Perito, poi lungo il confine tra i comuni di Perito e Rutino, di Lustra e di Rutino passando per Vallone Ponte Rosso. Continua, poi, lungo il confine tra i comuni di Laureana Cilento e di Torchiara - passando per Fossa dell’Acquasanta - quindi lungo il confine tra i comuni di Laureana Cilento e di Agropoli (foglio I.G.M. 1: 50.000 di Agropoli N. 502), di Perdifumo e di Castellabate, di Perdifumo e di Montecorice (si rientra nel foglio I.G.M. 1: 50.000 di Vallo della Lucania), di Perdifumo e di Serramezzana, di San Mauro Cilento e di Serramezzana fino alla Strada Statale 267 tra il Km. 34 e il Km. 35; quindi prosegue lungo la Statale 267 nel territorio dei comuni di San Mauro Cilento (si passa al foglio I.G.M. 1: 50.000 di Capo Palinuro N. 519), poi di Pollica fino al confine con il comune di Casalvelino tra il Km. 46 e il Km. 47 della Statale 267. La linea di delimitazione risale lungo il confine tra i comuni di Pollica e di Casalvelino attraversando Collina Porrazzi (si rientra nel foglio I:G.M 1: 50.000 di Vallo della Lucania), poi lungo il confine tra i comuni di Stella Cilento e di Casalvelino, di Omignano e di Casalvelino, di Omignano e di Salento, attraversando Fasana, quindi lungo il confine tra i comuni di Perito e di Salento, di Orria e di Salento, di Gioi e di Salento, di Vallo della Lucania e Salento - lungo il Torrente Fiumicello -, di Vallo della Lucania e di Castelnuovo Cilento, di Ceraso e di Castelnuovo Cilento - lungo il Torrente Badolato-; quindi procede lungo il confine tra i comuni di Ascea e di Castelnuovo Cilento (si ritorna al foglio I.G.M. 1: 50.000 di Capo Palinuro) di Ascea e di Casalvelino - lungo il fiume Alento -; la linea di delimitazione si immette sulla Statale 447 nei pressi di Velina; prosegue lungo la Statale 447 costeggiando prima Ascea, poi Pisciotta; si immette sulla strada che prosegue fino a Santa Caterina; riprende a salire, da questo punto, lungo il confine tra i comuni di Pisciotta e di Centola, di San Mauro la Bruca e di Centola, di Montano Antilia e di Centola (si passa al foglio I.G.M. 1:50.000 di Sapri N. 520), di Celle di Bulgheria e di Centola lungo il fiume Mingardo; prosegue lungo il confine tra i comuni di Camerota e di Centola - sempre lungo il fiume Mingardo – (ritornando al foglio I.G.M. 1:50.000 di Capo Palinuro); si immette sulla Statale 562 tra il Km. 2 e il Km. 3; prosegue lungo la Statale 562 nel territorio del comune di Camerota (si ritorna al foglio I.G.M.1: 50.000 di Sapri) fino al confine con il comune di San Giovanni a Piro tra il Km. 20 e il Km. 21. Prosegue lungo il confine tra i comuni di Camerota e di San Giovanni a Piro passando per Vallone Marcellino. Da qui, sempre nel territorio comunale di San Giovanni a Piro, costeggia Toppa del Piombo, Costa San Carlo, Grotta del Monaco; risale passando per Pietrasanta fino a San Giovanni Piro dove si reimmette sulla Statale 562, tra il Km. 26 e il Km. 27, lungo cui prosegue. Dopo il Km. 34 della Statale 562, in corrispondenza di Torre Oliva, risale lungo il confine tra i comuni di San Giovanni a Piro con Santa Marina, prima, e Torre Orsaia, poi; quindi - in corrispondenza di Villaggio Isca – continua lungo il confine tra i comuni di Roccagloriosa e di Torre Orsaia - costeggiando Castel Ruggero - e arriva a Cerreto, in corrispondenza del punto di intersezione tra i comuni di Roccagloriosa, di Rofrano e di Torre Orsaia; prosegue lungo il confine tra i comuni di Rofrano e di Torre Orsaia, di Caselle in Pittari e di Torre Orsaia, di Morigerati e di Torre Orsaia - in corrispondenza del Torrente Sciarapotamo -, di Morigerati e Santa Marina – in corrispondenza del fiume Bussento – di Tortorella e di Santa Marina, di Tortorella e di Vibonati, quindi lungo il confine tra la frazione del Comune di Casaletto Spartano nei pressi del Vallone della Marotta ed il comune di Vibonati . La linea di delimitazione prosegue lungo il confine tra i comuni di Torraca e di Vibonati, di Torraca e di Sapri, di Tortorella e di Sapri (si passa nella carta I.G.M. 1:50.000 di Lauria N. 521); risale lungo il confine tra i comuni della provincia di Potenza con i comuni di Tortorella – passando per Vallone della Freddosa e Serralunga -, di Casaletto Spartano e di Casalbuono. Si passa alla carta I.G.M. 1: 50.000 N. 505 di Moliterno dove la linea di confine passa tra i comuni di Casalbuono e di Montesano sulla Marcellana - in corrispondenza del Vallone delle Donnole- prosegue tagliando Piana La Teglia, costeggia Temparelle, giunge a Rupe di Chiavico (si è passati al Foglio I.G.M. 1: 50.000 N. 504 di Sala Consilina). Da qui la linea di delimitazione risale lungo il confine tra i comuni di Sanza e di Montesano sulla Marcellana in corrispondenza del Torrente Chiavico, poi lungo il confine tra i comuni di Buonabitacolo e di Montesano sulla Marcellana, di Buonabitacolo e di Padula in corrispondenza del fiume Calore, poi lungo il confine tra i comuni di Sassano e di Padula in corrispondenza del fiume Tanagro; quindi lungo il confine tra i comuni di Sassano e di Sala Consilina, di Teggiano e di Sala Consilina costeggiando Mezzana e Pantano Grande. La linea (siamo passati nel foglio I.G.M. 1: 50.000 di Polla N. 488) prosegue sempre lungo il confine tra i comuni di Teggiano e di Sala Consilina, poi passa lungo il confine tra la frazione del comune di S. Rufo situata in corrispondenza di Scafa e il comune di Atena Lucana, poi lungo il confine tra la frazione del comune di Sant’Arsenio situata in corrispondenza di Canalecchia ed il comune di Atena Lucana. La delimitazione prosegue lungo il confine tra i comuni di San Pietro al Tanagro e di Atena Lucana, di Sant’Arsenio e di Atena Lucana in corrispondenza di Fiumicello, di Polla e di Atena Lucana in corrispondenza di Fosso Secco, tagliando la Statale 19 tra il Km. 60 ed il Km. 61. La delimitazione prosegue, a partire dal Vallone delle Coppelle, lungo il confine tra il comune di Polla e la provincia di Potenza fin nei pressi di Fosse di Salinas, quindi lungo il confine tra i comuni di Polla e di Caggiano passando per Monte Pozzillo, di Polla e di Pertosa, di Auletta e di Pertosa , di Auletta e di Caggiano tagliando la Statale 19 ter tra il Km. 6 e il Km. 7; prosegue, poi, lungo il confine tra i comuni di Auletta e di Salvitelle in corrispondenza di Serra San Giacomo, poi lungo il confine tra i comuni di Auletta e di Buccino passando per la Statale 19 ter tra il Km. 2 e il Km. 3, quindi lungo il confine tra i comuni di Sicignano degli Alburni e di Buccino costeggiando il fiume Tanagro e il Bosco dei Preti. Si ritorna al foglio I.G.M. 1:50.000 di Eboli dove la linea di delimitazione prosegue passando per il Raccordo Autostradale con la A3 nei pressi di S. Monica, quindi continua lungo il confine tra i comuni di Sicignano degli Alburni e di Palomonte, poi lungo il confine tra i comuni di Sicignano degli Alburni e di Contursi Terme fino al punto di intersezione di questi due ultimi comuni con Postiglione in corrispondenza del fiume Tanagro. Articolo 5. Metodo di ottenimento Le condizioni colturali dei castagneti da frutto destinati alla produzione dell’I.G.P. “Marrone di Roccadaspide” devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire al prodotto che ne deriva, le specifiche caratteristiche di qualità, di cui all’art. 3. Sono, pertanto, esclusi i castagneti da frutto impiantati o convertiti da cedui, ubicati ad un’altitudine inferiore ai 250 metri s.l.m. I sesti e le distanze di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura devono essere quelli in uso generalizzato nella zona, ove sono prevalenti castagneti tradizionali di tipo estensivo, con una densità per ettaro, comunque, non superiore a 130 piante ad ettaro, riferita alla fase di piena produzione. La tecnica colturale da adottare per gli impianti di castagneto da frutto, fatta salva la tecnica d'impianto che interessa la preparazione della particella da impiantare, i lavori preparatori, quelli complementari e l'eventuale concimazione, è la seguente: cultivar: la scelta per i nuovi impianti e per quelli da infittire va rigorosamente eseguita nel rispetto delle indicazioni riportate negli articoli 2 e 3. Negli impianti di cui sopra è ammessa la presenza di altre varietà di castagno, oltre al “Marrone”, ai fini della idonea impollinazione, nella misura massima del 10% delle piante. Gli impollinatori non concorrono alla produzione della I.G.P.; portinnesti: franco da seme appartenente preferibilmente agli ecotipi locali. Possono essere utilizzati anche i selvatici nati spontaneamente nei boschi dell'area interessata alla presente I.G.P.; sistemi e distanze di piantagione: nei nuovi impianti le piante vanno distribuite secondo una disposizione geometrica che preveda la costituzione di filari paralleli tra loro. I sesti d'impianto potranno essere a quadrato, a rettangolo o a quinconce, purché il numero non sia superiore a 130 piante per ettaro. Tale densità per ettaro va rispettata anche nei lavori di diradamento o infittimento di castagneti da frutto già esistenti. potatura e forma d'allevamento: la forma d'allevamento è del tipo a volume con vaso semi libero. L'impalcatura è di norma posta a circa 200 cm dal suolo. Per la formazione delle branche sono utilizzate preferibilmente rami anticipati nei mesi estivi/autunnali, evitando in tal modo un accorciamento della branca da fare durante il periodo invernale. La potatura di produzione deve essere eseguita razionalmente con turni di non oltre 5 anni, in modo da assicurare la migliore qualità del prodotto ed al fine di evitare l’invecchiamento precoce della pianta. Sulle piante di castagno vecchie e semi abbandonate, su cui abbondano rami vecchi e secchi, si deve effettuare una potatura più intensa, tale da stimolare un ringiovanimento della pianta con la fuoruscita di nuovi rami che entreranno in produzione dopo 2-3 anni. lavorazione del terreno: la superficie dei castagneti da frutto non è lavorata. Il terreno, essendo molto permeabile, non necessita di particolari opere idrauliche per evitare la stagnazione d’acque meteoriche. Per tali ragioni si utilizza la tecnica della non lavorazione del suolo. Il manto erboso deve essere tagliato ogni qual volta raggiunge i 30-40 cm. Ciò è fatto generalmente con falciatrici, o con decespugliatori meccanici. Là dove è possibile (assenza di pietre affioranti) si usano le lame rotanti o a martello (trinciatrici) per sminuzzare finemente le erbe infestanti, i ricci e le foglie dell’anno precedente. operazioni di raccolta: la raccolta va effettuata nel periodo autunnale non oltre la prima decade di novembre, con turni di raccolta che non devono superare le due settimane. La raccoltaè effettuata a mano o con macchine raccoglitrici e raccattatrici idonee a salvaguardare l’integrità del prodotto. limite produttivo: la produzione unitaria massima annua di frutti è fissata in 3,5 tonnellate ad ettaro di coltura specializzata (4 tonnellate per il prodotto destinato all’essiccazione). Le operazioni di cernita, di calibratura, di trattamenti del prodotto con la “cura” e con la“disinfestazione”, secondo le tecniche già acquisite localmente e, comunque, nel rispetto della normativa vigente, devono essere effettuate nell’ambito del territorio di produzione. Il prodotto allo stato fresco, trattato con le operazioni indicate al comma precedente, può essere commercializzato fino a tre mesi dalla raccolta. Le castagne essiccate in guscio sono ottenute attraverso diverse tecniche di essiccazione, tra cui è compresa l’essiccazione su metati o graticci, a fuoco lento e continuo, alimentato da fascine e da legna di qualunque essenza, secondo le tecniche locali tradizionali; e sempre nel rispetto delle specifiche caratteristiche di qualità del prodotto prescritte nell’ art. 3. Tutte le fasi della produzione e lavorazione del prodotto, con la sola esclusione del confezionamento, sono effettuate nell’intero territorio dei comuni riportati nell’art. 4 e ciò garantisce la rintracciabilità e il controllo del prodotto. Articolo 6. Elementi che comprovano l’origine La presenza di castagneti coltivati in Campania risale all'epoca dei Romani. In provincia di Salerno, in particolare, questa presenza viene documentata a partire dall'epoca medievale grazie ad antichi contratti tra coloni e proprietari - conservati nell'archivio della Badia Benedettina di Cava de' Tirreni, il famoso "Codex diplomaticus cavensis" - con i quali si stabiliscono le norme per i miglioramenti fondiari. I castagneti di Roccadaspide posseduti dall'Abbadia erano così importanti che vi era sul posto un apposito amministratore chiamato Giuliani. Anche i monaci Basiliani contribuirono alla diffusione della coltivazione del castagno in alcune aree del Cilento: ritrovamenti archeologici in agro di Moio della Civitella e Gioi Cilento (convento dei monaci Basiliani) e la presenza di una pianta di castagno stimata intorno a 7-800 anni, costituiscono una testimonianza dell'importanza che il castagno ha assunto in questa zona fin dai secoli passati. Alla fine del 1800, gli alberi maestosi e secolari furono abbattuti o capitozzati e, su tali cedui rimasti, si innestò materiale di propagazione delle cosiddette “Castagne ‘ra Rocca”. Tale ecotipo fu scelto dagli esperti della “Società Ravera” proprio per la maggiore produttività dell’albero e la migliore qualità del frutto. Questa castagna, dalla forma tipica, si presentava più grande di quelle locali, con caratteristiche organolettiche migliori anche per quanto attiene alla sua conservazione. A partire dalla fine dell’800 le produzioni castanicole dell’area, date le loro caratteristiche pregiate, si sono affermate sui mercati non solo nazionali ed il comparto e' stato interessato da un ulteriore miglioramento di tecniche di coltivazione e standard qualitativi. La rinomanza acquisita dal "Marrone di Roccadaspide" continuò a favorirne la diffusione anche in altri areali della provincia di Salerno già interessate, da secoli, dalla coltivazione del castagno. Negli anni '40 fu effettuata una massiccia azione di innesto a zufolo su portinnesto"franco" o selvatico, utilizzando marze provenienti dalla zona di Roccadaspide. Rintracciabilità - A livello di controlli per l’attestazione di provenienza (origine) della produzione I.G.P., la prova dell’origine del “Marrone di Roccadaspide” dalla zona geografica di produzione delimitata è certificata dall’organismo di controllo di cui all’art. 8, sulla base di numerosi adempimenti cui si sottopongono i produttori interessati nell’ambito dell’intero ciclo produttivo. I fondamentali di tali adempimenti, che assicurano la rintracciabilità del prodotto, in ogni fase della filiera, sono costituiti da: iscrizione degli impianti idonei alla produzione dell’I.G.P. “Marrone di Roccadaspide” in un apposito registro, attivato, tenuto ed aggiornato dall’Organismo di controllo autorizzato; elenco dei produttori; elenco dei confezionatori; denuncia annuale all’organismo di controllo, a cura dei produttori e/o trasformatori dei quantitativi prodotti; annotazione dei quantitativi prodotti; l’organismo di controllo verifica che il prodotto possieda le caratteristiche qualitative descritte agli articoli 2 e 3, e che le quantità che vengono cedute ai confezionatori corrispondano alle quantità prodotte e confezionale; conseguente certificazione da parte dell’organismo di controllo di tutte le partite di prodotto confezionato ed etichettato con la Indicazione geografica protetta prima della commercializzazione ai fini dell’immissione al consumo. Articolo 7. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente Vasti territori del Cilento possiedono le condizioni favorevoli alla coltivazione del castagno, quali terreni a reazione acida o tutt’al più neutra (pH compreso tra 4,5 e 6,5) di origine vulcanica, con limitata presenza di calcare attivo, ricchi di minerali (fosforo e potassio essenzialmente), profondi e freschi, non ristagnati né asfittici; temperatura compresa tra + 8° C e + 15° C di media annuale, - 1° C e 0° C di media del mese più freddo; e precipitazioni annue superiori a 600 – 800 mm. Il territorio risulta caratterizzato da una duplice natura geologica delle rocce: quella del "Flysch del Cilento", in corrispondenza del bacino idrogeologico del fiume Alento e dei principali monti del Cilento occidentale (Monte Centaurino) e quella delle rocce calcaree che costituiscono i complessi montuosi interni (Alburni - Cervati) e meridionali (Monte Bulgheria, Monte Cocuzzo). La zona e' caratterizzata da clima tipicamente mediterraneo con inverni piuttosto miti ed estati con periodi, anche lunghi, siccitosi. I castagneti presenti in zone collinari e mediomontane beneficiano di un apporto idrico, dovuto agli eventi climatici, maggiore rispetto ai dati medi. In questi ambienti anche le temperature alquanto basse favoriscono una elevata produzione di frutti di ottima qualità. Non si può non evidenziare inoltre che buona parte del territorio interessato da questa coltura fa parte del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Questo significa che si tratta di una zona a spiccata valenza ambientale. Articolo 8. Regime dei controlli L’accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità ed i relativi controlli, di cui all’art. 10 del Reg. CEE n. 2081/92, saranno effettuati ai sensi delle normative vigenti in materia, da organismi privati di controllo autorizzati o da autorità pubbliche designate. Articolo 9. Confezionamento L’immissione al consumo dell’I.G.P. “Marrone di Roccadaspide” deve avvenire con le seguenti modalità di confezionamento: A) per prodotto in guscio: in sacchi di tessuto idoneo in contenitori di vimini, legno o altro materiale di origine vegetale; è obbligatorio procedere alla calibratura per la vendita; B) per prodotto sgusciato: in sacchi di carta o di tessuto idoneo ed in scatole di materiale di origine vegetale ed altro materiale riciclabile. Sono ammesse le confezioni sotto vuoto, quelle in vetro ed in idonei materiali. In tutti i casi i contenitori in cui avviene la commercializzazione dovranno essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del sigillo. Le confezioni possono essere di peso variabile in relazione alla richiesta del mercato sempre che siano conformi alle normative vigenti. Articolo 10. Etichettatura Sulle confezioni contrassegnate con l’I.G.P. o sulle etichette apposte sulle medesime devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, delle medesime dimensioni, le indicazioni: “Marrone di Roccadaspide” seguita dalla dicitura: “Indicazione geografica protetta (o la sua sigla I.G.P.); a) il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice; i caratteri di cui alla lettera b) devono essere di dimensioni inferiori a quelli della lettera a); b) la quantità di prodotto effettivamente contenuto nella confezione, espressa in conformità alle norme vigenti. c) il simbolo grafico relativo all’immagine artistica del logotipo specifico ed univoco descritto nell’art. 12, da utilizzare in abbinamento inscindibile con l’indicazione geografica protetta. Alla indicazione geografica protetta di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo, gusto, uso selezionato, scelto e similari. E’, tuttavia, consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’indicazione geografica protetta, in ogni caso adeguate alle norme di etichettatura comunitarie. Articolo 11. Utilizzo del marchio su prodotti elaborati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la denominazione “Marrone di Roccadaspide”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento a detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione “Marrone di Roccadaspide”, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della denominazione “Marrone di Roccadaspide” riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MiPAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. CEE 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva di castagne a denominazione “Marrone di Roccadaspide” consente soltanto il riferimento alla denominazione, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o nel quale è trasformato o elaborato. Articolo 12. Logotipo I criteri seguiti per la realizzazione del marchio sono stati l’utilizzo di forme arrotondate (ellissi) e di costruzioni vettoriali (una castagna stilizzata) con la scelta accurata di cinque tinte pantone. Il marchio consta di due ellissi: l’ellisse esterna di tinta pantone 354 e di proporzioni vettoriali 1:0,79; l’ellisse interna di tinta pantone 1205 (85% di tinta) e di proporzioni vettoriali 1:0,91, spostata verso sinistra rispetto all’ellisse esterna del 55%. Segue la costruzione vettoriale dell’immagine raffigurante la castagna che risulta essere inclinata di 41,6° in senso orario e delineata da due tinte pantone: pantone 438 per le linee di contorno e pantone 729 per il corpo interno della costruzione. Lo stesso pantone 729 colora il carattere istituzionale (carattere utilizzato Dauphin) del testo “Marrone di Roccadaspide” e il carattere istituzionale IGP (carattere utilizzato Times New Roman) del testo “Indicazione Geografica Protetta”. Sotto l’immagine raffigurante la castagna è stata inserita una costruzione vettoriale a stella di colore pantone 382 tagliata sul lato sinistro dall’ellisse interna. Per la scelta dei caratteri tipografici si è utilizzato il carattere Dauphin, mentre per la dicitura“Indicazione Geografica Protetta” si è mantenuto il carattere istituzionale Times New Roman presente nel marchio istituzionale IGP. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno |
Marrone di San Zeno Marrone di San Zeno DOP Disciplinare di produzione - Marrone di San Zeno DOPArticolo 1. Nome del prodotto La denominazione di origine protetta (DOP) «Marrone di San Zeno» è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La DOP «Marrone di San Zeno» è attribuita ai frutti prodotti da castagni corrispondenti ad una serie di ecotipi, appartenenti alla specie Castanea Sativa Mill, selezionatisi sotto l'influenza dell'ambiente benacense e riconducibili essenzialmente alla varietà locale Marrone, che è stata propagata nel tempo per via agamica. I frutti che utilizzano la DOP «Marrone di San Zeno» provengono esclusivamente dalla varietà locale Marrone e debbono presentare le seguenti caratteristiche: numero di frutti per riccio non superiore a tre; pezzatura variabile, ossia un numero di frutti per chilogrammo non superiore a 120, ma non inferiore a 50; forma elissoidale con apice poco rilevato, facce laterali in prevalenza convesse, ma caratterizzate da diverso grado di convessità, cicatrice ilare simile ad un cerchio schiacciato tendente al rettangolo che non deborda sulle facce laterali, di colore più chiaro del pericarpo; pericarpo sottile, lucido, di colore marrone chiaro con striature più scure, evidenziate in senso mediano; episperma (pellicola) sottile lievemente penetrante nel seme, che si stacca con facilità alla pelatura; seme di colore tendente al giallo paglierino, lievemente corrugato, pastoso e di gusto dolce. Al momento dell'immissione al consumo i frutti, oltre a presentare le caratteristiche di forma ed aspetto sopra specificate, devono essere: interi, sani, puliti e asciutti. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e trasformazione del «Marrone di San Zeno» comprende parte del territorio situato fra il lago di Garda ed il fiume Adige dei comuni di Brentino-Belluno, Brenzone, Caprino Veronese, Costermano, Ferrara di Monte Baldo, San Zeno di Montagna, tutti compresi nella zona omogenea della Comunità Montana del Baldo. La descrizione del confine è effettuata iniziando dall'estremo nord seguendo la rotazione oraria fino a rincontrare l'estremo nord, su carte dell'Istituto Geografico Militare (I.G.M.), in scala 1:25000. Foglio n. 35 Quadrante II Orientamento sud-ovest Brenzone. La delimitazione parte a est della contrada Sommavilla dalla isoipsa 250 m e sale lungo il confine comunale Brenzone-Malcesine fino alla isoipsa 900 m; da li' in avanti coincide verso sud con la isoipsa 900 m, la quale corre parallelamente al lago di Garda passando sotto l'edificio di Malga Brioni e incrociando con un'ansa la valle Mezzana, la strada comunale Assenza-Prada, le valli delle Nogare, Trovai, Madonna dell'Aiuto, Fies, Senaga. Sotto la chiesa di S. Bartolomeo di Prada raggiunge il confine comunale di Brenzone-San Zeno di Montagna e si cambia il foglio I.G.M. Foglio n. 48 Quadrante I Orientamento nord-ovest Caprino Veronese. La isoipsa 900 m interseca il muro di cinta della Tenuta I Cervi, segue per un tratto la strada interna alla Tenuta che collega il palazzo con la chiesetta di S. Bartolomeo di Prada; si addentra, in alto, lungo la Val Sengello fino a superarla toccando e poi incrociando la strada Provinciale n. 9 San Zeno di Montagna-Prada; si incurva e supera le valli I Fornei, Storta e Bruna; sul Dosso Ziloncello incrocia il confine comunale di San Zeno di Montagna- Caprino Veronese, attraversata la Malga Valdabin di Sotto transita lungo le pendici superiori del Monte Creta e va a toccare l'edificio di Malga La Fabbrica; passa a nord dell'edificio di Malga Valmenon, attraversa Malga Tesi, supera la Val Brutta, passa sotto la contrada Pradonego, poi incrocia dapprima la Valle Salve Regina sopra la Sorgente Bergola e successivamente il confine comunale Caprino Veronese-Ferrara di Monte Baldo; si cambia tavola I.G.M. Foglio 48 Quadrante I Orientamento nord-est Dolcé. La isoipsa 900 m prosegue fmo a toccare a nord la località Fenil dei Coltri, poco dopo gira verso sud, incrocia la strada comunale proveniente da Spiazzi e sopra la Sorgente Carane, con due anse, la riprende rientrando in comune di Caprino Veronese; passa per la località Croce e poco dopo ritorna in comune di Ferrara di Monte Baldo; costeggia a ovest la strada provinciale n. 8 Spiazzi-Ferrara di Monte Baldo, la taglia in località Fraine di Sopra volgendo a sud e descrive sopra la Contrada Peretti una rapida svolta a nord; incrocia il confine comunale Ferrara Monte Baldo-Brentino Belluno; avvolge la Valle di Ferrara di Monte Baldo e prosegue girando verso nord lungo le pendici del Monte Cor, svolta poi verso est a oriente del passo della Crocetta fino all'intersezione con la latitudine nord 45° 40' 06"». La delimitazione scende verso la valle dell'Adige seguendo la latitudine nord sopra specificata fino a incrociare la isoipsa 250 m. Segue verso sud lungo questa isoipsa la Valle dell'Adige; entrando con un meandro nella Valle del Rio Bissole interseca la condotta forzata sopra il fabbricato della centrale elettrica e successivamente il Rio Bissole stesso. La isoipsa 250 m curva verso Brentino, lambendone le case più in alto e tagliando il sentiero per il Santuario della Madonna della Corona; essa transita a ovest della Contrada Preabocco e continua fino all'incrocio con il confine comunale Brentino Belluno-Rivoli Veronese dove viene per il momento abbandonata. La delimitazione segue il confine dei due comuni sopramenzionati fino all'incontro con il confine di Caprino Veronese; prosegue lungo il confine comunale tra Caprino Veronese e Rivoli Veronese che lascia deviando verso ovest nei pressi della Contrada Canale e riprende al cambio di Foglio I.G.M. la isoipsa 250 m. Foglio n. 48 Quadrante I Orientamento nord-ovest Caprino Veronese. Continuando verso ovest la isoipsa 250 m passa a nord della località Ruine, incrocia la strada provinciale n. 8 Rivoli Veronese-Ferrara di Monte Baldo, scorre a sud della località Zovo e interseca la carrareccia Zuane-Acque. Dopo tale incrocio la delimitazione abbandona la isoipsa 250 m e segue il confine comunale Rivoli Veronese- Caprino Veronese raggiungendo la strada comunale Zuane-Ceredello che percorre fino all'incrocio con la strada provinciale n. 29 Affi-Caprino; da qui riprende la isoipsa 250 m. La isoipsa 250 m prosegue verso nord tagliando la strada comunale Ceredello-Boi di Pesina, rientrando a Casoni di Sopra sulla strada provinciale n. 29 Affi-Caprino Veronese, lasciando di nuovo quest'ultima in località Scalette dove piega verso est e torna a incrociarla alla Contrada Acque; transita a sud-ovest dell'abitato di Caprino Veronese fino ad intersecare la strada Caprino Veronese-Pesina al bivio con la comunale Dosso Berra. La isoipsa 250 m corre a nord della strada comunale Caprino Veronese-Pesina fino oltre l'abitato di Pesina dove incrocia la strada comunale Pesina-San Verolo. Prosegue verso ovest, taglia il confine comunale Costermano- Caprino Veronese, la strada provinciale n. 9 Costermano-San Zeno di Montagna; entra nella Valle Tesina, la interseca descrivendo uno stretto meandro, riesce lambendo a sud l'abitato di Campagnola, passa a ovest della Valle dei Molini, piega a ovest verso il Lago di Garda, raggiunge il confine comunale Costermano-Garda sovrapponendosi per dei tratti ad esso e passando a sud di Marciaga. Lasciata la isoipa 250 m la delimitazione curva verso nord parallelamente al Lago di Garda e coincide con il confine comunale Costermano-Torri del Benaco, con il confine comunale San Zeno di Montagna-Torri del Benaco e con il confine comunale Brenzone - Torri del Benaco. Dalla Valle Cottarella la delimitazione comincia a riseguire rigorosamente in comune di Brenzone la isoipsa 250 m verso nord parallelamente al Lago di Garda e poco prima della località Bosco cambia Foglio I.G.M. Foglio n. 35 Quadrante II Orientamento sud-ovest Brenzone. La delimitazione coincide con la isoipsa 250 m fino al confine comunale tra Brenzone e Malcesine intersecando le valli del Salto, Guarì, Larga, di Coria, passa a est della Contrada Biazza, supera la Valle Senaga, lambisce a est le Contrade Fazor Gainet e Campo; dopo la Valle Madonna dell'Aiuto passa a est della località Tormentaie, interseca le Valli di Boazzo, la strada comunale Assenza-Prada e la Valle Mezzana. Si è così ritornati al punto di partenza della descrizione del confine della zona di produzione e trasformazione del «Marrone di San Zeno». Articolo 4. Origine del prodotto Testimonianze scritte sulla coltivazione del «Marrone di San Zeno» risalgono al XIII, XIV, XVII e XIX secolo; esse individuano le zone tipiche di produzione, anche attraverso gli estimi catastali, e descrivono il prosperoso sviluppo dei castagni, i metodi di raccolta e commercializzazione dei marroni sui mercati settimanali, la cui tradizione ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra. Articolo 5. Descrizione del metodo di ottenimento del prodotto I castagneti devono essere localizzati nella tradizionale fascia vegetazionale del Castanetum, vale a dire fra 250 e 900 m s.l.m. Le forme di allevamento, nel rispettare il tradizionale inserimento del castagno nel pregevole paesaggio del sistema lago di Garda-monte Baldo, devono essere legate a sesti di impianto ed a sistemi di potatura adeguati a non modificare le caratteristiche di tipicità del «Marrone di San Zeno». Il numero di piante in produzione per ettaro, tenendo conto delle caratteristiche pedoclimatiche e delle forme di allevamento, può variare da un minimo di 30 ad un massimo di 120 piante. Le altre tecniche di coltivazione debbono ispirarsi alla consolidata tradizione che non prevede l'uso di prodotti di sintesi, né pratiche di forzatura, a salvaguardia della naturalità della produzione. La raccolta, seguendo la naturale deiscenza del frutto, potrà essere effettuata a mano o con mezzi meccanici idonei tali da salvaguardare l'integrità sia della pianta che dei frutti. La resa produttiva massima è fissata in 30 kg di frutti per pianta e in 3,6 t per ettaro. I frutti raccolti vanno sottoposti ad operazioni di cernita e calibratura volte a verificarne la rispondenza ai caratteri di tipicità individuati nel presente disciplinare di produzione. I trattamenti di cura, prima della immissione dei frutti al consumo, vanno effettuati con le tradizionali tecniche fisiche, quali la «novena» e la «rissara». La «novena» consiste nel prolungare la «cura dell'acqua» per nove giorni avendo attenzione di cambiare parte o tutta l'acqua ogni due giorni, senza aggiunta di nessun additivo e secondo la corretta tecnica locale che consente di preservare e migliorare le caratteristiche di tipicità del «Marrone di San Zeno». La «rissara» consiste nell'accumulare all'aperto i frutti e i ricci per 8-15 giorni. Tutte le suddette operazioni compresa quella di confezionamento, che dovrà essere conforme alle modalità previste all'art. 8 del presente disciplinare di produzione, vanno effettuate dentro il territorio delimitato all'art. 3 del presente disciplinare di produzione. Articolo 6. Elementi comprovanti il legame del prodotto con l'ambiente geografico e l'origine geografica I frutti che possono utilizzare la DOP «Marrone di San Zeno» provengono solo dalla tradizionale varietà locale Marrone che si è selezionata nella zona di origine da castagni appartenenti ad ecotipi della specie Castanea Sativa Mill. ed è stata propagata nel tempo dai produttori locali per via agamica. La zona geografica di produzione, influenzata dall'ambiente benacense, è caratterizzata da clima temperato-umido, con terreni acidi, tendenzialmente sciolti, non superficiali sui quali il prodotto esprime i propri caratteri di tipicità. La commercializzazione dei marroni avveniva già dalla fine del secolo XIX per via diretta, tramite negozianti, oppure sul mercato settimanale di Caprino Veronese, o su quello di Verona. Sin dagli anni '20, nel comune di San Zeno di Montagna, si tiene, durante il mese di novembre, la tradizionale sagra del marrone che, dal secondo dopoguerra è divenuta la «Mostra Mercato del Marrone» ed giunta quest'anno alla XXIX edizione. Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo I castanicoltori, i cui terreni ricadano nel territorio individuato nel precedente art. 3, e che intendano avvalersi della DOP «Marrone di San Zeno», devono iscrivere i castagneti all'apposito elenco tenuto ed aggiornato dall'Organismo di controllo. Il suddetto elenco deve contenere gli estremi catastali dei terreni coltivati a castagneto e, per ciascuna particella: la ditta proprietaria, la ditta del conduttore, la località, il numero delle piante, la produzione massima dei marroni, l'età del castagneto. La presentazione delle domande di iscrizione all'elenco, o di eventuali modifiche da parte dei castanicoltori già iscritti, deve avvenire entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui si intende commercializzare il prodotto a DOP. I produttori con i castagneti iscritti nell'elenco sono tenuti a dichiarare all'Organismo di controllo la quantità di marroni a DOP effettivamente prodotta e che intendono esitare sul mercato; tale dichiarazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla fine della raccolta. Articolo 8. Modalità di confezionamento ed etichettatura Il «Marrone di San Zeno» va commercializzato, allo stato fresco, in sacchetti di materiale per alimenti, in confezioni da 0,3 kg, 0,5 kg, 1 kg, 2 kg, 3 kg, 4 kg, 5 kg, 10 kg; le confezioni di dimensioni più ampie (25 kg e 50 kg) dovranno essere commercializzate in sacchi di juta o altro materiale idoneo. Tutte le confezioni vanno sigillate in modo da impedire l'estrazione dei frutti senza la rottura del sigillo. Ogni confezione dovrà essere provvista di un'etichetta con il logo. Nel logo sono rappresentati due cerchi contenenti, l'uno San Zeno benedicente e, l'altro, due ricci stilizzati, accavallati e deiscenti con il marrone che esce. Esso include, nel cerchio di sinistra in basso, la scritta «San Zeno», e nel cerchio di destra la scritta «Marrone» in alto e «di San Zeno» in basso. La scritta DOP viene collocata in una fascia araldica, fra i due cerchi e alla loro base. I due cerchi hanno un diametro di 26 mm ciascuno. L'altezza della fascia araldica è di 2,5 mm mentre la sua massima estensione orizzontale è di 20 mm. Nel cerchio di sinistra, su campo bianco, San Zeno benedicente con la pelle di colore marrone (pantone 478 C) e immerso fino a poco sotto il torace nell'acqua di colore bleu (pantone 299 C), presenta il copricapo di color rosso (pantone 193 C) ed il pastorale di colore giallo (pantone 124 C). I suoi paramenti sono di colore giallo (pantone 124 C) nella parte superiore della tunica e di colore rosso (pantone 193 C) in quella inferiore. Infine un pesce, di colore verde (pantone 576 C), è appeso alla lenza attaccata al pastorale sostenuto dalla mano sinistra del santo che emerge dall'acqua. Nel cerchio di destra, su campo bianco, i frutti (marroni) sono di colore marrone (pantone 478 C) e sono avvolti dai ricci di colore verde (pantone 576 C). Tutte le scritte sono di colore nero su campo bianco. I caratteri delle scritte hanno le seguenti dimensioni: quelli relativi alla scritta «San Zeno» nel cerchio di sinistra 1,6 mm; quelli relativi a «Marrone di San Zeno» nel cerchio di destra 1,8 mm; quelli relativi alla scritta «DOP» nella fascia araldica 1,9 mm. Sull'etichetta si dovranno inoltre indicare peso, annata di produzione e luogo di confezionamento. Alla DOP «Marrone di San Zeno» è vietata l'aggiunta di qualificazioni diverse da quelle previste nel presente disciplinare di produzione, ivi compresa qualsiasi altra indicazione, anche laudativa, atta a trarre in inganno il consumatore. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Verona |
Marroni del Monfenera Marrone di Monfenera IGP Marrone di Monfenera IGPZona di produzione e cenni storiciComprende i territori dei seguenti comuni della provincia di Treviso: Borso del Grappa, Crespano del Grappa, Paderno del Grappa, Possagno, Cavaso del Tomba, Pederobba, San Zenone degli Ezzelini, Fonte, Asolo, Maser, Castelcucco, Monfumo, Cornuda, Montebelluna, Caerano di San Marco, Crocetta del Montello, Volpago del Montello, Giavera del Montello, Nervesa della Battaglia. La coltivazione del castagno è sempre stata un’attività di rilevante importanza sotto l’aspetto energetico, alimentare e per la costruzione di manufatti utili all’attività agricola (pali, botti, travature, ecc.). La coltivazione dei marroni del Monfenera risale al periodo medievale, documentata da un atto del 1351 che ne regolava la raccolta tra i capifamiglia. Gran parte del prodotto veniva trasportato al mercato di Treviso e, lungo il Sile, a Venezia. Nel corso dei secoli si sono verificati dei periodi di abbandono dei castagneti alternati a fasi di assiduo utilizzo del bosco come risorsa per il rifornimento di legna da ardere, per la produzione di frutti per l’alimentazione umana e animale e per ricavare legno per usi industriali. Una maggior attenzione alla castanicoltura si ha nella prima metà dell’800 sotto l’Impero Asburgico, quando vengono messi in evidenza, attraverso gli Atti del catasto, la qualità e la classe delle castagne, a seconda dell’ubicazione dei castagneti. Dal 1980 circa la coltura del castagno risulta in ripresa su tutto il territorio della Pedemontana del Grappa e del Montello, grazie soprattutto alla realizzazione di numerose manifestazioni, tra le quali va ricordata la Mostra Mercato dei Marroni del Monfenera inaugurata nel 1970. Queste manifestazioni hanno l’obiettivo di promuovere la coltura del castagno, per il miglioramento dell’ambiente e dei boschi, e di valorizzare i frutti e i numerosi prodotti derivati. CaratteristicheIl sapore molto dolce della polpa, la struttura omogenea e compatta del frutto e la sua consistenza pastoso farinosa rendono unici i “Marroni del Monfenera”. Le loro proprietà, strettamente legate alle caratteristiche pedoclimatiche della zona di coltivazione, derivano dalla composizione chimica media dei Marroni, in cui si evidenzia una maggiore quantità di carboidrati, di lipidi e di potassio, e una minore presenza di sodio. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso |
Mela Alto Adige o Südtiroler Apfel Mela Alto Adige - Sudtiroler Apfel IGP Disciplinare di produzione - Mela Alto Adige - Sudtiroler Apfel IGPArticolo 1. L’Indicazione Geografica Protetta "Mela Alto Adige" (lingua italiana) o "Südtiroler Apfel" (lingua tedesca) è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1- Le varietà La Indicazione Geografica Protetta "Mela Alto Adige" o “Südtiroler Apfel” è riservata ai frutti provenienti dai meleti coltivati nella zona delimitata al successivo articolo 3, e costituiti attualmente dalle seguenti varietà e loro cloni : a) Braeburn b) Elstar c) Fuji d) Gala e) Golden Delicious f) Granny Smith g) Idared h) Jonagold i) Morgenduft j) Red Delicious k) Stayman Winesap 2.2 Caratteristiche del prodotto La "Mela Alto Adige" o “Südtiroler Apfel” si contraddistingue per colore e sapore particolarmente accentuati, polpa compatta ed alta conservabilità; tali elevate caratteristiche qualitative sono dovute alla stretta combinazione esistente fra i fattori pedoclimatici e la professionalità degli operatori. L’indicazione “Mela Alto Adige” IGP o “Südtiroler Apfel” ggA può essere usata solo per le mele che presentano le caratteristiche qualitative, intrinseche ed estrinseche, espresse, distintamente per ciascuna varietà, dai seguenti parametri: aspetto esterno, categoria commerciale e calibro, caratteristiche chimiche, caratteristiche fisiche. I restanti requisiti qualitativi minimi richiesti relativi alle diverse varietà e categorie, sono quelli stabiliti dalla normativa comunitaria vigente in materia. BRAEBURN - epicarpo colore: dal verde al verde chiaro; - epicarpo sovraccolore: striato dal rosso arancio al rosso intenso > 33% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 11° Brix - durezza: minimo 5,5 Kg/cm2 ELSTAR - epicarpo colore: giallo; - epicarpo sovraccolore: rosso vivo > 20% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10,5° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 FUJI - epicarpo colore: verde chiaro - giallo; - epicarpo sovraccolore: dal rosso chiaro al rosso intenso >50% della superficie rosso chiaro di cui il 30% rosso intenso - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 12,5° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 GALA - epicarpo colore: verde giallo – giallo dorato; - epicarpo sovraccolore: rosso minimo 20% della superficie (Gala standard); > 50% per i cloni rossi (Royal Gala e similari) - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 60 mm - tenore zuccherino: superiore a 10,5° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 GOLDEN DELICIOUS - epicarpo colore: verde chiaro - giallo; - epicarpo sovraccolore: rosa in alcuni ambienti; - rugginosità: fino al 20% della superficie di rugginosità reticolata fine su non più del 20% dei frutti) - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 11° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 GRANNY SMITH - epicarpo colore: verde intenso; - epicarpo sovraccolore: possibile leggera sfaccettatura rosa - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10° Brix - durezza: minimo 5,5 Kg/cm2 IDARED - epicarpo colore: giallo-verde; - epicarpo sovraccolore: rosso intenso uniforme > 33% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 JONAGOLD - epicarpo colore: giallo verde; - epicarpo sovraccolore: rosso vivo – per Jonagold rosso striato > 20% della superficie; per Jonagored rosso > 50% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 11° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 MORGENDUFT - epicarpo colore: da verde chiaro a giallo; - epicarpo sovraccolore: rosso vivo uniforme su un minimo del 33% della superficie; per Dallago rosso brillante intenso su un minimo del 50% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 RED DELICIOUS - epicarpo colore: verde giallo; - epicarpo sovraccolore: rosso intenso brillante e striato > 75% della superficie; per Red Chief > 90% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 STAYMAN WINESAP - epicarpo colore: verde giallastro; - epicarpo sovraccolore: rosso uniforme con leggere striature> 33%; per Red Stayman (Staymared)>50% della superficie - categoria commerciale: Extra e Prima - calibro: diametro minimo 65 mm - tenore zuccherino: superiore a 10° Brix - durezza: minimo 5 Kg/cm2 Articolo 3. Zona di Produzione La zona di produzione della "Mela Alto Adige" o "Südtiroler Apfel" comprende i seguenti comuni nel territorio della Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige (Südtirol): COMUNI DI PRODUZIONE “MELA ALTO ADIGE IGP” ALDINO ALDEIN ANDRIANO ANDRIAN APPIANO SULLA STRADA DEL VINO(S.S. D.V.) EPPAN A.D.WEINSTRASSE AVELENGO HAFLING BARBIANO BARBIAN BOLZANO BOZEN BRESSANONE BRIXEN BRONZOLO BRANZOLL CAINES KUENS CALDARO S.S.D.V. KALTERN A.D.W. CAMPO DI TRENS FREIENFELD CASTELBELLO CIARDES KASTELBELL-TSCHARS CASTELROTTO KASTELRUTH CERMES TSCHERMS CHIUSA KLAUSEN CORNEDO ALL’ISARCO KARNEID CORTACCIA KURTATSCH CORTINA S.S.D.V. KURTINIG EGNA NEUMARKT FIÈ ALLO SCILIAR VOELS AM SCHLERN FORTEZZA FRANZENSFESTE FUNES VILLNOESS GARGAZZONE GARGAZON GLORENZA GLURNS LACES LATSCH LAGUNDO ALGUND LAION LAJEN LAIVES LEIFERS LANA LANA LASA LAAS MAGRÈ S.S.D.V. MARGREID MALLES VENOSTA MALS MARLENGO MARLING MARTELLO MARTELL MELTINA MOELTEN MERANO MERAN MONTAGNA MONTAN NALLES NALS NATURNO NATURNS NAZ-SCIAVES NATZ/SCHABS NOVA PONENTE DEUTSCHNOFEN ORA AUER PARCINES PARTSCHINS PLAUS PLAUS PONTE GARDENA WAIDBRUCK POSTAL BURGSTALL PRATO ALLO STELVIO PRAD AM STILFSERJOCH RENON RITTEN RIFIANO RIFFIAN RIO DI PUSTERIA MUEHLBACH RODENGO RODENECK S.GENESIO ATESINO JENESIEN S.LEONARDO IN PASSIRIO ST.LEONHARD IN PASSEIER S.MARTINO IN PASSIRIO ST.MARTIN IN PASSEIER S.PANCRAZIO ST.PANKRAZ SALORNO SALURN SCENA SCHENNA SENALES SCHNALS SILANDRO SCHLANDERS SLUDERNO SCHLUDERNS TERLANO TERLAN TERMENO S.S.D.V. TRAMIN A.D.WEINSTR. TESIMO TISENS TIROLO TIROL TRODENA TRUDEN TUBRE TAUFERS IM MÜNSTERTAL VADENA PFATTEN VANDOIES VINTL VARNA VAHRN VELTURNO FELDTHURNS VERANO VOERAN VILLANDRO VILLANDERS Articolo 4. Elementi che comprovano l’origine 4.1riferimenti storici Esistono numerosi documenti che comprovano come, già dal medioevo la coltivazione delle mele in Alto Adige fosse diffusa con un numero elevato di varietà. Proprio la diversità varietale, già alla fine del 1700, favorì le prime esportazioni di mele soprattutto in Germania ed in Russia. Un elenco vivaistico dell’associazione agricolturale di Bolzano del 1856 contiene ben 193 varietà di mela coltivabili. 4.2 Riferimenti culturali Nell’opera storica più importante della coltivazione ortofrutticola dell’Alto Adige di Karl Mader del 1894 e del 1904 vengono individuate quasi 40 varietà molto diffuse sull’intero territorio dell’Alto Adige. 4.3 Riferimenti sociali ed economici Grazie alle particolari favorevoli condizioni pedoclimatiche la coltivazione melicola in Alto Adige è passata nel tempo dalle sole varietà autoctone a quelle provenienti da altri paesi, che bene si sono adattate al microclima. Testimonianza di questo fatto sono i circa 8000 produttori, prevalentemente associati in cooperative, che attualmente costituiscono il sistema di produzione melicolo dell’Alto Adige. La melicoltura, grazie al valore della produzione diretta ed all’indotto costituito dalla sistema di imballaggi, trasporti e confezionamento rappresenta una delle risorse fondamentali della economia del territorio Alto Atesino. 4.4 Rintracciabilità Le aziende agricole idonee alla produzione della "Mela Alto Adige" o “Südtiroler Apfel” sono inserite in un apposito elenco attivato e aggiornato a cura dell’Organismo incaricato dell’attività di controllo. Il sistema utilizzato per garantire l'identificazione e la rintracciabilità del prodotto "Mela Alto Adige” o “Südtiroler Apfel” si basa sui seguenti elementi: · identificazione, mediante cartellini personalizzati, del prodotto all’ingresso dei centri di condizionamento; · redazione di un registro di carico delle partite IGP; · mantenimento della identificazione del produttore anche nelle fasi di accettazione, movimentazione e stoccaggio temporaneo, realizzate nel centro di condizionamento, fino alla fase di calibratura e/o selezione; · identificazione della partita calibrata e/o selezionata e compilazione di un registro di calibrazione e/o selezione; · redazione di un registro di scarico delle partite commerciali IGP, con evidenziata la destinazione delle stesse. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1 Il sistema di produzione I sistemi di produzione della „Mela Alto Adige“ o „Südtiroler Apfel“ sono finalizzati a valorizzare la naturale vocazione pedoclimatica delle aree di produzione. Le pratiche adottate permettono di ottenere mele dall‘elevato livello qualitativo grazie all‘ottimale equilibrio vegeto-produttivo adottato. La „Mela Alto Adige“ o „Südtiroler Apfel“ è prodotta utilizzando tecniche e metodi a basso impatto ambientale, quali la produzione integrata e/o l’agricoltura biologica. 5.2- Densità d’impianto Nei nuovi meleti il sistema d’impianto raccomandato è a filari singoli. La densità di piantagione e la forma d’allevamento devono essere compatibili con la necessità di ottenere frutti di qualità. 5.3 Gestione del Terreno I terreni su cui si sviluppa la coltivazione di mele dell’Alto Adige sono per loro natura soffici, ben drenati e ricchi di ossigeno e in essi le radici possono svilupparsi al meglio. Il pH medio del terreno si mantiene su 6-8. Le sostanze nutritive sono apportate con un’equilibrata concimazione eseguita sulla base dell’esito di un’analisi del terreno e delle foglie, favorendo in tal modo la qualità dei frutti e limitando nello stesso tempo lo sviluppo delle malattie fisiologiche. E’ previsto l’inerbimento nell’interfila, per tutta la durata dell’impianto. La presenza dell’erba tra le file consente di ottenere un bilancio umico positivo del terreno dei frutteti e inoltre esso viene protetto da erosione (fatto questo particolarmente importante nelle colture situate su pendii), da un prematuro inaridimento e da un riscaldamento eccessivo in estate. 5.4 Controllo della produzione Il corretto equilibrio vegeto- produttivo delle piante viene ottenuto attraverso la potatura di produzione che sarà finalizzata al mantenimento della forma di allevamento adottata ed al diradamento che in molte varietà si rende necessario per garantire un ottimale sviluppo qualitativo delle produzioni. La potatura verrà eseguita ogni anno durante il periodo invernale di riposo della pianta. Il diradamento dei frutti potrà essere effettuato in funzione del carico produttivo presente al fine di mantenere sulla pianta la quantità di frutti ottimale per ciascuna varietà. 5.5 Irrigazione L’uso di una corretta pratica irrigua è ritenuto indispensabile per l’ottenimento di produzioni di qualità. L’irrigazione viene eseguita da Marzo a Settembre. 5.6 Raccolta Al fine di ottenere la ottimale qualità e conservabilità delle differenti varietà, la raccolta è eseguita con un accurato stacco delle mele esclusivamente a mano e con il prodotto al giusto grado di maturazione. 5.7 Produzioni La produzione massima realizzabile nelle diverse zone di produzione non può superare le 68 t/ha. 5.8 Conservazione La conservazione a lungo termine dei frutti ad Indicazione Geografica Protetta „Mela Alto Adige“ o “Südtiroler Apfel” deve utilizzare la tecnica della refrigerazione (normale, LO, ULO). I parametri di conservazione principali sono: temperatura, percentuale di O2, percentuale di CO2 ed umidità relativa. In particolare: · la temperatura consigliata per le celle destinate alla conservazione di mele varia, a seconda della varietà, tra 0,5 °C e 2,5 °C, · il contenuto di O2 tra 1,0% e 2,0%, · il contenuto di CO2 tra 1,2% e 3%, · l’umidità relativa da 90% a 95%. Nella scelta delle condizioni ottimali per la conservazione in LO ed ULO il contenuto di CO2 e di O2 deve essere determinato in funzione della influenza reciproca ed in rapporto con la temperatura e l’umidità relativa. 5.9 Commercializzazione L‘Indicazione Geografica di cui all’art. 1 può essere adottata solo da imprese singole ed associate aventi le strutture di lavorazione (Centri di condizionamento) in Alto Adige. La commercializzazione della "Mela Alto Adige" o “Südtiroler Apfel” deve essere effettuata esclusivamente nel periodo da inizio agosto a fine luglio. 5.10 Confezionamento La “Mela Alto Adige” o “Südtiroler Apfel” viene immessa al consumo utilizzando una delle seguenti confezioni: · Plateaux 30x40 in cartone, legno e plastica, ad uno o più strati; · Plateaux 30x50 in cartone, legno e plastica, ad uno o più strati; · Plateaux 40x60 in cartone, legno e plastica, ad uno o più strati; · Confezione carta cartonlegno 30 x 50 in cartone e legno · Cartone euro 40 x 60 · Cartone telescopico (Traypack) 32 x 52 · Confezioni monofrutto o con più frutti sigillate (vassoi, cartoni, sacchetti, ecc.) · Imballaggi riutilizzabili di plastica (p.es.:IFCO, Steco e similari, cassa cliente, ecc.) · Minibin · Altri imballaggi ammessi dalla normativa vigente in materia. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente In Alto Adige le condizioni climatiche per la coltivazione delle mele sono molto favorevoli. Il melo, infatti, cresce e si sviluppa particolarmente bene in un clima moderato, come lo si trova nelle vallate altoatesine a sud della catena montuosa dell’arco alpino. Nel periodo dell’estate avanzata e dell’autunno si hanno i tipici e marcati sbalzi di temperatura tra giorno e notte, che si riflettono positivamente sulla “qualità interna“ del frutto, vale a dire sul suo contenuto zuccherino e di vitamine, ma anche e soprattutto sulla “qualità esterna”, sviluppando in modo particolare l’attraente colorazione rossa e gialla delle mele e la quasi assenza di rugginosità, particolarmente sulla Golden Delicious. Il concorso tra il numero elevato di ore di sole, le notti fresche, le basse precipitazioni dovute alle catene montagnose a nord, assicura frutta di sapore e di colore particolarmente accentuati. L'altitudine dei frutteti tra 200 e 1000 m s.l.m. ed i terreni leggeri ben arieggiati garantiscono un aroma intenso, una polpa compatta ed una conseguente alta conservabilità. L’insieme di questi fattori ambientali insieme alla secolare attività dell’uomo, grazie al profondo intreccio tra la melicoltura e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente tipici del sistema produttivo locale, contribuiscono a conferire alla Mela Alto Adige IGP, caratteristiche uniche, riconosciute sia sul mercato interno che internazionale. Articolo 7. Controlli L’attività di controllo sull’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta da Check Fruit s.r.l., via C. Boldrini, 24 - 40121 BOLOGNA, organismo autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Reg. Cee n. 2081/92 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Etichettatura Sull’etichetta da apporre sulle confezioni o sui singoli frutti, l’indicazione geografica protetta "Mela Alto Adige" (lingua italiana) o "Südtiroler Apfel" (lingua tedesca) deve figurare in caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta e dalla dizione "Indicazione Geografica Protetta". E’ consentito, in abbinamento alla Indicazione Geografica Protetta, l’utilizzo di indicazioni e/o simboli grafici che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi d’azienda individuali, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Per la mela stivata nelle confezioni ammesse dal presente disciplinare, nella designazione del prodotto “Mela Alto Adige” o "Südtiroler Apfel", deve essere utilizzata la bollinatura sui singoli frutti con apposito logo e con la seguente percentuale di unità bollinate: pari ad almeno il 70% del totale dei frutti presenti nella confezione di tipo Plateaux e minimo 33% nelle altre confezioni non sigillate. La descrizione, raffigurazione e gli indici colorimetrici del logo, ovvero del simbolo distintivo dell’indicazione Geografica Protetta, sono riportati in allegato al presente disciplinare. E’ fatto divieto di usare nella designazione e presentazione della indicazione geografica protetta i cui all’art.1 qualsiasi altra indicazione ed aggettivazione aggiuntiva, diverse da quelle previste dal presente disciplinare. Logotipo e colori ammessi per la designazione e presentazione della “Mela Alto Adige” o “Südtiroler Apfel” Le confezioni ammesse per la “Mela Alto Adige” o “Südtiroler Apfel” devono recare ben visibile il nome della IGP in lingua italiana o tedesca (carattere Futura), rispettando il seguente logotipo, ammesso nei colori nero, verde scuro pantone 340, blu pantone 286 e bianco. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Prov. Aut. di Bolzano | Bolzano |
Mela di Valtellina Mela di Valtellina IGP Disciplinare di produzione - Mela di Valtellina IGPArticolo 1. L’Indicazione Geografica Protetta “Mela di Valtellina” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1 Le varietà L’Indicazione Geografica Protetta "Mela di Valtellina" è riservata ai frutti provenienti dai meleti coltivati nella zona delimitata al successivo Art. 3 e costituiti dalle seguenti varietà e loro cloni: a) Red Delicious b) Golden Delicious c) Gala 2.2 Caratteristiche del prodotto La "Mela di Valtellina" si contraddistingue per colore e sapore particolarmente accentuati, polpa compatta ed alta conservabilità. Al momento dell’immissione al consumo i frutti devono essere interi, di aspetto fresco, puliti ed in possesso dei requisiti stabiliti, per i frutti delle Categorie di qualità Extra e I, dalle Norme di Qualità per i Prodotti Ortofrutticoli e Agrumari definite sulla base della normativa Comunitaria vigente. Inoltre devono possedere le seguenti caratteristiche: GRUPPO RED DELICIOUS Epicarpo: spesso, poco ceroso, di colore rosso intenso brillante, con estensione del sovraccolore superiore all’80% della superficie, liscio, esente da rugginosità ed untuosità, resistente alle manipolazioni. Forma: tronco-conica oblunga, con i caratteristici cinque lobi e profilo equatoriale pentagonale. Calibro: diametro minimo 65 mm. Tenore zuccherino minimo: superiore a 10° brix. Polpa: bianca dal profumo di mela medio elevato. Elevata è la percezione degli odori di miele, gelsomino e albicocca. La croccantezza e la succosità sono elevate. Prevalenza del sapore dolce con apprezzabile acidità e aroma di media intensità. Assente la sensazione di amaro. Durezza della polpa non inferiore a 5 kg/cm². GRUPPO GOLDEN DELICIOUS Epicarpo: poco ceroso, di colore giallo intenso a maturazione, talora con sfaccettatura rosa nella parte esposta al sole, a volte soggetto a rugginosità, sensibile alle manipolazioni. Forma: sferoidale o tronco-conica oblunga, leggermente costoluta in sezione trasversale. Calibro: diametro minimo 65 mm. Tenore zuccherino minimo: superiore a 11.5° brix. Polpa: dal colore bianco crema, con profumo di mela intenso. La durezza è media come anche la croccantezza e la succosità, mentre è praticamente nulla la farinosità. I frutti si distinguono per la dolcezza pur mantenendo valori di acidità apprezzabili che connotano la freschezza del frutto. Medio alto è l’aroma di mela. Assente la sensazione di amaro. Durezza della polpa non inferiore a 5 kg/cm². GRUPPO GALA Epicarpo: rosso brillante, con estensione del sovraccolore rosso, minimo sul 30% della superficie per la Gala standard e sul 65% nei cloni migliorativi. Forma: tronco-conica breve, con i cinque lobi apicali abbastanza pronunciati. Calibro: diametro minimo 65 mm. Tenore zuccherino minimo: superiore a 11° brix. Polpa: bianco crema dal profumo di media intensità. La durezza è media e la succosità elevata, assente la farinosità. Il sapore è dolce, poco acido con aroma gradevole di media intensità. Assente la sensazione di amaro. Durezza della polpa non inferiore a 5 kg/cm². Sono immessi al consumo i frutti delle categorie di qualità Extra e I^. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di condizionamento della “Mela di Valtellina” comprende i seguenti Comuni della provincia di Sondrio: Albosaggia, Andalo Valtellino, Ardenno, Berbenno di Valtellina, Bianzone, Buglio in Monte, Caiolo, Castello dell'Acqua, Castione Andevenno, Cedrasco, Cercino, Chiavenna, Chiuro, Cino, Civo, Colorina, Cosio Valtellino, Dazio, Delebio, Dubino, Faedo Valtellino, Forcola, Fusine, Gordona, Grosio, Grosotto, Lovero, Mantello, Mazzo di Valtellina, Menarola, Mese, Mello, Montagna in Valtellina, Morbegno, Novate Mezzola, Piateda, Piantedo, Piuro, Poggiridenti, Ponte in Valtellina, Postalesio, Prata Camportaccio, Rogolo, Samolaco, San Giacomo Filippo, Sernio, Sondalo, Sondrio, Spriana, Talamona, Teglio, Tirano, Torre di Santa Maria, Tovo di Sant'Agata, Traona, Tresivio, Verceia, Vervio, Villa di Chiavenna, Villa di Tirano. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata, documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori nonché attraverso una dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1 Il sistema di produzione Le forme di allevamento impiegate sono: spindelbush, palmetta, vaso tradizionale, a V e a doppia V. Per favorire coltivazioni rispettose dell'ambiente e della salute dell'uomo, si utilizzano tecniche di produzione a basso impatto ambientale, come la produzione integrata e la produzione biologica. 5.2 Densità d’impianto I terreni su cui si coltiva la “Mela di Valtellina” sono situati nelle vallate che si estendono ad un’altitudine compresa tra i 200 ed i 900 m s.l.m.. La densità d’impianto e le forme d’allevamento sono finalizzate a massimizzare la permeabilità della chioma alla radiazione luminosa, al fine di ottenere un’ottimale colorazione dei frutti. L’ampiezza degli interfilari non è in ogni caso inferiore ai 3 m, con disposizione su fila unica o doppia, mentre la distanza degli alberi sulla fila non è inferiore a 0,5 m. La densità massima non deve comunque superare i 4000 alberi/ettaro. 5.3 Fertilizzazione e gestione del terreno La fertilizzazione è effettuata attraverso interventi localizzati, al massimo due volte l’anno, seguendo i criteri dell’agricoltura ecocompatibile. E’ consentita la pratica della fertilizzazione fogliare e della calcitazione, quest’ultima utilizzata come correttivo dei terreni acidi. È ammessa la pratica dell’inerbimento controllato dell’interfilare, che garantisce il corretto mantenimento della sostanza organica nel terreno. 5.4 Controllo della produzione Per creare condizioni favorevoli alla qualità dei frutti sono applicati interventi di potatura in primavera-estate sul verde ed in inverno sul secco, che garantiscano il corretto equilibrio vegeto-produttivo della pianta e l’ottimale esposizione dei frutti. Il diradamento dei frutti viene effettuato in funzione del carico produttivo presente, al fine di mantenere sulla pianta la quantità ottimale per ciascuna varietà. La produzione di mele non deve essere comunque superiore, per ogni singola varietà, alle seguenti quantità: Red Delicious: 65 Tonn./ha Golden Delicious: 68 Tonn./ha Gala: 65 Tonn./ha 5.5 Irrigazione L’irrigazione deve essere effettuata con i sistemi tradizionali “a scorrimento” oppure con tecniche più recenti, quali l’aspersione soprachioma o l’irrigazione localizzata. La frequenza e gli apporti degli adacquamenti devono essere finalizzati a ripristinare il bilancio idrico del terreno, restituendo l’acqua persa per evapotraspirazione della coltura o per infiltrazione profonda. In ogni caso, ai fini di massimizzare la qualità della polpa e la serbevolezza della “Mela di Valtellina”, ogni pratica irrigua deve essere sospesa 8 giorni prima della raccolta. 5.6 Raccolta L’inizio del periodo di raccolta coincide con il momento in cui la mela raggiunge la maturazione ottimale stabilita con i criteri di cui all’art.2 del presente disciplinare; i frutti delle varietà di cui all’art.2 devono inoltre avere un valore di durezza della polpa non inferiore a 5 Kg/cm2. Per ottenere la qualità e la conservabilità ottimale delle diverse varietà, la raccolta è eseguita mediante un accurato stacco manuale delle mele e secondo il seguente calendario: Red Delicious: seconda decade di settembre-seconda decade di ottobre. Golden Delicious: seconda decade di settembre-fine ottobre. Gala: seconda decade di agosto-seconda decade di settembre. 5.7 Conservazione La conservazione della “Mela di Valtellina” avviene attraverso la tecnica della refrigerazione normale (AC), low oxigen (LO), ultra low oxigen (ULO). In particolare: - la temperatura delle celle destinate alla conservazione delle mele è compresa, secondo le varietà, tra 0,2 °C e 2 °C; - il contenuto di O2 tra 1% e 3%; - il contenuto di CO2 tra 1,2% e 3%; - l’umidità relativa tra 90% e 98%. La conservazione della “Mela di Valtellina” deve avvenire nella zona di produzione delimitata per garantire la rintracciabilità ed il controllo. Il periodo di conservazione della “Mela di Valtellina” non deve essere superiore a quanto sotto indicato per singola varietà: · Red Delicious dalla raccolta a fine luglio dell’anno successivo · Golden Delicious dalla raccolta a fine agosto dell’anno successivo · Gala dalla raccolta a fine aprile dell’anno successivo 5.8 Condizionamento Il condizionamento della “Mela di Valtellina” deve avvenire nella zona di produzione delimitata, per garantire la tracciabilità ed il controllo; gli imballaggi o le confezioni debbono consentire la chiara identificazione del prodotto. La “Mela di Valtellina” viene immessa al consumo utilizzando una delle seguenti confezioni in cartone, legno o materiale plastico: · Bins alveolari · Plateaux in cartone · Cartone telescopico (traypak) · Cassetta in legno · Cassetta riutilizzabile in materiale plastico · Confezioni sigillate con più frutti (vassoi, cartoni e sacchetti) Articolo 6. Legame con l’ambiente La reputazione della “Mela di Valtellina” risale al secondo dopoguerra quando la melicoltura conobbe un notevole impulso tanto da modificare fortemente il sistema agricolo e il paesaggio agrario locale. L’impegno di alcuni pionieri contagiò di entusiasmo anche altri agricoltori convincendoli a puntare decisamente sulla melicoltura specializzata. Sono sorte così cooperative di agricoltori che con la collaborazione scientifica di istituti universitari specializzati nella melicoltura concorsero alla definizione del “sistema melo” in Valtellina contribuendo a consolidare la fisionomia della moderna frutticoltura valtellinese. anche attraverso molteplici campagne di comunicazione realizzate nel corso degli anni. Oggi la “Mela di Valtellina è considerata un prodotto al top della qualità ed è per questo inserita presso i punti vendita della moderna distribuzione e dei negozi specializzati, posizionandosi nella fascia di mercato di maggior valore. Nei secoli scorsi, nei giardini e tra i filari della vite trovavano posto alberi di melo e di altri frutti, la cui produzione era destinata in massima parte all’autoconsumo e in piccola parte alla commercializzazione nei mercati cittadini e nelle grandi fiere. Negli anni ’20 si ebbe un primo approccio produttivistico verso la melicoltura, che da quel momento non è più una coltivazione sporadica e destinata al consumo familiare, ma acquista un suo specifico interesse come coltura da commercializzare. La produzione di mele è andata aumentando negli anni, fino a raggiungere le attuali 35.000 tonnellate di produzione annua, che corrispondono all’1,5% della produzione melicola nazionale. La superficie interessata da questa coltura è di circa 1.000 ha e la produzione è rappresentata perlopiù da varietà a maturazione autunno-invernale con attitudine alla lunga conservazione. Con queste cifre e queste peculiarità la melicoltura rappresenta la migliore espressione dell’arboricoltura da frutto della regione Lombardia, non solo per il settore in sé, ma per l’indotto che riesce ad originare e per il ruolo di stimolo che copre nell’economia della vallata; basti pensare a questo proposito a tutte le attività connesse, quali la meccanizzazione, l’impiantistica per l’irrigazione, i fornitori di mezzi tecnici, i servizi per la commercializzazione, il comparto del packaging, il sistema dei trasporti, etc. L’areale di produzione della “Mela di Valtellina” risulta di particolare vocazionalità per conferire alti contenuti qualitativi alla mela. La Valtellina è infatti orientata Est-Ovest ed a Nord è protetta dalle Alpi Retiche. Il clima di cui gode la vallata è dunque molto mite. Questa esposizione è favorevole alla coltivazione della mela, che si concentra soprattutto sul versante esposto a Sud. La pendenza media è dello 0,5%, mentre i conoidi hanno pendenze medie del 10-15% con punte che arrivano anche al 30%. La zona di coltivazione ha un’altimetria che parte dai 200 metri e giunge fino a 900 metri sul livello del mare; i frutteti godono di una buona illuminazione e ventilazione. Il clima è mite: la minima assoluta degli ultimi anni è stata di – 9 °C (registrata in gennaio) mentre la massima è stata di 31,5°C (registrata in agosto). La piovosità ha una media annua che si attesta intorno ai 1000 mm.. La ventilazione è particolare, infatti risente del fenomeno del Föhen, un vento caldo e secco che causa impennate della temperatura e cali dell’umidità dell’aria. A livello climatico sono infine importanti le brezze (di monte e di valle), fenomeni legati al diverso riscaldamento dei versanti. La morfologia pedologica attuale della vallata è il risultato di una serie di trasformazioni che hanno portato alla formazione della piana alluvionale dell’Adda: i depositi alluvionali predominano sulle altre tipologie; si tratta di sedimenti recenti. I frutteti sono ubicati soprattutto sui conoidi di origine alluvionale, caratterizzati da un’elevata presenza di scheletro grossolano, permeabili, dove il ristagno idrico è praticamente assente e la reazione del terreno è subacida o acida. Il territorio valtellinese è dotato di caratteristiche pedoclimatiche particolari, quali l’altitudine, la latitudine e la conformazione orografica, che rappresentano elementi essenziali nella determinazione delle particolari condizioni di intensità e qualità della radiazione luminosa, dell’alternanza dei cicli di bagnatura/asciugatura dell’epicarpo dei frutti e dell’escursione termica giornaliera. L’insieme dei fattori ambientali rende esclusivo il rapporto con la qualità della mela: questi peculiari fattori, insieme alla secolare attività dell’uomo, alle sue capacità culturali e alla messa a punto di pratiche di salvaguardia dell’ambiente e della tradizione socio-produttiva, (ivi compresi il mantenimento delle tecniche di coltivazione della mela nel rispetto e nella tutela delle vallate e delle montagne), contribuiscono a conferire alla “Mela di Valtellina” caratteristiche uniche, riconosciute sia dalla letteratura tecnico-scientifica specifica sia dalla valorizzazione commerciale. Articolo 7. Controlli Il controllo sarà effettuato da una struttura conforme alle disposizioni degli Artt.10 e 11 del Reg. (CE) n.510/06 del Consiglio. Articolo 8. Etichettatura La dicitura “Mela di Valtellina” Indicazione Geografica Protetta o il suo acronimo IGP, deve essere apposta in modo chiaro e perfettamente leggibile, con dimensione prevalente su ogni altra dicitura presente, sulle confezioni sigillate o sui singoli frutti. Laddove sia presente la bollinatura dei singoli frutti essa non può interessare meno del 70 % dei frutti presenti in confezione. Qualora non sia presente la bollinatura dei singoli frutti dovranno essere utilizzate confezioni chiuse e sigillate. È consentito in abbinamento alla indicazione geografica protetta, l’utilizzo di indicazioni e/o simboli grafici che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi collettivi o marchi d’azienda individuali, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Il logo è rappresentato dalla dicitura “Mela di Valtellina” Indicazione Geografica Protetta . Gli indici colorimetrici sono i seguenti: Rosso (pantone red 032), Verde (pantone 355) e Nero ( 100%). Il carattere da utilizzare è il Futura Bold. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la I.G.P. “ Mela di Valtellina”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo Comunitario, a condizione che il riferimento alla IGP sia chiaramente riferito all’ingrediente e non al prodotto elaborato e/o trasformato; il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza, gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dal Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato, le suddette funzioni saranno svolte dal MIPAAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) 510/2006. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lombardia | Sondrio |
Mela Rossa Cuneo Mela Rossa di Cuneo IGP Disciplinare di produzione - Mela Rossa di Cuneo IGPArticolo 1. Nome del prodotto L’indicazione geografica protetta “Mela Rossa Cuneo” è riservata alle mele che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Le mele denominate “Mela Rossa Cuneo” IGP vengono prodotte utilizzando esclusivamente i gruppi varietali di mele: a) Red Delicious b) Gala c) Fuji d) Braeburn Devono inoltre possedere le seguenti caratteristiche: Red Delicious Epicarpo rosso intenso vinoso, con estensione ≥ 90% della superficie della buccia; esente da untuosità e rugginosità, confinata all’interno della cavità peduncolare Forma tronco-conica Calibro diametro ≥ 75 mm, oppure peso ≥ 180 g Tenore zuccherino ≥ 11 °Brix Polpa color bianco o bianco crema, talora con sfumature e venature verde chiaro; consistenza fondente Durezza ≥ 5 kg /cm2 Gala Epicarpo rosso intenso brillante, con estensione ≥ 80% della superficie della buccia; distribuzione prevalentemente striata, talora sfumata Forma da sferoidale a tronco-conica Calibro diametro ≥ 70 mm, oppure peso ≥ 160 g Tenore zuccherino ≥ 12 °Brix Polpa color bianco crema, soda, croccante e succosa, di fine tessitura Durezza ≥ 5 kg /cm2 Fuji Epicarpo rosso da chiaro a intenso, con estensione ≥ 60% della superficie della buccia Forma da sferoidale a cilindrica Calibro diametro ≥ 75 mm, oppure peso ≥ 180 g Tenore zuccherino ≥ 12 °Bbrix Polpa colore bianco o bianco crema; soda, di tessitura fine croccante e succosa Durezza ≥ 6 kg /cm2 Braeburn Epicarpo dal rosso arancio al rosso intenso, prevalentemente striato, con estensione ≥ 80% della superficie Forma da sferoidale a tronco conica Calibro diametro ≥ 70 mm oppure peso ≥ 160 g Tenore zuccherino ≥ a 11,5 °Brix Polpa colore bianco o bianco crema; consistente, di tessitura fine croccante e succosa Durezza ≥ 6 kg /cm2 Al momento dell’immissione al consumo i frutti devono essere interi, di aspetto fresco e sano, puliti e privi di sostanze ed odori estranei, in possesso dei requisiti stabiliti dalle categorie commerciali Extra e I. I requisiti qualitativi minimi richiesti relativi ai diversi gruppi varietali e categorie, sono quelli stabiliti dalla normativa comunitaria. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della “Mela Rossa Cuneo” comprende i seguenti comuni situati in parte nella provincia di Cuneo ed in parte in quella di Torino ad un’altitudine compresa tra 280 e 650 m s.l.m. I comuni della provincia di Cuneo sono i seguenti: Bagnolo Piemonte, Barge, Borgo San Dalmazzo, Boves, Brondello, Busca, Caraglio, Castellar, Castelletto Stura, Centallo, Cervasca, Cervere, Costigliole Saluzzo, Cuneo, Dronero, Envie, Fossano, Lagnasco, Manta, Martiniana Po, Pagno, Piasco, Revello, Rossana, Sant’Albano Stura, Salmour, Saluzzo, Sanfront, Savigliano, Scarnafigi, Tarantasca, Valgrana, Venasca, Verzuolo, Villafalletto, Villar San Costanzo. I comuni della provincia di Torino sono i seguenti: Bibiana, Bricherasio, Campiglione Fenile, Cavour, Garzigliana, Luserna S.Giovanni, Lusernetta, Osasco , S.Secondo di Pinerolo, Pinerolo. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e del relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Le distanze ed i sesti di impianto sono quelli normalmente utilizzati nell’area di coltivazione della “Mela Rossa Cuneo”. La densità massima di impianto non deve essere superiore alle 4.000 piante/ettaro, le forme di allevamento devono massimizzare la permeabilità della chioma alla radiazione luminosa, la quale rappresenta il fattore determinante al fine dell’ottenimento della tipica colorazione dei frutti. La particolare brillantezza dell’epicarpo viene ottenuta attraverso gli indispensabili interventi di potatura, nella misura di un intervento invernale e di almeno un intervento di potatura estiva. Tale secondo intervento è finalizzato a garantire la ottimale illuminazione dei frutti necessaria a far sviluppare la tipica colorazione dei frutti. L’irrigazione può essere effettuata sia “per scorrimento”, sia con impianti di distribuzione localizzata, i quali consentono di dosare gli apporti agli effettivi fabbisogni idrici. Al fine di ottenere la ottimale qualità e conservabilità, la raccolta è effettuata al raggiungimento del corretto grado di maturazione di ogni singola cultivar. Deve essere eseguita con un accurato distacco dei frutti. L’inizio del periodo di raccolta coincide con il momento in cui il frutto raggiunge la colorazione rossa ottimale. La produzione unitaria massima ammessa per la “Mela Rossa Cuneo” è di 60 t/ha. La conservazione della “Mela Rossa Cuneo” IGP avviene, secondo i metodi tradizionali, attraverso la tecnica della refrigerazione, assicurando valori di temperatura, di umidità e di composizione atmosferica tali da preservarne le peculiari caratteristiche qualitative. Le mele denominate «Mela Rossa Cuneo» devono essere confezionate in imballaggi o confezioni tali da consentire la chiara identificazione del prodotto. La commercializzazione della "Mela Rossa Cuneo” IGP deve essere effettuata esclusivamente nel periodo sotto indicato. Gala da inizio agosto a fine maggio Red Delicious da inizio settembre a fine giugno Braeburn da fine settembre a fine luglio Fuji da inizio ottobre a fine luglio Articolo 6. Legame con il territorio La peculiarità estetica e gustativa della “Mela Rossa Cuneo” è il risultato della favorevole interazione tra l’ambiente di produzione descritto all’art. 3 e i gruppi varietali descritti all’art. 2. Alla qualità della colorazione rossa concorrono i tre seguenti fenomeni fisico-climatici, che si verificano grazie all’unicum orografico costituito dalla balconata della stretta fascia di altipiano sospesa tra le Alpi occidentali e la pianura padana. L’ampiezza delle escursioni termiche circadiane nel periodo precedente la raccolta. La contiguità da un lato alla catena alpina, dall’altro alla pianura padana – a partire dalla tarda estate e per tutto il periodo autunnale, in corrispondenza dell’evoluzione pre-raccolta della maturazione delle varietà che costituiscono la “Mela Rossa Cuneo” – determina escursioni termiche tra il giorno e la notte, con valori medi nel periodo pari a 13,8°C. Tali valori rappresentano un’ampiezza insolita, rispetto a quelli generalmente registrati per la maggior parte delle regioni pomicole europee, sia montane sia di pianura, laddove gli sbalzi termici sono prevalentemente imputabili al rapido passaggio di perturbazioni meteorologiche. L’umettamento della buccia, causato dalle gocce di rugiada che si forma nelle ore più fredde della notte, dà origine ad un ciclo di bagnatura/asciugatura. Nell’area di pianura sottostante l’altipiano dove è prevista la coltivazione della “Mela Rossa Cuneo” nei decenni passati era pratica comune aspergere con acqua refrigerata la chioma dei meli nelle notti in cui la temperatura non scendeva rispetto ai valori diurni. Si tentava in tal modo di imitare l’effetto di escursione termica e bagnatura del frutto, che avviene naturalmente sull’altipiano sovrastante. Le “brezze di monte” a senso alternato mattino/sera accentuano e accelerano i cicli circadiani di temperatura e umettamento. I fenomeni fisici sopra descritti interagiscono con la radiazione luminosa sulla formazione e sull’evoluzione degli antociani, i pigmenti antiossidanti responsabili del colore dell’epicarpo delle mele. Le escursioni termiche sono strettamente correlate alla formazione dei pigmenti del colore. L’estensione del colore percepibile dall’occhio umano dipende dalla percentuale di cellule con i pigmenti del colore, non già da una maggior o minor diluizione degli antociani nelle cellule. Il ciclo di umettamento/asciugatura, determinando la qualità della radiazione luminosa, interagisce nel processo evolutivo degli antociani, a partire dai composti precursori fino ai fenomeni degenerativi. Sotto il profilo pedologico, il territorio della “Mela Rossa Cuneo” è ampiamente vocato alla coltura dei fruttiferi, ed in particolare del melo. Secondo la “Carta dei suoli del Territorio frutticolo piemontese occidentale” si incontrano terreni di origine alluvionale, più o meno recenti, a stratigrafia evoluta, dotati di orizzonti di accumulo limosi o più raramente argillosi, accomunati dalla presenza di un substrato ghiaioso relativamente superficiale. I fattori ambientali, pedo-climatici, socio-economici e paesaggistici, in sinergia con l’opera dell’uomo che, grazie alle sue capacità ed esperienza, alla tradizione produttiva locale (ivi compresi il mantenimento delle tradizionali tecniche di coltivazione nel rispetto e nella tutela delle vallate e delle montagne cuneesi), contribuiscono a conferire alla “Mela Rossa Cuneo” caratteristiche uniche. La vocazione produttiva di mele a buccia rossa del nostro territorio è ben descritta nel documento elaborato dalla Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (CN). Il pensiero illuminista settecentesco fece nascere, in Piemonte, Accademie e Associazioni agrarie cui si deve una intensa attività di ricerca varietale, di diffusione di nuove cultivar e di messa a punto di tecniche colturali impostate su basi scientifiche. Si crearono così le condizioni per la diffusione di varietà di mele a buccia rossa particolarmente apprezzate per la capacità di esprimere nell’ambiente cuneese una particolare intensità e brillantezza di colore. Lo sviluppo della moderna melicoltura cuneese è riconducibile agli anni ’50 e ’60 del XX secolo e lentamente nel panorama varietale le mele a buccia rossa cominciarono ad espandersi fino a divenirne, ai giorni nostri, il gruppo prevalente. Negli anni ’60 e ’70 la dicitura “Mela Rossa Cuneo” viene istituzionalizzata e comincia a comparire nei documenti contabili e nei fogli di viaggio del prodotto destinato al mercato interno; è di quegli anni la prima campagna promozionale che parla di “Mela Rossa Cuneo”; negli anni ’80 accompagna in fattura le spedizioni di prodotto all’estero. Negli stessi anni la Mela Rossa Cuneo diviene oggetto di mostre pomologiche destinate ad un pubblico di frutticoltori professionali ma anche di consumatori e progressivamente consolida, nel primo decennio del XXI secolo, una sua identificazione commerciale in progetti di valorizzazione commerciale nei punti vendita della GDO del nord ovest italiano. Articolo 7. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare sono svolti dall’Istituto Nord Ovest Qualità Soc.Coop – INOQ, con sede a Moretta (CN), Piazza Carlo Alberto Grosso, 72, P.IVA, 02668340041 – Tel. 0172 911323, Fax 0172 911320, e-mail inoq@inoq.it Articolo 8. Etichettatura e Confezionamento La Mela Rossa Cuneo viene immessa al consumo utilizzando gli imballaggi ammessi dalla normativa vigente. L’identificazione del Prodotto IGP dovrà avvenire sulle confezioni e/o sui singoli frutti su cui dovrà apparire la dicitura “Mela Rossa Cuneo” IGP in modo chiaro e perfettamente leggibile e con dimensione prevalente su ogni altra dicitura presente. Nel caso di identificazione mediante bollino la bollinatura dovrà interessare almeno il 70% dei frutti. Sulle confezioni dovrà inoltre essere riportato il simbolo comunitario della IGP. E’ consentito in abbinamento alla dicitura “Mela Rossa Cuneo” IGP, l’utilizzo di indicazioni e/o simboli grafici che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi collettivi o marchi d’azienda individuali, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Nella designazione è, comunque, vietata l’aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare o di indicazioni complementari che potrebbero trarre in inganno il consumatore. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Piemonte | Cuneo, Torino |
Mela Val di Non Mela Val di Non DOP Disciplinare di produzione - Mela Val di Non DOPArticolo 1. Nome del prodotto La Denominazione di Origine Protetta “mela Val di Non” è riservata alle mele che rispondono alle condizioni e ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1. Le varietà - Le mele denominate “mela Val di Non” D.O.P. vengono prodotte utilizzando esclusivamente le seguenti varietà: Golden Delicious, Renetta Canada, Red Delicious. 2.2. Caratteristiche del prodotto 2.2.1 Aspetto esterno – All’atto dell’immissione al consumo i frutti devono essere interi, di aspetto fresco e sano, puliti, privi di sostanze ed odori estranei. I frutti dovranno essere di forma: - tronco-conica oblunga per Golden Delicious e Red Delicious; - tronco-conica o appiattita per Renetta Canada. La colorazione tipica dei frutti è: dal verde al giallo, a volte con faccetta rosata, per Golden Delicious; giallo-verdastra con buccia rugosa per Renetta Canada; rossa su fondo verde/giallo per Red Delicious. 2.2.2. Caratteristiche chimiche – Il tenore zuccherino dei frutti, entro due mesi dalla raccolta, deve rispondere ai seguenti valori minimi per le rispettive varietà: 12 °Brix per Golden Delicious; 9 °Brix per Renetta Canada; 9 °Brix per Red Delicious. Relativamente all’acidità i valori minimi, entro due mesi dalla raccolta, vengono indicati rispettivamente in: 5 meq NaOH/100 g per Golden Delicious; 8 meq NaOH/100 g per Renetta Canada; 3,5 meq NaOH/100 g per Red Delicious. Inoltre, entro due mesi dalla raccolta, i frutti di Golden Delicious devono presentare un valore minimo di Indice di Thiault << Zuccheri totali (g/l) + Acidità (g/l di acido malico) x 10 >> pari a 170. 2.2.3. Caratteristiche fisiche – I valori di durezza espressi in kg/cm2, entro due mesi dalla raccolta, non devono scendere al di sotto di: 5 per Golden Delicious; 5 per Renetta Canada; 5,5 per Red Delicious. 2.2.4. Calibro e categoria - La DOP "mela Val di Non" è riservata alle mele appartenenti alle categorie commerciali Extra e I^. Le caratteristiche minime di calibro sono indicate in 65 mm. I requisiti qualitativi minimi richiesti relativi alle diverse varietà, categorie, sono quelli stabiliti dalla normativa comunitaria, ai sensi del Reg. (CE) 920/1989 e successive modifiche. 2.2.5. Caratteristiche organolettiche – Le pregevoli caratteristiche organolettiche delle mele denominate “mela Val di Non” derivano dal giusto equilibrio dei parametri fisico-chimici sopra descritti. In particolare: - la Golden Delicious si distingue per la croccantezza e la succosità della polpa e per il peculiare sapore dolce-acidulo; - la Renetta Canada assume diversa consistenza e differenti sapori a seconda dell’epoca del consumo, passando da polpa croccante e decisamente acidula fino a polpa pastosa e dolce, mantenendo comunque forti connotati di specifica peculiarità organolettica; - la Red Delicious è caratterizzata da una polpa più pastosa e presenta un gusto prevalentemente dolciastro. Si riportano sinteticamente nella seguente tabella i parametri qualitativi per le mele denominate “mela Val di Non”, entro due mesi dalla raccolta. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della D.O.P. “mela Val di Non”, corrispondente al bacino idrografico del Torrente Noce ricadente nella Val di Sole e Val di Non, altrimenti chiamate Valli del Noce o Anaunia, è situata nella Provincia Autonoma di Trento. Tale zona, riferita alle relative Valli, come risulta dalla cartografia di riferimento, comprende l’intero territorio dei seguenti Comuni: Andalo, Amblar, Bresimo, Brez, Cagnò, Caldes, Campodenno, Castelfondo, Cavareno, Cavedago, Cavizzana, Cis, Cles, Cloz, Commezzadura, Coredo, Croviana, Cunevo, Dambel, Denno, Dimaro, Don, Flavon, Fondo, Livo, Malè, Malosco, Mezzana, Monclassico, Nanno, Ossana, Peio, Pellizzano, Rabbi, Revò, Romallo, Romeno, Ronzone, Ruffrè, Rumo, Sanzeno, Sarnonico, Sfruz, Smarano, Spormaggiore, Sporminore, Taio, Tassullo, Terres, Terzolas, Ton, Tres, Tuenno, Vermiglio, Vervò. Articolo 4. Elementi che comprovano l’origine 4.1. Riferimenti storici - Gli elementi che comprovano l’origine del prodotto sono costituiti da riferimenti storici che attestano la lunga tradizione frutticola di questo territorio. Questa si fa risalire a tempi molto antichi, come dimostrato anche dalla toponomastica (Malè deriva il suo nome dal latino Maletum, cioé “posto delle mele”, così come Malosco), oltre che dalle autorevoli fonti storiche (Carta di Regola del 1564 della Villa di Dardine e Carta di Regola di Cles del 1641). In una lettera del 1739 una nobile famiglia viene richiesta dell’invio a Vienna di un cesto di “pomi rosmarini”, già allora rinomati per l’eccellente qualità fin nella Capitale dell’Impero Asburgico. Dall’inizio del 1800 le fonti si fanno numerose e nella seconda metà del secolo i frutticoltori acquisiscono una nutrita serie di riconoscimenti e premi per la qualità della frutta portata alle esposizioni internazionali di quell’epoca. 4.2. Riferimenti culturali – Nella zona di produzione esistono numerose testimonianze pittoriche ed artistiche anche risalenti ad epoche pre-rinascimentali, che attestano l’importanza della mela nel contesto del territorio. Nutrita anche la produzione di forme poetiche dialettali dedicate alla mela ed alla produzione frutticola della valle. 4.3. Riferimenti sociali ed economici – Gli oltre 5000 produttori di “mela Val di Non”, organizzati prevalentemente nelle strutture cooperative di conservazione, lavorazione e vendita, insieme al cospicuo indotto economico derivante dalla gestione dei trasporti, degli imballaggi, della stessa lavorazione e confezionamento, costituiscono per le valli di produzione il sostanziale fondamento economico. 4.4. Rintracciabilità: A livello di controlli per l’attestazione di provenienza della produzione D.O.P., la prova dell’origine della “mela Val di Non” dalla zona geografica di produzione delimitata è certificata dall’organismo di controllo di cui all’articolo 7 sulla base di numerosi adempimenti cui si sottopongono i produttori interessati nell’ambito dell’intero ciclo produttivo. I principali di tali adempimenti, che assicurano la rintracciabilità del prodotto, in ogni segmento della filiera, cui si sottopongono i produttori e/o confezionatori sono i seguenti: - iscrizione ad un apposito elenco dei produttori di “mela Val di Non”; - tenuta del catasto di tutti i terreni sottoposti alla coltivazione di “mela Val di Non”; - tenuta di appositi registri di produzione e condizionamento. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1. Sistema di coltivazione – Le tecniche di coltivazione dei meleti atti a produrre la D.O.P. “mela Val di Non” sono riconducibili a quelle tradizionali, con l’obiettivo di mantenere il giusto equilibrio vegeto-produttivo e di conseguenza ottenere produzioni di elevata qualità. A tal fine i sistemi di allevamento adottati sono quelli a pieno vento e a fusetto. 5.2. Gestione del terreno – Le tecniche di produzione tradizionale adottate nella zona prevedono l’inerbimento del terreno tra le file per tutta la vita produttiva dell’impianto e lo sfalcio dell’erba nei mesi primaverili-estivi. Queste pratiche rivestono particolare importanza sia per la dotazione nutrizionale del terreno, attraverso una continua restituzione naturale di elementi, sia per la sua struttura fisica e biologica, salvaguardate dal mantenimento ed arricchimento della dotazione di sostanza organica. L’apporto di elementi nutritivi sotto forma minerale viene quindi a costituire una pratica integrativa di modesta quantità. 5.3. Controllo della produzione – Il controllo del carico produttivo viene eseguito attraverso una opportuna gestione delle operazioni di potatura ed interventi di diradamento, al fine di ottenere la miglior qualità delle produzioni. La potatura deve essere eseguita manualmente ogni anno durante il periodo invernale di riposo della pianta e deve mirare a garantire il giusto rapporto tra gemme a frutto e vigoria. 5.4. L’irrigazione – L’uso di sistemi irrigui è pratica ritenuta indispensabile per l’ottenimento di produzioni di qualità, e viene eseguita da marzo ad ottobre secondo le necessità. 5.5. La raccolta – La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano e deve effettuarsi nei mesi di agosto, settembre, ottobre e prima quindicina di novembre a seconda della maturazione fisiologica delle varietà. 5.6. Le produzioni – Le produzioni massime realizzabili non possono superare le 68 t/ha, nell’intera zona di produzione. 5.7. La conservazione – Dopo la raccolta, le mele devono essere conservate in celle frigo in atmosfera controllata o in strutture idonee a garantire la conservabilità dei frutti, purchè sotto il controllo dell’Organismo di Controllo autorizzato al fine di garantire la tracciabilità del prodotto. 5.8. Confezionamento – Le mele denominate “mela Val di Non” devono essere confezionate in imballaggi o confezioni tali da consentire la chiara identificazione del prodotto. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente 1. Ambiente naturale - La vocazionalità del territorio per la produzione di mele di elevato pregio organolettico-qualitativo è riconducibile alle esclusive matrici geologiche di tipo calcareodolomitico, non riscontrabili in altre aree a destinazione frutticola. Ottimali i valori della sostanza organica e dell’Azoto, buoni i contenuti degli altri macroelementi nonché degli elementi minori. Molto favorevoli sono pure le caratteristiche climatiche di questa regione frutticola alpina, che si manifestano soprattutto negli andamenti pluviometrici e termici, tra i quali si distingue la peculiarità delle escursioni termiche autunnali, mediamente superiori ai 16 °C, passando ad esempio da minime notturne di 2-6 °C a massime di 18-22 °C, e dell’umidità relativa, che presenta in quel periodo valori indicativi del 75%. Pochi gli eventi grandinigeni ed abbastanza rare le gelate primaverili che possano influire significativamente sulle produzioni. Anche il territorio naturale, inserito in un contesto alpino caratterizzato da tipiche associazioni floristiche e da una peculiare fauna selvatica, come descritto da botanici e da naturalisti, testimonia l’unicum ambientale e territoriale tra coltivazione e natura. 2. Ambiente umano - Congiuntamente all'ambiente naturale il fattore "uomo", con la sua secolare tradizione, ha contribuito in maniera determinante a caratterizzare il forte legame esistente tra la "Mela Val di Non" e l'area delimitata di produzione, così come descritto nelle notizie storiche relative alla prova dell'origine e comprovato da una consistente bibliografia di carattere storico-culturale e scientifico. Grazie al forte radicamento della popolazione rurale nell'area di produzione considerata, con tutta la sua tradizionale esperienza, con le sue capacità culturali tramandate da generazione in generazione, con la continua ricerca e messa in atto di tradizionali e specifiche tecniche colturali, si sono determinate le condizioni affinché la coltivazione della "mela" si consolidasse nel tempo, fino ad oggi, come un patrimonio storico-tradizionale e culturale di tutto il territorio, oltre che come fondamentale risorsa economica. Oggi, infatti, ben 15.000 persone, su un totale di 35.000, dell'area frutticola considerata sono coinvolte nella filiera produttiva della mela. Ecco perché il ritmo della vita della popolazione dell'area è scandito dalle fasi fenologiche di produzione della mela (in particolare della fioritura e della maturazione e raccolta) e tante feste popolari, avvenimenti culturali e convegni sono legati al frutto "mela" ed all'autentico significato che la coltura riveste in un'agricoltura integrata di montagna, sia in termini di salvaguardia del territorio e dell'ambiente naturale che della tradizione culturale. 3. Connessione fattori ambientali naturali e umani. Dalla connessione dei predetti fattori del tutto eccezionali, risulta evidente che l'ambiente naturale, climatico e umano delle vallate interessate costituiscono un unicum inscindibile. Tale connessione ha contribuito ad ottenere un prodotto "mela" del tutto peculiare, con caratteristiche organolettiche e qualitative uniche e altamente rinomato, tant'è che la mela proveniente dalla Val di Non gode ovunque di un'alta reputazione sia in termini socio-economici che commerciali, così come risulta dimostrato dalla sua partecipazione a numerose mostre e manifestazioni a livello nazionale ed internazionale, con la conquista dei relativi premi ed attestati di benemerenza. Tutto ciò è dovuto al "totalizzante" coinvolgimento - culturale, lavorativo ed economico - degli abitanti della zona nel processo produttivo della "mela Val di Non", che ha contribuito a determinare un forte legame del prodotto stesso con l'ambiente ed, in particolare, a sviluppare nel corso del tempo un profondo legame "sentimentale" tra le genti delle Valli interessate e questo frutto eccezionale. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510 del 20 marzo 2006. Tale struttura è l’organismo di controllo CSQA, via San Gaetano 74, I-36016 Thiene (VI), Tel. +39.0445.313011, fax +39.0445.313070, e-mail: csqa@csqa.it. Articolo 8. Etichettatura Sulle confezioni di vendita o sui singoli frutti dovrà apparire la dicitura D.O.P. “mela Val di Non”. Nella designazione è vietata l’aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare o di indicazioni complementari che potrebbero trarre in inganno il consumatore. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Prov. Aut. di Trento | Trento |
Melannurca Campana Melannurca Campana IGP Disciplinare di produzione - Melannurca Campana IGPArticolo 1. L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Melannurca Campana” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento (CEE) n.2081/1992 e dal presente Disciplinare di Produzione. Articolo 2. L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) "Melannurca Campana” designa i frutti dei biotipi riferibili alle cultivar di melo “Annurca” e "Annurca Rossa del Sud", prodotti nel territorio ricadente nella regione Campania e definito nel successivo art.3. Articolo 3. La zona di produzione della I.G.P. "Melannurca Campana”, comprende i territori, interi o parziali, dei seguenti comuni ricadenti nelle province di Avellino, Benevento, Caserta, Napoli e Salerno. Provincia di Avellino Comuni parzialmente interessati: Cervinara, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Montesarchio; Est dal confine con il comune di S. Martino V.Caudina fino all’altezza della strada provinciale Rotondi-S. Martino V.C.; Sud dalla strada provinciale Rotondi-S. Martino V.C.; Ovest dal confine con il comune di Rotondi fino alla provinciale Rotondi-S. Martino V.C.. Montoro Inferiore, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla via Pescarola per l’intero tratto tra l’innesto con la via Marconi della frazione Preturo e l’innesto con la via Mercatello della frazione Borgo, inoltre, dalla via Marconi della frazione Preturo per il tratto che va dall’innesto con via Pescarola all’innesto con la via Variante; Est dalla SP 90 (detta Borgo) dall’innesto con via Pescarola fino al congiungimento con la SP Turci nella frazione Piazza di Pandola e seguendo tale strada fino alla frazione Misciano all’altezza del ponte del raccordo autostradale SA-AV; Sud dal confine con la provincia di Salerno nel tratto compreso tra la SP Turci e la SS 18; Ovest dalla linea ferroviaria BN-AV-SA nel tratto compreso tra il punto d’intersezione di questa con via Granaro fino al passaggio a livello di Casa Pellecchia e da qui lungo la SS 18 fino al confine con la provincia di Salerno. Montoro Superiore, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada vicinale “Vallone delle Macchie”, nel tratto compreso dall’incrocio con la SP 90 fino all’incrocio con la SP 104 che collega la frazione Banzano; Est dalla SP 104 tra l’innesto di questa con la via vicinale “Vallone delle Macchie” fino all’altezza di via dell’Aia della frazione Caliano e da questa fino all’incrocio con la SP Piano-S. Pietro, quindi, partendo da quest’incrocio lungo via Leone fino al congiungimento con via Turci; Ovest dalla strada provinciale Borgo nel tratto compreso dall’innesto con via Pescarola fino a quello con via Turci. Rotondi, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con la provincia di Benevento; Est dal confine con il comune di Cervinara fino all’altezza della strada ex SS 374; Sud dalla strada ex SS 374; Ovest dal confine con il comune di Paolisi fino all’altezza della linea ferroviaria Valle Caudina. S. Lucia di Serino, l’area interessata è delimitata a: Nord-Est dalla strada provinciale che attraversa il centro abitato di S. Lucia collegandolo con Atripalda; Sud dal confine comunale di Serino; Ovest dai confini con i comuni di S. Michele di Serino e S. Stefano del Sole. S. Martino Valle Caudina, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con la provincia di Benevento; Est dal confine con il comune di Pannarano fino all’altezza della strada provinciale Rotondi-Pannarano; Sud dalla strada provinciale Rotondi-Pannarano; Ovest dal confine con il comune di Cervinara. S. Michele di Serino, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Cesinali; Est dai confini con i comuni di S. Stefano del Sole e S. Lucia di Serino; Sud dal confine con il comune di Serino; Ovest dalla linea ferroviaria Avellino-Mercato S. Severino. S. Stefano del Sole, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Cesinali; Est dalla strada provinciale che collega S. Lucia ad Atripalda; Sud dal confine con il comune di S. Lucia di Serino; Ovest dal confine comunale con S. Michele di Serino. Serino, l’area interessata è delimitata a: Nord dai confini con i comuni di S. Michele di Serino e S. Lucia di Serino; Est dalla SP 28 che collega la frazione Ponte del comune di Serino al comune di S. Lucia di Serino; Sud dal punto di confluenza della SP 28 “frazione Ponte di Serino-S. Lucia di Serino” e della strada provinciale “frazione Ponte di Serino-S. Michele di Serino”; Ovest dalla strada che collega la frazione Ponte del comune di Serino al centro abitato di S. Michele di Serino. Provincia di Benevento Comuni interamente interessati: Amorosi, Dugenta, Limatola, Puglianello, S. Salvatore Telesino, Telese. Comuni parzialmente interessati: Airola, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Moiano e Bucciano, a partire dalla rotabile Moiano-Airola; Est dal confine comunale con il comune di Bonea e dal confine amm.vo provinciale; Sud dal confine col comune di Paolisi; Ovest dalla rotabile Moiano-Airola e dalla strada provinciale Caudina per il tratto che collega il centro abitato di Airola con la Nazionale Appia nei pressi del cavalcavia della linea ferroviaria “Valle Caudina”. Bonea, l’area interessata è delimitata a: Nord nel primo tratto dalla strada comunale che dalla C.da Fizzo porta al centro abitato passando per le località “Cavarena”, “Guide” e “San Biagio”; nel secondo tratto dalla strada comunale che collega il comune di Bonea con la C.da “Varoni” del comune di Montesarchio passando per C.da “Mosca”; Est dal confine col comune di Montesarchio partendo dall’intersezione della strada Bonea-Varoni fino al limite provinciale; Sud dal confine amm.vo con la provincia di Avellino; Ovest dal confine col comune di Airola fino all’intersecazione della strada Bucciano-Montesarchio. Bucciano, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada provinciale Frasso Telesino-Bucciano-Montesarchio; Est e Sud dal confine col comune di Airola; Ovest dal confine col comune di Moiano. Durazzano, l’area interessata comprende tutta l’area pianeggiante adiacente la strada Sant’Agata dei Goti-Durazzano-Cervino, delimitata a: Nord dal rilievo di M. Longano; a Est dal confine con il comune di Sant’Agata dei Goti e dai rilievi di M. Buzzano e M. Aglio, a Sud ed Ovest dal confine amm.vo con la Provincia di Caserta. Faicchio, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada statale che collega Gioia Sannitica con Faicchio fino al centro abitato, successivamente del torrente Titerno nel tratto che va dal centro abitato al confine col comune di S. Lorenzello; Est dal confine col comune di S.Lorenzello; Sud dal confine con i comuni di S. Salvatore Telesino e Puglianello; Ovest dal confine amm.vo con la Provincia di Caserta. Frasso Telesino, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Melizzano; Est dalla rotabile Solopaca-Frasso Telesino-Bucciano; Sud dal confine col comune di S.Agata dei Goti; Ovest dal confine col comune di Dugenta. Melizzano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Amorosi, Telese e Solopaca; Est dalla strada che collega Solopaca con Frasso Telesino; Sud dal confine con i comuni di Frasso Telesino e Dugenta; Ovest dal confine amm.vo con la provincia di Caserta. Moiano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di S.Agata dei Goti; Nord-Est dalla strada provinciale FrassoT.-Bucciano; Est dal confine col comune di Bucciano; Sud dal confine col comune di Airola; Ovest dalla provinciale Airola-Moiano-S.Agata dè Goti. Montesarchio, l’area interessata è delimitata a: Nord-Est per un primo tratto dal confine con Bonea ed il centro abitato di Montesarchio, dalla strada che collega Bonea con Montesarchio passando per C.da Varoni; per un secondo tratto dalla statale Appia fino al limite provinciale; Sud dal confine amm.vo con la Provincia di Avellino; Ovest dal confine col comune di Bonea. Paolisi, l’area interessata è delimitata a: dal confine col comune di Airola; Est dal confine amm.vo con la Provincia di Avellino; Sud dalla linea ferroviaria “Valle Caudina”; Ovest dal confine col comune di Arpaia. S. Lorenzello, l’area interessata è delimitata a: Nord dal torrente Titerno; Est dal confine con i comuni di Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi; Sud dal confine con il comune di Castelvenere; Ovest dal confine con i comuni di Faicchio e S. Salvatore Telesino. Sant’Agata dei Goti, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Frasso Telesino e Dugenta; Est dalla strada provinciale Frasso Telesino-Bucciano, da un tratto del confine con il comune di Moiano e dalle strade provinciali Durazzano-S.Agata dei Goti e S.Agata dei Goti-Moiano; Sud dal confine col comune di Durazzano; Ovest dal confine amm.vo con la Provincia di Caserta. Provincia di Caserta Comuni interamente interessati: Aversa, Bellona, Caianello, Calvi Risorta, Camigliano, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Grazzanise, Gricignano, Lusciano, Orta di Avella, Parete, Pastorano, Pignataro Maggiore, Riardo, S. Arpino, S. Cipriano d’Aversa, S. Maria la Fossa, S. Marcellino, S. Tammaro, Sparanise, Succivo, Teano, Teverola, Trentola-Ducenta, Villa di Briano, Vitulazio. Comuni parzialmente interessati: Ailano, l’area interessata è delimitata a: Nord-Est dalla strada comunale S.Maria Zanneto lungo la curva livello di 275 m. s.l.m., sino al nucleo abitato di Ailano e da qui lungo la strada comunale del comune di Raviscanina sino a raggiungerlo; Sud dal confine col comune di Vairano Patenora. Alvignano, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla vicinale che collega masseria Melone con mass. la Vecchia; Est dal confine col comune di Ruviano; Sud dai confini con i comuni di Ruviano e Caiazzo; Ovest seguendo la curva di livello del monte Caracciolo, quota 108 m. s.l.m., fino alla strada SS. 158, poi seguendo il rio Tella fino a mass. Melone. Baia e Latina, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dalla strada vicinale che staccandosi dalla prov. Dragoni-Baia e Latina collega mass. Burrelli a mass. le Morecine fino al confine com.le con Alife; Nord-Est dal confine col comune di Alife; Sud-Est dal confine col comune di Dragoni; Sud-Ovest dalla strada prov. Dragoni-Baia e Latina nel tratto dal confine con Dragoni fino a ponte Murato. Caiazzo, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Alvignano; Est dal confine col comune di Ruviano; Sud-Est dalla strada SS.78 Sannitica nel tratto da mass. Fasulo a mass. Pisciacchione; si segue poi la comunale per mass. Pietramarino- la Torre- mass. Santoro, da qui si segue la strada Caiazzo-Alvignano fino a mass. Pescara, proseguendo in direzione S.Pietro-Trappeto fino a Mondrone. Capua, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Vitulazio, Bellona e Pontelatone; Est dalla vicinale che dal Volturno porta a mass. Conte Mauro, da qui seguendo la SS. Sannitica N.87 in direzione c.da Mazzarella fino a S.Angelo in Formis; da qui, in direzione sud, seguendo la curva di livello, a quota 50 m.s.l.m., del monte Tifata fino al confine con S. Prisco; Sud dai confini con i comuni di S. Maria la Fossa, S. Tammaro, S. Maria C.V. e S. Prisco; Ovest dal confine col comune di Cancello Arnone. Carinola, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con Sessa A. lungo la SS Appia fino all’incrocio per Ventaroli, da qui seguendo la strda per S.Ianni, risalendo lungo la strada per Cappelle fino al confine con Teano; Est dai confini con i comuni di Teano e Francolise; Sud dalla Ciamprisco-Nocelleto-Carinola; Ovest dalla strada Carinola-Cascano. Castel di Sasso, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Pontelatone e dalla strada Cisterna-Strangolagalli nel tratto mass. Adinolfi-S.Marco- Strangolagalli; Est dalla strada Strangolagalli-mass. Lombardi fino al confine con Piana di Caiazzo, seguendo poi questo confine (in direzione sud) fino alla strada Taverna Nuova-Piana di Caiazzo; Sud lungo la strada Taverna Nuova-Piana di Caiazzo nel tratto da mass. S.Berardino a mass. Castagna; Ovest dal confine col comune di Pontelatone. Cellole, l’area interessata è delimitata a: Nord, Est e Ovest dal confine con il comune di Sessa Aurunca; a Sud-Ovest dalla SS n. 7-quater Domitiana fino ad incontrare il comune di Sessa Aurunca. Conca della Campania, l’area interessata è delimitata a: Nord-Est con la SS 6 Casilina; Nord-Ovest dal confine col comune di Mignano Montelungo; Ovest dal confine col comune di Galluccio; Sud a partire dal confine com.le con Galluccio in loc. Selva Seggi lungo la vicinale che porta a Vezzuola, loc. Pantanello, loc. Gli Stagli, loc. Viapiano; da qui lungo la strada Orchi-Tuoro di Teano fino al confine comunale con Tora e Piccilli. Dragoni, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dal confine col comune di Baia e Latina; Nord-Est dal confine col comune di Alife; Sud-Est dalla SS. 158 nel tratto da ponte Margherita a loc.Pantano; Sud-Ovest dalla strada provinciale Dragoni-Baia e Latina, nel tratto loc.Pantano- confine com.le di Baia e Latina. Falciano del Massico, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dalla strada Mondragone-Falcione del Massico fino al confine comunale con quest’ultimo; ad Est con il confine di Carinola; a Sud-Est dal confine con il comune di Mondragone. Formicola, l’area interessata è delimitata a: Nord/Nord-Est dalla strada che collega Rocchetta e Croce a Fondola, Cavallari, Formicola fino in loc. mass. Campo ad incontrare il confine con Pontelatone; Sud dal confine col comune di Pontelatone; Ovest dai confini con i comuni di Giano Vetusto, Camigliano e Bellona. Francolise, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Teano e Sparanise; Est dal confine col comune di Sparanise; Sud dal confine con il comune di Cancello A. fino all’incrocio con la strada Brezza-S.Andrea-Pizzone-Ciamprisco, e dalla suddetta strada fino al confine con Carinola; Ovest dai confini con i comuni di Carinola e Teano. Galluccio, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Rocca d’Evandro e Mignano M.; Est dal confine col comune di Conca della Campania; Sud a partire dal confine con Conca della Campania dalla vicinale che congiunge loc. Madonna del Sorbello, Fortinelli, Spicciano e Fulighi; e dal confine col comune di Sessa Aurunca; Ovest dal confine col comune di Rocca d’Evandro. Giano Vetusto, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Rocchetta fino all’incrocio con la strada comunale Selva a quota 275 m. s.l.m.; Nord-Est dalla strada comunale Selva e dalla strada comunale Capitolo fino al centro abitato di Giano. Si prosegue lungo la strada vicinale Fontana e per la strada comunale che collega Giano a Camigliano sino al confine amm.vo di tale comune; Sud-Ovest dai confini con i comuni di Pignataro e Pastorano; Ovest dal confine col comune di Calvi Risorta. Maddaloni, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Valle di Maddaloni; Est/Sud-Est dalla curva di livello, quota 200 m. s.l.m., del colle Castellone passando per mass. Garofalo, loc. la Crocella, e si chiude in corrispondenza della intersezione della via Sannitica con la strada che porta alla stazione ferroviaria di Maddaloni Inferiore; Ovest dalla curva di livello, quota 195 m. s.l.m., del monte S. Michele. Marzano Appio, l’area interessata è delimitata a: Nord Ovest dal confine con i comuni di Tora e Piccilli e Presenzano; Est dal confine col comune di Vairano P.; Sud dal confine col comune di Caianello; Ovest dal confine col comune di Caianello, poi da Tuoro Casale dalla strada per Fragoni, Piedituoro, Mass. Vespasiano, Mass. Santi, Boiani, Ameglio, Centella, mass. Ciorlano fino alla SS.n.6 e proseguendo in direzione nord lungo la vicinale che costeggia la loc.Castagneto fino al confine col comune di Tora e Piccilli. Mignano Montelungo, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada ferrata, dal fiume Peccia fino a Vaco, poi dalla vicinale costeggiando loc. Romano fino alla SS Casilina; da qui lungo la curva di livello del monte Rotondo a quota 150 m. s.l.m. fino a mass. Porcaro; Est da mass. Porcaro lungo la curva di livello del monte Cavallo, monte Cesina, quota 200 m. s.l.m., e del colle Amato; Sud dai confini con i comuni di Conca della Campania e Galluccio; Ovest dal confine con Galluccio lungo la vicinale per Caspoli, la strada per Campo, Casale, loc.Teroni, di qui seguendo Fosso Camponi ed il Fosso del Lupo fino al confine regionale col Lazio. Mondragone, l’area interessata è delimitata ad Ovest dalla strada che congiunge la località Masseria del Papa con la località Casino della Starza; di qui al confine Nord prosegue lungo la strada per Falciano del Massico, fino al relativo confine comunale; a Nord-Est dal confine con il comune di Falciano del Massico; a Sud dal canale Savane nel tratto compreso tra il confine con detto comune e la località Masseria del Papa. Pietramelara, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada Riardo-Pietramelara- Baia; Est dal confine col comune di Roccaromana; Ovest dal confine del comune di Riardo; Sud dalla curva di livello di 300 m. s.l.m. sino a località Ceraselle e da qui sino alla località di Valle di Trabucco, lungo la curva di livello di 400 m. s.l.m., quindi lungo la strada comunale tra Pietramelara ed il comune di Rocchetta, in direzione di quest’ultimo a quota 500 m. s.l.m. e infine, lungo la curva di livello di 300 m. s.l.m. fino al confine con il comune di Riardo. Pietravairano, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dal confine col comune di Vairano P.; Nord-Est: dai confini con i comuni di Raviscanina, S. Angelo d’Alife; Sud-Est dal confine con i comuni di Pietramelara, Roccaromana, Baia e Latina; dal confine col comune di Baia e Latina -in loc.Santoianni- si segue la vicinale a quota 133 m.s.l.m. per mass. Vaccareccia, questa costeggia il bosco di monte Fossato, per raggiungere poi mass.Brunori, mass.Starze, loc.Puglianello, loc.Bocca della Petrosa, infine costeggia monte Monaco fino ad incontrare il confine col comune di Pietramelara; Sud dal confine con i comuni di Riardo e Pietramelara. Pontelatone, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dal confine col comune di Formicola; Est partendo dal confine con Formicola seguendo la strada per Savignano- Casalicchio, da qui lungo la vicinale per mass. Corterosa, poi lungo la curva di livello del monte Nizzola, quota 130 m. s.l.m, .fino a Prea; da Prea a Cisterna si segue il confine con comune di Castel di Sasso; da Cisterna si segue la strada per mass. Aia Vecchia-mass. Adinolfi fino ad incontrare nuovamente e seguire (verso sud) il confine comunale di Castel di Sasso fino a mass. Castagna; Sud dalla strada che, proveniente dalla Fagianeria congiunge mass. Castagna-Taverna Nuova-mass. Uranno fino al confine con Bellona; Ovest dal confine con i comuni di Bellona e Camigliano. Pratella, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada che collega la località mass. Quattro Stradoni con località Mastrati per poi proseguire per il vallone che costeggia il colle di Mastrati sino al crinale del Monte Cappella a quota 650 m. s.l.m., continuando lungo il vallone Rava della Stella fino in prossimità dell’abitato di Pratella ed infine verso località Colle Pizzuto sino al confine del comune di Ailano; Sud-Est dal confine del comune di Ailano; Sud dal confine col comune di Vairano-Patenora; Ovest dai confini con i comuni di Sesto Campano e Presenzano. Presenzano, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dalla strada comunale che parte dal km 164 della SS N. 6 Casilina sino alla località mass. Quercia al centro abitato di Presenzano, per poi seguire la curva di livello di 300 m. s.l.m., sino alle condotte della centrale idroelettrica di Presenzano e da qui lungo la curva di livello di 200 m. s.l.m. fino al confine comunale di Sesto Campano; Nord-Est dai confini con i comuni di Sesto Campano e Pratella; Est/Sud-Est dal confine col comune di Vairano P.; Sud dal confine col comune di Marzano Appio; Sud-Ovest dal confine col comune di Tora e Piccilli. Rocca d’Evandro, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine regionale con il Lazio (comune di Cassino); Est dal confine col comune di Mignano M., seguendo poi il fiume Peccia fino alla vicinale che porta a loc. Colli e da qui a Rocca d’Evandro; da qui lungo la strada vicinale per Campolongo, Cucuruzzo, loc. Campanara fino al confine con Galluccio; Sud dal confine col comune di Sessa Aurunca; Ovest dal confine regionale con il Lazio (comuni di Castelforte, S. Andrea, S. Ambrogino, S. Apollinare). Roccamonfina, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada Fontanafredda- S.Domenico-Roccamonfina-Tavola-Tuoro di Tavola; Est dal confine col comune di Marzano Appio, poi dalla vicinale Tuoro di T.-Garofali fino ad incontrare e seguire il confine con il comune di Teano; Sud dalla vicinale che staccandosi dal confine con Teano in loc. Cambre giunge, lambendo il monte Torrecastiello fino a loc. mass. Perrotta; da qui segue il confine comunale con Sessa A. fino a loc. “le Forche”; Ovest dalla vicinale che congiunge “le Forche”-m. di Sotto-Fontanafredda. Roccaromana, l’area interessata è delimitata a: Est e Sud dal confine amministrativo, al 1994, della Comunità Montana Monte Maggiore; Ovest dal confine col comune di Petramelara. Ruviano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Alvignano; Est dalla vicinale che collega mass. Franco a loc. Ponte Nuovo; Sud-Est dalla strada SS. 87 Sannitica nel tratto Ponte Nuovo-Mass. Fasulo; Ovest dal confine con i comuni di Alvignano e Caiazzo. S. Pietro Infine, l’area interessata è delimitata a: Nord-Est dal confine amm.vo, al 1994, della Comunità Montana Monte S. Croce; Sud dal confine col comune di Mignano M.; Nord- Ovest dal confine regionale con il Lazio (comune di S. Vittore). Sessa Aurunca, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dal confine regionale col Lazio; Nord-Est dal fiume Garigliano in loc. Taverna Vecchia lungo la mulattiera TavernaV.- mass. Tonda, Aconursi, Corigliano; da Corigliano lungo la strada che congiunge Corigliano-Li Paoli- Fontanaradina-Ponte; Est dalla strada che congiunge Ponte-Sessa A. fino all’incrocio con la SS. Appia in loc. S.Rocco; Sud dalla strada che staccandosi dalla SS. Appia raggiunge la frazione Avezzano e prosegue verso le frazioni Corbello, Carano e Piedimonte Massicano, fino all’incrocio con la SS n. 7-quater Domiziana, da qui il confine Ovest prosegue lungo la medesima SS n. 7-quater Domiziana fino al confine con il comune di Cellole. Tora e Piccilli, l’area interessata è delimitata a: Nord-Ovest dal confine con il comune di Conca della Campania; Nord-Est dal confine col comune di Presenzano; Sud dalla strada Conca della Campania-Tuoro di Teano-Piccilli fino a loc.Convento S. Antonio; poi lungo la vicinale che da Convento S. Antonio raggiunge Piccilli; da qui lungo la strada che da Piccilli lambisce loc. Fontana Caponi, e poi lungo la vicinale che raggiunge il confine di Marzano Appio. Vairano Patenora, l’area interessata è delimitata a: Nord dai confini con i comuni di Pratella e Ailano; Est dal confine con il comune di Pietravairano, poi da mass. S. Pasquale segue la strada per Cirelli, Marzanello, Acquarelli; da qui segue la vicinale per loc. il Palazzone, loc. Cava, contrada Pizzomonte fino a costeggiare l’abitato di Vairano P.; da qui segue la strada per Greci fino a loc. Marcone; da loc. Marcone segue la curva di livello, quota 144 m. s.l.m., costeggiando mass. Pacchiadiello, mass. del Parco, mass. Ferraro, loc. Falso Piano, fino a Scafa di Vairano; da qui lungo il tratturo, a quota 112 m. s.l.m., fino ad incontrare il confine col comune di Ailano; Sud dal confine con i comuni di Pietravairano e Riardo; Ovest dai confini con i comuni di Caianello, Marzano Appio, Presenzano. Valle di Maddaloni, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Caserta; Est dal confine amm.vo con la Provincia di Benevento fino alla strada pedemontana che collega mass. Benzi a mass. Papa; Sud-Est dalla pedemontana mass. Pepe-mass. Benzi in direzione loc. Molino; poi dalla curva di livello del monte Airola, quota 200 m. s.l.m., fino alla intersezione col confine con Maddaloni; Sud dal confine col comune di Maddaloni; Nord-Est a partire dal confine con Maddaloni lungo la curva di livello, quota 195 m. s.l.m., della dorsale monte Calvi, monte Manio, fino da incontrare il confine con il comune di Caserta. Villa Literno, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Cancello Arnone; Est dai confini con i comuni di Casal di Principe e S. Cipriano d’Aversa; Sud dal confine col comune di Qualiano; Ovest dalla strada di bonifica proveniente dal lago Patria, che a partire da loc. Scorza di Radice, in direzione nord incrocia le provinciali Trentola-Ischitella in loc. “le Trenta moggia”, e Villa Literno-Domitiana in loc. “Giardino”, fino al raggiungimento dei Regi Lagni, al confine con comune di Cancello Arnone. Provincia di Napoli Comuni interamente interessati: Acerra, Brusciano, Caivano, Calvizzano, Castello di Cisterna, Marano di Napoli, Mariglianella, Marigliano, Mugnano di Napoli, Nola, Pomigliano d’Arco, Qualiano, Quarto, Saviano, S. Antimo, S. Vitaliano, Villaricca. Comuni parzialmente interessati: Bacoli, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla Masseria Strigari; Est dalle Masserie Baccalà, Coppola e Salemme; Sud dalla C. Scamardella proseguendo per la cava di tufo; Ovest dalla loc. Trippitello e dal Castello di Baia. Cercola, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Volla e Pollena-Trocchia; Est dal confine col comune di Pollena Trocchia; Sud dal confine con il comune di Massa di Somma; Ovest dal confine col comune di S. Sebastiano al Vesuvio, dalla strada che congiunge Massa di Somma a S. Sebastiano al Vesuvio e dal confine col comune di Napoli. Giugliano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine amm.vo con la Provincia di Caserta; Est dai confini con i comuni di S.Antimo, Melito, Mugnano, Villaricca, Qualiano, Frazione di Villaricca e Quarto; Sud dal confine col comune di Pozzuoli; Ovest il limite è costituito dal Canale Vico Patria, dal punto in cui incontra il confine con la provincia di Caserta fin dove incrocia la Tangenziale di Napoli; dalla Tangenziale di Napoli, dal punto in cui incontra il canale suddetto al quadrivio di Patria; dalla Circumvallazione Esterna di Napoli dal quadrivio di Patria fino all’incrocio con la via Domitiana; dalla stessa via Domitiana, dall’incrocio con la Circumvallazione di Napoli, in direzione sud, fino al punto in cui la stessa incrocia la via Madonna di Pantano in località Licola. Massa di Somma, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Cercola; Est dal confine con Pollena T. fino alla SS n. 268; Sud dalla SS n. 268; Ovest dal confine con il comune di S. Sebastiano al Vesuvio. Ottaviano, l’area interessata è delimitata a: Nord ed Est dal confine con i comuni di Nola e S. Gennaro Vesuviano; Sud dal confine con il comune di S. Giuseppe Vesuviano; Ovest dalla statale n. 268 variante del Vesuvio e dal confine col comune di Somma Vesuviana. Napoli, la prima area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Marano e di Quarto; Est dalla strada provinciale Marano-Pianura; Sud da via Pallucci, via Provinciale Pianura fino al confine con il comune di Pozzuoli; Ovest dal confine col comune di Pozzuoli. La seconda area interessata confina a: Nord con il confine del comune di Mugnano di Napoli passando per via Cupa della Filanda proseguendo in direzione Sud-Est per via Piedimonte d’Alife, via Vicinale Vecchia Miano-Piscinola, in direzione Sud per via Miano, in direzione Est per viale Colli Aminei, via M. Pietravalle, in direzione Sud per via Pansini, via Montesano, in direzione Nord per via G. Quagliariello, strada comunale Santa Croce ad Orsolone, via Cupa della Paradina, strada comunale Margherita, Cupa 1° Vrito sino ad incontrare il comune di Marano di Napoli. Pollena Trocchia, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Volla e Casalnuovo; Est dal confine con il comune di S. Anastasia; Sud dalla statale n. 268 variante del Vesuvio; Ovest dal confine con il comune di Massa di Somma. Pozzuoli, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Quarto; Est dal confine col comune di Napoli; Sud il limite è costituito da via Cofanara, dal punto in cui incontra il confine con il comune di Napoli fino alla sua immissione in via Pietrarsa; da via Pietrarsa fino alla sua immissione in via S. Vito; da via S. Vito fino alla sua immissione sulla via Campana all’altezza del raccordo della Tangenziale di Napoli; Ovest da via Campana dall’incrocio con il raccordo della Tangenziale di Napoli fino al confine col comune di Quarto. S. Anastasia, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con i comuni di Casalnuovo e Pomigliano; Est dal confine col comune di Somma Vesuviana; Sud dalla strada statale n. 268 variante del Vesuvio; Ovest dal confine col comune di Pollena Trocchia. S. Giuseppe Vesuviano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Ottaviano; Est dal confine con i comuni di S. Gennaro V. e Poggiomarino; Sud dal confine con i comuni di Poggiomarino e Terzigno; Ovest dalla statale n. 268 variante del Vesuvio. S. Sebastiano al Vesuvio, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Cercola; Est dal confine con Massa di Somma; Sud ed Ovest dalla statale n. 268 variante del Vesuvio. Somma Vesuviana, l’area di interesse è delimitata a: Nord-Ovest dal confine con i comuni di Castello di Cisterna e Brusciano; Nord dal confine con i comuni di Mariglianella e Marigliano; Est dal confine con i comuni di Scisciano, Saviano, Nola e Ottaviano; Sud dalla strada statale n. 268 variante del Vesuvio; Ovest dal confine col comune di S. Anastasia. Provincia di Salerno Comuni interamente interessati: Bellizzi, Montecorvino Pugliano. Baronissi, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine comunale con Fisciano - tratto che, partendo dal km. 10 della SS n. 88, costeggia Bolano fino a giungere poco sopra Orignano-; Est dalla strada che da sopra Orignano costeggia Caprecano e Fusara; Sud dalla curva di livello che da Fusara costeggia Ervanita, Vissiniello, quindi da strada che attraversa Aiello giunge sulla SS n. 88 tra il km 6 e il km 7; Ovest dalla strada che, partendo dalla statale n. 88, nei pressi di Acquamela, attraversa Saragnano, Capo Saragnano, Casa Napoli, si immette sulla SS 88 all’altezza di Baronissi fino a giungere al confine comunale con Fisciano. Battipaglia, l’area interessata è delimitata a: Sud, partendo dal punto nei pressi del podere S. Donato, dal fiume Tusciano che passa sotto Cifariello, si immette, prima di Fosso, sulla strada che attraversa Tavernola, Tenente Santa Lucia, S. Lucia inferiore, risale fino a S. Lucia superiore, si immette sulla SS n. 18 tra il km 76 e il km 77, risale lungo la SS 18 fino al km 73, prosegue verso Battipaglia che costeggia immettendosi sulla SS n. 19 tra il km 1 e il km 2 fino al confine con il comune di Eboli dopo il km 3 della SS 19; Est lungo il confine con il comune di Eboli fino all’intersezione dei comuni di Eboli e Olevano; Nord lungo il confine con il comune di Olevano e di Montecorvino Rovella fino all’intersezione tra i comuni di Montecorvino R., Bellizzi e Battipaglia; Ovest lungo il confine con il comune di Bellizzi e poi di Pontecagnano lungo il torrente Lama fino ad immettersi nel fiume Tusciano. Campagna, l’area interessata è delimitata a: Nord dal punto di intersezione tra la SS n. 91 al km 126 e la strada prov.le proveniente da Verticelli e Rofigliani in corrispondenza di Quadrivio; Ovest dalla SS n. 91 da Quadrivio fino al confine del comune di Eboli e da questo fino all’intersezione dei comuni di Eboli, Serre e Campagna sul fiume Sele nei pressi della piana di Vicario; Sud dal fiume Sele attraverso il Ponte Sele lungo la strada che immette alla località Verticelli; Est da località Verticelli lungo la strada provinciale fino a loc. Quadrivio. Eboli, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine con il comune di Olevano al di sotto di Monticelli dalla strada che passando al di sopra di Vallone del Lupo costeggia Melito, Tranna e giunge ad Eboli si immette alla SS n. 19 tra il km 8 e il km 9, si immette sulla SS 91 sino al confine con il comune di Campagna; Est dal confine con il comune di Campagna sino all’intersezione dei comuni di Campagna, Serre ed Eboli; Sud dal confine con Serre lungo il fiume Sele da cui, all’altezza di Lagaro, si immette sulla strada in direzione Le Chiuse che, poi, attraversa Masseria Rosale di sopra e le Canoniche fino a Consiglio, da qui costeggiando Scorziello di sotto, giunge nei pressi della Cava di Rena; Ovest da Cava di R. lungo la strada che costeggia la Francesia fino alla SS 19 in cui si immette all’altezza del km 5 per poi ripiegare sempre lungo la SS 19 fino al confine con il comune Battipaglia che segue fino al confine con Olevano. Fisciano, l’area interessata è delimitata a: Sud dal confine comunale con Baronissi, dal tratto che partendo dal km 10 della SS n. 88 costeggia Bolano fino a giungere a Orignano; Ovest dal confine comunale con Mercato S. Severino; Nord dal confine comunale con Montoro Inferiore da Piazza di Pandola sino al confine con Mercato S. Severino; Est dalla strada che partendo da Orignano costeggia Penta, Fisciano, Carpineto, Villa, Pizzolano, Madonna del Soccorso fino al confine con Montoro Inferiore. Giffoni Sei Casali, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada provinciale che da S. Cipriano Picentino passa per Prepezzano, Capitignano, fino al confine con il comune di Giffoni Valle Piana; Est dal confine con il comune di Giffoni Valle Piana; Sud dal confine con il comune di Giffoni Valle Piana lungo il fiume Picentino; Ovest dal confine con il comune di S. Cipriano Picentino. Giffoni Valle Piana, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada provinciale che da Capitignano passando per Mercato S.S. fino al confine con il comune di Montecorvino R.; Est dal confine con il comune di Montecorvino R. fino all’intersezione dei confini tra il comune di Montecorvino Pugliano, di Montecorvino R. e di Giffoni V. P.; Sud dal confine con Montecorvino P., di Pontecagnano fino al punto in cui si intersecano i confini dei comuni di Giffoni V.P., di Salerno e di Pontecagnano; Ovest dal suddetto punto di intersezione, dal confine con Salerno, di S. Cipriano (lungo il fiume Picentino) e di Giffoni Sei Casali. Mercato S. Severino, l’area interessata è delimitata a: Sud dalla strada provinciale che partendo tra il km.11 e km.12 della statale n. 88 costeggia le frazioni di Corticelle e Spiano; Ovest dalla strada provinciale che da Spiano prosegue per Oscato, Curteri, Mercato S. Severino, Pandola, Acigliano fino al confine con il comune di Montoro Inferiore; Nord dal confine con il comune di Montoro Inferiore -tra il km 16 e 17 della SS n. 88-; Est confine con il comune di Fisciano. Montecorvino Rovella, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada provinciale che da Montecorvino Rovella arriva al confine con il comune di Olevano sul Tusciano; Ovest dal confine con il comune di Montecorvino Pugliano e di Giffoni Valle Piana; Sud dal confine con il comune di Bellizzi e, poi, di Battipaglia fino all’intersezione con il comune di Bellizzi, Montecorvino P. e Montecorvino R.; ad Est dal confine con il comune di Olevano sul Tusciano fino all’intersezione dei confini di Olevano, Battipaglia e Montecorvino R.. Olevano sul Tusciano, l’area interessata è delimitata a: Nord dalla strada provinciale che dal confine con il comune di Montecorvino Rovella arriva fino alla frazione di Salitto; Est dalla strada provinciale che da Salitto, passando per frazione Monticelli, e per un tratto del confine con Eboli arriva al confine con il comune di Battipaglia; Ovest dal confine con il confine di Montecorvino Rovella; Sud dal confine con Battipaglia. Pontecagnano Faiano, l’area interessata è delimitata a: Nord dal confine col comune di Giffoni Valle Piana; Est dal confine con il comune di Bellizzi e poi di Montecorvino Pugliano fino all’intersezione dei confini di Montecorvino P., Giffoni V.P. e Pontecagnano; Ovest dal confine con il comune di Salerno e, salendo, dal confine con il comune di Giffoni Valle Piana fino alla linea ferroviaria FFSS, segue tale linea ferroviaria immettendosi sulla strada che va in direzione della litoranea, attraversando la C.da Fra Diavolo quindi prosegue parallelamente alla litoranea a partire da Piantanova in direzione Picciola e del confine con Battipaglia sul fiume Tusciano al podere S. Donato; Sud dal confine con Battipaglia. Salerno, l’area interessata è delimitata a: Nord dall’intersezione del confine tra il comune di S. Cipriano Picentino, Giffoni Valle Piana e Salerno; Ovest da tale punto lungo la strada provinciale che passa per Staglio e giunge a Fuorni; Sud dalla statale n.18 -km 61/62- da Fuorni sino al confine con il comune di Pontecagnano Faiano; Est dal confine con Pontecagnano con il comune di Giffoni V.P. sino al punto di intersezione sopra menzionato. S. Cipriano Picentino, l’area interessata è delimitata a: Sud dalla strada provinciale che costeggia Porte di Ferro, Contrada Alfani fino al confine con S. Mango Piemonte; Ovest dalla strada provinciale che da S. Mango Piemonte costeggia la frazione di Pezzano fino a S. Cipriano Picentino; Nord fino al confine con il comune di Giffoni Sei Casali; Sud-Est dal confine con il comune di Giffoni Valle Piana lungo il fiume Picentino. S. Mango Piemonte, l’area interessata è delimitata a: Ovest ed a Sud dal confine con il comune di Salerno lungo il Rio Sordina; Est confine con il comune di S. Cipriano Picentino fino all’intersezione con il comune di Salerno; Nord dalla strada provinciale che dal confine con Salerno, sopra Sordina, attraversa S. Mango e giunge fino al confine con S. Cipriano. Articolo 4. Le condizioni e i sistemi di coltivazione dei meleti destinati alla produzione della I.G.P. "Melannurca Campana” tradizionalmente attuati nel comprensorio tendono ad ottenere produzioni di qualità e, in special modo per i nuovi impianti, atti a non modificare le specifiche caratteristiche qualitative dei frutti. Nei meleti è ammessa la presenza di altre varietà di melo, oltre l'Annurca e l'Annurca Rossa del Sud, ai fini di idonea impollinazione, nella misura massima del 10% delle piante. Oltre al Franco di melo e alle forme di allevamento “a vaso a pieno vento”, sono considerati idonei anche i portinnesti clonali e le forme di allevamento “a parete” o obbligate (palmetta, fusetto, e forme simili), con un numero di piante per ettaro variabile, ma comunque mai superiore a 1200 piante /Ha. La produzione unitaria massima consentita di mele aventi diritto alla I.G.P. "Melannurca Campana”, pur con le variabili annuali in funzione dell’andamento climatico, è fissata in 33 tonnellate ad ettaro. Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di un meleto in coltura promiscua dovrà essere calcolata in rapporto alla superficie effettivamente investita a melo. L’acqua di irrigazione deve presentare valori di salinità non superiori a 1,1 ECW; non è ammesso il diradamento chimico dei frutti. La raccolta dei frutti dalla pianta deve essere effettuata a mano. Successivamente alla raccolta, al fine di completare la colorazione rossa dei frutti, questi vengono posti in “melai” costituiti da piccoli appezzamenti di terreno, sistemati adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici, di larghezza non superiore a metri 1,50 su cui sono stesi strati di materiale soffice vario. I frutti sono disposti su file esponendo alla luce la parte meno arrossata, i melai sono protetti dall’eccessivo irraggiamento solare con apprestamenti di varia natura. Le operazioni di arrossamento sono obbligatorie per entrambe le varietà. Non sono ammessi trattamenti fitosanitari alle mele durante la fase di arrossamento. Le operazioni di raccolta e di arrossamento dei frutti vanno completate entro il 15 dicembre. Le mele raccolte devono presentarsi sane, indenni da attacchi parassitari, prive di residui antiparassitari, come per legge e di sapori estranei. Articolo 5. Gli impianti idonei alla produzione della I.G.P. "Melannurca Campana” sono iscritti nell’apposito Elenco, attivato, tenuto e aggiornato da un apposito organismo di controllo, che risponda ai requisiti di cui alle vigenti norme in materia; questi è tenuto a verificare, attraverso opportuni sopralluoghi, la sussistenza delle condizioni tecniche e dei requisiti richiesti per l’iscrizione all’elenco di cui sopra. Qualora l’iniziativa di tenere un analogo Elenco sia già stata assunta, per altri scopi da un soggetto pubblico, l’organismo di controllo potrà avvalersi delle informazioni e delle risultanze dei relativi accertamenti in esso contenute. L’accertamento della sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità delle produzioni ed i relativi controlli, di cui all’art.10 del Regolamento CEE 2081/1992, saranno comunque effettuati dall’organismo di controllo all’uopo designato. Le strutture di condizionamento del prodotto devono risiedere operativamente nel territorio delimitato nell’art. 3 ed essere iscritte in altro apposito Elenco, tenuto ed aggiornato dall’organismo di controllo, secondo le modalità di cui al primo comma. Articolo 6. All'atto dell'immissione al consumo, il prodotto, allo stato fresco, ammesso a tutela deve avere le seguenti caratteristiche: Per la varietà “Annurca”: forma del frutto: appiattita-rotondeggiante o tronco conico breve, simmetrica o leggermente asimmetrica; dimensioni: 60 mm di diametro ed un peso di 100 g. a frutto (valori minimi ammessi), nel caso sia prodotto su Franco è ammesso un diametro di 55 mm ed un peso di 80 g. a frutto (valori minimi ammessi); buccia: di medio spessore o spessa; di colore, alla raccolta, giallo-verdastro con striature rosse sul 50-80% della superficie e con sovraccolore rosso sul 90-100% della superficie dopo il periodo di arrossamento a terra; nel caso sia prodotto su Franco è ammessa una buccia di medio spessore o spessa, di colore, alla raccolta, giallo-verdastro con striature rosse sul 40-70% della superficie e con sovraccolore rosso sul 85-95% della superficie dopo il periodo di arrossamento a terra; epidermide: liscia, cerosa, con piccole lenticelle numerose ma poco evidenti, mediamente rugginosa, in particolare nella cavità peduncolare; polpa: bianca, molto compatta, croccante, mediamente dolce-acidula, abbastanza succosa, aromatica e profumata, di ottime qualità gustative; resistenza alle manipolazioni: ottima; durezza al penetrometro (con puntale di 11 mm): alla raccolta: 8,5 kg; a fine conservazione: 5 kg (valori minimi ammessi); nel caso sia prodotto su Franco è ammessa una durezza al penetrometro alla raccolta di 9 kg e a fine conservazione 5 kg (valori minimi ammessi); residuo refrattometrico: alla raccolta 11,5°Bx; a fine conservazione 12°Bx (valori medi); acidità titolabile: alla raccolta 9,0 meq/100 ml di succo; a fine conservazione 5,6 meq/100 ml di succo (valori minimi ammessi). Per la varietà “Rossa del sud”: forma del frutto: appiattita-rotondeggiante o tronco conico breve, simmetrica o leggermente asimmetrica; dimensioni: 60 mm di diametro ed un peso di 100 g. a frutto (valori minimi ammessi); buccia: di medio spessore, di colore giallo con sovraccolore rosso sul 90-100% della superficie; epidermide: liscia, cerosa, con piccole lenticelle numerose ma poco evidenti, con tracce di rugginosità, in particolare nella cavità peduncolare; polpa: bianca, compatta, croccante, mediamente dolce-acidula e succosa, aromatica e profumata, di buone qualità gustative; resistenza alle manipolazioni: ottima; durezza al penetrometro: (con puntale di 11 mm): alla raccolta: 8,5 kg; a fine conservazione: 5 kg (valori minimi ammessi); residuo refrattometrico: alla raccolta 12°Bx; a fine conservazione 12,5°Bx (valori medi); acidità titolabile: alla raccolta 7,7 meq/100 ml di succo; a fine conservazione 5,0 meq/100 ml di succo (valori minimi ammessi). Articolo 7. L'immissione al consumo della "Melannurca Campana” deve avvenire solo con il logotipo di seguito descritto, in abbinamento inscindibile con la Indicazione Geografica Protetta e solo se il prodotto risulta confezionato nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio ortofrutticolo. Il logotipo della "Melannurca Campana” (IGP) è il seguente: una mela stilizzata su fondo bianco, il cui bordo inferiore e il superiore sinistro sono rossi, mentre il superiore destro è verde (e non chiude la mela); la mela è sormontata dal picciolo verde e da una foglia bianca bordata di verde; nel corpo della mela è riportata la sigla I.G.P. in nero. Il bordo esterno superiore del logotipo è di colore rosso ed internamente riporta la scritta “Melannurca Campana” in bianco; il bordo esterno inferiore è di colore bianco e, a seconda dei casi, riporta la dicitura varietale “Annurca” o “Rossa del Sud”. I colori, di riferimento sono: rosso pantone 485 C; verde pantone 348 C; per la scritta I.G.P.: Pantone, Process, Black C. Sulle confezioni contrassegnate ad I.G.P., o sulle etichette apposte sulle medesime, devono essere riportate, in caratteri di stampa chiari, indelebili, delle medesime dimensioni e nettamente distinguibili da ogni altra scritta, le seguenti indicazioni: a) la dicitura "MELANNURCA CAMPANA”, immediatamente seguita dall'indicazione varietale "ANNURCA” o "ROSSA DEL SUD". Nello spazio immediatamente sottostante deve comparire la menzione “INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA” (o la sua sigla I.G.P.); b) il nome, la ragione sociale, e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice e/o produttrice; c) la quantità di prodotto effettivamente contenuta nella confezione, espressa in conformità alle norme merceologiche vigenti. All’Indicazione Geografica Protetta, di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto, fine extra, superiore e similari. E' altresì vietato utilizzare nomi di varietà diverse da quelle espressamente previste nel presente disciplinare di produzione. E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, consorzi, non aventi significato laudativo e non siano stati tali da trarre in inganno l’acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare l’Indicazione Geografica Protetta. I prodotti trasformati potranno utilizzare, nella designazione degli ingredienti il riferimento alla denominazione a patto che: 1) i frutti utilizzati siano esclusivamente quelli conformi al presente disciplinare ad eccezione dei valori di calibratura e di residuo refrattometrico che possono essere inferiori a quelli dell’art. 6, ma mai al di sotto dei 50 mm per la calibratura e dei 10,5° Bx per il residuo; 2) sia esattamente indicato il rapporto ponderale tra la quantità utilizzata della I.G.P. Melannurca Campana e quantità di prodotto elaborato ottenuto; 3) venga dimostrato l’utilizzo della I.G.P. Melannurca Campana mediante l’acquisizione delle ricevute di produzione rilasciate dai competenti organi; 4) gli utilizzatori del prodotto a Indicazione Geografica Protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della I.G.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della Indicazione Geografica Protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Mipaf in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) 2081/92. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Campania | Avellino, Benevento, Caserta, Napoli e Salerno |
Melanzana Rossa di Rotonda Melanzana Rossa di Rotonda IGP Disciplinare di produzione - Melanzana Rossa di Rotonda IGPArticolo 1. Denominazione La Denominazione d’origine protetta (DOP) “ Melanzana Rossa di Rotonda” è riservata alle bacche che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La denominazione d’origine protetta (DOP) “Melanzana Rossa di Rotonda” si ottiene con l’ecotipo Melanzana Rossa di Rotonda riconducibile alla specie Solanum aethiopicum, comunemente nota come Melanzana Rossa. La Melanzana Rossa di Rotonda, all'atto dell'immissione al consumo allo stato fresco deve avere le seguenti caratteristiche: - pezzatura della bacca: lunghezza fino a cm. 8, larghezza fino a cm. 8 con peso fino a 200 g; - colore e sovracolore, verde arancio chiaro con tenui sfumature verdognole ad inizio maturazione e successivamente arancione vivo tendente al rosso lucido; - bacca intera di aspetto fresco, sana; - polpa caratterizzata da una consistenza carnosa e dalla caratteristica di non annerire dopo il taglio; - pulita, praticamente esente da sostanze estranee visibili; - priva di odore e/o sapore estranei; - priva di umidità esterna anormale. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e condizionamento della D.O.P. “Melanzana Rossa di Rotonda” comprende: l'intero territorio dei seguenti comuni della provincia di Potenza: Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli imput e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte delle struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La tecnica di produzione del prodotto è la seguente: Preparazione del terreno: le operazioni colturali devono prevedere aratura ad una profondità di circa 30-35 cm. precedente l’impianto. Seguiranno poi le operazioni di preparazione del terreno per il trapianto. Trapianto: si esegue dal 10 Maggio al 30 Giugno di ogni anno. Sesto d’impianto: i sesti e le distanze di piantagione,devono essere quelli in uso tradizionale nella zona, con una densità d’impianto comunque non superiore a n. 18.000 piante ad ettaro. Modalità di trapianto: le piantine vengono trapiantate in solchetti preventivamente aperti. Materiale di propagazione: utilizzo di piantine con 3-5 foglie con un altezza compresa tra 10-15 cm.. Le piantine utilizzate vengono riprodotte nell’area di produzione individuata all’art. 3. Irrigazione: vengono utilizzati i seguenti metodi di irrigazione: a scorrimento, a goccia e microirrigazione. Concimazione: Nel caso di concimazione si utilizza sostanza organica: letame maturo oppure si fa ricorso ad altra sostanza organica compostata o alla pratica del sovescio. Il livello di concimazione minerale non deve superare le seguenti unità fertilizzanti per ettaro: U.F. 100 Azoto; U.F. 100 Fosforo; U.F. 120 Potassio. Difesa: nel rispetto sia della tecnica di coltivazione tradizionale che di quelle a basso impatto ambientale sono consentite per i trattamenti fitosanitari tutti i principi attivi comunemente ammessi nella coltivazione integrata delle colture agrarie. Non è ammesso l’utilizzo del diserbo. Raccolta: la raccolta delle bacche deve essere effettuata a mano con forbici asportando una piccola porzione di peduncolo. La raccolta delle bacche inizia dal 1 luglio di ogni anno e termina entro il 30 di novembre. La produzione massima in coltura specializzata è fissata in 60 tonnellate ad ettaro. Seme: il seme utilizzato per la riproduzione deve provenire da piante madri sane selezionate all’interno di campi ricadenti nei comuni di cui all’art. 3. Tutte le fasi del condizionamento, dalla preparazione fino al confezionamento ed alla conservazione del prodotto, sono effettuate all’interno del territorio di cui all’art. 3 per evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano produrre ammaccature delle bacche e rottura del peduncolo alterando irrimediabilmente le qualità organolettiche del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente La caratteristica principale della “Melanzana Rossa di Rotonda” che tanto la differenzia dallo standard qualitativo delle altre melanzane prodotte in altre zone è il basso contenuto di acido clorogenico responsabile dell’imbrunimento della bacca. Il contenuto di acido clorogenico della melanzana comune risulta in media pari a 4300 ppm nettamente superiore al valore di quello della “Melanzana Rossa di Rotonda” mediamente pari a 800 ppm. Caratteristica questa di notevole interesse da parte dell’industria agro-alimentare e conserviera poiché consente di mantenere la polpa bianca anche dopo il taglio delle bacche per molto tempo. Altra importante caratteristica è la forma tonda simile al pomodoro e il tipico colore arancione con la presenza di venature brunastre/verdastre sulla bacca che la differenziano in maniera evidente da tutte le altre. Queste caratteristiche rendono unica e rara la “Melanzana Rossa di Rotonda” visto che la sua coltivazione è stata accertata in Italia esclusivamente nella zona delimitata all’art. 3 sin dagli anni ‘40. Il suo adattamento alle condizioni climatiche della zona ne ha favorito la sua diffusione tanto da interagire con il territorio e l’ambiente responsabili della sua unicità. I terreni su cui viene coltivata sono situati in una immensa valle, il cui bacino è di origine lacustre e risale al periodo dell’era quaternaria .Sono quindi di origine alluvionale, sabbiosi e limo argillosi, freschi profondi e fertili con una buona ritenzione idrica. Il clima è sostanzialmente dolce e le piogge sono abbondanti nel periodo che va da ottobre a maggio. E’ questo particolare microclima che favorisce la coltivazione di quasi tutte le ortive e soprattutto la coltivazione della “Melanzana Rossa di Rotonda” conferendole quelle caratteristiche uniche. La Melanzana Rossa di Rotonda fu introdotta all’inizio del secolo scorso nel Comune di Rotonda da alcuni cittadini che, tornati dalla guerra d’Africa, portarono con sè alcuni esemplari di questa melanzana molto simile al pomodoro. Nel corso degli anni il suo adattamento all’ambiente ha favorito la sua diffusione e la sua caratterizzazione distinguendola non solo dalle altre melanzane ma addirittura anche da quelle d’Africa da cui originariamente proveniva e che era di colore arancione senza striature e di forma più allungata. Tutte le sue caratteristiche qualitative sono esaltate nel suo ambiente naturale di coltivazione ubicato nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, caratterizzato dalla posizione dei terreni e dalle loro buona qualità, dalla purezza dalle acque provenienti da sorgenti situate nel Parco stesso e “giovevolissime”, dalla mitezza del clima, come evidenziato dal CIRELLI nella sua monografia del 1853:” l’agro è abbondante di acqua………….., le quali sono giovevolissime per l’agricoltura, e l’industrioso colono di Rotonda sa ben mettere a profitto………………..la sedulità dei coltivatori, la mitezza del clima, la posizione de terreni, e la loro buona qualità offrono i fattori più sicuri della produzione, la quale perciò è svariata, offrendo annualmente tutti i prodotti bisognevoli per la sussistenza degli abitanti. La Melanzana Rossa di Rotonda viene consumata da sempre conservata sott’olio per il suo gusto particolare leggermente piccante e per le sue particolari qualità antiossidanti e viene coltivata da sempre da ogni famiglia della zona nel proprio orto. L’indagine e le ricerche condotte dal CNR di Bari nel 1992 (Langhetti 1993), anche sulla base di interviste fatte agli agricoltori più anziani del Comune di Rotonda confermano l’utilizzo della Melanzana Rossa di Rotonda nella cucina locale sin dagli inizi del ventesimo secolo. Gli anziani agricoltori (ottantenni e novantenni), all’epoca bambini, ricordano la “Melanzana Rossa di Rotonda”, perché utilizzata nella preparazione di molti piatti della cucina locale. L’appuntamento annuale della “Sagra della Melanzana Rotonda di Rotonda”, continua a richiamare migliaia di persone a Rotonda e testimonia la continua affermazione del prodotto nel mondo della ristorazione tipica sia a livello locale che extraregionale. Nella tradizione gastronomica la “Melanzana Rossa d Rotonda” si è affermata su tutte le tavole ed in particolare nel mondo della ristorazione locale e regionale di qualità e la sua notorietà trova ampia conferma nella sua presenza in diversi programmi televisivi, su riviste specializzate e libri di cucina. La Melanzana Rossa di Rotonda è inserita nell’elenco dei prodotti tradizionali della Regione Basilicata. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli artt.10 e 11 del Reg. CE n.510/06. Tale struttura è l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni S.r.l con sede a Tiene (VI) in Via San Gaetano, 74. Tel. 0445366094 – Fax 0445382672. Articolo 8. Etichettatura L'immissione al consumo della DOP Melanzana Rossa di Rotonda deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto fresco deve essere posto in vendita in contenitori realizzati con materiale di origine vegetale, con cartone, con retine di plastica riciclabile o altro materiale riciclabile, consentito dalle normative comunitarie. Le confezioni di retina di plastica riciclabile con le quali la “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP viene immessa al consumo non possono superare il peso di 1 Kg. Sulle etichette apposte sulle confezioni devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, le seguenti indicazioni: - Melanzana Rossa di Rotonda e "denominazione d’origine protetta” o il suo acronimo DOP con caratteri superiori a quelli usati per le altre indicazioni. - il nome, la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda confezionatrice o produttrice; - la quantità di prodotto effettivamente contenuta nella confezione, espressa in conformità delle norme vigenti; - il logo. E’ vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari. E' tuttavia consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni potranno essere riportate in etichetta con caratteri di altezza e di larghezza non superiori alla metà di quelli utilizzati per indicare la denominazione d’origine protetta. Il logo di forma ellittica ha un bordo formato esternamente da una doppia linea concentrica di color salmone, internamente da una linea di colore salmone. Il bordo ha fondo bianco, nella parte superiore di questo bordo è riportata la dicitura “Melanzana Rossa” nella parte inferiore la dicitura “di Rotonda”. Nella forma ellittica interna dal fondo rosa salmone chiaro è raffigurata l’immagine stilizzata di una melanzana rossa dal corpo sfumato con colori variabili dal rosso all’arancio e gambo sfumato dal verde scuro al verde chiaro. Alla base del logo è riportata la dicitura “Denominazione di Origine Protetta”. Indici colorimetrici: bordo: color salmone Pantone F8BA55 dicitura Melanzana Rossa: caratteri Times di colore nero pantone su fondo bianco pantone dicitura di Rotonda: caratteri Tru type” “Bookmann ITC LT” colore nero pantone su fondo bianco pantoneu; forma ellittica interna: bordo colore rosa salmone chiaro pantone FCE4BF melanzana: rosso pantone A83716; arancio pantone E89300; gambo verde scuro pantone 363324; verde chiaro a pantone 65954B; dicitura “Denominazione di Origine Protetta”: caratteri “Tru type” “Bookman ITCLT” di colore nero pantone. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Basilicata | Potenza |
Melone Mantovano Melone Mantovano IGP Disciplinare di produzione - Melone Mantovano IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta I.G.P. “Melone Mantovano” è riservata ai frutti di melone che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L’Indicazione Geografica Protetta I.G.P. “Melone Mantovano” designa i meloni allo stato fresco prodotti nella zona delimitata al successivo art. 3 del presente disciplinare di produzione, riferibili alle seguenti varietà botaniche di Cucumis melo L.: varietà cantalupensis (melone cantalupo) e varietà reticulatus (melone retato). L’I.G.P. “Melone Mantovano” è rappresentata dalle seguenti tipologie di frutto: liscio o retato (con o senza incisura della fetta). Le cultivar utilizzate sono riconducibili alle seguenti tipologie di riferimento: “Harper” (tipologia retata senza incisura della fetta), “Supermarket” (tipologia retata con incisura della fetta), Honey Moon (tipologia liscia), tradizionalmente coltivate nell’areale definito al successivo articolo 3. Caratteristiche al consumo All’atto dell’immissione al consumo i meloni destinati alla produzione dell’I.G.P. “Melone Mantovano” devono presentare le caratteristiche di seguito indicate. In tutte le tipologie riportate all’art. 2 i frutti devono essere: - interi (non è tuttavia da considerarsi difetto la presenza di una piccola lesione cicatrizzata sulla buccia dovuta all’eventuale misurazione automatica dell’indice rifrattometrico); - di aspetto fresco; - sani ed esente da parassiti; - puliti (privi di sostanze estranee visibili); - privi di odori e/o sapori estranei al frutto. I frutti delle diverse tipologie dell'I.G.P. “Melone Mantovano” possono anche essere sottoposti alle operazioni di taglio, affettatura ed eliminazione di esocarpo ed endocarpo, per la destinazione al consumo come prodotto di IV gamma. Di seguito sono riportate le caratteristiche qualitative, sensoriali e di pezzatura, in relazione alle diverse tipologie di frutto. Dolcezza, durezza (intesa come consistenza), fibrosità e succosità sono le caratteristiche sensoriali che descrivono e distinguono i frutti del “Melone Mantovano”, mentre l’odore di fungo e di polpa di anguria, l’aroma di tiglio e l’aroma di zucchino sono i descrittori peculiari rilevabili dal profilo sensoriale delle cultivar coltivate nella zona di produzione del “Melone Mantovano” I.G.P. Pezzatura e classificazione La pezzatura dei frutti (peponidi) è determinata dal peso e dal diametro della sezione massima normale all’asse del frutto. Per i frutti delle tipologie liscio o retato del Melone Mantovano I.G.P., le pezzature minime sono: 800 grammi in peso e 10 cm di diametro. Viene previsto, per il solo peso, anche un valore massimo pari a 2.000 grammi. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’I.G.P. “Melone Mantovano” interessa il territorio ricadente nelle Province di Mantova, Cremona, Modena, Bologna e Ferrara. Nella provincia di Mantova la zona di produzione comprende l’intero territorio amministrativo dei Comuni di Borgoforte, Carbonara di Po, Castellucchio, Cavriana, Ceresara, Commessaggio, Dosolo, Felonica, Gazoldo degli Ippoliti, Gazzuolo, Goito, Magnacavallo, Marcaria, Mariana Mantovana, Piubega, Poggio Rusco, Pomponesco, Quistello, Redondesco, Rivarolo Mantovano, Rodigo, Sabbioneta, San Benedetto Po, San Martino dall'Argine, Sermide e Viadana. Per il Comune di Borgoforte la delineazione dell’area di produzione è da intendersi ad est il Ponte sul fiume Po quindi, proseguendo verso nord, la SS 62; poi verso ovest il Dugale Gherardo sino al confine con il Comune di Curtatone. Per il territorio del Comune di Marcaria la delimitazione dell’area di produzione sud è la SS 10 Padana Inferiore. Nella provincia di Cremona la zona di produzione comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti Comuni: Casalmaggiore, Casteldidone, Gussola, Martignana di Po, Rivarolo del Re ed Uniti, San Giovanni in Croce, Solarolo Rainerio e Spineda. Nella provincia di Modena la zona di produzione comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti Comuni: Concordia sulla Secchia, Mirandola e San Felice sul Panaro. Nella provincia di Bologna la zona di produzione comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti Comuni: Crevalcore, Galliera e San Giovanni in Persiceto. Nella provincia di Ferrara la zona di produzione comprende l’intero territorio amministrativo dei seguenti Comuni: Bondeno, Cento e Sant’Agostino. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli interventi colturali ed i fattori di produzione impiegati (input e output). In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche, iscritte nei relativi elenchi saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La coltivazione dell’Indicazione Geografica Protetta I.G.P., “Melone Mantovano”, può essere effettuata in pieno campo, in coltura semiforzata in tunnellini o in coltura forzata in serra o tunnel ricoperto con film di polietilene o altro materiale plastico di copertura, completamente amovibile. La coltivazione, tradizionalmente attuata nelle zone particolarmente vocate su terreni profondi e freschi, consente l'ottenimento di frutti di qualità, adottando le tecniche colturali di seguito riportate: • la semina diretta può avvenire a partire dalla prima decade di aprile; • il trapianto, effettuato su terreno pacciamato, si esegue dalla seconda metà di febbraio a luglio, utilizzando piantine franche di piede allevate in contenitore, o piantine innestate su portainnesti resistenti alle malattie telluriche; • l'investimento prevede, in relazione al sistema di coltivazione, densità variabili fino ad un massimo di 5.000 piante per ettaro; • la forma di allevamento è quella orizzontale sia in pieno campo che in coltura protetta ed è ammessa la cimatura; • l’impollinazione deve avvenire esclusivamente con l'ausilio di insetti pronubi quali Apis mellifera o Bombus terrestris, mentre è vietato l’impiego di qualsiasi sostanza ormonale; • la concimazione organica e/o minerale può essere effettuata sia in fase di preparazione del terreno che in copertura, in relazione al fabbisogno delle piante ed alla dotazione del terreno, ed è consentito il ricorso alla fertirrigazione; • l’irrigazione può avvenire sia con il sistema localizzata a manichetta o a goccia, oltre che per aspersione o infiltrazione da solchi; • la maturazione deve avvenire naturalmente, senza alcun ricorso a prodotti chimici di sintesi; • la raccolta viene effettuata anche giornalmente sia per i tipi lisci che per i tipi retati. La produzione massima consentita per l' I.G.P. “Melone Mantovano” non deve superare le 30 t/ha per la tipologia liscia e le 38 t/ha per le tipologie retate. Trattandosi di frutti climaterici i meloni dell’ I.G.P. “Melone Mantovano” devono essere sottoposti entro 24 ore dalla raccolta ad operazioni di cernita e bollinatura, direttamente in azienda o presso idonee strutture di lavorazione. Inoltre dopo la raccolta e la cernita i frutti dell'I.G.P. “Melone Mantovano” possono anche essere sottoposti alle operazioni di taglio, affettatura ed eliminazione di esocarpo ed endocarpo, per la commercializzazione come prodotto di IV gamma. Entro le 24 ore dalla raccolta il prodotto destinato alla IV gamma deve essere raffreddato tagliato e confezionato per preservare inalterate le qualità organolettiche e di qualità. Articolo 6. Legame con l'ambiente Aspetti storici La reputazione del melone nel Mantovano è antica, come risulta dalle documentazioni storiche che risalgono alla fine del Quattrocento, oltre che dai diversi scritti e da testimonianze facenti parte dell’archivio dei Gonzaga di Mantova, in cui si riportano notizie dettagliate degli “appezzamenti destinati ai meloni provenienti da queste terre”. Altra testimonianza documentata, avvolta tra storia e leggenda, è la presunta morte di Alfonso I d’Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio Emilia dal 1505 al 1534, a causa di una indigestione di meloni. L’importanza della coltivazione di tale frutto nella zona geografica di produzione, come definita all'articolo 3, è testimoniata anche da reperti architettonici e iconografici risalenti al 1579, che testimoniano la presenza di un oratorio dedicato a “Santa Maria del melone”, nella centralissima via Cavour di Mantova. Per il decoro della volta della Sala Consigliare del Consorzio dei Partecipanti di San Giovanni in Persiceto il pittore Angelo Lamma raffigura i meloni tra i prodotti tipici locali di allora (1833). Tali testimonianze attestano anche l’abilità degli agricoltori della zona nella scelta delle varietà e nell' adozione delle tecniche colturali più idonee alla produzione di frutti di buona qualità, capacità che si è mantenuta ininterrottamente sino a oggi. A conferma si possono citare le numerose manifestazioni e gli eventi di carattere promozionale (sagre, fiere, feste tradizionali) che annualmente si svolgono in numerose località dell’area di produzione del “Melone Mantovano”, anche allo scopo di far conoscere ai consumatori, non solo locali, le qualità organolettiche e le possibili utilizzazioni gastronomiche del “Melone Mantovano”. Tra quelle più note ed ormai affermate che annualmente fanno registrare la partecipazione di migliaia di visitatori ed appassionati estimatori dei diversi piatti a base di melone (antipasti, risotti, salse e dessert) si possono citare “Melonaria”, oltre alle Fiere e Sagre del “Melone tipico Mantovano” che da tempo si svolgono nei comuni di Sermide, Viadana, Gazoldo degli Ippoliti, Rodigo, Castellucchio, Goito, Casteldidone e nella città di Mantova. Aspetti socio-economici Grazie ad una tradizione secolare di orti capillarmente diffusi, nel lontano 1956 si sviluppano anche le prime forme di associazionismo fra i produttori. Peraltro già a partire dai primi del XX secolo si hanno dati puntuali sulle produzioni di meloni nelle cinque Province (sezioni provinciali dell’ISTAT) mentre dagli atti del convegno di Verona (7 febbraio 1979) su “La coltura del Melone in Italia” sono reperibili importanti informazioni in merito all’area di produzione e alle tecniche di coltivazione del melone nell’areale Mantovano. L’importanza e l'attenzione alla coltivazione del melone nella realtà mantovana è attestata anche dalle numerose ricerche e sperimentazioni condotte presso il Centro ricerche Montedison di Mantova, che sviluppa a partire dagli anni ’70 materiali di copertura (films plastici), cultivar e tecniche colturali quali l'innesto erbaceo, che si diffonderanno successivamente anche in altre zone di coltivazione del Centro e Sud Italia. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, infine, grazie alle favorevoli condizioni pedo-climatiche ed alla vivace iniziativa imprenditoriale di diverse aziende, la produzione ha fatto registrare un sostanziale incremento, sino a raggiungere una superficie agraria utilizzata di oltre duemila ettari ed un valore di produzione che ha superato i 60 milioni di euro. La coltura del Melone Mantovano costituisce pertanto un importante filiera produttiva sia a livello Inter-regionale (Lombardia ed Emilia Romagna) che Nazionale, non solo per il settore in sé ma anche per l’indotto che origina e per il ruolo di sostegno all’economia del territorio. Tra le attività imprenditoriali strettamente connesse vanno considerate anche quelle per la meccanizzazione delle diverse operazioni colturali e di condizionamento, l’impiantistica per l’irrigazione, i fornitori di mezzi tecnici, i servizi per la commercializzazione, il comparto del “packaging”, ed il sistema dei trasporti. Caratteristiche pedoclimatiche e colturali Questi importanti risultati e questa reputazione – ampiamente riconosciuta e testimoniata da numerosi articoli sulla stampa specializzata – sono stati conseguiti unendo una secolare “cultura del melone” (intesa come patrimonio di conoscenze e competenze tramandata per generazioni tra i coltivatori) ai fattori pedo-climatici propri della zona di produzione. Esaminando le Carte pedologiche della Regione Lombardia e della Regione Emilia-Romagna si riscontra che l’area di produzione del “Melone Mantovano” si caratterizza per la presenza di suoli di elevata fertilità, generalmente riconducibili ai tipi Fluvisols, Vertisols, Calcisols e Luvisols, come descritti dalla FAO nel World Reference Base for Soil Resources (FAO – WRB, 1998). Il comprensorio, caratterizzato da un territorio a morfologia pianeggiante di origine fluviale e fluvioglaciale, è stato rimaneggiato nei secoli dall’azione erosivo-deposizionale di ben cinque fiumi: Mincio, Oglio, Secchia, Panaro e Po. L’altimetria è compresa tra un max di m 50 sul livello del mare, rilevata nella parte più settentrionale (Rodigo) e un minimo di m 10 s.l.m. nelle vicinanze del fiume Po. Il clima, caratterizzato da inverni freddi ed estati caldo-umide, con relativa uniformità delle temperature, promuove lo sviluppo della pianta e favorisce una regolare fioritura ed allegagione. Il mese più freddo è gennaio, con temperatura media di 2,7 °C, mentre quello più caldo è luglio con una media di 25 °C; la radiazione solare media annua è pari a 1331 kWh/m2. Inoltre la zona interessata dal corso dei cinque fiumi, si caratterizza anche per avere una falda relativamente superficiale ed un gradiente medio annuo di piovosità compreso tra 600 e 700 millimetri. Così nei terreni particolarmente profondi e permeabili dell'areale di produzione dell'I.G.P. “Melone Mantovano” le radici estese e vigorose di questa cucurbitacea possono facilmente penetrare in profondità e garantire un regolare apporto di acqua ed elementi nutritivi alla pianta, evitando qualsiasi tipo di “stress”, anche nelle fasi particolarmente delicate di fioritura, allegagione ed ingrossamento dei frutti. Anche l’acqua di falda utilizzata per l’irrigazione e caratterizzata da una elevata concentrazione di sali minerali disciolti, contribuisce ad esaltare le caratteristiche organolettiche e qualitative dei frutti. Durante il periodo di coltivazione il concorso tra l’alta temperatura media, la radiazione solare e la scarsa piovosità, unite a un equilibrato e regolare apporto idrico e nutrizionale, si riflette sull’alto contenuto zuccherino e sull’espressione degli aromi caratteristici del frutto, chiaramente evidenziati dai profili sensoriali riportati nei “Quaderni della ricerca della Regione Lombardia” (Anni 2003-2005). Questi fattori microambientali specifici e peculiari, uniti all'esperienza secolare nell'adozione delle più opportune tecniche colturali ed alla messa a punto di pratiche di coltivazione sostenibile, contribuiscono a conferire al “Melone Mantovano I.G.P.” una reputazione solida, che gli deriva da peculiarità uniche ed irripetibili su tutto il territorio nazionale. In particolare la polpa di color giallo-arancio e/o salmone particolarmente succosa, fibrosa e croccante, con un elevato grado zuccherino ed una quantità media di potassio e sali minerali generalmente superiore a quella riscontrata in altre zone di coltivazione, oltre al sapore caratteristico, esaltato anche dall’odore di fungo e di polpa di anguria e dall’aroma di tiglio, contribuiscono a rendere unici i frutti del “Melone Mantovano” ad Indicazione Geografica Protetta. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Regolamento CE 510/06. Tale struttura è l'Organismo di controllo indicato come CHECK FRUIT – Via C. Boldrini,24 – 40121 Bologna – Italia - Tel. 051.649.48.36, fax 051-649.48.13, E-mail: info@checkfruit.it, accreditato in conformità alla norma EN45011. Articolo 8. Etichettatura Il “Melone Mantovano I.G.P.” viene immesso al consumo in conformità alle norme richieste dal Regolamento Comunitario, utilizzando una delle confezioni in cartone, legno o materiale plastico, di seguito riportate: • bins; • cartone telescopico (traypak); • plateaux in cartone nuovo; • cassetta in legno nuova; • cassetta riutilizzabile in materiale plastico; • confezioni sigillate con più frutti (vassoi, cartoni e sacchetti). La dicitura “Melone Mantovano” Indicazione Geografica Protetta o il suo acronimo IGP, ed il simbolo dell’UE, devono essere apposti in modo chiaro e perfettamente leggibile sulle confezioni utilizzate sia per i frutti interi, sia per quelle destinate a contenere il prodotto di IV gamma. È consentito in abbinamento alla indicazione geografica protetta, l’utilizzo di indicazioni e/o simboli grafici che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi collettivi o marchi d’azienda individuali, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Il contenuto di ciascun imballo deve essere omogeneo e contenere meloni della stessa varietà e tipologia. Sui frutti interi dovrà essere apposto obbligatoriamente il bollino raffigurante il logo della denominazione “Melone Mantovano”. Sui singoli frutti dovrà essere apposto obbligatoriamente il logo della denominazione “Melone Mantovano I.G.P”, come di seguito descritto. Il logo è costruito sulla base di un cerchio quadrettato, all'interno del quale - in una porzione bianca - è collocata la scritta “Melone Mantovano I.G.P.”, realizzata con il carattere Helvetica Neue Bold Condensed. Al disotto della scritta spicca, in verde chiaro, il profilo più celebre della città di Mantova. Al fianco della scritta, alcune forme in colore richiamano in senso ancora più forte la forma e il colore del frutto. I colori pantoni sono indicati nel disegno. Il logo può essere utilizzato sino a un diametro minimo di 2,5 cm. Sugli imballi e nella comunicazione pubblicitaria e promozionale il logo ha un’area di rispetto di 1 centimetro per lato. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lombardia, Emilia-Romagna | Mantova, Cremona, Modena, Bologna, Ferrara |
Nocciola del Piemonte Nocciola del Piemonte IGP Disciplinare di produzione - Nocciola del Piemonte IGPArticolo 1. Nome del prodotto L'indicazione geografica protetta «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» è riservata ai frutti in guscio, sgusciati e semilavorati che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. E' altresì consentito l'utilizzo della indicazione geografica protetta «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» nella designazione, presentazione e pubblicità dei preparati nei quali i prodotti di cui al comma 1 sono presenti in esclusiva, rispetto a prodotti dello stesso tipo, tra gli ingredienti caratterizzanti e tali da valorizzare la qualità. Articolo 2. Cultivar La denominazione «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» designa il frutto della cultivar di nocciolo «Tonda Gentile delle Langhe», coltivato nel territorio idoneo della Regione Piemonte, definito nel successivo art. 3. Articolo 3. Area di produzione La zona di produzione della «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» comprende il territorio della Regione Piemonte atto alla coltivazione del nocciolo ed è così determinato: Provincia di Alessandria - intero territorio dei seguenti comuni: Acqui Terme, Albera Ligure, Alessandria, Alfiano Natta, Alice Bel Colle, Altavilla Monferrato, Arquata Scrivia, Avolasca, Basaluzzo, Belforte Monferrato, Bergamasco, Berzano di Tortona, Bistagno, Borghetto di Borbera, Borgoratto Alessandrino, Bosco Marengo, Bosio, Brignano Frascata, Cabella Ligure, Camagna, Camino, Cantalupo Ligure, Capriata d'Orba, Carbonara Scrivia, Carentino, Carezzano, Carpeneto, Carrega Ligure, Carrosio, Cartosio, Casal Cermelli, Casaleggio Boiro, Casale Monferrato, Casasco, Cassano Spinola, Cassine, Cassinelle, Castellania, Castellazzo Bormida, Castelletto d'Erro, Castelletto d'Orba, Castelletto Merli, Castelletto Monferrato, Castelnuovo Bormida, Castelspina Cavatore, Cellamonte, Cereseto Monferrato, Cerreto Grue, Cerrina, Conzano, Costa Vescovato, Cremolino, Cuccaro Monferrato, Denice, Dernice, Fabbrica Curone, Felizzano, Fraconalto, Francavilla Bisio, Frascaro, Frassinello Monferrato, Fresonara, Frugarolo, Fubine, Gabiano, Gamalero, Garbagna, Gavazzana, Gavi, Gremiasco, Grognardo, Grondona, Lerma, Lu, Malvicino, Masio, Melazzo, Merana, Mirabello Monferrato, Molare, Mombello Monferrato, Momperone, Moncestino, Mongiardino Ligure, Monleale, Montacuto, Montaldeo, Montaldo Bormida, Montechiaro d'Acqui, Montegioco, Montemarzino, Morbello, Mornese, Morsasco, Murisengo, Novi Ligure, Odalengo Grande, Odalengo Piccolo, Olivola, Orsara Bormida, Ottiglio, Ovada, Oviglio, Ozzano Monferrato, Paderna, Pareto, Parodi Ligure, Pasturana, Precetto di Valenza, Pontestura, Ponti, Ponzano Monferrato, Ponzone, Pozzol Groppo, Pozzolo Formigaro, Prasco, Predosa, Quargnento, Quattordio, Ricaldone, Rivalta Bormida, Roccaforte Ligure, Rocca Grimalda, Rocchetta Ligure, Rosignano Monferrato, Sala Monferrato, San Cristoforo, San Giorgio Monferrato, San Salvatore Monferrato, San Sebastiano Curone, Sant'Agata Fossili, Sardigliano, Sarezzano, Serralunga di Crea, Serravalle Scrivia, Sezzadio, Silvano d'Orba, Solero, Solonghello, Spigno Monferrato, Spineto Scrivia, Stazzano, Strevi, Tagliolo Monferrato, Tassarolo, Terruggia, Terzo, Tortona, Treville, Trisobbio, Valenza, Vignale Monferrato, Vignole Borbera, Villadeati, Villalveinia, Villamiroglio, Villaromagnano, Visone, Volpedo, Volpeglino, Voltaggio. Provincia di Asti - intero territorio dei seguenti comuni: Agliano Terme, Albugnano, Antignano, Aramengo, Asti, Azzano d'Asti, Baldichieri, Belveglio, Berzano di San Pietro, Bruno, Bubbio, Buttigliera d'Asti, Calamandrana, Calliano, Colosso, Camerino Casasco, Canelli, Cantarana, Capriglio, Casorzo, Cassinasco, Castagnole delle Lanze, Castagnole Monferrato, Castel Boglione, Castell'Alfero, Castelletto Molina, Castello di Annone, Castelnuovo Belbo, Castelnuovo Calcea, Castelnuovo Don Bosco, Castellero, Castel Rocchero, Cellarengo, Celle Enomondo, Cerreto d'Asti, Cerro Tanaro, Cessole, Chiusano d'Asti, Cinaglio, Cisterna d'Asti, Coazzolo, Cocconato, Corsione, Cortandone, Cortanze, Cortazzone, Cortiglione, Cossombrato, Costigliole d'Asti, Cunico, Dusino San Michele, Ferrere, Fontanile, Frinco, Grana, Grazzano Badoglio, Incisa Scapaccino, Isola d'Asti, Loazzolo, Maranzana, Maretto, Moasca, Mombaldone, Mombaruzzo, Mombercelli, Monale, Monastero Bormida, Moncalvo, Moncucco Torinese, Mongardino, Montabone, Montafia, Montaldo Scarampi, Montechiaro d'Asti, Montemagno, Montegrosso d'Asti, Montiglio Monferrato, Morasengo, Nizza Monferrato, Olmo Gentile, Passerano Marmorito, Penango, Piea, Pino d'Asti, Piova' Massaia, Portacomaro, Quaranti, Refrancore, Revignasco d'Asti, Roatto, Robella, Rocca d'Arazzo, Roccaverano, Rocchetta Palafea, Rocchetta Tanaro, San Damiano d'Asti, San Giorgio Scarampi, San Martino Alfieri, San Marzano Oliveto, San Paolo Solbrito, Scurzolengo, Serole, Sessame, Settime, Soglio, Tigliole, Tonco, Tonengo, Vaglio Serra, Valfenera, Vesime, Viale d'Asti, Viarigi, Vigliano, Villafranca d'Asti, Villanova d'Asti, Villa San Secondo, Vinchio. Provincia di Biella - intero territorio dei seguenti comuni: Biella, Bioglio, Borriana, Brusnengo, Camburzano, Candelo, Casapinta, Castelletto Cervo, Cavaglia', Cerreto Castello, Cerrione, Cossato, Crosa, Curino, Gaglianico, Lessona, Magnano, Masserano, Mezzana Mortigliengo, Mongrando, Mosso Santa Maria, Mottalciata, Occhieppo Inferiore, Occhieppo Superiore, Ronco Biellese, Roppolo, Sala Biellese, Sandigliano, Soprana, Sostegno, Strona, Ternengo, Tollegno, Torrazzo, Valdengo, Vallanzengo, Valle Mosso, Valle San Nicolao, Vigliano Biellese, Villa del Bosco, Viverone, Zimone, Zubiena, Zumaglia. Provincia di Cuneo - intero territorio dei seguenti comuni: Aisone, Alba, Albaretto Torre, Alto, Arguello, Bagnasco, Bagnolo Piemonte, Baldissero d'Alba, Barbaresco, Barge, Barolo, Bastia Mondovi', Battifollo, Beinette, Belvedere Langhe, Bene Vagienna, Benevello, Bergolo, Bernezzo, Bonvicino, Borgomale, Borgo San Dalmazzo, Bosia, Bossolasco, Boves, Bra, Briaglia, Brondello, Brossasco, Busca, Camerana, Camo, Canale, Caprauna, Caraglio, Caramagna Piemonte, Carde', Carrù, Cartignano, Casalgrasso, Castagnito, Castellar, Castelletto Uzzone, Castellinaldo, Castellino Tanaro, Castelnuovo di Ceva, Castiglione Falletto, Castiglione Tinella, Castino, Cavallermaggiore, Ceresole d'Alba, Cerreto Langhe, Cervasca, Cervere, Ceva, Cherasco, Chiusa di Pesio, Ciglie', Cissone, Clavesana, Corneliano d'Alba, Cortemilia, Cossano Belbo, Costigliole Saluzzo, Cravanzana, Cuneo, Demonte, Diano D'Alba, Dogliani, Dronero, Envie, Farigliano, Faule, Feisoglio, Fossano, Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Frassino, Gaiola, Gambasca, Garessio, Gorzegno, Gottasecca, Govone, Grinzane Cavour, Guarene, Igliano, Isasca, La Morra, Lequio Beria, Lequio Tanaro, Lesegno, Levice, Lisio, Magliano Alfieri, Magliano Alpi, Mango, Manta, Marene, Margarita, Marsaglia, Martiniana Po, Melle, Moiola, Mombarcaro, Mombasiglio, Monastero di Vasco, Monasterolo Casotto, Monchiero, Mondovì, Monesiglio, Monforte d'Alba, Montà, Montaldo di Mondovì, Montaldo Roero, Montanera, Montelupo Albese, Montemale di Cuneo, Monterosso Grana, Monteu Roero, Montezemolo, Monticello d'Alba, Morozzo, Murazzano, Narzole, Neive, Neviglie, Niella Belbo, Niella Tanaro, Novello, Nucetto, Ormea, Paesana, Pagno, Pamparato, Paroldo, Perletto, Perlo, Peveragno, Pezzolo Valle Uzzone, Pianfei, Piasco, Piobesi d'Alba, Piozzo, Pocapaglia, Polonghera, Priero, Priocca, Priola, Prunetto, Racconigi, Revello, Rifreddo, Rittana, Roaschia, Roascio, Robilante, Roburent, Roccabruna, Rocca Cigliè, Rocca de Baldi, Roccaforte, Mondovì, Roccasparvera, Roccavione, Rocchetta Belbo, Roddi, Roddino, Rodello, Rossana, Sale delle Langhe, Sale San Giovanni, Saliceto, Salmour, Saluzzo, San Benedetto Belbo, San Damiano Macra, Sanfrè, Sanfront, San Michele Mondovì, Sant'Albano Stura, Santa Vittoria d'Alba, Santo Stefano Belbo, Santo Stefano Roero, Scagnello, Serralunga d'Alba, Serravalle Langhe, Sinio, Somano, Sommariva del Bosco, Sommaria Perno, Torre Bormida, Torre Mondovì, Torresina, Treiso, Trezzo Tinella, Trinità, Valdieri, Valgrana, Valloriate, Valmala, Venasca, Verduno, Verzuolo, Vezza d'Alba, Vicoforte, Vignolo, Villanova Mondovì, Villar San Costanzo, Viola. Provincia di Novara - intero territorio dei seguenti comuni: Agrate Conturbia, Ameno, Arona, Bellinzago Novarese, Boca, Bogogno, Bolzano Novarese, Borgomanero, Borgo Ticino, Briga Novarese, Cameri, Castelletto Sopra Ticino, Cavallirio, Colazza, Comignago, Cureggio, Divignano, Dormelletto, Fontaneto d'Agogna, Galliate, Gattico, Ghemme, Gozzano, Grignasco, Invorio, Lesa, Maggiora, Marano Ticino, Massino Visconti, Meina, Mezzomeniro, Nebbiuno, Oleggio, Oleggio Castello, Paruzzaro, Pisano, Pogno, Pombia, Prato Sesia, Romagnano Sesia, San Maurizio d'Opaglio, Sizzano, Soriso, Varallo Pombia, Veruno. Provincia di Torino - intero territorio dei seguenti comuni: Agliè, Albiano d'Ivrea, Alice Superiore, Almese, Alpignano, Andezeno, Arignano, Avigliana, Azeglio, Bairo, Balangero, Bandissero Canavese, Baldissero Torinese, Banchette, Barbania, Barone Canavese, Bibiana, Bollengo, Borgiallo, Borgofranco d'Ivrea, Borgomasino, Borgone Susa, Bosconero, Bricherasio, Brozolo, Bruino, Brusisco Bruzolo, Buriasco, Burolo, Busano, Bussoleno, Buttigliera Alta, Cafasse, Cambiano, Campiglione-Fenile, Candia Canavese, Canischio, Cantalupa, Caprie, Caravino, Carmagnola, Casalborgone, Caselette, Castagneto Po, Castellamonte, Castelnuovo Nigra, Castiglione Torinese, Cavagnolo, Cavour, Chianocco, Chiaverano, Chieri, Chiesanuova, Chiomonte, Chiusa di San Michele, Ciconio, Cintano, Cinzano, Coassolo Torinese, Coazze, Colleretto Castelnuovo, Colleretto Giacosa, Condove, Corio, Cossano Canavese, Cuceglio, Cumiana, Cuorgne', Exilles, Favria, Feletto, Fiano, Fiorano Canavese, Forno Canavese, Front, Frossasco, Garzigliana, Gassino Torinese, Germagnano, Giaveno, Givoletto, Gravere, Grosso, Inverso Pinasca, Isolabella, Issiglio, Ivrea, La Cassa, Lanzo Torinese, Lauriano, Lessolo, Levone, Loranzè, Lugnacco, Luserna San Giovanni, Lusernetta, Lusigliè, Macello, Maglione, Marentino, Mathi, Mattie, Mazzè, Meana di Susa, Mercenasco, Moncalieri, Montaldo Torinese, Montalenghe, Montalto Dora, Monteu da Po, Moriondo Torinese, Nole, Nomaglio, Oglianico, Orio Canavese, Osasco, Ozegna, Palazzo Canavese, Parella, Pavarolo, Pavone Canavese, Pecco, Pecetto Torinese, Perosa Argentina, Perosa Canavese, Pertusio, Pinasca, Pinerolo, Pino Torinese, Piossasco, Piverone, Poirino, Porte, Pralormo, Prarostino, Prascorsano, Pratiglione, Quagliuzzo, Rivalba, Riva Presso Chieri, Rivara, Rivarolo Canavese, Rivarossa, Rocca Canavese, Roletto, Romano Canavese, Rosta, Rubiana, Rueglio, Salassa, Salerano Canavese, Samone, San Benigno Canavese, San Colombano Belmonte, San Didero, Sangano, San Germano Chisone, San Giorgio Canavese, San Giorio di Susa, San Giusto Canavese, San Martino Canavese, San Mauro Torinese, San Pietro Val Lemina, San Ponso, San Raffaele Cimena, San Sebastiano da Po, San Secondo di Pinerolo, Sant'Ambrogio di Torino, Sant'Antonino di Susa, Santena, Scarmagno, Sciolze, Settimo Rottaro, Settimo Vittone, Strambinello, Strambino, Susa, Torino, Torre Canavese, Trana, Trofarello, Vaie, Val della Torre, Valgioie, Vallo Torinese, Valperga, Varisella, Vauda Canavese, Verrua Savoia, Vestignè, Vialfrè, Vidracco, Villanova Canavese, Villarbasse, Villar Dora, Villar Focchiardo, Villar Perosa, Villastellone, Vistrorio, Volpiano. Provincia di Vercelli - intero territorio dei seguenti comuni: Alice Castello, Borgosesia, Cellio, Gattinara, Ghislarengo, Lenta, Lozzolo, Moncrivello, Roasio, Serravalle Sesia, Valduggia. Articolo 4. Produzione Le condizioni ambientali di coltura dei noccioleti destinati alla produzione di «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» devono essere quelli tradizionali della zona e comunque atte a conferire al prodotto che ne deriva le specifiche caratteristiche di qualità. I sesti di impianto e le forme di allevamento devono essere quelli in uso generalizzato e riconducibili alla coltivazione a cespuglio ed, eccezionalmente, «monocaule», con una densità variabile tra le 200 e le 420 piante ad ettaro. Per gli impianti realizzati prima dell'entrata in vigore del decreto di riconoscimento 2 dicembre 1993 è consentita una densità massima di 500 piante ad ettaro. Le cure colturali ed i sistemi di potatura e di raccolta devono essere quelli generalmente usati e, in special modo per i nuovi impianti, devono essere atti a non modificare le caratteristiche dei frutti. La produzione unitaria massima consentita di «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» è fissata in 3.500 kg/ha di coltura specializzata. La eventuale conservazione della «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte», al fine di dilazionare la commercializzazione, deve essere effettuata secondo i metodi tradizionali. Articolo 5. Elenco noccioleti I noccioleti idonei alla produzione della «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» sono iscritti in un apposito elenco tenuto dall'organismo di controllo di cui all'art. 9. Articolo 6. Caratteristiche La «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» deve rispondere alle seguenti caratteristiche merceologiche: forma della nocula: sub-sferoidale o parzialmente sub-sferoidale, trilobata; dimensioni non molto uniformi, con calibri prevalenti da 17 a 21 mm; guscio di medio spessore, di color nocciola mediamente intenso, di scarsa lucentezza, con tomentosità diffuse all'apice e striature numerose, ma poco evidenti; seme di forma variabile (sub-sferoidale, tetraedrica e, talvolta, ovoidale); colore più scuro del guscio; per lo più ricoperto da fibre, con superficie corrugata e solcature più o meno evidenti; dimensioni più disformi rispetto alla nocciola in guscio; perisperma di medio spessore, ma di eccellente distaccabilità alla tostatura; tessitura compatta e croccante; sapori ed aromi finissimi e persistenti; resa alla sgusciatura variabile, ma comunque compresa tra il 40% ed il 50%. Articolo 7. Commercializzazione La commercializzazione della «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» deve avvenire secondo le seguenti modalità: a) per prodotto in guscio: in sacchi di tessuto idoneo a tutti i livelli di commercializzazione o, eccezionalmente, allo stato sfuso nella sola fase di prima commercializzazione intercorrente tra il produttore agricolo e il primo acquirente detentore del centro di lavorazione e/o confezionamento; b) per prodotto sgusciato, semilavorato e finito: in confezioni idonee ad uso alimentare, anche a seguito della sua inclusione in cicli produttivi che ne valorizzino la qualità. Il prodotto di cui alla lettera b) può essere commercializzato solo se preconfezionato o confezionato all'atto della vendita. Articolo 8. Etichettatura Sulle confezioni devono essere indicate, le diciture «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte», eventualmente seguita da «Indicazione geografica protetta» o «IGP», e il nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore. L'indicazione dell'annata di raccolta delle nocciole contenute è obbligatoria per il prodotto in guscio o sgusciato. Inoltre: a) il prodotto in guscio dalla produzione, in sacchi, sacconi o prodotto sfuso, di cui all'art. 7, lettera a), non etichettato o non etichettato con tutte le indicazioni previste dal presente disciplinare per l'immissione al consumo con la I.G.P., al fine di garantire gli opportuni controlli e la rintracciabilità, deve essere accompagnato dal documento commerciale che riporti l'indicazione geografica protetta e dalla documentazione prevista per l'eventuale frazionamento della partita; b) il prodotto sgusciato e semilavorato, confezionato in sacchi, scatole od altri contenitori ad uso alimentare di cui all'art. 7, lettera b), deve riportare in etichetta l'eventuale logo IGP, la dicitura «prodotto garantito dal MIPAF ai sensi dell'art. 10 del Regolamento CEE n. 2081/92» e, per le partite destinate all'esportazione, l'indicazione «prodotto in Italia»; c) la valorizzazione dell'utilizzo della «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» IGP nel preparato alimentare deve avvenire citando in qualunque punto dell'etichetta la dicitura «prodotto ottenuto con "Nocciola del Piemonte" o "Nocciola Piemonte" "IGP"». E' fatto divieto di usare, con la denominazione di cui all'art. 1, qualsiasi altra denominazione ed aggettivazione aggiuntiva, fatta salva la menzione varietale «Tonda Gentile delle Langhe». Articolo 9. Organismo di controllo I controlli di cui all'art. 10 del Regolamento (CEE) n. 2081/92 sono effettuati dall'organismo di controllo autorizzato. Articolo 10. Elaborazione I prodotti ottenuti dall’elaborazione della “Nocciola del Piemonte” IGP sono immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla denominazione senza l’apposizione del logo Comunitario a condizione che: - la “Nocciola del Piemonte” IGP costituisca il componente esclusivo della propria categoria merceologica; - gli utilizzatori della “Nocciola del Piemonte” IGP siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della I.G.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) n. 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o in cui è trasformato o elaborato. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Piemonte | Alessandria, Asti, Cuneo. Novara, Torino, Vercelli |
Nocciola di Giffoni Nocciola di Giffoni IGP Disciplinare di produzione - Nocciola di Giffoni IGPArticolo 1. L’indicazione geografica protetta “Nocciola di Giffoni” è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. L’indicazione “Nocciola di Giffoni” designa esclusivamente il frutto del biotipo corrispondente alla cultivar di nocciolo “Tonda di Giffoni”, prodotto nel territorio definito nel successivo art. 3. Articolo 3. La zona di produzione comprende la parte del territorio della provincia di Salerno atta alla coltivazione di tale nocciolo e comprende l’intero territorio dei seguenti comuni: Giffoni Valle Piana, Giffoni Sei Casali, San Cipriano Picentino, Fisciano, Calvanico, Castiglione del Genovesi, Montecorvino Rovella nonché parzialmente i seguenti comuni: Baronissi, Montecorvino Pugliano, Olevano sul Tusciano, San Mango Piemonte, Acerno. Articolo 4. Le condizioni ambientali di coltura dei noccioleti destinati alla produzione della “Nocciola di Giffoni” sono quelle tradizionali della zona, atte a conferire al prodotto le specifiche caratteristiche. I sesti e le distanze di impianto e le forme di allevamento utilizzabili sono quelli generalmente usati nella zona interessata, riconducibili alle coltivazioni cosiddette a "cespuglio policaule” (ceppaia), al “vaso cespugliato” e ad “alberello”, con una densità per ettaro non superiore a 660 piante. Sono ammesse anche forme di allevamento diverse e cioè: la “siepe” (cespuglio binato) e la “Y”, condotte nel rispetto delle caratteristiche proprie del prodotto. In ogni caso non può essere superato il limite di 1.000 piante ad ettaro. Negli impianti è ammessa la presenza di varietà di nocciolo diverse dalla “Tonda di Giffoni”, nella misura massima del 10% per consentire una adeguata impollinazione. La produzione unitaria massima è di q.li 40 ad ettaro. La eventuale conservazione dei frutti designabili con la indicazione geografica protetta “Nocciola di Giffoni” deve avvenire in locali idonei, in quanto rispondenti alle norme igieniche vigenti, e in grado di garantire condizioni di umidità ed areazione adeguate. Articolo 5. I noccioleti idonei alla produzione della “Nocciola di Giffoni” sono inseriti in apposito Albo attivato, aggiornato e pubblicato ogni anno. Copia di tale Albo viene depositata presso tutti i Comuni compresi nel territorio di produzione. La prova dell’origine, inoltre, è comprovata attraverso la tenuta di registri di produzione e la denuncia tempestiva delle quantità prodotte. Articolo 6. La “Nocciola di Giffoni” all’atto dell’immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche: forma della nucula: subsferica; dimensioni della nucula: medie, con calibri non inferiori a 18 mm; guscio: di medio spessore (1,11-1,25mm), presenta colore nocciola più o meno intenso con striature color marrone più scuro; seme: di forma subsferica, con rara presenza di fibre, calibro non inferiore a 13 mm; ottima pelabilità, non inferiore all’85%; polpa: di colore bianco, consistente e aromatica; resa alla sgusciatura: non inferiore al 43%; umidità relativa al seme dopo l’essiccazione: non superiore al 6%. Articolo 7. La commercializzazione della “Nocciola di Giffoni”, ai fini dell’immissione al consumo, deve essere effettuata dopo apposito confezionamento che consenta di apporre un eventuale specifico contrassegno. In tutti i casi i contenitori debbono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del contenitore stesso. Il confezionamento deve essere effettuato secondo le seguenti modalità: a) per prodotto in guscio: in sacchi di tessuto e/o altro materiale idoneo; b) per prodotto sgusciato: in sacchi di carta o di tessuto, in scatole di cartone o in altri materiali idonei. Sui contenitori dovranno essere indicate, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni le diciture “Nocciola di Giffoni”, seguita immediatamente dalla dizione“Indicazione geografica protetta”. Nel medesimo campo visivo deve comparire nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, annata di produzione, nonché il peso netto all’origine. La dizione “Indicazione geografica protetta” può essere ripetuta in altra parte del contenitore o dell’etichetta anche in forma di acronimo “I.G.P.”. In etichettatura deve essere utilizzato il logo distintivo dell’Indicazione geografica protetta, costituito da un ovale con su scritto “Nocciola di Giffoni”. In basso a destra sono rappresentate due nocciole sovrapposte, mentre in basso a sinistra è riportato il simbolo grafico dell’indicazione geografica protetta. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Campania | Salerno |
Nocciola romana Nocciola Romana DOP Nocciola Romana DOPZona di produzioneRiconoscimento denominazione: Reg. CE n. 667/2009 Regione: Lazio La produzione della DOP “Nocciola Romana” interessa alcuni comuni di Viterbo e Roma, dove fin dal 1412 questa coltura è stata oggetto di un paziente e tenace lavoro da parte dei coltivatori, che nel corso dei secoli hanno svolto un ruolo importante nel creare un prodotto dalle elevate caratteristiche qualitative. Attualmente circa 4500 aziende producono tra i 400 e i 450mila quintali all’anno di nocciole, con un fatturato di 42 milioni di euro. CaratteristicheLa «Nocciola Romana» designa i frutti riferibili alla specie Corylus avellana cultivar «Tonda Gentile Romana», «Nocchione» e loro eventuali selezioni che siano presente almeno per il 90 % nell'azienda. Sono ammesse le cultivar «Tonda di Giffoni» e della «Barrettona» nella misura massima del 10 %. Tessitura compatta e croccante, senza vuoti interni, con sapore e aroma finissimo e persistente: sono queste alcune peculiarità della DOP, a cui sono legate numerose sagre paesane e molteplici ricette tipiche, a dimostrazione dell’importanza che questa coltura riveste nell’economia locale: nella zona delimitata della DOP si è infatti concentrato uno dei principali poli di produzione e commercializzazione italiana di nocciole. Tonda Gentile Romana: forma della nocciola in guscio: subsferoidale con apice leggermente a punta; dimensioni con calibri variabili da 14 a 25 mm; guscio di medio spessore, di color nocciola, di scarsa lucentezza, con tomentosità diffuse all'apice e numerose striature evidenti; seme medio-piccolo, di forma variabile subsferoidale, di colore simile a quello del guscio, per lo più ricoperto di fibre, superficie corrugata e solcature più o meno evidenti, dimensioni più disformi rispetto alla nocciola in guscio; perisperma di medio spessore non completamente distaccabile alla tostatura; tessitura compatta e croccante; sapore ed aroma finissimo e persistente. Nocchione: forma della nocciola in guscio: sferoidale, subelissoidale; dimensioni comprese tra 14 e 25 mm; guscio spesso: di colore nocciola chiaro, striato, poco pubescente; seme: medio-piccolo, con fibre presenti in misura medio-elevata; perisperma: mediamente staccabile alla torrefazione; sapore ed aroma: finissimo e persistente. In entrambi i casi la resa alla sgusciatura è compresa tra il 28 e il 50 %. Le nocciole devono essere esenti da odore e sapore di olio rancido, di muffa e di erbaceo. Alla masticazione si devono presentare croccanti, ossia devono fratturarsi al primo morso senza cedevolezza, e devono avere tessitura compatta, senza vuoti interni. Queste caratteristiche devono essere possedute anche dalle nocciole conservate. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lazio | Viterbo, Roma |
Nocellara del Belice Nocellara del Belice DOP Disciplinare di produzione - Nocellara del Belice DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Sicilia | Trapani |
Oliva Ascolana del Piceno Oliva Ascolana del Piceno Disciplinare di produzione - Oliva Ascolana del PicenoArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
| D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Marche, Abruzzo | Ascoli, Teramo |
Oliva di Gaeta Oliva di Gaeta DOP Disciplinare di produzione - Oliva di Gaeta DOPArticolo 1.
Inoltre la polpa deve presentare: distacco dal nocciolo netto e completo, consistenza morbida, sapore tipico, lievemente amaro, acetico e/o lattico, colore da rosa intenso a violaceo. Eventuali difetti delle drupe, quali difetti della pellicola con o senza alterazioni della polpa, raggrinzimento, presenza del picciolo, danneggiamenti di crittogame e/o insetti, sono tollerati nella misura massima del 6 % di prodotto finito. Articolo 3. Delimitazione geografica della zona di produzione La zona di coltivazione e produzione delle olive a Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta” comprende i seguenti territori delle Regioni Lazio e Campania. Provincia di Latina: Intero territorio amministrativo dei comuni di Bassiano, Campodimele, Castelforte, Cori, Fondi, Formia, Gaeta, Itri, Lenola, Maenza, Minturno, Monte S. Biagio, Norma, Priverno, Prossedi, Roccagorga, Roccamassima, Roccasecca dei Volsci, Sermoneta, Sezze, Sonnino, Sperlonga, Spigno Saturnia, SS. Cosma e Damiano, Terracina e parte del territorio del Comune di Cisterna di Latina. Relativamente al Comune di Cisterna di Latina il limite inferiore della zona di produzione è coincidente con il tracciato della linea ferroviaria Roma - Napoli; Provincia di Frosinone: Intero territorio amministrativo dei comuni di Amaseno, Ausonia, Castelnuovo Parano, Coreno Ausonio, Esperia, Pico; Provincia di Roma: Intero territorio amministrativo dei comuni di Castel Madama, Castel S. Pietro, Palestrina, Labico, Valmontone, Artena, San Gregorio da Sassola, Casape, Poli e Tivoli. Provincia di Caserta: Intero territorio amministrativo dei comuni di Sessa Aurunca e Cellole. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dall’organismo di controllo, dei coltivatori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei trasformatori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di Ottenimento Il metodo di ottenimento dell’“Oliva di Gaeta” si basa sulle pratiche tradizionalmente seguite nel territorio di cui all’art 3. Esso consta delle seguenti fasi: 5.1 Materia prima: L’“Oliva di Gaeta” a Denominazione di Origine Protetta è ottenuta esclusivamente dai frutti della varietà di olivo “Itrana” (detta anche Gaetana). Non è ammessa l’utilizzazione di piante di “Itrana” geneticamente modificate. E’ vietato destinare alla produzione dell’“Oliva di Gaeta” partite di olive che presentino drupe immature, molli, con epicarpo di colore rosso e/o assenza di “insanguamento” della polpa 5.2 Tecniche colturali: La principale condizione tecnico-colturale degli olivi della varietà “Itrana” (detta anche Gaetana), da cui provengono le drupe destinate alla produzione dell’“Oliva di Gaeta”, è quella di un ciclo colturale tipicamente biennale. La forma di allevamento delle piante è quella in volume riconducibile al “vaso policonico”. Limitatamente agli oliveti di nuovo impianto sono ammesse anche altre forme di allevamento quali: monocono, fuso, monocaule libero. E’ ammesso il rinfittimento degli oliveti già esistenti, a condizione che i soggetti di nuovo impianto siano allevati con la medesima forma delle altre piante preesistenti. La coltivazione degli oliveti deve essere improntata al principio generale della buona e razionale tecnica agraria. Relativamente alle pratiche agronomiche della concimazione, diserbo e difesa fitosanitaria, queste devono essere effettuate nel rispetto delle norme vigenti. Le drupe da destinare alla produzione dell’“Oliva di Gaeta” a Denominazione di Origine Protetta devono essere raccolte allo stadio di piena maturità, che viene raggiunto quando l’epicarpo si presenta nero, brillante e talora ricoperto da una velatura pruinosa localmente definita “panno”, mentre la polpa vira dal colore bianco verso il colore rosso vinoso scuro (insanguamento) a partire dalla periferia del frutto. E’ vietato l’impiego sulle piante di prodotti ad azione maturante e/o cascolante, in qualsiasi fase del ciclo di coltivazione. E’ vietato l’uso di ormoni, siano essi di origine vegetale che di origine sintetica. La raccolta del prodotto dalle piante deve essere effettuata a mano (brucatura) o con altre forme di raccolta che prevedono l’impiego di macchine e/o attrezzature agevolatrici, a condizione che la metodica utilizzata sia tale da non arrecare danneggiamenti alle drupe ed alle piante. L’epoca di raccolta delle olive ha inizio quando almeno il 60% delle drupe recate dalle piante presenti lo stadio di maturazione di cui sopra. Dopo la raccolta le drupe devono essere conservate e trasportate in contenitori inerti, provvisti di adeguate aperture o fessurazioni per consentire la circolazione dell’aria; in ogni caso lo strato del prodotto ivi contenuto non può superare l’altezza di 25 cm. È vietato il trasporto e la conservazione delle drupe in sacchi di qualsiasi tipo ovvero in contenitori chiusi a tenuta.. La quantità di olive da destinare alla lavorazione dell’“Oliva di Gaeta” non può superare la quantità di 7,0 t per ettaro di oliveto. Il prodotto, una volta raccolto, viene sottoposto alla calibratura, allo scopo di eliminare drupe troppo piccole (inferiore al calibro 13 mm), ed alla cernita manuale, per allontanare le olive non sufficientemente mature, attaccate dai parassiti, danneggiate dal gelo o durante il trasporto. 5.3 Metodo di lavorazione dell’“Oliva di Gaeta”: Le partite di olive destinate alla Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta” entro 24 ore dalla raccolta devono essere avviate al processo di lavorazione secondo il “sistema alla Itrana”. Tale sistema prevede l’avvio naturale della fermentazione lattica escludendo l’aggiunta immediata di sale e/o di sostanze acidificanti di sintesi. Allo scopo, le drupe vengono poste in recipienti ad uso alimentare che, a seguire, saranno riempiti con acqua potabile fino alla completa sommersione delle drupe stesse. Il prodotto dovrà essere mantenuto in tale stato al fine di permettere l’avvio e lo sviluppo naturale del processo di fermentazione, al termine del quale il pH diventa inferiore o uguale a 4,5. Successivamente si procede all’aggiunta al liquido di governo del sale da cucina (cloruro di sodio) in quantità non superiore ai 7,0 kg di sale per ogni 100 kg di drupe allo stato fresco, in modo da ottenere la salamoia. E’ assolutamente vietata in ogni fase del processo di trasformazione l’aggiunta di acidificanti di sintesi per favorire o provocare la riduzione del pH, il cui andamento deve essere conseguente solo alla fermentazione lattica naturale. La salamoia deve presentare caratteristiche quali: colore rosso vinoso brillante, odore lattico con leggero spunto acetico, stato liquido limpido e pH inferiore o uguale a 4,5. Dopo almeno 5 mesi dalla salatura, le olive sono pronte per essere confezionate ed avviate al consumo come olive da mensa a Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta”. Prima del confezionamento la salamoia deve essere opportunamente filtrata e, eventualmente, corretta nel tenore in sale per riportare il pH ad un valore inferiore o uguale a 4,5. All’atto del confezionamento, è consentito l’impiego di sostanze acidificanti e/o conservanti, quali acido L-ascorbico e acido citrico, al fine di favorire e prolungare la conservabilità del prodotto. É ammessa la pastorizzazione della salamoia. E’ tassativamente vietata la pastorizzazione delle olive. Art.6 - Legame con l’ambiente Le caratteristiche peculiari dell’“Oliva di Gaeta” sono: - consistenza della polpa morbida, con distacco dal nocciolo netto e completo; - sapore lievemente amaro, acetico e/o lattico che la distingue dalle altre varietà di oliva da tavola; - colore della polpa da rosa intenso a violaceo; - un perfetto equilibrio tra gusto e aroma; - maggiore quantitativo di polifenoli e tocoferoli totali rispetto ad altre olive in salamoia; - presenza di alfa-tocoferolo in forma acetata, assente nelle altre olive in salamoia. E’ provato che le suddette caratteristiche chimico-organolettiche che non si riscontrano in altri prodotti similari ottenuti in altri areali, conferiscono al prodotto una univoca identità nei mercati con la specifica denominazione “Oliva di Gaeta”. Queste qualità esclusive sono essenzialmente legate ai fattori ambientali (clima, terreno), oltre che dalla varietà “Itrana”(detta anche Gaetana) che non ha altrove una così intensa diffusione, adattandosi perfettamente alle condizioni pedologiche della zona di coltivazione perimetrata come all’art. 3 che precede. Il clima della zona interessata alla DOP, di tipo mediterraneo risponde in modo ottimale alle esigenze climatiche della cultivar. Infatti, è caratterizzato da: estati calde ed asciutte, inverni poco freddi, privi di gelate, e piovosi; da temperature medie annuali che vanno da un minimo di 10°C ad un massimo di 17°C, mentre le medie delle minime del mese più freddo vanno da un minimo di 1,8°C ad un massimo di 7°C; da precipitazioni medie annuali nella fascia costiera di circa 700-800 mm, con tendenza ad aumentare verso le zone interne con precipitazioni medie annuali fra 12001500 mm. In particolare nella zona costiera, generalmente, si verifica uno stato di aridità intensa e prolungata, da 1 a 5 mesi (aprile-agosto), con 2 mesi di subaridità. I terreni calcarei della zona di coltivazione, addossati al sistema orografico dei monti Tiburtini, Prenestini, Lepini, Ausoni e Aurunci, spesso misti a materiale di origine vulcanico, di medio impasto, risultano essere ricchi di sostanza organica e con basse percentuali di argilla. Tale struttura del terreno permette di assicurare oltre al perfetto sgrondo delle acque anche l’assorbimento ed il mantenimento del calore del sole. Nella zona a Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta”, l'olivicoltura è profondamente legata al tessuto sociale locale che ha condizionato per secoli lo sviluppo del territorio e di conseguenza la vita delle popolazioni che si sono succedute nel tempo, incidendo soprattutto sull'economia della zona, quasi esclusivamente basata sulla coltivazione della varietà “Itrana” (detta anche Gaetana)e sulla propria produzione di olio e olive di alta qualità. Da numerose tracce presenti in vari documenti storici risalenti al Ducato di Gaeta, concernenti la produzione ed il commercio di olive (nere) da tavola, si evince che il territorio amministrato da tale Ducato fu la culla di origine dell’omonima oliva. La denominazione Oliva di Gaeta può storicamente essere ricondotta al nome del territorio di origine, per l’appartenenza all’omonimo Ducato, oltre che a quello del porto di partenza delle navi per i maggiori mercati al consumo dell’oliva nera. Da allora la denominazione “Oliva di Gaeta” è utilizzata da commercianti e produttori per indicare l’oliva itrana nera da tavola ottenuta secondo un particolare sistema di trasformazione locale. Dal punto di vista storico, il legame tra il prodotto ed il territorio è comprovato da numerose testimonianze documentali. Molti sono anche i riferimenti storici relativi al metodo di elaborazione delle olive nere da tavola. Tali fattori ambientali ed umani nell’area di coltivazione della Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta” incidono in modo univoco sulle caratteristiche organolettiche e qualitative del prodotto. La denominazione “Oliva di Gaeta” è ormai consolidata nel tempo da diversi decenni, come dimostrato da fatture, etichette, materiale pubblicitario, pubblicazioni. Articolo 7. Controlli La verifica del rispetto del disciplinare è svolta conformemente a quanto stabilito dall’articolo 37 del Reg.(UE) n. 1151/2012. Tale struttura è l'organismo di controllo Certiquality S.r.l. , con sede in Via G. Giardino n. 4, 20123 Milano, tel. 02-8069171, fax 02-86465295, e-mail certiquality@certiquality.it. Articolo 8. Etichettatura Il prodotto avviato al consumo con la Denominazione di Origine Protetta “Oliva di Gaeta” può essere confezionato: - in recipienti ad uso alimentare della capacità massima di 25 litri. Per tale tipologia di confezione deve essere riportata sul contenitore la data di confezionamento a caratteri marcati e ben visibili e indelebili; - in contenitori di vetro trasparenti fino alla capacità massima di 4 litri; - in contenitori monouso di plastica fino alla capacità massima di 4 litri. Il prodotto “Oliva di Gaeta” D.O.P., dovrà recare obbligatoriamente sulle etichette a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico europeo identificativo delle produzioni D.O.P. e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori informazioni: - “Oliva di Gaeta” seguita dall’acronimo DOP (Denominazione di Origine Protetta); - il nome, la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda produttrice; - il logo del prodotto, costituito dalla sagoma caratteristica dell’oliva itrana con picciolo, contornata da un bordo di colore bianco dello spessore almeno di 1pt.. All’interno dell’oliva troviamo la denominazione “OLIVA di GAETA – DOP” e due foglie su ramo di olivo. I riferimenti di colore espressi in quadricromia sono i seguenti: la sagoma dell’oliva di colore viola: da C5% M25% Y29% K1% a C52% M75% Y30% K17%. bordo bianco: C0% M0% Y0% K0%; le scritte “OLIVA di GAETA” e “DOP”, sono di colore giallo: C0% M0% Y100% K0%. Il picciolo è di colore nero: C0% M0% Y0% K100%. La base del picciolo va da C37% M28% Y72% K21% a C52% M75% Y30% K17%. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda dalla cui coltura il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La designazione “Oliva di Gaeta” è intraducibile. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lazio, Campania | Latina, Frosinone, Roma, Caserta |
Patata del Fucino Patata del Fucino IGP Disciplinare di produzione - Patata del Fucino IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Patata del Fucino” è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La denominazione “Patata del Fucino” designa i tuberi maturi della specie Solanum tuberosum della famiglia delle Solanacee, ottenuti con tuberi semi di varietà di patate iscritte nel catalogo comune delle varietà di piante agricole. La “Patata del Fucino” deve essere piantata, coltivata e raccolta nell’area geografica delimitata all’interno del bacino dell’ex lago del Fucino, di cui al successivo art. 3. Devono presentare al consumo le seguenti caratteristiche: Proprietà fisiche forma del tubero: dal tondo al tondo-ovale, ovale, ovale allungata. calibro: a partire da 35 mm pasta: soda, dal bianco al giallo parte edibile: non inferiore al 95% Per il prodotto destinato all’industria di trasformazione non sono previsti limiti di forma e di calibratura. Proprietà chimiche (per 100 grammi di parte edibile) Residuo secco: ≥ 14 Amido: minimo ≥ 8 g; Potassio: minimo ≥ 300 mg. Fosforo: minimo ≥ 35 mg Tolleranze di qualità Le patate ammesse a tutela, all’atto della commercializzazione nelle confezioni scelte, devono avere le seguenti caratteristiche: a) omogeneità di calibro dei tuberi: la dimensione dei tuberi non potrà essere inferiore ai 35 mm e superiore agli 80 mm con una differenza ammessa, nelle singole confezioni, non superiore ai 20 mm. b) i tuberi devono essere interi, sodi, puliti, non germogliati, privi di danneggiamenti di natura biotica o abiotica. Sono ammesse le seguenti tolleranze espresse in numero di tuberi per confezione: La sommatoria dei numeri dei tuberi per confezione che presentano i difetti di cui in tabella non può superare il numero di 20%. Articolo 3. Zona di produzione La delimitazione dell’area di coltivazione viene individuata dalla strada provinciale Circonfucense e include porzioni di territorio, suddivise da strade interpoderali ed appezzamenti numerati, appartenenti ai seguenti comuni della provincia di L'Aquila: Avezzano; Celano; Cerchio; Aielli; Pescina; S. Benedetto dei Marsi; Ortucchio; Trasacco; Luco dei Marsi. Per la delimitazione dei confini sono state utilizzate le carte I.G.M. 1:25.000 della regione Abruzzo ricadenti nei fogli: F° n. 145 II° - F° n. 146 III° - F° n. 151 I° - F° n. 152 IV°. Perimetrazione dell'area Partendo da Avezzano (L'Aquila), percorrendo la strada via Nuova – strada 4 in direzione sud fino al km 2 si incontra il semaforo di Borgo via Nuova, svoltando immediatamente a sinistra ci si immette sulla strada Circonfucense di cui al comma 1 del presente articolo. Durante il percorso, che riporterà esattamente al punto di partenza, si incontra strada 5 e strada 6 (località Caruscino), si prosegue attraversando gli incroci di strada 7, strada 8, strada 9, strada 10, strada 11 (Paterno di Avezzano località Pietragrossa), si prosegue incontrando strada 12, strada 13 strada 14, (Borgo Strada 14). Senza lasciare la Strada Circonfucense si prosegue attraversando gli incroci di strada 15, strada 16, strada 17, strada 18, strada 19, strada 20, strada 21 fino ad arrivare a S. Benedetto dei Marsi incrocio di strada 22. Si prosegue attraversando gli incroci di strada 23, strada 24, strada 25, strada 26, strada 27 fino ad arrivare al comune di Ortucchio incrocio di strada 28. Si prosegue attraversando gli incroci di strada 29, strada 30, strada 31, strada 32 in località Balzone proseguendo incrociando strada 33, strada 34, strada 35, fino ad arrivare a Trasacco incrocio di strada 36. Proseguendo e costeggiando sempre il canale allacciante meridionale si attraversano gli incroci di strada 37, strada 38, strada 39, strada 40, strada 41, strada 42, fino a Luco dei Marsi, si oltrepassa il paese e si prosegue attraversando gli incroci di strada 43, strada 44, strada 45, strada 46 fino ad arrivare a Borgo Incile strada 1. Proseguendo si incontra strada 2, (l'ex zuccherificio di Avezzano) fino ad arrivare all'incrocio di via Nuova – strada 4, Borgo Via Nuova, punto di partenza. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva della struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di verifica secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La tecnica di coltivazione si basa sulle pratiche tradizionalmente seguite nel territorio di cui all’art. 3. La “Patata del Fucino” deve essere prodotta con il metodo della Produzione Integrata o Biologica, facendo riferimento alle “Norme Tecniche di Difesa” che annualmente vengono redatte ed aggiornate dal Servizio Fitosanitario della Regione Abruzzo. Rotazione È vietato il ristoppio, la successione con altre solanacaee nonché qualsiasi forma di consociazione. Tuberi seme La patata del Fucino deve essere prodotta tramite l’impiego di tuberi seme certificati secondo la normativa comunitaria. Si potrà far impiego di tuberi di calibro compreso nell’intervallo 28-55 mm. I tuberi di calibro compreso nell’intervallo 28/45 vanno seminati interi, i tuberi di calibro compreso nell’intervallo 45/55 possono essere seminati tagliati o interi. Sistemazione del terreno e preparazione del letto di semina I terreni destinati alla coltivazione della “Patata del Fucino” devono essere preparati allo scopo di creare un “buon letto di semina” che faciliterà lo sviluppo dell’apparato radicale, degli stoloni e dei tuberi. Le lavorazioni vanno effettuate quando il terreno è in tempera per consentire la formazione di una struttura glomerulare che è garanzia di un giusto rapporto acqua-aria. Per la preparazione del letto di semina in primavera va eseguita un’aratura a profondità non inferiore ai 30 - 40 cm a cui devono seguire operazioni di affinamento del terreno. Concimazione, Difesa fitosanitaria e Diserbo Devono essere effettuate applicando quanto disposto dalle norme contenute nei disciplinari emanati dalla Regione Abruzzo in materia di Produzione Integrata. É ammessa al momento della semina a pieno campo o localizzato nel solco, l’intervento di geodisinfestazione. Semina La semina va effettuata da metà Marzo a fine Maggio in relazione alle varie tipologie di terreno e dell’andamento climatico. La quantità di seme che è in relazione al calibro del tubero seme ed alla varietà, deve oscillare da 2.000/2.500 Kg./Ha con tuberi calibro medio (40/45 e 35/55 mm) fino a ridursi ai 1.400/1.600 Kg./Ha per calibri inferiori (28/35 mm). Il seme andrà posto a dimora con una distanza tra le file non al di sotto dei 65 cm e fino a 90 cm. Le distanze lungo la fila varieranno tra i 20 ai 35 cm. È ammessa la pratica della pre-germogliazione. Tecniche colturali: Concimazioni, difesa fitosanitaria e diserbo Devono essere effettuate applicando quanto disposto dalle Norme contenute nei disciplinari emanati dalla Regione Abruzzo in materia di produzione integrata o biologica. Particolare attenzione dovrà essere rivolta alla rincalzatura per dare al solco una forma convenevole e comunque tale da evitare la fuoriuscita dal suolo dei tuberi e quindi l’inverdimento degli stessi. Irrigazioni Sono ammesse le seguenti tecniche irrigue: l’irrigazione per aspersione e l’irrigazione a goccia, con preferenza a tutte quelle che consentono un risparmio idrico. Raccolta La raccolta avrà inizio dal 20 luglio (con le varietà precoci) e si protrarrà fino al 15 novembre, per le varietà a ciclo medio e tardivo. La raccolta andrà eseguita quando i tuberi hanno raggiunto la loro maturità fisiologica cioè quando la buccia non si lascia staccare dalla polpa per non compromettere le caratteristiche del prodotto di cui all’art 2. (facendo pressione sulla buccia con il pollice). È consentita la pratica del disseccamento chimico della vegetazione. Nei terreni particolarmente asciutti e/o zollosi prima della scavatura deve essere effettuata una leggera irrigazione per evitare di arrecare danneggiamenti meccanici ai tuberi. Conservazione Dopo la raccolta ed una prima cernita in campo, le patate devono essere trasportate nei centri di condizionamento, per essere immagazzinate in ambienti idonei sia nei riguardi della temperatura che dell’umidità, al fine di mantenere le caratteristiche qualitative di cui all’art 2. La conservazione delle patate dovrà avvenire in contenitori (bins), alla temperatura di 4 - 10 °C ed umidità relativa compresa tra 88 e 95%. I tuberi possono sostare in frigo anche per lunghi periodi e comunque non oltre i 9 mesi. Sono ammessi i trattamenti anti germoglianti sui tuberi conservati, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia. Centri di condizionamento e confezionamento Le patate, IGP “Patata del Fucino”, potranno essere commercializzate “tal quale” o a seguito di condizionamento lavate e/o spazzolate. Articolo 6. Legame con l’ambiente Legame tra caratteristiche del prodotto e ambiente di coltivazione Le condizioni pedo-climatiche del Fucino posto a 700 m.s.l.m. influenzano le caratteristiche qualitative delle patate tanto che in valutazioni sensoriali eseguite con il metodo del flavour profile su tuberi cotti a vapore o su tuberi fritti (a seconda della destinazione culinaria) al fine di ottenere un profilo aromatico e gustativo, le patate del Fucino messe a confronto con le stesse varietà coltivate in altri areali pataticoli sia italiani che europei (Germania, Francia, Calabria, Emilia Romagna e Lazio), si sono diversificate per l’indice “gusto tipico o bontà del sapore”. La patata del Fucino, attraverso il panel test eseguito da giudici assaggiatori addestrati docenti dell’AIS (Associazione Italiana Sommeliers) ha mostrato una “ bontà del sapore” o “Sapore di patata” molto pronunciato con una pressoché assenza di retrogusti negativi, (metallo, erba, ecc.). La bontà del sapore insieme alle caratteristiche strutturali della polpa come consistenza, umidità e granulazione, rendono la patata fucense di elevato pregio qualitativo nonché facilmente identificabile dai consumatori. Un altro aspetto qualitativo della patata del Fucino è che non presenta il difetto dell’annerimento dopo cottura a vapore (after cooking blackening) dovuto alla reazione tra acido cloro genico e ferro con la formazione di composti melaninici poco apprezzati da parte del consumatore. Anche in questo caso il confronto con patate di altra provenienza ha messo in luce come le patate del Fucino siano le uniche non soggette all’alterazione. (Rif. Progetto Patata realizzato dall’ARSSA Abruzzo e dall’Istituto “Mario Neri” I° anno). Anche le analisi qualitative confermano l’elevato pregio delle patate del Fucino che associa alla validità dei parametri qualitativi una bontà del sapore tipica e distintiva del pedo-clima di produzione. (Rif. Progetto Patata realizzato dall’ARSSA Abruzzo e dall’Istituto “Mario Neri” II° anno 2007). Dal 2002 molti produttori del Fucino associati producono patate secondo lo schema di certificazione di “produzione integrata” adottando un disciplinare che riguarda il prodotto esplicitamente indicato come “Patata del Fucino” a testimonianza dell’utilizzo della denominazione anche nel linguaggio produttivo-commerciale. Diversi sono gli articoli pubblicati su riviste di settore quali “L’informatore Agrario” dove è citata la denominazione “Patata del Fucino", il Fucino come zona altamente vocata alla produzione di patate e il Fucino come località per la sperimentazione varietale della patata: “Le varietà di patata coltivate in Italia e la loro destinazione d’uso” (pg. 61, numero 2/2002); “Ecco perchè in Italia non si produce patata da seme” (pagg. 34- 36, numero 46/2008); “Produzione di patata da seme: contributo per la valorizzazione dell’agricoltura montana” (pagg. 27-29, numero 18/97); “Sperimentazione varietale 1998 su patata comune nel centro e nel nord” (pag. 39-46, numero 48/98). Nel corso degli anni, molte attività sono state svolte dagli operatori locali nella promozione e valorizzazione della “Patata del Fucino” si citano: dal 1971 la “Sagra della Patata” che viene organizzata nel Fucino e precisamente nel comune di Avezzano; nel 2008, anno internazionale della patata promosso dalla FAO, i coltivatori di Patate del Fucino nell’ambito del progetto di cooperazione “Progetto Albania”, hanno fornito supporto tecnico e attrezzi agricoli alla Zadrima albanese; nel 2001 una puntata della trasmissione televisiva “Il Gusto” dedicata alla Patata del Fucino andata in onda sul network canale 5; nel 1993 in una puntata di Linea Verde trasmessa dalla RAI è stata divulgata a livello nazionale la reputazione della Patata del Fucino”. Legame tra filiera produttiva e ambiente L’ampia rappresentatività degli operatori nei tasselli della filiera produttiva, la disponibilità di elevate quantità di prodotto, la specializzazione degli addetti nella coltivazione, la notorietà della bontà delle patate del Fucino, l’ampia gamma di prodotto trasformato (stick di patate prefritte e surgelate, cubetti surgelati, spicchi e tondello di patate prefritte, gnocchi di patate, sformato di patate, etc,), le recenti produzioni di prodotto fresco pelato e tagliato pronto per la cottura, sono tutte testimonianze del forte legame tra il territorio con il “pomo di terra” e rappresentano l’interesse degli operatori a rimanere tra i leader in questo settore. Articolo 7. Controlli Le verifiche sulla conformità del prodotto al presente disciplinare saranno svolte da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’articolo 37 del regolamento (UE) n. 1151/12. La struttura designata è il CCPB srl - Via J. Barozzi, 8 - 40126 - BOLOGNA Tel. 0039 051 6089811 - Fax 0039 051 254842 – e-mail: ccpb@ccpb.it - web: www.ccpb.it - PEC: dirccpb@legalmail.it Articolo 8. Etichettatura Confezionamento del prodotto destinato al mercato del fresco Per la commercializzazione della IGP “Patata del Fucino” ai fini dell’immissione al consumo devono essere utilizzate le seguenti tipologie di confezioni: sacchi da: 5 Kg. - 20 Kg.; retine da: 1,5 Kg. - 2 Kg. - 2,5 Kg.; confezioni: vertbag, quickbag, girsac e busta da 1,5 Kg. - 2 Kg. - 2,5 Kg. - 5 Kg.; cartone o cassa da 3 Kg. a max 20 Kg. Tutte le tipologie di confezioni devono contenere prodotto pulito (spazzolato e/o lavato) ed essere sigillate in modo tale che i tuberi non possano essere estratti senza la rottura della confezione stessa ad eccezione del cartone o cassa. Etichettatura L’etichetta, da apporre sulle confezioni, oltre al simbolo dell’Unione e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, riporta le seguenti ulteriori indicazioni: “Patata del Fucino” seguita dalla sigla IGP o dalla dicitura Indicazione Geografica Protetta; nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo e/o associato e/o del confezionatore; peso netto all’origine; varietà. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno il consumatore, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e che non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. Logotipo Il logo della denominazione è costituito da un emblema di forma quadrata delimitato da tre linee: di colore verde (pantone 356 M) all’esterno, bianco e rosso (pantone 1797 PC) all’interno. Al centro del riquadro è posizionato un tubero a buccia gialla, contornato, nella parte superiore dalla dicitura “PATATA DEL FUCINO IGP” (pantone verde 356 M). Il tubero “indossa” una fascia tricolore (pantone verde 356 M; pantone rosso 1797 PC) che riporta, sulla striscia centrale bianca la dicitura “IGP” (pantone 1797 PC); font utilizzato: Plantagenet Cherokee Regular). Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo, rispettando il rapporto 1:1, per un minimo di 2 cm per lato. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Abruzzo | L'Aquila |
Patata dell'Alto Viterbese Patata dell'Alto Viterbese IGP Disciplinare di produzione - Patata dell'Alto Viterbese IGPArticolo 1. L'Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) «Patata dell'Alto Viterbese» e' riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La denominazione «Patata dell'Alto Viterbese» designa il tubero della specie Solanum tuberosum ottenuto dalle varieta' Monalisa, Ambra, Agata, Vivaldi, Finka, Marabel, Universa, Chopin, Arizona e Agria, coltivate nell'area delimitata di cui all'art. 3, che presenta all'atto dell'immissione al consumo le seguenti caratteristiche: Fisiche: forma: ovale od ovale allungata regolare; calibro: compresa tra 40 e 75 mm; buccia: giallo, liscia; pasta: gialla; parte edibile: non inferiore al 97 %. Per il prodotto destinato alla IV gamma non sono previsti limiti di forma e di calibratura. Tale prodotto si presenta privo di buccia e tagliato secondo le esigenze del mercato. Chimiche (per 100 grammi di parte edibile): umidita': compresa tra 75 e 85%; amido: minimo 10 g potassio: minimo 280 mg. Tolleranze di qualita'. Fino ad un massimo di 3 mm di profondita' qualsiasi difetto e' considerato superficiale e non viene preso in considerazione, tranne nel caso di scabbia superficiale e che interessi oltre il 15% della superficie dei tuberi. In ciascuna confezione destinata al mercato sono ammesse, inoltre, le seguenti tolleranze di qualita': difetti esterni dei tuberi: immaturi, non interi, avvizziti e deformati: 1% in peso; inverditi: 3% in peso; scabbia superficiale: 3% in peso; ferite meccaniche: 3% in peso; danni da malattie fungine: 2% in peso; difetti interni dei tuberi: maculature ferruginose: 3% in peso; macchie sottoepidermiche: 5% in peso; cuore cavo: 3% in peso; difetti di lavorazione: terra aderente: 1% in peso; terra non aderente ed altre impurita': 0% in peso. Le tolleranze di qualita' non potranno in alcun modo superare il 10% in peso sul totale; non e' ammessa alcuna tolleranza per odore e sapore estranei. Per il prodotto di IV gamma non sono ammesse macchie sul prodotto confezionato superiori al 5% in peso. Tolleranze di calibro. Per il prodotto destinato al mercato del fresco e' tollerato in ogni confezione il 5% in numero di tuberi di calibro inferiore o superiore rispetto a quanto stabilito. Articolo 3. Zona di produzione L'areale di produzione della «Patata dell'Alto Viterbese» I.G.P. particolarmente vocato alla coltivazione di questo tubero, ricade nel territorio piu' a nord del Lazio, in provincia di Viterbo, compreso tra il lago di Bolsena, l'Umbria e la Toscana. Il comprensorio, ricadente nella zona del complesso vulcanico-vulsino, e' caratterizzato da terreni di origine vulcanica ricchi di potassio e da un microclima che risente degli influssi del Lago di Bolsena. I comuni dell'areale IGP ricadenti nella provincia di Viterbo, sono: Acquapendente, Bolsena, Gradoli, Grotte di Castro, Latera, Onano, S. Lorenzo Nuovo, Valentano e Proceno. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi gestiti dall'organismo di controllo, dei coltivatori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei trasformatori e dei confezionatori, nonche' attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantita' prodotte, e' garantita la tracciabilita' e la rintracciabilita' del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento La tecnica di coltivazione si basa sulle pratiche tradizionalmente seguite nel territorio di cui all'art. 3. Essa consta delle seguenti fasi: Caratteristiche del tubero-seme. La «Patata dell'Alto Viterbese» deve provenire da tuberi-seme certificati, che devono essere seminati interi o sezionati nel territorio di cui all'art. 3. Nel caso di utilizzo di tuberi interi il calibro deve essere al massimo di 55 mm. Qualora si ricorra al frazionamento dei tuberi, e' necessario che questi suberizzino almeno parzialmente prima della messa a dimora. Preparazione del terreno. I lavori preparatori hanno lo scopo di creare un buon «letto di semina» per consentire un adeguato sviluppo dell'apparato radicale e l'accrescimento uniforme dei tuberi nonche' uno sgrondo regolare delle acque in eccesso. Deve essere effettuata un'aratura profonda non meno di 30 cm nei mesi di settembre ottobre, che permette agli agenti atmosferici invernali (pioggia, gelo, neve) di agire disgregando le zolle piu' grosse ottenendo una tessitura piu' idonea ad accogliere il tubero-seme. Seguono le lavorazioni di affinamento del terreno (erpicature) da effettuare a fine inverno (febbraio-marzo). Semina.. Prima della messa a dimora del tubero-seme viene effettuata una fresatura del terreno. Il periodo di semina dei tuberi-seme e' compreso tra 15 febbraio e 15 maggio di ciascun anno. Il sesto d'impianto e' compreso tra 0,70-0,90 m tra le file e 0,12 - 0,35 m lungo le file. La quantita' di seme impiegata ad ettaro e' compresa tra 1000 e 1200 kg per il seme sezionato e tra i 1800 e 3000 kg per il seme intero. E' ammessa la pratica della pre-germogliazione. Avvicendamenti. E' vietata la monosuccessione; e' consentito che la patata venga coltivata sullo stesso appezzamento di terreno dopo un anno di altre colture. Concimazione, Difesa fitosanitana e Diserbo. Devono essere effettuate applicando quanto disposto dalle norme contenute nei disciplinari emanati dalla Regione Lazio in materia di produzione integrata. E' ammessa al momento della semina a pieno campo o localizzato nel solco, l'intervento di geodisinfestazione. Irrigazione. Sono ammesse esclusivamente le seguenti tecniche di irrigazione: irrigazione a pioggia; a goccia e a scorrimento. Cure colturali. Occorre effettuare una sarchiatura poco dopo l'emergenza seguita da una rincalzatura,. Raccolta. La raccolta, manuale o meccanica, deve effettuarsi nel periodo compreso tra 15 giugno e 30 settembre di ciascun anno, quando la buccia non si lacera alla pressione esercitata dallo sfregamento con le dita, in quanto cio' permette d'intervenire con macchine scavaraccoglipatate che depositano i tuberi in contenitori idonei al trasporto presso gli impianti di ritiro. Conservazione e condizionamento post-raccolta. Il prodotto puo' essere direttamente commercializzato tal quale o conservato in magazzini frigoriferi a riparo dalla luce, alla temperatura di 5-8 °C ed umidita' relativa compresa tra 88 e 93%. I tuberi non possono sostare in frigo oltre i 9 mesi. Le patate possono essere sottoposte ad un trattamento antigermogliante in fase gassosa. Processo di IV gamma. Le patate vengono sottoposte al processo di lavaggio in acqua per rimuovere terra ed eventuali altre impurita'. Successivamente vengono avviate alla pelatura meccanica e sottoposte ad una prima cernita dove vengono eliminati i tuberi non utilizzabili ai fini alimentari oltre che eventuali impurita' ancora presenti (sassi, materiale vegetale diverso, ecc.). Il prodotto viene sottoposto al processo di taglio o prosegue la lavorazione come tubero intero. Dopo una seconda cernita, che puo' avvenire manualmente o avvalendosi di appositi macchinari, il prodotto viene immesso in acqua ozonizzata al fine di rallentare il processo di ossidazione. Successivamente il prodotto viene pesato e confezionato in appositi contenitori per alimenti. Il prodotto uscito dalla linea di lavorazione e prima della spedizione viene immagazzinato in celle frigorifero a una temperatura compresa tra 3 e 5 °C. Articolo 6. Legame con l'ambiente Il prodotto a Indicazione Geografica Protetta «Patata dell'Alto Viterbese» e' fortemente dipendente dalle peculiarita' ambientali (suolo e clima) e socio-economiche della zona. Le caratteristiche pedoclimatiche, infatti, sono tali da esaltare l'univocita' degli aspetti qualitativi del prodotto, noto sul mercato con la denominazione corrente «Patata dell'Alto Viterbese», come testimoniano i numerosi documenti commerciali (fatture, bolle di accompagno, etichette, ecc) oltre alle consolidate feste popolari. Le caratteristiche della «Patata dell'Alto Viterbese» IGP come odore, gusto, ma soprattutto intensita' del colore della polpa (esclusivamente giallo) e alto contenuto di potassio, sono determinate oltre che dalla genetica anche dall'ambiente di coltivazione (suolo, clima, tecnica colturale, tipologia di conservazione), per cui risulta evidente il legame della «Patata dell'Alto Viterbese» con l'areale di cui all'art. 3. I terreni dell'areale sono di origine vulcanica, con la presenza di formazioni laviche e piroclastiche, e di tessitura franco-sabbiosa con permeabilita' alta e densita' apparente bassa. Sono terreni acidi, con pH compreso tra 5,0 e 6,5 - a cui la patata si adatta bene essendo una coltura tollerante all'acidita' - con elevato contenuto di potassio (compresi tra 600-1000 ppm) e microelementi. Le condizioni climatiche sono influenzate dalla presenza del lago di Bolsena, imponente bacino lacustre, che grazie alla sua azione mitigratrice, determina delle condizioni microclimatiche particolarmente favorevoli per la coltura della «Patata dell'Alto Viterbese». Infatti, nel periodo primaverile (aprile/maggio), quando la patata si trova nella fase di emergenza ed inizio sviluppo vegetativo, le temperature dell'areale IGP si attestano tra 12-14,5°C: si tratta di temperature ottimali per queste fase fisiologiche della pianta. In estate, le temperature dell'areale grazie all'influenza del lago di Bolsena, tendono ad innalzarsi gradualmente a partire dai 17°C fino ad arrivare intorno a 24°C nel mese di luglio; in questo periodo di tempo la patata compie tutto il ciclo biologico fino ad arrivare alla fase di maturazione. Tali condizioni climatiche ottimali della zona (temperatura inferiore a 24°C) determinano una migliore traslocazione dei carboidrati e degli elementi minerali (in particolar modo il potassio) verso i tuberi della pianta, con conseguente maggior sviluppo delle dimensioni del tubero e del relativo contenuto di potassofilo. Per quanto riguarda le precipitazioni (media annua tra 800 e 1200 mm/anno) durante il mese di agosto, l'assenza di piogge, unitamente alle alte temperature, con picchi fino a 30°C, favorisce la fase di maturazione o senescenza. Durante quest'ultima fase fisiologica si ha un progressivo ingiallimento delle foglie, perdita di funzionalita', traslocazione dei prodotti della fotosintesi e dei nutrienti accumulati durante la crescita nei tuberi e la suberificazione della buccia. Questa fase di maturazione e' accelerata e favorita da temperature alte e momenti di stress idrico: condizioni che si verificano tutti gli anni nell'areale della «Patata dell'Alto Viterbese». Inoltre le condizioni di siccita' nella fase di raccolta del prodotto determinano caratteristiche qualitative sulla «Patata dell'Alto Viterbese», quali il colore uniforme della buccia e l'aspetto complessivo dei tuberi (la pioggia favorisce fenomeni di alterazione della buccia che si macchia di scuro). L'omogeneita' delle caratteristiche pedo-climatiche della zona, sono confermate dalla Carta del fitoclima del Lazio che classifica in un'unica aree l'areale di produzione dell'I.G.P. «Patata dell'Alto Viterbese»: Regione Mesaxerica, Termitipo collinare superiore (submontano), Ombrotipo iperumido inferiore. Numerose sono le testimonianze orali e scritte di anziani locali che attestano il consolidato legame storico-culturale-sociale instaurato tra prodotto e territorio. La coltura delle patate si diffonde nell'areale oggetto di caratterizzazione, identificato con la denominazione «Alto Viterbese», negli anni '20 del '900, sebbene l'impulso decisivo allo sviluppo di questa coltivazione provenga dall'abbandono della coltura della fragola, praticata largamente fino alla meta' degli anni '50 e sostituita a causa di problemi di ordine fitosanitario. A partire dagli anni '60, infatti, la patata diviene la coltura prevalente nella zona, di cui costituira' - negli anni seguenti ed ancora oggi - la maggiore fonte di reddito dell'economia agricola locale, nonche' degli addetti che si occupano dello stoccaggio, del confezionamento, della commercializzazione e del trasporto. Oltre all'indotto, la forte concentrazione di produzione pataticola ha spinto alcune officine meccaniche a migliorare le macchine agricole in commercio per la lavorazione dei tuberi, tanto da adattarle alle particolari condizioni dei terreni ed alle pratiche in uso nella zona. Riviste specialistiche, fotografie, racconti di autori locali e testimonianze cinematografiche attestano la presenza della patata dell'Alto Viterbese sin dagli inizi del '900. La denominazione «Patata dell'Alto Viterbese» si consolida in ritardo rispetto al successo commerciale del prodotto. In un primo momento, infatti, e' la citta' di Grotte di Castro che lega il suo nome alla patata, ma a partire dalla meta' degli anni '60, anche gli agricoltori dei Comuni limitrofi, forti degli ottimi risultati ottenuti dai grottani, si convincono a seguirne l'esempio dal momento che i terreni di analoga natura vulcanica, ne avrebbero assicurato le medesime rese. Nel 1971 sette delle strutture associative gia' operanti si riuniscono in un consorzio denominato Consorzio Cooperativo Ortofrutticolo dell'Alto Viterbese (CCORAV) che comincia a commercializzare i propri prodotti con la dicitura «Alto Viterbese» e negli anni '80 tale dicitura diviene di uso comune. Altro elemento caratterizzante l'importanza del prodotto nel costume locale e' testimoniato dalla tradizione delle sagre: dalla Sagra degli Gnocchi, inaugurata nel 1977 a S. Lorenzo Nuovo, alla Sagra della Patata che dal 1985 ha luogo nel Comune di Grotte di Castro coinvolgendo intensamente la popolazione locale nell'allestimento delle manifestazioni. Il legame culturale e' sottolineato, inoltre, anche dal largo impiego della patata in numerose ricette tipiche della tradizione gastronomica locale, coma la Minestra con «l'orloge», cosi' detta dal modo di tagliere le patate, la Pasta e patate, piatto povero della tradizione contadina dell'alto viterbese e la frittata di patate, preparata senza le classiche uova. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformita' del prodotto al disciplinare e' svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura e' l'Autorita' pubblica designata ARSIAL - via R. Lanciani, 8 - 00162 Roma - tel. 06/862731451 fax 06/86273270 e-mail agroquality@arsial.it Articolo 8. Etichettatura Confezionamento. Il prodotto viene confezionato o immediatamente dopo la raccolta o successivamente ad un periodo di condizionamento di cui all'art. 5. Per l'immissione al consumo il confezionamento della «Patata dell'Alto Viterbese» deve essere effettuato in una delle seguenti tipologie di confezioni: Per il fresco: confezione vert-bag, girsac, buste e scatole di cartone da: 1 kg, 1,5 kg, 2 kg, 2,5 kg, 5 kg; retina da: 1 kg, 1,5 kg, 2 kg, 2,5 kg; sacco da: 2,5 kg, 3 kg, 4 kg, 5 kg, 10 kg; cartone da: 5 kg, 10 kg, 12,5 kg, 15 kg, 20 kg, 25 kg; cassa in legno da: 12,5 kg, 15 kg, 18 kg, 20 kg, 25 kg; cesta da: 10 kg, 12,5 kg, 15 kg, 20 kg, 25 kg; vassoio da: 0,5 kg, 0,750 kg, 1 kg; vaschetta da: 0,5 kg, 0,750 kg, 1 kg. Per la IV gamma: busta di plastica per alimenti trasparente, sigillata, in atmosfera controllata, da 0,5 kg, 1,0 kg, 2 kg, 5 kg e 10 kg; buste in plastica per alimenti trasparente sigillata e sottovuoto da 0,5 kg, 1 kg, 1,5 kg, 2 kg, 5 kg, 10 kg; buste in plastica per alimenti trasparente, sigillata con prodotto immerso in acqua da 0,5 kg, 1 kg, 2 kg, 5 kg, 10 kg riferito al peso sgocciolato; secchiello in plastica per alimenti trasparente sigillato con prodotto immerso in acqua da 5 kg e 10 kg riferito al peso sgocciolato. Tutte le confezioni devono essere in materiale idoneo all'uso alimentare e sigillate in modo tale che il prodotto non possa essere estratto senza la rottura della confezione stessa. Non e' ammessa la vendita di prodotto sfuso, ad esclusione del caso in cui il singolo tubero venga etichettato secondo le modalita' previste dal presente articolo. Etichettatura. L'etichetta, da apporre sulle confezioni, oltre al simbolo grafico comunitario e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, riporta le seguenti ulteriori indicazioni: «Patata dell'Alto Viterbese» seguita dalla sigla I.G.P. o dalla dicitura Indicazione Geografica Protetta; nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo e/o associato e/o del confezionatore; peso netto all'origine; varieta'. E' vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E' tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purche' non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno il consumatore, nonche' di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e che non siano in contrasto con le finalita' e i contenuti del presente disciplinare. Logotipo. Il logo della denominazione e' costituito da un emblema di forma quadrata contornato da due linee di colore, dall'esterno all'interno, blu (pantone reflex bluec) e giallo-ocra (pantone 131C). Su lato esterno sinistro e' riportata la scritta «PATATA» (pantone 131C) «DELL'ALTO» (pantone 348C); su quello esterno superiore la dizione «VITERBESE» (pantone reflex bluec). All'interno del quadrato sono rappresentate in modo stilizzato le colline di colore verde (pantone 348C), caratteristiche del paesaggio della zona; lo specchio del lago di Bolsena di colore azzurro (pantone 3005C) e la Patata dell'Alto Viterbese (da pantone 131C a fino il 30% del pantone 131C). Sopra le colline e' posto l'acronimo I (pantone 131C) G (pantone 348C) P (pantone reflex bluec). Il font delle scritte utilizzato e': meta plus black Il logo si potra' adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo, rispettando il rapporto 1:1, per un minimo di 1 cm per lato. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lazio | Viterbo |
Patata della Sila Patata della Sila IGP Disciplinare di produzione - Patata della Sila IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta “Patata della Sila” è riservata esclusivamente al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La denominazione “Patata della Sila” designa il tubero della specie Solanum tuberosum, della famiglia delle Solanacee ottenuto dalle varietà Agria, Desirèe, Ditta, Majestic, Marabel, Nicola, e che deve presentare al consumo le seguenti caratteristiche: Caratteristiche fisiche Forma: Tonda – Tonda/ovale – Lunga/ovale Calibro: compreso tra - 28 mm. e 42 mm. (mezzanella o tondello) - tra 43 mm. e 75 mm. (prima) - oltre 76 mm. (fiorone) Buccia: consistente dopo sfregamento. Polpa: consistente, senza cedimenti alla pressione. Sostanza secca Contenuto minimo (%): - 19 %, nelle varietà a maturazione precoce; - 20 %, nelle varietà a maturazione media e medio-precoce; - 21 %, nelle varietà a maturazione tardiva e medio-tardiva. All’atto dell’immissione al consumo i tuberi devono essere sani, non germogliati, interi, puliti, esenti da macchie aventi una profondità superiore a 3 mm e/o danni provocati da attacchi parassitari. È ammessa la presenza di tagli e/o unghiature e/o spellature su una quantità in peso di tuberi inferiore al 5% del totale. R.m.a. (residuo massimo ammesso di principi attivi) (%): inferiore al 50 % del limite previsto dalla legislazione vigente. Articolo 3. Zona di origine La zona di produzione della “Patata della Sila” comprende esclusivamente il territorio dei seguenti comuni: Acri, Aprigliano, Bocchigliero, Celico, Colosimi, Longobucco, Parenti, Pedace, Rogliano, San Giovanni in Fiore, Serra Pedace, Spezzano della Sila, Spezzano Piccolo, in provincia di Cosenza e il comune di Taverna in provincia di Catanzaro. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Caratteristiche del tubero-seme La “Patata della Sila” deve provenire da tuberi-seme certificati secondo le norme sementiere nazionali. Questi devono essere seminati nel territorio di cui all’art. 3 per un ciclo produttivo. E’ ammesso l’utilizzo di semi autoriprodotti, per non più di un ciclo produttivo, dall’azienda agricola produttrice. Le dimensioni dei tuberi-seme devono essere di calibro compreso tra 28-55 mm. I tuberi-seme devono essere conservati in ambienti aerati con finestre e/o con sistemi di ventilazione forzata, con umidità relativa superiore all’80% e temperatura statica compresa tra 4 e 12°C. È ammessa la frigoconservazione alla temperatura compresa tra 4 e 6°C nel periodo dal 1 marzo al 31 maggio, al fine di evitare la germogliazione. Pre-germogliazione È ammessa una pre-germogliazione dei tuberi-seme, allo scopo di stimolare un anticipo del ciclo produttivo della tuberificazione. Il periodo di pre-germogliazione può variare da 10 a 20 giorni prima della messa a dimora (semina), al termine del quale i germogli devono raggiungere una lunghezza compresa tra 1 e 1,5 cm. Per i tuberi-seme di dimensione superiore ai 45 mm è ammesso il taglio manuale o meccanico, rispettando rigorosamente un periodo di almeno 4 giorni di cicatrizzazione prima della messa a dimora. Sono ammessi trattamenti concianti al seme con principi attivi registrati. Preparazione del terreno I terreni destinati alla coltivazione della “Patata della Sila” devono essere preparati per facilitare lo sgrondo dell’acqua ed evitare la presenza di ristagni. L’aratura si deve praticare in autunno nel periodo che va dal 21 settembre al 21 dicembre o in primavera nel periodo che va dal 21 marzo al 21 giugno. È ammesso l’interramento della paglia o dei residui delle coltivazioni in modo da incrementare la sostanza organica nel terreno. È ammessa la fresatura del terreno. Fertilizzazioni Le unità azotate massime per ettaro non dovranno superare le 220 unità in caso di assenza di apporto di sostanza organica e le 150 unità in caso di apporto di sostanza organica. Tecnica di Semina e Coltivazione Rotazioni Gli impianti della “Patata della Sila” devono essere realizzati su terreni ove si registra l’assenza della solanacea per almeno due anni precedenti consecutivi. Si consiglia in questo intertempo la coltivazione di cereali autunno-vernini, di erbai (a base leguminose) e di prati prolifiti di montagna. Epoca e Caratteristiche della semina La semina deve essere effettuata nel periodo compreso tra il 15 aprile ed il 30 giugno. Non può essere superata una densità massima di 80.000 tuberi/ha. Irrigazione Le irrigazioni, effettuate con tecniche a pioggia, per scorrimento o gocciolatoi, devono essere effettuate a partire dall’epoca di tuberizzazione adottando volumi non superiori ai 45 mm. Difesa Salvo condizioni favorevoli, i trattamenti dovranno iniziare alla chiusura delle file ed in via preventiva dovranno essere utilizzati prodotti di contatto, mentre in caso di attacco, si potranno utilizzare prodotti sistemici in miscela con citotropici o citotropici + contatticidi. Il trattamento con piretroidi deve essere fatto su terreno umido. Raccolta La raccolta della “Patata della Sila” avviene manualmente o meccanicamente prelevando il tubero dal terreno esclusivamente nel seguente periodo: dal 20 di agosto fino al 30 di novembre. L’epoca precisa di raccolta viene determinata quando il periderma è completamente formato e consistente. Fase di post-raccolta La conservazione della “Patata della Sila” avviene al coperto, in bins o in cumuli di altezza non superiore ai 4 metri. In questo secondo caso si deve prevedere l’arieggiamento del prodotto attraverso la creazione di cunicoli di aerazione forzata sia orizzontali che verticali. Per favorire l’asciugatura e la cicatrizzazione del prodotto occorre arieggiare il locale per 10-15 giorni dalla raccolta attraverso l’apertura di finestre, oppure favorire l’immissione di aria tramite impianti di areazione forzata. La “Patata della Sila” deve essere conservata al buio a temperatura ambiente per un periodo di massimo 8 mesi e comunque non oltre il 30 aprile dell’anno successivo, oppure in apposite celle frigorifere con temperatura comprese tra 5° e 10° C e umidità pari a 93-98% per un massimo di 10 mesi e comunque non oltre il 30 maggio. Non sono ammessi trattamenti antigermoglianti con prodotti di sintesi chimica. La coltivazione della “Patata della Sila” può essere eseguita secondo le modalità di coltivazione dell’agricoltura biologica e/o dell’agricoltura integrata, così come previsto dalla regolamentazione comunitaria e nazionale in materia. La produzione e il condizionamento della “Patata della Sila” deve avvenire nel territorio di cui all’art. 3 del presente disciplinare per salvaguardare la qualità perché il trasferimento del prodotto al di fuori dell’Altopiano Silano, caratterizzato da temperature ed umidità ideali per la conservazione senza l’utilizzo di alcun tipo di trattamento chimico, genererebbe uno stress che andrebbe ad incidere negativamente sulla conservabilità e quindi sulla qualità del prodotto. Articolo 6. Legame con l'ambiente La patata della sila è contraddistinta ed apprezzata per le ottime qualità culinarie, in particolare per quel che riguarda la frittura grazie all’elevato contenuto di sostanza secca che presentano i tuberi coltivati sull’Altopiano Silano. Relativamente a quest’aspetto è stata condotta un’analisi sulla varietà Agria comparandola con campioni provenienti da altre zone produttive. I risultati hanno dimostrato come la patata coltivata sull’Altopiano Silano presenti livelli di sostanza secca molto più elevati, quindi una migliore attitudine alla frittura, nonché un sapore tipico più marcato rispetto alle altre provenienze. La patata della Sila è percepita come prodotto di qualità dalle popolazioni che circondano l’Altopiano della Sila (Cosenza – Crotone – Catanzaro - Piana di Sibari) che si approvvigionano tradizionalmente direttamente dalle aziende produttrici. Particolarmente rinomata nei mercati della Sicilia, della Puglia e della Campania che, nei periodi di raccolta mantengono legami stabili di commercio fin dagli anni ’50. La capacità di conservazione e il mantenimento delle caratteristiche organolettiche rendono la patata della Sila storicamente molto utilizzata per le provviste invernali in tutte queste aree. L’ottima reputazione della Patata della Sila è testimoniata anche dall’enorme successo che hanno le manifestazioni e le sagre sul tema, le quali richiamo una miriade di turisti, provenienti principalmente dalle regioni su citate, che ogni autunno giungono sull’Altopiano desiderosi di gustare il prelibato tubero. L’aspetto pedoclimatico del territorio dove viene coltivato questo prodotto assume una grande importanza. Da un punto di vista granulometrico i terreni silani sono in massima parte sciolti, tendenzialmente sabbiosi a grana fine e quindi molto permeabili e facilmente lavorabili; il pH risulta con un valore compreso tra 5 e 6,5; infine risultano essere ben dotati di sostanza organica, e quindi di fertilità naturale, che in alcune aree raggiunge valori pari al 10,04%. Dal punto di vista pedologico, secondo recenti studi (si può citare a riguardo Lulli ed al., 2002) emerge che tali caratteristiche sono ottimali per la coltivazione della patata. Dal punto di vista climatico l’Altopiano della Sila presenta un clima estremamente secco d’estate e freddo d’inverno. Le temperature registrate riportano valori crescenti nel periodo tra aprile e maggio, ideale quindi per le semine. La crescita delle piante è inoltre favorita dall’escursione termica giornaliera e dalla radiazione prolungata che permettono di ottenere una crescita costante e lenta ed una maturazione finale della pianta consona all’ottenimento di un prodotto adatto alla lunga conservazione. La coltivazione della patata nella Sila ha una storia lunga e documentata. Un primo cenno si ritrova nella Statistica del Regno di Napoli del 1811. Nel 1955 nasce il “Centro Silano di Moltiplicazione e Selezione delle Patate da Seme” (CE.MO.PA. Silano) con il compito di favorire la diffusione del seme certificato. Alcuni studi alla fine degli anni ‘80 (1988) attestano che l’Altopiano Silano era tra i maggiori bacini di produzione di patate da semina registrando l’ampiezza media maggiore in assoluto degli stabilimenti. La coltivazione della patata ha rappresentato da sempre un’importante fonte economica per l’Altopiano silano. Nel corso degli anni le famiglie contadine silane hanno continuamente tramandato la coltivazione della patata e, sebbene le origini della sua introduzione siano antiche, è solo a partire degli ultimi decenni che intorno alla sua coltivazione si è sviluppato un positivo sistema economico e produttivo. Dal punto di vista “sociale”, la pataticoltura impegna circa 1.200 famiglie. Il solo settore della produzione si attesta su un fatturato di oltre 15 milioni lordi di euro, ma se a questo dato viene aggiunto l’indotto rappresentato da trasporti, prestazioni tecniche e contabili, attrezzature, macchine ed impianti, materiali per la lavorazione, consumi di carburante, etc., il comparto pataticolo raggiunge la consistente cifra di circa 500 milioni di euro. Questi dati, dal punto di vista economico fanno trasparire una fondamentale fonte di reddito per gli operatori locali che, peraltro, impegnati nel processo produttivo stesso, garantiscono l’insediamento stabile di cose e persone nell’Altopiano, rendendolo sempre vivo in ogni periodo dell’anno. Il legame culturale del prodotto al territorio è dimostrato dalle sagre e manifestazioni ad esso dedicate . Tra queste si segnalano per tradizione e qualità degli espositori: - Camigliatello Silano, dove dal 1978 si celebra, nel mese di ottobre, la famosa Sagra della Patata della Sila, unitamente alla Mostra Mercato della Patata della Sila e delle Macchine Agricole. - Parenti, dove dal 1980 consecutivamente l’ultima domenica di agosto, si svolge una grande manifestazione sulla Patata della Sila a carattere folcloristico e culinario; Il legame culturale è sottolineato anche dal largo impiego della patata in numerose ricette tipiche della tradizione gastronomica locale, come “pasta, patate e uova”, “pasta e patate al forno”, “pasta, patate e zucchine”, “pasta patate finocchio selvatico e carne”. Articolo 7. Strutture di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE n. 510/06. Articolo 8. Etichettatura Confezionamento Per l’immissione al consumo il confezionamento della “Patata della Sila” deve essere effettuato in una delle seguenti tipologie di confezioni: Confezione Vert-bag, Girsac e Buste da: 1 Kg, 1,5 Kg, 2 Kg, 2,5 Kg, 5 Kg Retina da: 1 Kg, 1,5 Kg, 2 Kg, 2,5 Kg Sacco da: 2,5 Kg, 3 Kg, 4 Kg, 5 Kg, 10 Kg Cartone da: 5 Kg, 10 Kg, 12,5 Kg, 15 Kg, 20 Kg Cassa in legno da: 12,5 Kg, 15 Kg, 18 Kg, 20 Kg Cesta da: 10 Kg, 12,5 Kg, 15 Kg, 20 Kg Vassoio da: 0,5 Kg, 0,750 Kg, 1 Kg Vaschetta da: 0,5 Kg, 0,750 Kg, 1 Kg Tutte le confezioni devono essere in materiale idoneo all’uso alimentare e sigillate in modo tale che il prodotto non possa essere estratto senza la rottura della confezione stessa. Non è ammessa la vendita di prodotto sfuso, ad esclusione del caso in cui il singolo tubero venga etichettato secondo le modalità previste dal presente articolo. Etichettatura Le modalità di presentazione del prodotto all’atto dell’immissione al consumo prevedono che sull’etichetta compaiano, a caratteri chiari e leggibili, oltre al logo, al simbolo grafico comunitario e relative menzione e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti indicazioni: a) “Patata della Sila”, con l’eventuale traduzione aggiunta, seguita, per esteso o in sigla (IGP), dalla espressione traducibile “Indicazione Geografica Protetta”; b) il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e del centro di lavorazione e confezionamento. La denominazione “Patata della Sila” è traducibile. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno il consumatore, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e che non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. Logo Il logo del prodotto riporta come elemento centrale ed in primo piano la scritta PATATA della SILA (in maiuscolo le parole “PATATA” e “SILA”, in minuscolo “della”). La scritta è sviluppata orizzontalmente tra due linee irregolari: la linea superiore raffigura a sinistra tre alberi stilizzati ed, a seguire, una montagna con cinque cime; la linea inferiore sostiene la scritta e termina con il disegno di un’onda stilizzata con quattro punte. Entrambe le linee iniziano e terminano in corrispondenza della scritta PATATA della SILA. Il carattere tipografico del testo è il “Galliard BT” di colore blu, “PANTONE Reflex Blue ”. Il colore presente nel logotipo è il blu, “PANTONE Reflex Blue”. Il limite massimo di riduzione del marchio è di base cm 2,5. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la IGP "Patata della Sila”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: - il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; - gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della IGP Patata della Sila riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAAF in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del Reg. CE n. 510/06. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Calabria | Cosenza, Catanzaro |
Patata di Bologna Patata di Bologna DOP Disciplinare di produzione - Patata di Bologna DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Emilia-Romagna | Bologna |
Patata novella di Galatina Patata Novella di Galatina DOP Disciplinare di produzione - Patata Novella di Galatina DOPArticolo 1.
Articolo 2. CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO La Denominazione di Origine Protetta “Patata novella di Galatina” designa esclusivamente i tuberi della specie Solanum tuberosum, var. Sieglinde, ottenuti nell’area delimitata al successivo art. 3. Le caratteristiche del prodotto all’atto dell’immissione al consumo sono le seguenti: FISICHE - epidermide (corteccia o buccia), di colore giallo intenso, brillante; anche per la presenza di residui terrosi derivanti dalla coltivazione nelle terre rosse, assume un colore ruggine “cioccolato”. - forma lungo – ovale, di media grandezza; - buccia non completamente differenziata, facile allo sfaldamento, priva di screpolature; - tuberi interi, non germinati, di forma regolare ed esenti da malformazioni, da sapori ed odori anomali; - tuberi asciutti, privi di “inverdimento”, spaccature, ammaccature, rosure, macchie ed alterazioni patologiche; CHIMICHE - basso contenuto in amido (massimo 17%) e sostanza secca (massimo 21%); Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE L’area di produzione della Denominazione di Origine Protetta “Patata novella di Galatina” è costituita dal territorio amministrativo dei seguenti Comuni in Provincia di Lecce: Acquarica del Capo, Alliste, Casarano, Castrignano del Capo, Galatina, Galatone, Gallipoli, Matino, Melissano, Morciano Di Leuca, Nardò, Parabita, Patù, Presicce, Racale, Salve, Sannicola, Taviano, Ugento. Articolo 4. PROVA DELL’ORIGINE Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’Organismo di controllo, dei produttori, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’Organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO Le condizioni tecniche di coltura dei terreni destinati alla produzione della “Patata novella di Galatina” devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire al prodotto le specifiche caratteristiche di qualità, così come individuate all’art. 2. A tal fine si individuano le seguenti tecniche colturali: AVVICENDAMENTO COLTURALE. E’ obbligatorio l’avvicendamento colturale, da eseguire attraverso la rotazione biennale con frumento, leguminose da granella (fava, pisello) o con piante orticole (zucchino, finocchio). E’ comunque vietato l’impiego delle altre solanacee (peperone, pomodoro, melanzana), sia in rotazione con la patata, che come colture intercalari. PREPARAZIONE DEL TERRENO. Entro il periodo che va dal primo di agosto e fino al 30 settembre si effettua una lavorazione del terreno in profondità, alla quale segue, poco prima dell’impianto, un’accurata fresatura. L’IMPIANTO deve essere effettuato nel periodo compreso fra il 20 Novembre fino a tutto Febbraio. E’ obbligatorio l’utilizzo di tuberi seme certificati; è obbligo del produttore conservare i cartellini che accompagnano le partite dei tuberi seme impiegati. I tuberi seme, oltre che certificati, devono essere privi di lesioni e/o ammaccature e di germogli lunghi e filati. I tuberi possono essere piantati interi o tagliati; è ammesso anche l’impiego di tuberi pre germogliati. I tuberi seme vengono posti ad una distanza sulla fila pari a 20 – 30 cm e fra le file ad una distanza compresa fra 60 e 80 cm. IL PIANO DI FERTILIZZAZIONE terrà conto delle caratteristiche fisiche dei terreni e della loro dotazione in elementi nutritivi; di seguito si riportano gli importi massimi consentiti per i principali macroelementi: AZOTO (N): Gli apporti massimi consentiti in azoto (N), in relazione alla dotazione del terreno sono pari a 170 Kg/ha; Non è ammesso in pre-semina un apporto di azoto superiore a 60 Kg/ha; il resto della concimazione azotata deve essere frazionato in due interventi: subito dopo l’emergenza e ad inizio tuberificazione. FOSFORO (P2O5): Gli apporti massimi consentiti in fosforo (P2O5), in relazione alla dotazione del terreno sono pari a 130 Kg/ha; POTASSIO (K2O): Gli apporti massimi consentiti in potassio (K2O), in relazione alla dotazione del terreno sono pari a 200 Kg/ha. Non sono consentite distribuzioni di fosforo e potassio in copertura, limitandone la distribuzione solo in pre-semina, al momento della preparazione del terreno. E’ consentito l’apporto di letame. IL CONTROLLO DI CRITTOGAME, FITOFAGI ED ERBE INFESTANTI deve essere effettuato attraverso il ricorso alla lotta integrata secondo le normative vigenti. IRRIGAZIONE. I volumi irrigui stagionali non devono superare i 2000 m3/ha, distribuiti in un massimo di 10 interventi irrigui. Le adacquate verranno sospese 7 giorni prima della raccolta. LA RACCOLTA inizierà a partire dalla prima decade di marzo e non si potrà prolungare oltre il 30 giugno. E’ vietato il ricorso all’impiego di prodotti chimici dissecanti. Le rese unitarie possono arrivare fino ad un massimo di 400 q/ha. In tutte le fasi della LAVORAZIONE del prodotto devono essere adottate tutte le precauzioni atte ad evitare contusioni, ferite e fenomeni di inverdimento. È vietato il lavaggio dei tuberi. Una eventuale CONSERVAZIONE del prodotto non potrà superare un periodo di 30 giorni. Articolo 6. LEGAME CON L’AMBIENTE La “Patata novella di Galatina” deve la sua peculiarità alla sua marcata precocità e alla particolare caratteristica estetica di presentare un’epidermide generalmente ricoperta di residui terrosi, che fanno assumere alla stessa un tipico colore ruggine. I residui terrosi sulla “Patata novella di Galatina” richiamano il tipico colore delle terre dell’areale di coltivazione e la loro presenza è legata al fatto che i tuberi, dopo la raccolta e le operazioni di cernita, sono avviati alla commercializzazione senza essere sottoposti ad operazioni di lavaggio che determinerebbero danneggiamenti a carico della sottile buccia. Altra caratteristica riconducibile alla “Patata novella di Galatina” è il basso contenuto in sostanza secca. L’anticipazione per quanto possibile spinta di un raccolto che normalmente è da considerarsi primaverile - autunnale, è dovuta, oltre alle caratteristiche di tipo genetico e di tipo agrotecnico, anche e soprattutto alle particolari e specifiche condizioni agro pedologiche e climatiche. La principale caratteristica dei terreni che ospitano la coltura è rappresentata infatti dalle “terre rosse”, presenti lungo tutta la fascia che costeggia la costa ionica, tanto da caratterizzare in modo esclusivo quest’area; di natura sabbiosa e a reazione sub acida o prossime alla neutralità, queste si presentano molto ricche in fosforo assimilabile, ferro assimilabile e potassio scambiabile, ma mediamente dotate in sostanza organica e povere in azoto totale. Le terre rosse rappresentano un tipico esempio di “terreni zonali o climatici”, di quei terreni, cioè, le cui proprietà sono fortemente influenzate dalle condizioni climatiche in cui si sono formati. Inoltre, la natura sabbiosa dei terreni di coltivazione della “Patata novella di Galatina” rende questi terreni facilmente riscaldabili, permettendo una pronta partenza del ciclo vegetativo e quindi un conseguente anticipo della maturazione rispetto ad altri areali. La facilità di drenaggio dei terreni sabbiosi consente una maggiore facilità nell’eseguire le diverse operazioni colturali, tra le quali la semina e la raccolta, operazioni la cui tempestività di esecuzione contribuisce alla precocità della “Patata novella di Galatina”. La temperatura media mensile del mese più freddo (gennaio) oscilla fra 9,50 e 10°C, quella del mese più caldo (agosto) da 25,60 a 26 °C, con valori massimi assoluti non di rado superiori ai 40°C; non si riscontrano, inoltre, forti escursioni termiche giornaliere (differenza fra temperatura massima e minima nelle 24 ore). Più in dettaglio, nei riguardi della temperatura, risultano pienamente soddisfatte le condizioni termiche ottimali per lo sviluppo delle diverse fasi fenologiche: - se, come accade, la temperatura del suolo non scende al di sotto dei 3 – 4°C, i tuberi si mantengono in stasi vegetativa senza alcun danno per l’integrità del tubero-seme; quando la temperatura sale a circa 8°C, comincia la germogliazione, la quale procede rapidamente a temperatura superiore, con un optimum intorno ai 15°C; temperature elevate determinano stasi o blocco vegetativo. Eseguendo pertanto, così come avviene nella realtà, l’impianto dei tuberi - seme nel periodo che va da fine novembre fino a tutto febbraio, si permette al tubero di superare indenne un breve periodo di stasi vegetativa fino al momento in cui l’aumento delle temperature che si registra verso la fine del mese di febbraio – primi di marzo non è tale da consentire alla coltura una rapida germogliazione ed emergenza. Ciò è tanto più vero quanto più ci si sposti verso le zone costiere dell’area individuata, allorché le minori escursioni termiche che lì si registrano per via dell’effetto mitigante esercitato dal mare, consentono di anticipare ulteriormente l’epoca di impianto allo scopo di ottenere un maggiore anticipo nell’epoca di raccolta. - il differenziamento dei tuberi inizia 15 – 20 giorni dopo l’emergenza; temperature superiori a 20°C all’epoca della formazione dei tuberi possono provocare una riduzione produttiva; - anche l’accrescimento della parte aerea, oltre che dalla fertilità e dalle tecniche colturali (concimazione azotata in primis) è condizionata ovviamente dalla temperatura, che non dovrebbe superare in questa fase i 25 – 27°C. Con riferimento al comportamento della coltura in relazione alla durata del periodo di illuminazione giornaliero (fotoperiodo), la patata, considerata specie longidiurna a tutti gli effetti, trova in questo ambiente e in questo periodo di coltivazione le migliori condizioni di sviluppo: le condizioni di fotoperiodo breve che caratterizzano l’ambiente in esame, consentono infatti alla specie di ritardare o impedire la fioritura a vantaggio di una migliore e più precoce produzione di tuberi. Le caratteristiche pedo – agronomiche dei terreni che ospitano la coltura determinano una specifica influenza anche su alcune caratteristiche chimico – fisiche dei tuberi e sullo stato di maturazione del periderma. Alle proprietà dei terreni di coltivazione, si deve attribuire anche l’influenza diretta sul basso contenuto in sostanza secca del prodotto: i tuberi, infatti, non trovando ostacoli nel corso del loro ciclo colturale, grazie alla natura sabbiosa ed al contenuto in sostanza organica dei terreni che li ospitano, esprimono a pieno le loro potenzialità di sviluppo, raggiungendo volumi considerevoli. Per effetto di cio', decisamente inferiori risultano di conseguenza i valori del peso specifico e quindi quelli della sostanza secca, parametro quest'ultimo ritenuto importante nella determinazione delle caratteristiche chimiche della “Patata novella di Galatina”. Nei terreni sabbiosi che caratterizzano l’intera area di coltivazione, il tubero si sviluppa infatti regolarmente conservando la propria forma e la buccia può maturare mantenendo un aspetto liscio e lucido, assumendo il tipico “color ruggine o cioccolato” per effetto della coltivazione sulle tipiche terre rosse. Ad accentuare ulteriormente quest’aspetto, particolarmente apprezzato sui mercati di consumo, contribuisce in maniera determinante anche la circostanza secondo la quale alla raccolta del prodotto si provvede con semplici attrezzi meccanici che non vengono direttamente a contatto con i tuberi e, ancor di più al fatto che le patate, appena raccolte, vengono immediatamente destinate alle operazioni di commercializzazione senza che queste siano precedute o accompagnate da operazioni di lavaggio dei tuberi. L’omogeneità delle caratteristiche qualitative del prodotto in tutta l’area di produzione individuata come tipica è riconducibile alla perfetta integrazione fra le caratteristiche genetiche della coltura e le tipiche ed irriproducibili condizioni agrometeorologiche della zona di coltivazione, le quali condizionano i vari stadi fenologici e di sviluppo della pianta. Le peculiari caratteristiche pedologiche, climatiche ed agronomiche, che trovano nelle terre rosse la loro massima espressione, fanno sì che la “Patata novella di Galatina” coltivata in questo ambiente si caratterizzi in modo originale e speciale nel panorama pataticolo europeo. Risale agli anni immediatamente successivi al secondo evento bellico mondiale l’introduzione nel Salento della “Patata novella di Galatina”. Il nome, e quindi l’attribuzione e l’accostamento ad un luogo ben determinato – Galatina, appunto - con il quale la patata è universalmente riconosciuta come garanzia di qualità organolettiche superiori, sta a testimoniare la storica presenza nel territorio della coltura, la quale, dopo una iniziale diffusione in questo Comune del Leccese, si è poi spostata soprattutto verso i Comuni immediatamente a ridosso della costa ionica. Aspetti economico - produttivi Quella della patata rappresenta senz’altro la coltivazione fondamentale per gli equilibri agricoli ed economici di diversi Comuni localizzati lungo la fascia costiera dell’arco Ionico Salentino; la scelta di ricorrere, fra le colture ortive, soprattutto alla patata e non ad altre, pure abbastanza rappresentate nell’intero Comprensorio, come anguria, peperone, è dovuta, oltre che alle concrete potenzialità produttive espresse dalle favorevoli condizioni pedoclimatiche, anche al fatto che la patata richiede una tecnica colturale relativamente più semplice rispetto alle altre ortive, oltre ad un più basso impegno di mezzi tecnici e capitali. A tutto questo aggiungasi che la coltivazione della patata, rispetto alle altre specie prima citate, ben si presta ad essere effettuata in consociazione con quella dell’olivo - sistemato a sesto ampio negli impianti di tipo tradizionale -, come di fatto è sempre avvenuto e tuttora avviene nella stragrande maggioranza delle situazioni. In tale contesto produttivo, è ormai generalizzata da decenni la consuetudine di raccogliere anticipatamente (entro il mese di ottobre) le olive direttamente dall’albero: se questo consente di ottenere un olio dalle caratteristiche qualitative di gran lunga superiori rispetto a quello proveniente dalle olive raccolte da terra - impegnando peraltro, in quest’ultimo caso, i terreni per periodi di tempo più lunghi - rappresenta senz’altro il mezzo più efficace per consentire di preparare con largo anticipo il terreno destinato ad accogliere i tuberi seme. L’influenza di una semina precoce sull’anticipo della maturazione dei tuberi e quindi sulla loro raccolta è del tutto evidente ed esalta ulteriormente la precocità della coltura. Il mercato della “Patata novella di Galatina” è totalmente orientato all’esportazione verso i Paesi del Centro e del Nord Europa; sono del tutto trascurabili le quantità che vengono avviate verso i mercati nazionali; in particolare l’esportazione trova il suo principale e fondamentale sbocco presso i principali mercati di Germania (oltre l’80% del mercato all’esportazione), Paese in cui il prodotto ha da sempre raggiunto le maggiori quotazioni rispetto ad altre varietà di patate novelle prodotte in altre zone del Meridione d’Italia, come ampiamente testimoniato dalla documentazione relativa alla iniziativa promossa dalla Camera di Commercio di Lecce negli anni ‘70, in collaborazione con l’Istituto per il Commercio Estero, tesa a garantire una maggiore trasparenza nelle contrattazioni e nei prezzi praticati ai produttori: l’Ente si occupava di comunicare giornalmente e per l’intero periodo di commercializzazione a tutti i Sindaci dei Comuni interessati alla produzione della patata novella, la quotazione delle patate novelle italiane sui principali mercati tedeschi (Monaco di Baviera, Colonia, Amburgo, Francoforte). Presso i principali mercati di questo Paese, la “Patata novella di Galatina” viene universalmente apprezzata in ragione delle particolari caratteristiche estetiche, organolettiche e qualitative ed in ragione del fatto che su tutti questi mercati, essa trova la sua massima collocazione in un periodo di tempo (da aprile a giugno) in cui sono esaurite o in via di esaurimento le scorte di patate del vecchio raccolto e non è ancora disponibile il nuovo prodotto locale. Articolo 7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 37 del Reg. (UE) n. 1151/2012. Tale struttura è l’Autorità pubblica designata Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Lecce, Viale Gallipoli n. 39 – 73100 Lecce – tel. 0832 68411; fax: 0832 684260 e-mail: cameradicommercio@le.camcom.it; Articolo 8. ETICHETTATURA Le confezioni di “Patata novella di Galatina” immesse al consumo potranno essere confezionate in cartone, tele, juta, vertbag e tutti quei contenitori consentiti dalla normativa vigente distinte per calibro secondo le due classi 28 - 40 mm o 32 – 65 mm. L’etichetta riportata sulle confezioni conterrà le seguenti informazioni: - il logo e la dicitura “Patata novella di Galatina”, in caratteri superiori ad ogni altra dicitura; - l’origine (zona di produzione e di confezionamento); - il nome, la sede e la ragione sociale del confezionatore; - il peso netto all’origine; - il calibro; - il numero di identificazione del lotto; - l’epoca di raccolta e la data di confezionamento; - il simbolo dell’Unione Europea. Altre informazioni potranno essere apposte a parte su uno specifico pieghevole o etichetta riportante: - indicazioni che facciano riferimento a frazioni, località o aziende comprese nei territori dei Comuni di cui all’art. 3 e dai quali effettivamente provengono le patate con la Denominazione di Origine Protetta; - informazioni sulle qualità nutrizionali della patata; - informazioni sull’uso culinario; - informazioni sulle modalità di conservazione consigliate. Alla Denominazione di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare. Il logo, di forma circolare, è inframezzato da uno spazio di forma ondulare di colore bianco; è caratterizzato dalla presenza di un cerchio di colore verde – riportante la dicitura , in colore bianco, “ D.O.P. Patata novella” – nella parte superiore, e di colore giallo in quella inferiore – riportante la dicitura, in colore rosso, “di Galatina” - . Nella parte superiore del logo, all’interno, si osservano: - in primo piano, la rappresentazione grafica della pianta di patata nel corso della sua attività vegetativa con in risalto il colore verde del fogliame; lo sfondo, di colore azzurro, richiama il colore del mare Ionio, lungo la fascia costiera del quale si svolge la coltivazione della patata novella; Nella parte inferiore del logo si osservano: in primo piano, la rappresentazione dei tuberi, di colore giallo, a ricordare la solarità degli ambienti di coltivazione, nonché il colore della buccia e della polpa; lo sfondo, invece, di colore rosso, richiama nella mente il colore tipico dei terreni di produzione; l’associazione del colore giallo e di quello rosso riporta infine ai colori dello stemma della Provincia di Lecce. | D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Puglia | Lecce |
Patata rossa di Colfiorito PATATA ROSSA DI COLFIORITO DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA DELLA
“PATATA ROSSA DI COLFIORITO” Art. 1 Denominazione L’indicazione geografica protetta (I.G.P.) “Patata Rossa di Colfiorito” è riservata alla patata che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente Disciplinare di produzione. Art. 2 Caratteristiche del prodotto La denominazione “Patata Rossa di Colfiorito” designa i tuberi maturi della specie Solanum tuberosum (Solanum tuberosum L.; 2n=4x=48) della famiglia delle Sol anacee, coltivati a partire da varietà delle sementi di base catalogate nei registri varietali nazionali degli Stati Membri dell’Unione Europea con caratteristica buccia di colore rosso e polpa di colore giallo-chiaro. La tipicità e la riconoscibilità dei tuberi sono determinate dalle seguenti caratteristiche: interi, completamente abbucciati, privi di macchie;lungo-ovale e irregolare;sani: sono esclusi i prodotti affetti da marciume e da altre fitopatie, o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo;esenti da danni provocati dal gelo;privi di odore e/o sapore estranei alle sue normali caratteristiche;la buccia di tipico colore rosso; occhi superficiali e facilmente asportabili. I valori di riferimento che garantiscono la caratterizzazione del prodotto sono: Calibro:min 35mm Durezza: Prova di compressione (sforzo di taglio) > 1,2 kgf/cm2 Contenuto di composti fenolici totali > 300 mg/kg; Colore rosso caratteristico della Buccia -Colore (X, Y, Z) adimensionale: X > 13 adimensionale;Y > 12 adimensionale;Z > 6 adimensionale. Art. 3 Zona di produzione: La coltivazione della Patata Rossa di Colfiorito è consentita ad una altitudine uguale o maggiore ai 470m s.l.m. Ricade nell’area montana dell’Appennino Umbro-Marchigiano tra l’area est della provincia di Perugia e l’area ovest della provincia di Macerata. L’areale riguarda, parzialmente, i seguenti comuni umbri: Foligno, Nocera Umbra,Valtopina, Sellano e i seguenti comuni marchigiani: Serravalle di Chienti, Muccia, Pieve Torina, Sefro, Visso e Montecavallo. La linea di delimitazione dell’areale inizia, in senso antiorario da Serravalle di Chienti e si muove lungo la SS77 fino ad incrociare la SP79. Si continua lungo la SP79 fino alla località Sorti. Il confine dell’arealeprosegue fino ad incrociare il sentiero n. 201 che percorrein direzione ovestla Valle della Scurosa, poi costeggiando le pendici Sud del Monte Acuto,prosegue fino ad incrociare la strada Collecroce-Bagnara che sale sul Monte Pennino. Si prosegue la strada scendendoin direzione Bagnara. In località Bagnara si prosegue percorrendo la SS361 fino a località Casebasse. Da località Casebasse si prosegue fino a località S. Cristina, passando per la strada che tocca località Bagni di Nocera. Si prosegue in direzione di località Gallano e proseguendo la strada fino ad incrociare la strada Capodacqua-Pontecentesimo. Si avanza in direzione sud verso località pontecentesimo fino a località Pieve Fanonica. Da località Pieve Fanonica si prosegue lungo la strada che porta a località Ravignano proseguendo poi fino a località Sostino. Da località Sostino si prosegue scendendo fino ad incrociare il corso del fiume Menotrein località Ponte Santa Lucia. Si prosegue da località Ponte Santa Lucia lungo il corso del fiume Menotre fino alla frazione Scopoli, dove il fiume Menotre incrocia la strada che da Scopoli porta a Località Cancelli. Si prosegue fino a località Cancelli, al bivio Cancelli-Vallupo,si prosegue verso località Vallupo, poi da località Vallupo si prosegue la strada che porta a località Molini. Da località Molini si prosegue lungo la strada che porta a località Cammoro, si prosegue la strada fino a località Piedicammoro. Da Piedicammoro si prosegue in direzione Pupaggi. Lungo la strada si prosegue prendendo la deviazione verso destra in direzione della località Fonni, passando per località Casale Cacciamani. Da località Fonni si risale in direzione Nord lungo il fosso Rosceti. Seguendo il fosso Rosceti si prosegue incrociando verso destra il fosso di Apagni e costeggiando il Monte Puriggia fino a località Colle dell’Aia. Da Colle dell’Aia si prosegue fino a località Colle di Postignano. Da Colle di Postignano si prosegue fino ad incrociare la SS319. Sulla SS319 si prosegue in direzione sudfino a giungere ad incrociare la strada che porta in località Collattoni passando per la strada che tocca le località Piaggia, Rasennae Forcella. Da località Collattoni si prosegue lungo la strada che percorre località Selva Piana si percorre dunque la strada interpoderale per le vene di val Caldara fino alla frazione Valcaldara poi si prende il sentiero di sinistra verso la frazione Giulo di Pieve Torina per ricongiungersi alla frazione Giulo. E successivamente alla località Fiume da cui si prosegue per Massaprofoglio fino ad incrociare la SS77. Si prosegue in direzione ovest fino a raggiungere Serravalle di Chienti (punto di fine e partenza). Art. 4 Prova dell’origine: Al fine di garantire l’origine del prodotto ogni fase del processo produttivo deve esseremonitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controlloda parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Art. 5 Metodo di ottenimento. Lavorazione terreno: dalla prima aratura e la semina del tubero seme della Patata rossa di Colfiorito si opera in modo che il terreno sia ridotto uniformemente senza zolle e senza cavità su tutta la profondità e che sia esposto il più possibile all’azione strutturante dei geli. Si procede con estirpature penetranti, poi al momento della semina del tubero seme è sufficiente un’erpicatura profonda di pianeggiamento. Il processo di semina: tradizionalmente lasemina del tubero seme della Patata Rossa di Colfiorito è individuato nel periodo che va dal 1°marzo al 30giugno. I tuberi di calibro minimo di 28 mm si possono piantare interi o tagliare in pezzi in senso longitudinale in modo che ogni porzione di tubero abbia gemme apicali. Il taglio deve essere fatto almeno 2giorni prima della seminadel tubero seme per dar modo alle superfici di taglio di suberificarsi, evitando rischi di marciume dei tuberi nel terreno. La Patata Rossa di Colfioritosi seminaa file distanti da 70 a90 cm. La distanza sulla fila, varia in funzione del numero di tuberi-seme che si è stabilito di seminare e della distanza tra le file che si èdeciso di adottare. La semina può essere fatta a mano o con macchine semina-tuberi che aprono il solco, depongono i tuberi alla distanza prefissata e richiudono il solco pareggiando il terreno. La quantità di patate necessaria per un ettaro varia con la grossezza dei tuberi-semi e con la fittezza della semina ecomunque è maggiore o uguale a 1,2t/ha a seconda delle variabili tecnico-colturali. Avanzamento e cura della coltura: una leggera pre-incalzatura può essere eseguita già al momento della semina. Una prima leggera rincalzatura può essere eseguita appena prima dell’emergenza dei germogli, in concomitanza con la rottura della crosta. Successivamente la semina viene eseguita la rincalzatura vera e propria. La raccolta: la raccolta si effettua dal 1°agosto fino a tutto ilmese di novembre. La raccolta della Patata Rossa di Colfiorito è sia meccanicache manuale. La produzione di Patata Rossa di Colfiorito, a seconda delle variabili ambientali e meteorologiche,è ammessa fino ad un massimo di 40 ton/ha. La conservazione: lepatate raccolte vengono immesse in magazzini che devono risultare idonei per assicurare le condizioni necessarie ad una buona conservazione dei tuberi: permettere l’essiccazione della superfici e dei tuberi appena introdotti, favorire la cicatrizzazione delle ferite ricevute alla raccolta, impedire la condensazione dell’acqua sulla loro superficie. All’interno dei magazzini le patate possono essere posizionate in sacconi di nylon areatio in cassoni. E’ comunque consentito un processo di conservazione, attraverso l’utilizzo di moderne tecnologie di conservazione ai sensi della normativa vigente in materia. Durante la conservazione non è consentito l’uso di prodotti anti germoglianti. Art. 6 Legame con l’ambiente I fattori che determinano la reputazione e le caratteristiche riconoscibili della Patata Rossa di Colfioritosono riconducibili alle particolari caratteristiche pedoclimatiche dell'area di riferimento. Particolare importanza assume l'aspetto pedologico: le condizioni del suolo, infatti, contribuiscono in modo determinante a definirne l'accrescimento, la conformazione, nonché le caratteristiche chimiche ed organolettiche ed infine la qualità che ne fanno un prodotto agricolo riconoscibile e con una reputazione affermata. L’area definita all’art. 3 in cui è coltivata la “Patata Rossa di Colfiorito”,da un punto di vista granulometrico è costituitoda terreni che contribuiscono alla differenziazione di questa particolare coltura, ovvero terreni silicei con presenza di scheletro, leggermente acidi, leggeri, sciolti, permeabili, profondi. La Patata Rossa di Colfiorito si differenzia in relazione alle caratteristiche antropiche, pedologiche, ambientali, climatiche e riferite all’altitudine dell’area di produzione, che conferiscono al prodotto: la forma irregolare, la consistenza e la durezza. La Patata Rossa di Colfiorito subisce una influenza ambientale che tende a variarne la morfologia a causa della “sofferenza” subita dal tubero durante la crescita per fattori dipendenti dalla variabile territorio. La compattezza della polpa e della forma irregolare sono infatti da imputare al terreno ricco di scheletro tipico dell’areale, al clima e al ridotto apporto di irrigazione. Numerose sono le testimonianze orali e scritte che testimoniano il consolidato legame storico-culturale-sociale tra prodotto e territorio. La zona degli altipiani di Colfiorito è stata sempre tradizionalmente conosciuta come vocata per la coltivazione della patata rossa. La comparsa di questo tubero negli altopiani di Colfiorito risale alla fine della seconda metà del XVIII secolo, quando venne introdotta con ogni probabilità dal passaggio nello Stato Pontificio delle truppe Imperiali e successivamente durante l’occupazione francese nel periodo napoleonico. Tale ipotesi sembra estremamente verosimile, comunque è la più accreditata dagli studiosi della storia della patata,dato che questa coltura era già stata avviata numerosi anni prima in Francia e Germania con una buona riuscita. La patata per le sue qualità nutrizionali e di conservazione era un’ottima risorsa alimentare per le esigenze di un esercito. Questi passaggi sono ampiamente documentati dalla storiografia folignate; di fatto, la zona di Colfiorito e Casenove era una tappa obbligatoria per raggiungere le Marche, non solo per il passaggio degli eserciti, ma anche dei pellegrinaggi mariani alla volta di Loreto. Di conseguenza la fama di Colfiorito e dei suoi prodotti come la patata, si è diffusa proprio per questa possibilità offerta dagli scambi culturali e commerciali grazie alla battutissima via di comunicazione che oggi si identifica nella Strada Statale 77, che salendo dal vicino centro urbano di Foligno per il valico di Colfiorito, si immette nell’alta valle del Chienti fino ad arrivare al Mare Adriatico. Uno dei motivi principali di questa propensione alla coltivazione della PatataRossa sono le particolari caratteristiche geografiche, in particolar modo l’altura: in tali condizioni la patata trova un clima ideale per la coltivazione, oltre che nelle minori possibilità di contrarre patologie o infestazioni parassitarie. Tali caratteristiche comportano determinate qualità intrinseche che ne sanciscono la riconoscibilità e la reputazione di differenziabilità, a livello commerciale e da parte del consumatore finale. Le caratteristiche inequivocabilmente riconosciute sonola compattezza e la tenuta alla cottura, qualità indispensabili e ricercate per la preparazione di determinati piatti che necessitano di frittura o di elevate temperature di cottura. Riviste specializzate, fotografie e testimonianze audiovisive attestano la grande reputazione della “Patata Rossa di Colfiorito”. Infine riveste un ruolo fondamentale la reputazione e il successo con il consumatore e la inscindibile relazione tra la denominazione geografica di Colfiorito con il colore rosso della patata coltivata nell’areale. Art. 7 Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 36 e 37 del Reg. UE 1151/2012. Tale struttura è l’Organismo di controllo 3A-Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria -Soc. Cons. a r.l. - P.IVA 01770460549 -Fraz. Pantalla -06059 Todi (PG), tel. (+39) 075 8957201, e-mail: certificazione@parco3a.org Art. 8 Etichettatura Il prodotto deve essere condizionato in modo tale da garantire un’adeguata protezione. Gli imballaggi devono essere conformi alla vigente normativa comunitaria e nazionale di riferimento, così come carte 5 o stampe ivi inserite e a contatto con il prodotto. Il confezionamentoè effettuato in imballaggi nei materiali a norma di legge, comunque riconoscibili per il loro colore rosso. Sull’etichetta e suicontenitori deve essere appostala dicitura indicante,in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, “Patata Rossa di Colfiorito–I.G.P.” e il simbolo europeo della I.G.P.; non dovranno comparire in etichetta altre diciture di grandezza maggiore. La dicituraha le seguenti specifiche di stampa, che ne garantiscono una riconoscibilità agevole per il consumatore: a. Dicitura: Patata Rossa di Colfiorito IGP; b. Tipo caratteri:Bodoni MT Black; c. Specifiche dei colori-pantoni utilizzati nel contrassegno-logo: Red 032. Patata Rossa di Colfiorito IGP Sulle etichette degli imballaggi devono essere altresì riportati tutti gli elementi idonei ad individuare: a) nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del condizionatore; b) l’apposito marchio nazionale per il prodotto destinato al commercio estero; c) eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non inducenti a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristi che del prodotto | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Umbria e Marche | Perugia e Macerata |
Peperone di Pontecorvo Peperone di Pontecorvo DOP Disciplinare di produzione - Peperone di Pontecorvo DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lazio | Frosinone |
Peperone di Senise Peperone di Senise IGP Disciplinare di produzione - Peperone di Senise IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Basilicata | Potenza, Matera |
Pera dell'Emilia Romagna Pera dell'Emilia-Romagna IGP Disciplinare di produzione - Pera dell'Emilia-Romagna IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
| I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Emilia-Romagna | Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Bologna, Ravenna |
Pera mantovana Pera tipica Mantovana IGP Disciplinare di produzione - Pera tipica Mantovana IGPArticolo 1.
Articolo 2. La denominazione di indicazione geografica protetta "Pera Mantovana" è riservata alle pere delle seguenti varietà: - William - Max Red Bartlett - Conference - Decana del Comizio - Abate Fetel - Kaiser Coltivate nell’idoneo territorio della provincia di Mantova, definito nel successivo art. 3. Articolo 3. La zona di produzione delle pere che possono avvalersi della denominazione di indicazione geografica protetta "Pera Mantovana" comprende l’intero territorio idoneo alla coltivazione del pero, dei seguenti comuni della provincia di Mantova: Sabbioneta, Commessaggio, Viadana, Pomponesco, Dosolo, Gazzuolo, Suzzara, Borgoforte, Motteggiana, Bagnolo San Vito, Virgilio, Sustinente, Gonzaga, Pegognaga, Moglia, S.Benedetto Po, Quistello, Quingentole, S.Giacomo delle Segnate, S.Giovanni del Dosso, Schivenoglia, Pieve di Coriano, Revere, Ostiglia, Serravalle a Po, Villa Poma, Poggio Rusco, Magnacavallo, Borgofranco sul Po, Carbonara di Po, Sermide e Felonica. Articolo 4. La coltura del pero è effettuata nei terreni idonei, che presentano le seguenti caratteristiche: suoli della piana alluvionale, profondi o molto profondi, a tessitura media o moderatamente fine e situati in posizione morfologica e altimetrica favorevole allo sgrondo delle acque. Per i suoli localizzati in aree adiacenti ai corsi dei fiumi, a causa della tessitura moderatamente grossolana o media e la prevalenza della frazione sabbiosa si dovranno opportunamente considerare un maggior numero di interventi irrigui e agronomici per l’ottimizzazione delle condizioni. Le condizioni di impianto, le pratiche colturali, i sistemi di potatura dei pereti destinati alla produzione di frutti con denominazione "Pera Mantovana" sono quelli tradizionali della zona, e comunque atti a conferire al prodotto che ne deriva le specifiche caratteristiche di qualità. I sesti di impianto e le forme di allevamento sono quelli in uso generalizzato, comunque riconducibili alle coltivazioni a palmetta o a fusetto, tipiche della zona agraria considerata e con una densità che non dovrà superare le 5000 piante per ettaro. La difesa della coltura deve essere effettuata privilegiando le tecniche di difesa integrata o comunque a ridotto impatto ambientale. La eventuale conservazione della "Pera Mantovana" deve essere effettuata con modalità che garantiscano la miglior serbevolezza e il mantenimento delle caratteristiche qualitative dei frutti. Le modalità di produzione sopra esposte sono regolamentate da un protocollo di produzione integrata annualmente verificato ed eventualmente aggiornato dal consorzio di tutela appositamente costituito. Articolo 5. I produttori che intendono porre in commercio il prodotto con l’indicazione geografica protetta "Pera Mantovana" sono tenuti a presentare agli organi tecnici della regione Lombardia competenti per territorio, domanda di iscrizione dei propri pereti all’apposito albo pubblico istituito presso la CCIAA di Mantova. Nella domanda devono essere indicati gli estremi catastali atti alla individuazione dei pereti stessi, della loro superficie, il sesto di impianto, la forma di allevamento e l’anno di impianto. Competenti servizi della regione Lombardia, esperiti i controlli tecnici, provvedono a trasmettere le denunce ritenute conformi alla CCIAA di Mantova per l’iscrizione all’albo. I produttori sono tenuti a denunciare le eventuali variazioni sopravvenute. I conduttori di pereti iscritti all’albo sono tenuti a presentare annualmente alla CCIAA di Mantova la denuncia di produzione delle pere entro 30 giorni dalla fine della raccolta. Nella denuncia deve essere riportata la quantità di pere prodotte e, nel caso in cui il conduttore abbia, in tutto o in parte, ceduto a terzi, a qualsiasi titolo, il prodotto, il nominativo e l’indirizzo degli acquisitori. L’attività di controllo e vigilanza di cui all’art. 10 del reg. CE 2081/92 è svolta con le modalità stabilite dal d. m. agricoltura del 3 novembre 1995. Articolo 6. La "Pera Mantovana" all'atto dell'immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche minime qualitative: William e Max Red Bartlett Diametro: 60 mm Sapore: dolce aromatico Tenore zuccherino: 11 Brix Durezza1: 6,5 Conference Diametro: 60 mm Sapore: dolce Tenore zuccherino: 11 Brix Durezza1: 5,5 Decana del Comizio Diametro: 70 mm Sapore: dolce aromatico Tenore zuccherino: 11 Brix Durezza1: 4 Abate Fetel Diametro: 65 mm Sapore: dolce Tenore zuccherino: 11 Brix Durezza1: 5 Kaiser Diametro: 65 mm Polpa: fine e succosa Tenore zuccherino: 11 Brix Durezza1: 5,7 Articolo 7. La "Pera Mantovana" deve recare apposto all’atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all’allegato A, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni. L’immissione al consumo della "Pera Mantovana" deve avvenire dopo idoneo confezionamento che valorizzi la qualità e la provenienza del prodotto. L’utilizzazione del contrassegno da parte degli aventi diritto avviene su autorizzazione del consorzio di tutela di cui all’art. 4, mediante l’apposizione sul singolo frutto e/o sui contenitori e sugli imballi, con modalità stabilite dal consorzio stesso.La commercializzazione della "Pera Mantovana" deve avvenire con i seguenti limiti temporali: - William: 10 agosto - 10 novembre - Max Red Bartlett: 20 agosto - 10 novembre - Conference: 15 ottobre - 30 maggio - Decana del Comizio: 30 settembre-30 marzo - Abate Fetel: 20 settembre - 10 febbraio - Kaiser: 15 settembre - 15 marzo | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Lombardia | Mantova |
Pesca di Leonforte Pesca di Leonforte IGP Disciplinare di produzione - Pesca di Leonforte IGPArticolo. 1 DENOMINAZIONE L’Indicazione Geografica Protetta “Pesca di Leonforte”, è riservata esclusivamente alle pesche che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. DESCRIZIONE La “Pesca di Leonforte” ad indicazione geografica protetta è il prodotto della coltivazione di due ecotipi locali di pesca: Bianco di Leonforte e Giallone di Leonforte, non iscritti nel catalogo nazionale delle varietà. All’atto dell’immissione al consumo della “Pesca di Leonforte” ad indicazione geografica protetta, i frutti devono possedere le seguenti caratteristiche: - integri; - di aspetto fresco; - sani e privi di attacchi da marciumi o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo; - puliti, cioè privi di sostanze estranee e visibili; - indenni da parassiti a qualunque stadio di sviluppo; - privi di odori e/o sapori estranei; - il valore della consistenza della polpa, misurata con puntale del penetrometro di 8 mm, deve essere minimo 4.5 Kg/cm2 per l’ecotipo Giallone di Leonforte e minimo 3.5 Kg/cm2 per l’ecotipo bianco di Leonforte; - contenuto in solidi solubili compreso tra 11 e 13 gradi Brix; - peso compreso tra 100 e 350 grammi; - forma globosa a valve asimmetriche; - buccia di colore giallo con striature rosse non sempre evidenti per l’ecotipo Giallone di Leonforte; - buccia di colore bianco con striature rosse non sempre evidenti per l’ecotipo Bianco di Leonforte; - polpa di colore giallo per l’ecotipo Giallone di Leonforte; - polpa di colore bianco per l’ecotipo Bianco di Leonforte; - la polpa deve essere aderente al nocciolo. Possono ottenere il riconoscimento IGP “Pesca di Leonforte” solo le pesche di categoria Extra e I. Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione della IGP “Pesca di Leonforte” interessa i comuni di Leonforte, Enna, Calascibetta, Assoro ed Agira, in provincia di Enna. Articolo 4. PROVA DELL’ORIGINE Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali su cui avviene la coltivazione, dei produttori e condizionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO Scelta del portinnesto I portinnesti ammessi sono il Pesco Franco ed il Pesco Mandorlo (GF 677), Barrier e Cadaman. Le piantine ammesse sono a radice nuda o piantine in fitocella, e devono essere di buona qualità agronomica e sanitaria, e di età massima di 1 anno. Le marze da utilizzare devono provenire da piante madri sane dal punto di vista fitosanitario, selezionate all’interno di impianti ricadenti nei comuni di cui all’art. 3, per la propagazione della “Pesca di Leonforte”. La messa a dimora delle piante deve avvenire necessariamente nel periodo autunno-inverno per quelle a radice nuda; le piantine in fitocella possono essere impiantate nello stesso periodo o anche in primavera, in presenza di umidità del terreno sufficiente ad evitare possibili stress da trapianto. Le piantine vengono irrigate appena dopo la loro messa a dimora. Sistemi di conduzione degli impianti. I sistemi di conduzione degli impianti della I.G.P. “Pesca di Leonforte”, sono riconducibili alle tecniche di produzione antiche, consolidate dalla tradizione, e tengono in considerazione le prerogative del quadrinomio costituito dal tipo di cultivar di pesco, dal suolo, dal clima e dall’uomo. La coltivazione deve essere condotta con i seguenti metodi: - convenzionale, in uso nella zona, con l’osservanza delle norme di “Buona Pratica Agricola” della Regione Siciliana; - integrata, ottenuta nel rispetto delle “Norme Tecniche” previste dal disciplinare della Regione Siciliana; - biologica, secondo il Reg. (CE) 834/2007 e successive modifiche ed integrazioni. Forma di allevamento La forma di allevamento deve assicurare un’adeguata esposizione ai raggi solari in tutte le parti della chioma, fornire frutti di qualità, favorire un’uniforme distribuzione dei prodotti antiparassitari e agevolare le operazioni colturali quali potatura, diradamento, insacchettamento e raccolta dei frutti. Le forme di allevamento e le distanze di impianto ammesse sono: - Vaso semplice o Vasetto ritardato: m 4-4,5 x 4,5-5; - Tatura Trellis o Y trasversale: m 5 x 2; - Fusetto: m 4,5-5 x 2. La densità di impianto è compresa tra 400 e 1.100 piante ad ettaro in dipendenza della forma di allevamento adottata, fermo restando che comunque la massima produzione per ettaro non deve superare le 20 tonnellate. Tecniche Colturali E’ ammessa la potatura sia invernale che estiva, da eseguire annualmente secondo i canoni suggeriti dalla tecnica. Il diradamento deve essere eseguito prima dell’insacchettamento dei frutti e comunque non oltre il mese di maggio. E’ obbligatorio l’uso del sacchetto di carta pergamenata per la difesa meccanica dagli agenti patogeni, da attuarsi nella fase in cui la drupa raggiunge la dimensione di una noce e, comunque, non oltre il mese di luglio. Fertilizzazione Negli impianti in fase di allevamento, le quantità di fertilizzanti devono essere ridotte proporzionalmente, localizzandole in prossimità dell’apparato radicale delle piante. Deve essere privilegiato l’uso del letame e degli altri concimi organici. Sono ammesse le pratiche di fertirrigazione e di concimazione fogliare. Non sono ammessi apporti di azoto superiori a 150 kg per ettaro. Irrigazione E’ ammessa la tecnica di irrigazione a goccia o per aspersione. Non sono ammessi sistemi irrigui soprachioma. Raccolta La raccolta avviene a partire dalla prima decade di settembre fino alla prima decade di novembre. Il grado di maturazione del prodotto deve essere tale da consentire la lavorazione, il trasporto e le operazioni connesse; permettere la buona conservazione fino al luogo di destinazione; rispondere alle esigenze commerciali del luogo di destinazione. Le drupe devono essere raccolte a mano evitando l’operazione nelle ore più calde della giornata e l’esposizione diretta al sole dei frutti raccolti. Cura particolare dovrà essere prestata alla separazione del frutto dal ramo che deve avvenire senza provocare danni al peduncolo. Inoltre, deve essere asportato il filo di ferro, che serve per legare i sacchetti di pergamena, al fine di evitare il danneggiamento dei frutti depositati nelle cassette o in altri contenitori. È ammessa la refrigerazione del prodotto in celle frigorifere a temperatura compresa tra 0.5°C e 4.5°C per un periodo massimo di 20 giorni. Le operazioni di condizionamento della IGP Pesca di Leonforte devono avvenire all’ interno dell’ areale di produzione definito all’ articolo 3 del presente disciplinare per evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano provocare imbrattamento e ammaccatura dei frutti con conseguente attacco da muffe e patogeni vari che comprometterebbero le caratteristiche qualitative del prodotto. Articolo 6. LEGAME La richiesta di riconoscimento della I.G.P. “Pesca di Leonforte” è giustificata dalla reputazione e notorietà del prodotto conosciuto per le proprie caratteristiche qualitative quali la tardiva maturazione e di conseguenza la presenza sul mercato in periodi in cui sono quasi assenti le pesche, la durezza e la pratica dell’insacchettamento. L’insacchettamento dei frutti sulle piante con sacchetti di carta pergamena argento permette il controllo della mosca mediterranea (Ceratitis capitata). Tale particolarità ha rappresentato nel tempo uno degli aspetti più qualificanti di tale produzione. Fondamentale è il lavoro del peschicoltore che è diventato il manager delle proprie produzioni perché ha capito di avere fra le mani un prodotto unico. Egli ha spesso coinvolto i propri familiari nell’ insacchettamento lavorando sodo giorno e notte. La vendita delle pesche ha assicurato un reddito tale da migliorare le condizioni di vita degli operatori della zona. Da circa un ventennio la “Pesca di Leonforte” muove un indotto economico notevole non solo nel comprensorio di produzione, ma anche nel territorio dei comuni vicini in occasione dell’annuale Sagra che si tiene nella prima domenica del mese di ottobre nel centro storico della cittadina edificata dal Principe Nicolò Placido Branciforti nel XVII secolo. Tale momento di promozione e di valorizzazione del prodotto è stato creato nel 1982 dall’Amministrazione comunale di allora per incentivare lo sviluppo della drupacea e per far conoscere ai consumatori dell’Isola le peculiarità di un prodotto unico. L’evento, nato come “Sagra del pesco di Leonforte” ed oggi ribattezzato come “Sagra della pesca e dei prodotti tipici di Leonforte”, ha significato fin dalle sue origini un momento di promozione di questo prodotto tardivo. Articolo7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo DNV Italia - Centro Direzionale Colleoni - Palazzo Sirio 2 – Agrate Brianza (MI) – tel. +39.039.6899905 – fax. +39.039.6899930. Articolo 8. ETICHETTATURA E CONFEZIONAMENTO I frutti ad Indicazione Geografica Protetta “Pesca di Leonforte” devono essere commercializzati in cassette o scatole di cartone o di legno, o in ceste di vario formato della capacità da 0,5 a 6 kg. Ciascuna confezione imballaggio deve contenere frutti della stessa varietà, categoria, calibro e grado di maturazione. E’ richiesta l’omogeneità di colorazione in relazione all’ecotipo. I frutti devono essere disposti su un solo strato e separati gli uni dagli altri mediante materiale protettivo. Il materiale di protezione e/o addobbo deve essere nuovo, inodore ed innocuo; si deve, inoltre, evitare che il prodotto venga a contatto con inchiostri e/o colle per stampigliatura o etichettatura. Gli imballaggi devono, inoltre, essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Ogni confezione deve essere sigillata, in maniera tale che l’apertura della stessa comporti la rottura del sigillo in modo che non sia possibile alterare il contenuto nelle fasi successive al confezionamento. In etichetta, devono essere riportati il logo della denominazione ed il simbolo grafico comunitario. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purchè questi non abbiano significato laudativo o siano tali da indurre in inganno il consumatore. Il logo della denominazione è costituito da un ovale, all’interno del quale è rappresentata la Granfonte, monumento simbolo del Comune di Leonforte, a cui è sovrapposta in primo piano una pesca confezionata in un sacchetto. All’interno dell’ovale in alto al centro è riportata la dicitura Pesca di Leonforte, in basso al centro è riportato l’acronimo I.G.P.. Il disegno è circoscritto da una linea verde marcata, lo sfondo è giallo tenue,la Granfonte è di colore verde come la scritta pesca di Leonforte e IGP, giallo–arancione il colore della pesca con foglia verde, sacchetto bianco con ombre grigie e un filo nero che circoscrive ai bordi il sacchetto ed infine il filo nero che testimonia la chiusura del sacchetto. | I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Sicilia | Enna |
Pesca di Verona Pesca di Verona IGP Disciplinare di produzione - Pesca di Verona IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli e cereali | Veneto | Verona |
Pesca e Nettarina di Romagna Pesca di Romagna IGP Disciplinare di produzione - Pesca di Romagna IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Disciplinare di produzione - Nettarina di Romagna IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Ferrara, Bologna, Forlì - Cesena, Ravenna |
Pescabivona Pescabivona IGP Articolo 1. Disciplinare di produzione - Pescabivona IGPArticolo 1. Denominazione L’indicazione geografica protetta “Pescabivona” è riservata ai frutti di pesco (Prunus persica L. Batsch) a polpa bianca che soddisfano le condizioni e i requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La denominazione “Pescabivona” indica i frutti di quattro ecotipi di pesco originati ed evoluti nella zona geografica descritta al successivo art. 3 ed indicati e suddivisi per epoca di maturazione in tabella 1. All’atto dell’immissione al consumo i frutti IGP “Pescabivona” devono rispettare le cogenti norme di commercializzazione e presentare le seguenti caratteristiche qualitative: - Pesche duracine a polpa bianca non fondente di forma sferoidale con colore di fondo della buccia bianco-giallo-verde e sovracolore di tonalità rosso (l’ecotipo Settembrina presenta frutti con una striscia rossa lungo la linea di sutura). - Caratteristica peculiare è la limitata estensione del sovracolore rosso dell’epidermide che deve essere inferiore al 50%. - L’elevata dolcezza dell’IGP “Pescabivona” accompagna una notevole consistenza della polpa. I valori minimi dei parametri chimico-fisici d’interesse devono essere quelli indicati in tabella 2 per ciascun ecotipo. - possono essere commercializzate, con riferimento alla normativa cogente applicabile alla commercializzazione di pesche e nettarine Reg. (CE ) n. 1221/08, parte 5. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione dell’IGP “Pescabivona” ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Magazzolo a sud-ovest dei Monti Sicani e comprende porzioni del comune di Bivona (AG) e di altri limitrofi quali Alessandria della Rocca (AG), S. Stefano Quisquina (AG), S. Biagio Platani (AG) e Palazzo Adriano (PA). Partendo dal centro abitato del comune di S. Stefano Quisquina, la linea di delimitazione è rappresentata dalla S.S. 118 fino ad arrivare in c/da S. Pietro, dove si incrocia la omonima strada vicinale che congiunge la S.S. 118 con l’ex strada ferrata Lercara Bassa-Magazzolo, che diventa il nuovo confine dell’areale di produzione. In c/da Canfuto, all’incrocio con la strada che conduce alle sorgenti S. Rosalia, il limite diventa detta strada per un primo tratto; successivamente, seguendo il confine con la zona forestata, il confine punta verso ovest fino ad incrociare il vallone S. Margherita in c/da Cava. Proseguendo verso Sud-Ovest il confine corre lungo le pendici del Pizzo Scavarrante, fino a raggiungere il vallone di Gebbia, per poi proseguire lungo detto vallone fino alla confluenza con il fiume Magazzolo. Si risale il Fiume Magazzolo in direzione Nord-Est fino a superare la fascia forestata di c/da Mailla. Da questo punto, volgendo verso est in direzione Pizzo Ferraria, si va ad incrociare la S.S. 118; il confine segue questa strada fino all’incrocio con la strada provinciale Alessandria della Rocca-S. Biagio Platani e segue questa ultima fino ad arrivare al Vallone Fratta, in c/da Pietranera. Inglobando tutta l’isola Mulino Nuovo, si sale lungo il Fiume Turboli fino all’incrocio con l’acquedotto del Voltano e la strada vicinale Molinazzo. Proseguendo verso Nord lungo quest’ultima strada si arriva alle sorgenti Gragotta da dove, proseguendo lungo le pendici delle Liste Sibettine in direzione Nord-Ovest, si arriva alla strada vicinale Misita-Voltano. All’incrocio con la Regia trazzera Noro, si prosegue lungo quest’ultima fino alla strada vicinale S. Vito. Da questo punto, passando lungo il confine del centro abitato di S. Stefano Quisquina si va ad allacciare alla S.S. 118 nonché l’inizio del percorso descritto. Articolo 4. Prova dell’Origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori, e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Gli operatori, che ben conoscono l’habitat di produzione, hanno definito nel tempo il metodo di ottenimento della “Pescabivona”. Il sistema di produzione deve essere praticato secondo le norme di buona prassi agricola, attraverso le tradizionali tecniche colturali seguite dalle fasi di raccolta e post-raccolta. Tecniche colturali Gli impianti hanno una densità che varia da 400 a 1250 piante per ettaro. I portainnesti da impiegare sono il Franco, il GF 677, l’MRS 2/5 e il Cadaman. Le forme d’allevamento da adottare devono essere il vaso, il vaso ritardato ed il fusetto. La concimazione organica e/o minerale può essere effettuata sia durante la stagione invernale sia durante la fase vegetativa anche attraverso la tecnica della fertirrigazione e della concimazione fogliare. I trattamenti fitosanitari possono essere effettuati con finalità preventive e curative sempre secondo le norme di buona prassi agricola. Al fine di ottenere produzioni di qualità può essere praticata l’irrigazione. La produzione massima consentita dell’IGP “Pescabivona” non deve superare 350 ql/ha. Raccolta e post-raccolta La raccolta deve essere effettuata manualmente con più passaggi in campo per ogni ecotipo. Il momento della raccolta deve essere scelta in considerazione della necessità di mantenere frutti con caratteristiche qualitative tipiche, di cui all’art. 2, fino al consumo allo stato fresco. Può essere effettuata la tecnica della frigoconservazione per un periodo non superiore a 20 giorni. Articolo 6. Legame con la zona geografica L’IGP “Pescabivona” identifica i frutti di varietà autoctone di pesco che appartengono al comprensorio di cui all’art. 3 e sono l’espressione fenotipica dell’interazione tra genotipo, selezione umana ed ambiente. L’identità della “Pescabivona” è spiegata scientificamente, attribuendo a possibili mutazioni genetiche la sua origine. L’autenticità genetica e la selezione operata dagli agricoltori hanno determinato un adattamento del pesco all’habitat e la comparsa di caratteri fenotipici peculiari. La “Pescabivona” si distingue per la limitata estensione del sovracolore rosso dell’epidermide e per la persistenza della consistenza della polpa a livelli elevati di rapporto zuccheri/acidi. La limitata estensione del sovracolore rosso dell’epidermide è legata al genotipo e al relativo adattamento alla zona geografica di provenienza. Le condizioni pedoclimatiche e le risorse idriche, influenzando la fisiologia delle piante, determinano risvolti positivi sulle caratteristiche indicate nell’articolo 2. L’areale di produzione della “Pescabivona” è adatto alla coltura del pesco, tanto da ottenere produzioni di ottima qualità anche in periodi dell’anno (fine settembre primi di ottobre) in cui, per ragioni essenzialmente di ordine climatico, diminuisce l’offerta e la qualità dei frutti di pesco. Il clima è mite con minime invernali che assicurano il giusto fabbisogno in freddo ed i suoli sono porosi, permeabili e provvisti di sostanza organica. La zona geografica è protetta dal massiccio dei Monti Sicani e ricade all’interno del bacino idrografico del fiume Magazzolo. L’ambiente biologico del corso d’acqua influenza notevolmente le caratteristiche pedoclimatiche del territorio con risvolti sulla peschicoltura. Oltre a queste considerazioni, molto importanti sono quelle di natura storica. La coltivazione del pesco nella zona geografica d’interesse risale ai primi anni ’50 ed i primi pescheti specializzati furono impiantati a Nord del paese di Bivona, utilizzando come materiale di propagazione le migliori linee locali nate da seme. Tra le diverse piante una si dimostrò particolarmente pregiata e, data l’epoca di maturazione, venne chiamata Agostina. Nel tempo, grazie alla vocazione della zona geografica alla coltura del pesco, gli agricoltori hanno selezionato altri tre ecotipi: Murtiddara e Bianca a maturazione intermedia e Settembrina a maturazione tardiva. Anche da un punto di vista culturale, possiamo trovare riferimenti utili a comprendere il legame della “Pescabivona” con la zona geografica. La storia, la tradizione e l’economia, dell’area geografica d’interesse, risentono della reputazione della “Pescabivona”. Ne sono prova il riscontro positivo dei consumatori in occasione della Sagra, i riconoscimenti presenti nella letteratura scientifica e nell’editoria divulgativa, la pubblicizzazione del prodotto anche attraverso il noto slogan “Pescabivona, si dice in giro che è la più buona”, la realizzazione di strutture per la gestione delle fasi post-raccolta, l’impegno economico pubblico per la valorizzazione del prodotto, i tentativi di distribuzione attraverso i sistemi della grande distribuzione. È importante, inoltre, ricordare che il panorama peschicolo siciliano comprende numerose varietà autoctone che, a differenza della “Pescabivona”, sono state abbandonate e progressivamente sostituite dalle moderne cultivar di origine alloctona. D’altronde, i consumatori riconoscono ed apprezzano la “Pescabivona”, sicuri di gustare un prodotto autentico e con una reputazione che il nome stesso evoca. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dall’articolo 37 del Reg. (UE) n. 1151/2012. gli. Tale struttura è l’Autorità pubblica designata Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” via G. Marinuzzi n. 3 - 90129 Palermo – tel. 091 6565328, fax: 091 6565437 e-mail: serviziocertificazioni@izssicilia.it. Articolo 8. Etichettatura I criteri da rispettare sono quelli indicati dalla normativa cogente in materia di commercializzazione di pesche. In etichetta devono figurare, nello stesso campo visivo, la dicitura “indicazione geografica protetta”, il simbolo comunitario dell’IGP ed il logo che identifica il prodotto costituito dalla dicitura “pescabivona” come riportato in figura. Logotipo IGP “Pescabivona”. Le due parole sono scritte in modo continuo ed in minuscolo. Dimensione: mm 60 × mm 147. Stile di carattere: Catanio bt stilizzato a mano con bordino di colore nero. Indici colorimetrici: riempimento sfumato, rappresentato da un colore arancio (17% magenta e 27% giallo) nella parte inferiore che sfuma in un colore giallo al 25% nella parte superiore. La lettera “o” è sostituita da una pesca stilizzata a mano in cui sono evidenti il nocciolo ed il picciolo in nero, una fetta di pesca tagliata a spicchio ed una foglia di colore verde. Il colore della foglia è costituito dal 10% di giallo con gradazione del colore ciano fino al 90%. È ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi siano di dimensioni ridotte rispetto al marchio “pescabivona” e non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Agrigento, Palermo |
Pistacchio Verde di Bronte Pistacchio di Bronte DOP Disciplinare di produzione - Pistacchio di Bronte DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto La Denominazione d'Origine Protetta “Pistacchio Verde di Bronte” è riservata alle drupe di pistacchio che devono rispondere alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal Reg. (CE) 510/2006 ed indicati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Piattaforma varietale La Denominazione d'Origine Protetta “Pistacchio Verde di Bronte” è riservata al prodotto, in guscio, sgusciato o pelato, delle piante della specie botanica “Pistacia vera”, cultivar “Napoletana”, chiamata anche “Bianca” o “Nostrale”, innestata su “Pistacia terebinthus”. E’ ammessa una percentuale non superiore al 5% di piante di altre varietà e/o di porta innesti diversi dal P. terebinthus. Tale percentuale è riferita all’insieme di tutte le piante presenti negli impianti. In ogni caso il prodotto derivante dalle piante di altre varietà, non appartenenti alla cultivar “Napoletana”, sarà escluso dalla certificazione. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione del “Pistacchio Verde di Bronte”, ricade nel territorio dei comuni di Bronte, Adrano, Biancavilla (Provincia di Catania). In particolare i confini sono cosi individuati: BRONTE - ad Ovest lungo il fiume Simeto, ad Est fino a quota 900 m s.l.m., a Sud con il Comune di Adrano ed a Nord lungo la strada Bronte - Cesarò; ADRANO - a Nord con il confine del Comune di Bronte, a Sud con il centro abitato e la S.S. 121 ed a Est con la lava “Grande” del 1595 e con il Comune di Biancavilla, ad Ovest lungo il fiume Simeto fino alla summensionata S.S. 121; BIANCAVILLA - a Nord con il territorio di Adrano, a Sud con il centro abitato e la S.S. 121, a Est con il confine comunale di S. M. Licodia, ad Ovest con il confine del Comune di Adrano. La zona di produzione deve essere compresa tra i 400 e i 900 m s.l.m. Articolo 4. Origine del Prodotto Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione degli agricoltori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. L’iscrizione nell’elenco dei produttori comporta l’assegnazione di un codice di identificazione individuando univocamente il conduttore e il pistacchieto associato allo stesso. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Cenni storici, importanza, diffusione La coltura del pistacchio dalla Siria sarebbe passata in Grecia a seguito delle conquiste di Alessandro Magno (III secolo a.C.). In Italia la pianta fu introdotta dai Romani sul finire dell’impero di Tiberio - tra il 20 ed il 30 d.C. - ad opera di Lucio Vitellio Governatore della Siria (Plinio “Naturalis Historia” Cap. X e XIII): In Sicilia, la coltivazione in forma diffusa, si fa risalire al Periodo della dominazione araba (VIII e IX secolo d.C.). Sono di origine araba i termini “frastuca” e “frastucara” per indicare il frutto e la pianta (termine arabo “fustuq”). La coltura in Sicilia è circoscritta alla provincia di Catania (Bronte, Adrano e Biancavilla). Numerosi autori riportano l’importanza storico-culturale ed economica della produzione del Pistacchio verde di Bronte, citiamo ad esempio, Denis Mack Smith – “A History of Sicily Medieval Sicily 964” - 1713. Quando l’Impero Romano si disintegrò sotto l’impatto delle invasioni barbariche, la Sicilia fu conquistata dagli Arabi. Tra gli invasori si trovavano Berberi della Tunisia, Musulmani, Spagnoli e forse Negri del Sudan. Gli arabi descrivono la Sicilia come “il giardino del paradiso “. Gli arabi in Sicilia, in agricoltura, hanno introdotto la coltivazione dei limoni, delle arance, della canna da zucchero, del cotone, delle palme, del papiro, delle melanzane, del pistacchio, del melone... ecc., nonché l’attitudine all’utilizzazione massimale delle acque e delle tecniche di coltivazione. Ancora oggi il Pistacchio Verde di Bronte caratterizza e tipicizza i dolci siciliani ed in particolare quelli dell’area catanese. Al riguardo si ricordano il famoso gelato di Pistacchio Verde di Bronte, i torroncini, nonché i pasticcini secchi a pasta di Pistacchio Verde di Bronte. Legame con l’ambiente geografico La zona di produzione risulta caratterizzata da terreni di origine vulcanica e da un clima mediterraneo subtropicale, semiasciutto, con estati lunghe e siccitose, piovosità concentrata nel periodo autunnale ed invernale e notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte. I terreni che si sono originati da formazioni laviche (andosuoli), aventi buona fertilità e pH neutro, risultano idonei per lo sviluppo vegetativo del pistacchio, cosi come i terreni limitrofi di natura autoctona. In riferimento agli aspetti climatici, tipicamente mediterranei, la zona in esame presenta escursioni termiche e precipitazioni con medie annuali più elevate rispetto ad altre zone agricole della provincia etnea. Le peculiarità pedoclimatiche e la tecnica della degemmazione, praticata nella zona di produzione, consentono di accentuare la naturale alternanza della specie e di trarre vantaggi nella difesa fitosanitaria. Questi fattori pedoclimatici insieme al terebinto (Pistacia terebinthus) antropizzato in tale area, conferiscono al frutto particolari caratteristiche di qualità (colore verde intenso tipico del territorio, forma allungata, sapore aromatico e alto contenuto di acidi grassi monoinsaturi dei frutti), difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione e nello stesso massiccio Etneo, che differenziano il “Pistacchio Verde di Bronte” DOP dagli altri pistacchi derivanti da altre aree geografiche. Articolo 5. Terreni La zona delimitata è caratterizzata da suoli che evolvono su substrati di origine, vulcanica. Preparazione dei terreni Nei nuovi impianti, nella preparazione dei terreni, devono essere previsti il livellamento delle superfici, per facilitare il deflusso delle acque, le operazioni colturali e le concimazioni di fondo. Impianti Gli impianti possono essere sia specializzati che consociati, con densità di piantagione variabile in dipendenza della tipologia di impianto e della natura del terreno. In abbinamento alle forme libere di allevamento delle piante “ceppaia”, “vaso libero”, è ammesso anche l’allevamento “monocaule”, per agevolare la raccolta e le operazioni colturali. Nel territorio i pistacchieti insistono su terreno lavico, con limitatissimo strato arabile. Su tale tipo di substrato il terebinto (Pistacia terebinthus) cresce spontaneo e costituisce il principale portinnesto della specie “P. vera”. Le piante di pistacchio ottenute da innesto su terebinto sono definite “naturali”. Norme colturali Le peculiarità pedoclimatiche e la tecnica della degemmazione, praticata nella zona di produzione del “Pistacchio Verde di Bronte” DOP di cui all’art. 3, consentono di accentuare la naturale alternanza della specie e di trarre vantaggi nella difesa fitosanitaria. Raccolta -Immagazzinamento e lavorazione Le operazioni di raccolta del prodotto al corretto grado di maturazione, in relazione alle zone di produzione e all’andamento climatico, si svolgono dalla seconda decade di agosto alla prima decade di ottobre. La raccolta avviene manualmente mediante bacchiatura sulle reti o per brucatura, utilizzando panieri avendo cura di impedire che i frutti cadano per terra. I frutti devono essere smallati meccanicamente, per ottenere il prodotto in guscio, entro le 24 ore successive alla raccolta, onde evitarne l’imbrunimento e l’eventuale contaminazione. Successivamente alla fase di smallatura, il prodotto in guscio deve essere immediatamente essiccato alla luce diretta o con altri sistemi d’essiccamento, mantenendo la temperatura del prodotto compresa tra i 40 ei 50°C, fino ad un’umidità residua del seme di pistacchio compresa tra il 4 ed il 6%, In questa fase, soprattutto nel sistema tradizionale alla luce diretta, è alto il rischio di contaminazione del prodotto. Il prodotto essiccato deve essere messo in contenitori nuovi di juta, carta o polietilene ed evitare il contatto con pavimenti o muri, in idonei locali ventilati ed asciutti. Lo stoccaggio può durare fino a 24 mesi dopo la raccolta. E’ possibile sgusciare e/o pelare meccanicamente il pistacchio. E’ assolutamente vietato utilizzare prodotti chimici per la conservazione del “Pistacchio Verde di Bronte” DOP. Nel periodo marzo-ottobre, in funzione dell’andamento climatico, il prodotto nelle diverse tipologie, in guscio, sgusciato o pelato, deve essere conservato a temperatura compresa tra 13 e 17°C, oppure in confezioni sigillate sottovuoto o in atmosfera modificata. Articolo 6. Caratteristiche del prodotto Il “Pistacchio Verde di Bronte” DOP all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere, oltre alle comuni norme di qualità, alle seguenti caratteristiche fisiche ed organolettiche: colore cotiledoni: verde intenso, rapporto di clorofilla a/b compreso tra 1,3 e 1,5; sapore: aromatico forte, senza inflessione di muffa o sapori estranei; contenuto di umidità compreso tra 4% e 6%; rapporto lunghezza/larghezza del gheriglio compreso tra 1,5 e 1,9; alto contenuto di grassi monoinsaturi nei frutti (presenza predominante dell’acido oleico con il 72%, seguito dal 15% del linoleico e dal 10% del palmitico). Articolo 7. Controlli e vigilanza Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’organismo di controllo CORFILCARNI-GCC, Polo universitario dell’Annunziata, 98168 Messina, telefono 090353659, fax 0903500098, e-mail: stefano.simonella corfilcarni.it. Articolo 8. Condizionamento ed Etichettatura Il prodotto viene immesso al consumo in imballaggi nuovi di diversa tipologia conformi alla normativa vigente, entro due anni dalla raccolta. Il “Pistacchio Verde di Bronte” può essere immesso al consumo solo con il logo della DENOMINAZIONE D’ORIGINE PROTETTA figurante su ogni confezione commerciale prima definita e confezionata nel rispetto delle norme generali e metrologiche del commercio stesso. Sulle confezioni deve figurare, in caratteri chiari, indelebili e nettamente distinguibili da ogni altra scritta, la denominazione “Pistacchio Verde di Bronte”. Debbono inoltre comparire gli elementi atti ad individuare nome, ragione sociale, indirizzo del confezionatore, nonché l’eventuale nome delle aziende da cui provengono i frutti, il peso lordo all’origine e l’anno di produzione. E’ facoltativa l’indicazione della settimana di raccolta del prodotto. Il logo d’identificazione è rappresentato dalla dicitura Denominazione d'Origine Protetta, dalla sottostante raffigurazione del vulcano Etna, dal pistacchio e dalla sottostante scritta Pistacchio Verde di Bronte. Il logo d’identificazione è rappresentato dalla dicitura Denominazione d'Origine Protetta, dalla sottostante raffigurazione del vulcano Etna, dal pistacchio e dalla sottostante scritta Pistacchio Verde di Bronte. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania |
Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP Disciplinare di produzione - Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Napoli |
Pomodoro di Pachino Pomodoro di Pachino IGP Disciplinare di produzione - Pomodoro di Pachino IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Ragusa, Siracusa |
Pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino 'Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino Disciplinare di produzione - Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino DOPArticolo 1. La Denominazione di Origine Protetta (DOP) 'Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" è riservata al pomodoro che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dalle norme dei presente disciplinare di produzione e trasformazione. Articolo 2. La Denominazione d'Origine Protetta (DOP) "Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" senza altra qualificazione, è riservata al pomodoro pelato ottenuto da piante delle varietà S. Marzano 2 e KIROS (ex Selezione Cirio 3). Possono concorrere alla produzione di detto pomodoro anche linee ottenute a seguito di miglioramento genetico delle sudette varietà, sempre che, sia il miglioramento che la coltivazione, avvengano nell'ambito dei territorio così come delimitato nel successivo art. 3 e presentino caratteristiche conformi allo standard di cui all'art. 5. Articolo 3. Il pomodoro ottenuto dalle varietà S. Marzano 2 e KIROS o dì linee migliorate, per avvalersi della Denominazione di Origine Protetta (DOP): 'Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" deve essere prodotto da aziende agricole e trasformato da aziende industriali entrambi ricadenti nelle aree territoriali così delimitate: PROVINCIA DI SALERNO: L'intero territorio dei comuni di S. Marzano, Scafati, S. Valentino Torio; Comune di Baronissi: a nord dal Km 10 della strada "S.S. 88" -confine territorio comune di Fisciano, Ponte S. Chirico -abitato Orignano, ad ovest dal Km 10 della Statale 88 -Località Cariti al di sopra della S.S. 88 -Casa Fumo -Casa Mari -Casal Siniscalchi -100 m. al di sopra della strada S.S. 88, ad est dell' abitato di Orignano -Masseria Petrone.-Casa Faiella -S. Maria delle Grazie -Strada Comunale S. Agnese e Caprecano a sud da Casa Siniscalchi -Casa Napoli sotto Monticello -Casa Staccarulo -Stradìna Comunale Staccarulo e abitato Caprecano. Comune di Fisciano: da località Balìano, i territori, ad est del proprio confine al Km 12 della S.S. 88, segue limite comunale fino alla località Piazza di Pandola, Madonna del Soccorso, Canfora, Pizzolano, Bivio Strada Villa, La Sala, Bivio Strada Carpineta, Località Cappuccino, Borgo Penta, fino a località Bolano. Comune di Mercato S. Severino: zona nord compresa all'ínterno della strada provinciale Cimitero -Pendino -Costa -Priscoli -Torello -Carifi -Caldo -Ciorani -Piedimonte -Torrente Lavinaro -Capocasale S. Vincenzo -Centro abitato Mercato San Severino -S.S. 88 -Pandola Acigliano -S.Mango -Confine territorio Avellino -Ferrovia fino a centro abitato Mercato S. Severino (territorio compreso tra la ferrovia e la strada S.S. Nazionale) fino a Grafone; zona sud compresa fra la frazione Curteri -S. Angelo -Ospizio -Piazza del Galdo -S. Eustachio (territorio compreso tra la Nazionale e la Provinciale Pendino) Costa -Casa Lombardi. Comune di Siano: da località Torello -Limite comunale -strada Castel S. Giorgio Siano -verso nord -centro abitato Siano -Cimitero -Campomanfoli fino a ricongiungersi con Torello. Comune di Castel S. Giorgio: da Codola -lungo il confine comunale fino a S. Maria a favore da qui per Aiello Campo Manfoli ~ lungo il confine comunale fino a Torello. Da Frazione S. Croce tutta la zona a sud della S.S. 266 fino a ricongiungersi con Codola. Comune di Roccapiemonte: intero territorio comunale con esclusione della zona ad est della strada provinciale Camerelle -S. Severino. Comune di Nocera Superiore: zona nord -da Masseria La Starza -Strada Provinciale S. Maria delle Grazie Sant'Onofrio -Croce Mallone -Iroma -Materdomini -ad ovest da Masseria La Starza per tutto il confine con il Comune di Nocera Inferiore fino a Croce S. Pietro. Ad est dalla frazione Materdomini -Strada Prov. le Materdominí -Casa Rinaldi -Pecorari -Linea Ferroviaria fino al confine territorio Cava dei Tirreni -Loc. Camerelle. A sud tutta la zona sottostante la S.S. 18 e Torrente Cavaiola, con inizio da confine territorio Nocera Inferiore e fino al confine con Cava dei Tirreni. Comune di Nocera Inferiore: l'intero territorio comunale con esclusione dei centro urbano e dell'intera zona a sud della S.S. 18. Comune di Sarno: l'intero territorio comunale con esclusione della zona N.E. del tracciato: sorgente S. Marino, Masseria Scarola, Ponte Alaría, centro urbano, cimitiero, S. Maria della Foce, La Marmora, fino al confine prov.Le. Comune di Pagani: l'intero territorio comunale con esclusione della zona sud della strada S. Lorenzo -Pagani. Comune di S. Egidio Monte Albino: l'intero territorio comunale con esclusione della zona a sud della strada intercomunale Angri -Pagani. Comune di Angri: l'intero territorio comunale con esclusione dell'intera zona a sud dell'acquedotto dell'Ausino. PROVINCIA DI AVELLINO: Comune di Montoro Superiore: da Sud -frazione di Caliano -Strada per S. Eustachio, casa Castello. Ad Est verso Cimitero -località Mercatello. Ad Est segue il confine comunale fino a ricongiungersi con località Caliano. Comune di Montoro Inferiore: da Sud -località P.zza di Pandola seguendo limite prov. le verso Est, incrocio con linea ferroviaria fino all'incrocio con S.S. 88. Segue zona Ovest S.S. 88 fino al limite abitato, Preturo -strada ferrata. Zona Ovest fino a Ponte di Borgo -segue fino ad abitato Borgo -località Marcatello, e da qui verso Sud lungo confine territorio comunale fino ad incrocio strada comunale Piano -S. Pietro. Prosegue a Sud per Ponte Leone fino a ricongiungersi con P.zza di Pandola. PROVINCIA DI NAPOLI: L'intero territorio dei comuni di Boscoreale, Poggiomarino, Pompei, S. Antonio Abate, S. Maria La Carità, Striano. Comune di Gragnano: da frazione S. Leone segue strada Prov.le Gragnano -Pimonte Castellarnmare di Stabia Pompei -S. Antonio Abate -Lettere fino a ricongiungersi con la frazione S. Leone. Comune di Castellammare: da strada comunale Gragnano -Castellammare di Stabia con inizio confine territorio Gragnano località Sommozzariello, segue linea ferroviaria fino a località Muscariello, devia a Est verso località Tavemola fino a masseria di Somma e continua lungo il confine comunale fino a ricongiungersi con località Sommozzariello. Altri Comuni: Acerra, Afragola, Brusciano, Caivano, Casalnuovo, Camposano, Castelcisterna, Cicciano, Cimitile, Mariglianella, Marigliano, Nola, Palma, Pomigliano, Scisciano, S. Vitaliano. L'area sopraddetta è riportata nella cartina della provincia di Salerno con propaggine nelle province di Napoli e Avellino ed è stata perimetrata sulle carte dell'I.G.M.I. a125.000 che fanno parte integrante del presente Disciplinare. Tutti i Comuni sono inclusi nell'Agro SarneseNocerino e zone viciniori e sono interessati, per la parte di pianura e come utilizzazione, alla zona seminativa irrigua o irrigabile. La parte collinare o a basso rilievo è naturalmente esclusa, non essendo irrigua. Articolo 4. Le condizioni ambientali e di coltura del territorio destinato alla produzione del pomodoro di cui all'art. 3 devono essere quelle tradizionali e comunque atte a conferire al pomodoro le proprie caratteristiche descritte nel successivo art. 5. Dal punto di vista morfologico, il comprensorio dell'Agro Sarnese-Nocerino si estende nella pianura del Sarno che è ricoperta per la maggior parte da materiale piroclastico di origine vulcanica. Dal punto di vista strettamente pedologico, i terreni dell'Agro Sarnese-Nocerino si presentano molto profondi, soffici, con buona dotazione di sostanza organica ed un'elevata quantità di fosforo assimilabile e di potassio scambiabile. L'idrologia del territorio è molto ricca per la presenza di numerose sorgenti e di abbondanti falde a diversa profondità. L'acqua per uso irriguo, in genere viene derivata da pozzi che si alimentano direttamente dalla falda freatica. Circa il clima, l'Agro Sarnese-Nocerino risente della benefica influenza del mare. Le escursioni termiche non sono notevoli e qualora il termometro scende al disotto dello zero, non vi permane a lungo; la grandine è una meteora piuttosto rara. I venti dominanti sono il Maestro del Nord e lo Scirocco del Sud. Le piogge sono abbondanti in autunno, inverno e primavera; scarse o quasi nulle nell'estate. Sebbene le piogge difettino nei mesi estivi, l'umidità relativa dell'aria si mantiene piuttosto alta. Il trapianto, di norma, si esegue nella I' quindicina del mese di Aprile, però può protrarsi fino alla I decade di Maggio. Il sesto di impianto deve essere minimo di 40 cm sulla fila e 110 cm tra le file; La forma di allevamento esclusiva deve essere quella in verticale con tutori idonei e fili orizzontali. Sono ammesse, oltre alle normali pratiche colturali, sia la spollonatura che la cirnatura. t consentita la coltivazione in ambienti protetti al fine di proteggere le coltivazioni dall'attacco di parassiti e insetti nocivi. E' vietata ogni pratica di forzatura tendente ad alterare il ciclo biologico naturale del pomodoro, con particolare riguardo alla maturazione. La raccolta dei frutti è compresa tra il 30 luglio ed il 30 settembre e deve essere eseguita esclusivamente a mano, in maniera scalare, quando essi raggiungono la completa maturazione, ed avviene in più riprese. I frutti raccolti devono essere sistemati e trasportati in contenitori di plastica, la cui capienza va da 25 a 30 Kg. Per il trasporto all'industria di trasformazione, le bacche arrivate al centro di raccolta aziendale e/o collettivo possono successivamente essere trasferite in cassoni, singolarmente identificati, in quantità non superiore a 2,5 quintali. La resa massima è di 80 tonnellate per Ha e la resa in prodotto trasformato non raggiunge valori superiori all'80%. Dal punto di vista produttivo le principali operazioni tecnologiche previste per la preparazione dei prodotti industriali (pelati) sono le seguenti: -pomodori pelati interi: Lavaggio e Cernita -Pelatura -Separazione pelli -Cernita prodotto Inscatolamento -Aggiunta liquido di governo a pressione atmosferica o sotto vuoto Aggraffatura -Sterilizzazione -Raffreddamento scatole -Magazzinaggio. Preparati in accordo alle buone norme di produzione. -pomodori pelati a filetti: Lavaggio e Cernita -Pelatura -Separazione pelli -Cernita prodotto filettatura -sgrondatura -Inscatolamento -Aggiunta liquido di governo a pressione atmosferica o sotto vuoto -Aggraffatura Sterilizzazione -Raffreddamento scatole -Magazzinaggio. Preparati in accordo alle buone norme di produzione. Articolo 5. La pianta e le bacche del pomodoro della varietà S. Marzano 2, KIROS o di linee migliorate, come precisato all'art. 2, ammesse alla trasformazione per la produzione del Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino a denominazione di Origine Protetta -DOP -devono presentare i seguenti requisiti: 1) Caratteristiche della pianta -sviluppo indeterminato di qualunque statura, con esclusione dei tipi indeterminati; -fogliame ben ricoprente le bacche; -maturazione scalare; -bacche acerbe con "spalla verde". 2) Caratteristiche della bacca del prodotto fresco idoneo alla pelatura: Standard 1: a) bacca con due o tre logge, forma allungata parallelepipeda tipica con lunghezza da 60 a 80 mm. calcolata dall'attacco del peduncolo alla cicatrice stilare; b) sezione trasversale angolata; c) rapporto assi: non inferiore a 2,2 + 0,2 (calcolato tra lunghezza dell'asse longitudinale e quella dell'asse trasversale maggiore nel piano equatoriale); d) assenza di peduncolo; e) colore rosso tipico della varietà; f) facile distacco della cuticola; g) ridotta presenza di vuoti placentari; h) p H non superiore a 4,50; i) residuo rifrattometrico a 20' C uguale o superiore al 4,0%; l) limitata presenza di fasci vascolari ispessiti nella zona peziolare (fittone). Standard 2: a) bacca con due o tre logge, forma allungata cilindrica tendente al piramidale con lunghezza da 60 a 80 mm. Calcolata dall'attacco del peduncolo alla cicatrice stilare; b) sezione trasversale tondeggiante; c) rapporto assi: non inferiore a 2,2 + 0,2 (calcolato tra lunghezza dell'asse longitudinale e quella dell'asse trasversale maggiore nel piano equatoriale); d) assenza di peduncolo; e) colore rosso tipico della varietà; f) facile distacco della cuticola; g) ridotta presenza di vuoti placentari; h) p H non superiore a 4,50; i) residuo rifrattometrico a 20' C uguale o superiore al 4,0%; 1) limitata presenza di fasci vascolari ispessiti nella zona peziolare (fittone). Per entrambi gli standard sono ammesse le seguenti tolleranze: al punto a) frutti di forma leggermente irregolare, ma tipica della varietà, purché non interessino più del 5% della partita; al punto d): peduncoli: massimo l'1% dei frutti; al punto e): arca gialla fino ad un massimo di 2 cmq per frutto purché non interessino più dei 5% della partita; al punto i) è ammissibile per il residuo rifrattometrico a 20' C una tolleranze di -0,2. Articolo 6. La Denominazione d'Origine Protetta -DOP -"Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" designa i frutti interi o a filetti ottenuti dalla pelatura di bacche aventi le caratteristiche previste dall'articolo 5 punto 2) provenienti dalle coltivazioni effettuate nelle zone tipiche indicate nell'articolo 3. Il prodotto trasformato deve, inoltre, possedere i seguenti requisiti minimi: Pomodori pelati interi: -colore rosso tipico della varietà, valutato con metodo visivo; è ammessa una presenza di area gialla fino ad un massimo di 2 cmq per frutto purché non interessi più dei 5% del campione considerato; -assenza di odori e sapori estranei; -assenza di larve di parassiti e di alterazioni di natura parassitaria costituiti da macchie necrotiche di qualunque dimensione interessanti la polpa. Assenza di marciume interno lungo l'asse stilare; -peso dei prodotto sgocciolato non inferiore al 65% del peso netto; -essere interi o comunque tali da non presentare lesioni che modifichino la forma o il volume del frutto per non meno del 65% del peso dei prodotto sgocciolato; -residuo ottico rifrattometrico netto a 20' C uguale o superiore a 5,0% con una tolleranza di 0.2; -media del contenuto in bucce, determinata almeno su cinque recipienti non superiore a 2 cmq per ogni g 100 di contenuto. In ogni recipiente il contenuto in bucce non deve superare il quadruplo di tale limite; -il valore delle muffe, dei pomodori conservati (pomodori e liquido di governo) non deve superare il 30% dei campi positivi per prodotti con un residuo ottico rifrattometrico a 20' C inferiore al 6,0% e, il 40% dei campi positivi per prodotti con un residuo ottico rifrattometrico a 20' C uguale o superiore al 6,0%; -il contenuto totale degli acidi D ed L lattico dei pomodori conservati pomodori e liquido di governo) non deve essere superiore a 0,4 g/Kg; -il valore del pH deve essere compreso tra 4,2 e 4,5; -è consentita l'aggiunta di sale da cucina in misura non superiore al 3% del peso netto. (il tenore naturale dei cloruri è considerato pari al 2% dei residuo ottico ritrattometrico); -è consentita l'aggiunta di foglie di basilico; -è consentita l'aggiunta di acido citrico come coadiuvante tecnologico nel limite massimo di 0.5% del peso del prodotto; -è consentita l'aggiunta di succo di pomodoro, succo di pomodoro parzialmente concentrato, semi-concentrato di pomodoro ottenuto esclusivamente da frutti di pomodoro della varietà S. Marzano 2, KIROS o di linee migliorate, prodotti nell'Agro Sarnese-Nocerino. Pomodori pelati a filetti: -colore rosso tipico della varietà, valutato con metodo visivo; è ammessa una presenza di arca gialla fino ad tiri massimo di 2 cmq per frutto purché non interessi più del 5% del campione considerato; -assenza di odori e sapori estranei; -assenza di larve di parassiti e di alterazioni di natura parassitaria costituiti da macchie necrotiche di qualunque dimensione interessanti la polpa. Assenza di marciume interno lungo l'asse stilare, -peso del prodotto sgocciolato non inferiore al 65% del peso netto; -tagliati longitudinalmente a spicchi; -residuo ottico rifrattometrico netto a 20' C uguale o superiore a 5,0% con una tolleranza di 0.2; -media del contenuto in bucce, determinata almeno su cinque recipienti non superiore a 2 e mq per ogni g 100 di contenuto. In ogni recipiente il contenuto in bucce non deve superare il quadruplo di tale limite; -il valore delle muffe, dei pomodori conservati (pomodori e liquidò di governo) non deve superar& il 30% dei campi positivi per prodotti con un residuo ottico rifrattometrico a 20' C inferiore al 6,0% e, il 40% dei campi positivi per prodotti con un residuo ottico rifrattometrico a 20' C uguale o superiore al 6,0%; -il contenuto totale degli acidi D ed L lattico dei pomodori conservati (pomodori e liquido di governo) non deve essere superiore a 0,4 g/Kg; il valore del pH deve essere compreso tra 4,2 e 4,5; -è consentita l'aggiunta di sale da cucina in misura non superiore al 30A del peso netto. (il tenore naturale dei cloruri è considerato pari al 2% del residuo ottico rifrattometrico); -è consentita l'aggiunta di foglie di basilico; -è consentita l'aggiunta di acido citrico come coadiuvante tecnologico nel limite massimo di 0.5% del peso del prodotto; -è consentita l'aggiunta di succo di pomodoro, succo di pomodoro parzialmente concentrato, semi-concentrato di pomodoro ottenuto esclusivamente da frutti di pomodoro della varietà S. Marzano 2, KIROS o di linee migliorate prodotti nell'Agro Sarnese-Nocerino. Articolo 7. Il Pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" -DOP-può essere confezionato in contenitori di vetro e in scatole di banda stagnata di scelta standard D. R. F. (Doppia riduzione a freddo). Tali caratteristiche fanno salve future modifiche dei contenitori, rispondenti ad esigenze tecnologiche e mercantili nuove o specifiche ma comunque idonee prodotto in oggetto, nei limiti consentiti dalle vigenti norme comunitarie in materia. Articolo 8. Alla denominazione di cui all'art. 1 è vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista nel presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi "extra, scelto, selezionato, superiore, tipo, ecc.". E' consentito l'uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l'acquirente e consumatore. Le industrie di trasformazione che esercitano la propria attività nel territorio di cui all'art.3, devono includere, sulle etichette da applicare intorno ai contenitori di vetro o alle scatole di banda stagnata e sui cartoni che le contengono, le apposite dizioni: -Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino; -Denominazione di Origine Protetta -DOP; -Pomodori pelati interi, pomodori pelati a filetti; -il nome dell'azienda produttrice; -la quantità di prodotto effettivamente contenuto in conformità alle norme vigenti; -la campagna di raccolta e trasformazione; -la data di scadenza. Deve altresì figurare il simbolo grafico specifico (Logo). Descrizione del Logo: Cerchio di stile grafico a tratto semplice e curvilineo affinché le immagini siano di facile comunicazione. I colori sono primari e forti: il rosso del pomodoro, il verde delle foglie ed il bianco che contorna il marchio richiama i colori della bandiera nazionale e sono in primo piano. Ad essi sono aggiunte sfumature di marrone per il tratto stilizzato del Vesuvio, fino ad arrivare ad un forte giallo per dare solarità all'immagine tutta-dal basso verso l'alto, infine, il blu che teorizza l'abbraccio del mare a tutto il nostro territorio. La dicitura "Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" è stata posizionata intorno ad un primo cerchio usando i colori verde su bianco. Al centro del primo cerchio, in primo piano, troviamo l'immagine del classico grappolo di pomodoro S. Marzano. I caratteri con cui sono indicate le dizioni, devono essere della medesima dimensione, grafica e colore, raggruppati nel medesimo campo visivo e presentati in modo chiaro, leggibile, indelebile e sufficientemente grandi da risaltare sullo sfondo sul quale sono riprodotti, così da poter essere distinti nettamente dal complesso delle altre diciture o dagli altri disegni. Articolo 9. Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un Organismo autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del Regolamento CEE n. 2081 del 14/07/1992. Tale struttura è l'Organismo di controllo IS.ME.CERT.-Istituto mediterraneo di Certificazione Agroalimentare, via G.Porzio centro Direzionale Isola G/I 80143 Napoli, tel. 0817879789, Fax: 0816040176, e-mail: infosmecert.it A tal fine i terreni idonei alla coltivazione del pomodoro per la produzione della DOP Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino", sono iscritti nell'apposito registro, attivato, tenuto e aggiornato dal citato Organismo di controllo. Le aziende di trasformazione della DOP Pomodoro S. Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino" devono essere iscritte in altro apposito Registro, tenuto, e aggiornato dal predetto organismo di controllo. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Campania | Salerno, Avellino, Napoli |
Radicchio di Chioggia Radicchio di Chioggia IGP Disciplinare di produzione - Radicchio di Chioggia IGPArticolo 1. Denominazione L'Indicazione Geografica Protetta «Radicchio di Chioggia», sia nella tipologia «precoce» che in quella «tardiva», e' riservata al radicchio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Il Radicchio di Chioggia e' una pianta con lamine fogliari rotondeggianti, strettamente embricate tra loro che formano un grumolo di forma sferica; tali foglie hanno colore rosso piu' o meno intenso con nervature centrali bianche. Le colture destinate alla produzione della Indicazione Geografica Protetta «Radicchio di Chioggia» nelle due tipologie «precoce» e «tardiva», devono essere costituite da piante della famiglia delle Asteraceae genere Cichorium specie intybus varieta' silvestre. All'atto dell'immissione al consumo, il «Radicchio di Chioggia I.G.P.» deve presentare le seguenti caratteristiche: A) Radicchio di Chioggia I.G.P. - tipologia precoce: a) aspetto: grumolo di pezzatura medio-piccola, ben chiuso, corredato da modesta porzione di radice tagliata in maniera netta sotto il livello del colletto; b) Colore: foglie caratterizzate da una nervatura principale di colore unicamente bianco che si dirama in molte piccole penninervie nel lembo fogliare notevolmente sviluppato di colore caratteristico dal cremisi all'amaranto c) Sapore: foglie di sapore dolce o leggermente amarognolo e di consistenza croccante d) Calibro: peso del grumolo da 180 a 400 grammi. B) RAdicchio di Chioggia I.G.P. - tipologia tardivo: a) Aspetto: grumolo di pezzatura medio-grande, molto compatto, corredato da modesta porzione di radice recisa in maniera netta sotto il livello del colletto; b) Colore: foglie caratterizzate da una nervatura principale di colore unicamente bianco perla che si dirama in molte piccole penninervie nel lembo fogliare notevolmente sviluppato colore amaranto carico; c) Sapore: foglie di sapore amarognolo e di consistenza mediamente croccante; d) Calibro: peso del grumolo da 200 a 450 grammi. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione del «Radicchio di Chioggia», tipologia «tardivo», comprende nell'ambito delle provincie di Venezia, Padova, Rovigo, l'intero territorio dei seguenti comuni: provincia di Venezia: Chioggia, Cona e Cavarzere; provincia di Padova: Codevigo, Correzzola; provincia di Rovigo: Rosolina, Ariano Polesine, Taglio di Po, Porto Viro, Loreo. Il «Radicchio di Chioggia», tipologia «precoce», viene prodotto all'interno dei comuni litoranei di Chioggia (Venezia) e Rosolina (Rovigo) dove le particolari condizioni pedoclimatiche consentono di esaltare le peculiari caratteristiche della tipologia precoce. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine Sul quaderno mensile dell'Istituto Federale di Credito per il Risorgimento delle Venezie, del marzo 1923, si riscontra che il Radicchio era stato inserito nella rotazione agraria insieme ad altri ortaggi. Ulteriore conferma e' data dal «cenni di economia orticola» di Pagani-Gallimberti dove viene indicata la tecnica colturale del radicchio ottenuto negli orti lagunari. In uno studio del 1935, gli «orti sperimentali di Chioggia», si riscontrano studi sulle nuove varieta' di ortaggi e cicorie con particolare riferimento al radicchio. Successivamente l'inserimento del radicchio nella normale rotazione agraria e' documentato dall'«Orticoltura litoranea e lagunare nella zona di Chioggia». La maggiore disponibilita' di materiale da riproduzione e la scelta massale nei periodi piu' idonei, nonche' l'anticipazione delle semine di due/tre giorni all'anno (con seme proveniente dalla produzione di testa), hanno permesso di ottenere delle popolazioni sempre piu' precoci e di migliorare la colorazione anche delle specie tardive. L'origine del prodotto e' oggi comprovata, dall'iscrizione dei produttori e confezionatori in apposito elenco tenuto dalla struttura di controllo di cui all'art. 7 sulla base dei numerosi adempimenti cui si sottopongono i produttori ed i confezionatori interessati nell'ambito dell'intero ciclo produttivo. I fondamenti di tali adempimenti, che assicurano la rintracciabilita' del prodotto in ogni fase della filiera, sono costituiti dall'applicazione dei requisiti descritti in seguito. I produttori i cui terreni ricadono nella zona di produzione definita all'art. 3 del presente disciplinare di produzione, possono accedere alla IGP «Radicchio di Chioggia» iscrivendo, per ciascuna campagna produttiva, i terreni coltivati a «Radicchio di Chioggia» nell'elenco depositato presso la sede dell'Organismo di Controllo. In tale elenco andranno indicati gli estremi catastali dei terreni coltivati a «Radicchio di Chioggia» e per ciascuna particella catastale: la ditta proprietaria, la ditta produttrice, la localita' la superficie coltivata a «Radicchio di Chioggia» distinta per «precoce» e per «tardivo». I produttori e i confezionatori con i terreni iscritti all'elenco suddetto sono tenuti a dichiarare annualmente all'organismo di Controllo la quantita' di «Radicchio di Chioggia» a IGP effettivamente prodotta e che intendono esitare sul mercato che viene quindi annotata in appositi registri. Articolo 5. Tecniche di produzione e raccolta Un aspetto caratteristico della coltura e' rappresentato dalla produzione del seme, fase tipicamente eseguita dai singoli produttori i cui terreni ricadono nella zona di produzione definita all'art. 3. La costante attivita' di miglioramento genetico, effettuata a partire dagli anni trenta, ha consentito la selezione e la diffusione di due tipologie di radicchio, la precoce e la tardiva, le quali, caratterizzate da un diverso periodo di maturazione, permettono di coprire il mercato per quasi l'intero arco dell'anno. Le tecniche di produzione delle due tipologie di Radicchio di Chioggia si differenziano per alcuni aspetti caratteristici. Per entrambe le tipologie, l'intervento di raccolta si pratica recidendo la radice sotto l'inserzione delle foglie basali del grumolo, in genere 2-3 centimetri appena sotto la superficie del terreno, quando le foglie si sono embricate in modo da formare un grumolo piu' o meno compatto a seconda della tipologia. Subito dopo la raccolta le piante possono essere toelettate direttamente in campo asportando le foglie piu' esterne di colore verde o anche rosso non uniforme, le quali, in ogni caso, non vanno a costituire la parte commerciabile. In altri casi invece, le piante intere, possono essere trasferite al centro aziendale purche' situato nell'intero areale definito all'art. 3, dove si provvede alla toelettatura. Ancora oggi nei campi, la toelettatura viene effettuata quasi sempre con coltellini tradizionali ricurvi, detti «roncole». Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico La zona di produzione e' caratterizzata da terreni argillosi e sciolti. Le precipitazioni medie annue si collocano attorno ai 700 mm con punte massime di 1000 e minime di 430 mm. Il clima e' fortemente influenzato dalla vicinanza del mare, che consente una ridotta escursione termica giornaliera, e raramente, durante l'anno, la temperatura massima supera 31-32°C e la minima scende sotto 0° gradi. La presenza di brezze e venti dominanti, in particolare la «bora», contribuisce a rimescolare i bassi strati dell'atmosfera e quindi ad evitare ristagni di umidita' che influirebbero negativamente sullo stato fitosanitario della coltura. Tale clima e' particolarmente adatto al radicchio tardivo che si e' diffuso in tutta la zona prevista nell'art. 3; esso infatti favorisce la coltivazione di questa tipologia sulla quale temperature troppo elevate non permetterebbero la chiusura del cespo e indurrebbero una fioritura precoce. La coltivazione della tipologia precoce e' possibile solo nei comuni litoranei di Chioggia e Rosolina, grazie alle particolari caratteristiche pedoclimatiche: terreno particolarmente sabbioso, maggiore vicinanza al mare che determina una differenza di temperatura media di qualche grado superiore rispetto all'entroterra, maggiore ventilazione, costanza di disponibilita' idrica grazie ad una falda freatica molto superficiale di acqua dolce, che storicamente veniva prelevata scavando le tipiche «buse». Tale tipologia viene ottenuta mediante l'utilizzazione di una tecnica di produzione definita attraverso una sperimentazione ventennale, la quale ha consentito di ampliare il tradizionale periodo di coltivazione autunno-vernino, tipico della coltura tardiva. La tecnica della produzione precoce si basa sull'impiego di specifiche selezioni di seme ottenuto sull'intero territorio delimitato all'art. 3, di apprestamenti protettivi di varia cubatura e sulla rigorosa programmazione del ciclo di coltivazione. Studi dimostrano che e' fondamentale, per il radicchio di Chioggia, impedire il verificarsi di stress di varia natura ascrivibili prevalentemente alle forti escursioni termiche e/o a drastiche variazioni del contenuto di umidita' del terreno. La tessitura sabbiosa della fascia litoranea ricadente nei Comuni di Chioggia e Rosolina, unitamente alle peculiari caratteristiche climatiche di questi areali, sono risultati ottimali per garantire la condizione ideale per la produzione di questo prodotto. In tali situazioni, infatti, non si evidenziano stress tali da pregiudicare la qualita' dello stesso. Studi effettuati dimostrano che in qualsiasi altro ambiente, si sono rilevate gravi perdite di produzione riconducibili a percentuali di prefioritura che hanno talora raggiunto livelli superiori al 50-60%, associate ad una drastica riduzione di colorazione del cespo che perde le caratteristiche dell'ideotipo. Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione e' svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 8. Modalita' di confezionamento ed etichettatura Il trasferimento del prodotto, verificato conforme, ai locali di confezionamento o per la movimentazione commercializzazione dei contenitori predisposti per la vendita unitaria al dettaglio, puo' avvenire utilizzando imballaggi di legno, plastica, cartone o altro materiale idoneo, avente dimensioni di base consentite dalle vigenti normative in materia. Per l'immissione al consumo i radicchi che si fregiano della denominazione «Radicchio di Chioggia» devono essere confezionati in modo che l'apertura dell'involucro determini la rottura dei sigilli, usando le seguenti disposizioni: a) i contenitori dovranno osservare le dimensioni esterne di base di cm 30\times 50, 30\times 40 o 40\times 60 ed essere di legno, plastica, polistirolo, cartone o di altri materiali per alimenti per una capienza compresa tra 1 e 5 kg. di prodotto disposto in un solo strato. b) le confezioni inferiori a 1 Kg dovranno utilizzare contenitori di legno, plastica, polistirolo o cartone. Il contenuto di ciascun imballaggio deve essere omogeneo ed includere soltanto radicchi dello stesso tipo, categoria e calibro. La parte visibile dell'imballaggio deve essere rappresentativa dell'insieme. Il confezionamento deve essere tale da assicurare al prodotto una sufficiente protezione. Gli imballaggi devono essere privi di qualsiasi corpo estraneo. Sui contenitori deve essere apposta l'etichetta con il logo indicante, in caratteri di stampa delle medesime dimensioni, le diciture «Radicchio di Chioggia I.G.P.», con specifico riferimento alla tipologia precoce o tardivo confezionata. Tale logo e' formato da uno scudo accartocciato con fondo bianco, bordatura gialla, fianco marrone e profilo nero, contenente il leone di colore rosso di epoca medioevale recante l'iscrizione cerchiata in caratteri maiuscoli di colore rosso «Radicchio di Chioggia I.G.P.». Tipo di carattere: «Garamond». Campo dimensione carattere: massimo «50» minimo «10»; Campo diametro della cerchiatura: massimo «15» minimo «3»; Colore logo: Rosso = Magenta 95% - Yellow 80% Giallo = Magenta 7% - Yellow 85% Marrone = Cyan 12% - Magenta 60% - Yellow 95% Nero = black 100% (legenda: Cyan = Ciano Magenta = Magenta Yellow = Giallo Black = Nero). Il logo «Radicchio di Chioggia I.G.P.», gia' apposto sui contenitori, non potra' essere riutilizzato. Sui medesimi contenitori devono essere altresi' riportati gli elementi atti ad individuare: nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo o associato e del confezionatore; peso netto all'origine e la categoria; nonche' eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e sulle caratteristiche del prodotto. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Venezia, Padova, Rovigo |
Radicchio di Verona Radicchio di Verona IGP Disciplinare di produzione - Radicchio di Verona IGPArticolo 1. Denominazione Denominazione La Indicazione GeograÞ ca Protetta (IGP) «Radicchio di Verona» è riservata alla produzione orticola che risponde alle condizioni ed ai requisiti di qualità stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La IGP «Radicchio di Verona» è attribuita alla produzione ottenuta da piante appartenenti alla famiglia delle Compositae , genere Cichorium , specie inthybus , varietà «Rossa di Verona precoce e tardiva». Il «Radicchio di Verona» si distingue in «tipo precoce» e «tipo tardivo» e si distingue per i seguenti caratteri: foglie sessili, intere, con margine privo di frastagliature e piegate a doccia verso l’alto. Favorite dalle basse temperature invernali esse assumono la tipica colorazione rosso scuro intensa e, addossandosi le une alle altre, danno al cespo la forma di tipico grumolo compatto. La nervatura principale delle foglie, molto sviluppata, è di colore bianco; per il «tipo tardivo», dopo l’intervento di forzatura ed imbianchimento, le foglie acquisiscono la tipicità di croccantezza e di gusto leggermente amarognolo; il cespo (grumolo) ha un peso di 150-350 grammi per il «tipo precoce» e di 100-300 grammi per il «tipo tardivo»; viene commercializzato con una piccola parte apprezzabile della radice (fittone) di lunghezza non superiore a 4 cm e di diametro proporzionale alle dimensioni del cespo stesso. Al momento della immissione al consumo, il «Radicchio di Verona» IGP, oltre a rispettare le suddette caratteristiche di tipicità, dovrà presentare: toilettatura precisa e curata con cespo e Þ ttone puliti e lavati, uniformità nel calibro e nella lunghezza dei cespi, nonché nelle dimensioni della piccola parte del fi ttone che rimane attaccato al cespo. Inoltre l’aspetto del germoglio dovrà apparire compatto, serrato nella parte apicale; di forma leggermente ellittica, con nervature della lamina fogliare ben evidenti ed aperte; colore del lembo fogliare rosso brillante senza variegature; colore della nervatura principale completamente bianca stretta alla base. I cespi devono essere interi, sani, escludendo quindi i prodotti affetti da marciume o che presentino alterazioni tali da renderli inadatti al consumo, di aspetto fresco, privi di parassiti e di danni provocati da parassiti, privi di umidità esterna anomala e privi di odore e/o sapore estranei. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione del «Radicchio di Verona» IGP comprende i comuni di seguito elencati, tutti ubicati nella regione Veneto. In provincia di Verona, il territorio dei comuni di: Trevenzuolo, Salizzole, Nogara, Concamarise, Sanguinetto, Cerea, Casaleone, Legnago, Minerbe, Roveredo di Guà, Cologna Veneta, Veronella, Arcole, Zimella, Isola della Scala, Bovolone, Bevilacqua, S. Pietro di Morubio, Roverchiara, Gazzo Veronese, Sorgà, Erbè, Oppeano, Isola Rizza, Albaredo d’Adige, Pressana, Villa Bartolomea, Castagnaro, Terrazzo, Boschi S. Anna, Angiari, Bonavigo. In provincia di Vicenza è compreso il territorio dei comuni di: Asigliano Veneto, Pojana Maggiore, Noventa Vicentina, Campiglia dei Berici, Agugliaro, Sossano, Villaga, Albettone, Orgiano, Alonte, Lonigo, Barbarano Vicentino, San Germano dei Berici. In provincia di Padova è compreso il territorio dei comuni di: Casale di Scodosia, Castelbaldo, Masi, Megliadino S. Fidenzio, Megliadino S. Vitale, Merlara, Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Saletto, S. Margherita d’Adige, Lozzo Atestino, Urbana. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione degli agricoltori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento L’impianto della coltura del «Radicchio di Verona» IGP si effettua ricorrendo alla semina diretta in campo, o al trapianto di piantine allevate in vivaio; per il «tipo precoce» la semina va effettuata nel periodo compreso tra il 1° e il 20 luglio e, per il «tipo tardivo», tra il 21 luglio e il 15 agosto. Nel caso si utilizzi la tecnica del trapianto la messa a dimora delle piantine avverrà con 20 giorni di ritardo rispetto al periodo sopra indicato per la semina. È necessario l’impiego di seme sano. Nel caso di produzione aziendale è necessario partire da piante sane evitando che queste, in fase di maturazione, siano attaccate da marciumi dell’apparato aereo e radicale, procedendo alla raccolta a luglio delle piante portaseme che vengono essiccate e poi sottoposte a trebbiatura. Le tecniche colturali nella produzione del «Radicchio di Verona» dovranno orientarsi ad accentuare la qualità della produzione tipica e il grado di ecocompatibilità della coltivazione. A tal Þ ne, il «Radicchio di Verona» dovrà inserirsi in rotazioni colturali almeno biennali che gli consentano, quale coltura intercalare estivo-invernale di notevole rusticità, di utilizzare la fertilità residua del suolo; ciò per limitare l’apporto di fertilizzanti necessario a conservare le normali condizioni di fertilità dei terreni evitando, così, i fenomeni di sensibilità della coltura agli attacchi dei parassiti favoriti da eccessi di azoto. Le dosi sono variabili anche a seconda del tipo di terreno; l’azoto va distribuito in presemina e/o in copertura, mentre il fosforo e potassio vanno distribuiti interamente in presemina. lità dopo la semina o il trapianto per assicurare una tempestiva e regolare emergenza delle piante, fattore determinante per un costante livello qualitativo della produzione. Ciò avviene mantenendo il terreno costantemente umido tramite irrigazioni frequenti con volumi d’acqua modesti (circa 10 mm) Þ no all’emergenza della coltura, dilazionando successivamente gli interventi e aumentando i volumi d’irrigazione (es. 20-30 mm). La raccolta del «Radicchio di Verona» deve assicurare, per il «tipo tardivo» il mantenimento di buona parte della radice fittonante (almeno 8 centimetri); essa può iniziare dal 1° ottobre per il «tipo precoce» e dal 15 dicembre per il «tipo tardivo». La produzione per ettaro di prodotto finito non potrà superare le 13 tonnellate per il «tipo precoce» e le 11 tonnellate per il «tipo tardivo». Per il «Radicchio di Verona» «tipo tardivo» deve essere effettuata una successiva trasformazione, che prevede una fase di forzaturaimbianchimento da attuarsi raggruppando le piante orizzontalmente in modo da formare cumuli, direttamente sul campo o sotto tunnel di plastica, già esistenti in azienda, o nei magazzini. In tal modo si vengono a determinare condizioni di temperatura, luce ed umidità che favoriscono la ripresa dell’attività vegetativa con mobilitazione delle sostanze di riserva accumulate nel fittone e conseguente mutamento di quelle contenute nelle foglie finchè queste acquisiscono le caratteristiche di croccantezza, colorazione rosso scuro intenso e gusto leggermente amarognolo tipiche del «Radicchio di Verona». Nella fase di toilettatura si asportano dalle piante le foglie più esterne che non presentano i requisiti minimi per ottenere un cespo con le caratteristiche previste, si recide la radice a non più di 4 centimetri dalla base del cespo e la si scorteccia in modo da proporzionarla alle dimensioni del cespo stesso. La fase di toilettatura va effettuata immediatamente prima di immettere il prodotto sul mercato al consumo; ad essa seguono le operazioni di lavaggio e confezionamento. Il confezionamento del Radicchio di Verona deve essere effettuato nella zona di origine individuata all’art. 3 del presente disciplinare, poiché il trasporto e le eccessive manipolazioni potrebbero causare la diminuzione della compattezza del grumolo e causare la senescenza del cespo. Articolo 6. Legame con l’ambiente A Verona le prime vere coltivazioni di radicchio destinate al mercato iniziano ai primi del Novecento, anche se erano presenti già alla Þ ne del Settecento nei «broli» (orti cittadini); l’inchiesta agraria Jaccini (Vol. 5 tomo I, 1882) ne ricorda la presenza. Era coltivato nell’alta pianura veronese negli interÞ lari delle piante da frutto e della vite, si fa riferimento al «Radicchio di Verona» già nella «Monografia della provincia di Verona - Regio Prefetto Conte Luigi Sormano Moretti» - Firenze 1911. Nel libro «Cucina Veneta» (1980) di Giovanni Rorato, così sono presentati i radicchi: «Come fiori sulla tavola. Non c’è dubbio alcuno che il radicchio ha scelto come terra d’elezione il Veneto: è qui, infatti, che esiste da secoli il culto particolare per la cicoria, anche se le colture specializzate e selettive datano al Þ nire del secolo scorso. Oggi, nel Veneto, la selezione ha prodotto vari tipi di radicchio: radicchio rosso di Treviso….radicchio variegato di Castelfranco,.... radicchio di Chioggia, radicchio di Verona, anche questo rosso, e inÞ ne il variegato di Lusia, in Polesine…». Numerose ricette tradizionali della cucina Veneta, tramandate negli anni, vedono il Radicchio di Verona come loro ingrediente principale (Omelette al radicchio, Cappelletti di castagne con salsa di noci e radicchio, Fagottini di radicchio, etc.). Le caratteristiche peculiari che contraddistinguono il Radicchio di Verona dagli altri prodotti della stessa categoria merceologica, sono la particolare croccantezza delle foglie, il colore rosso intenso ed il sapore leggermente amarognolo. Queste caratteristiche sono favorite dal clima di tipo continentale con estati molto calde ed afose ed inverni rigidi e nebbiosi. Sono soprattutto le basse temperature del periodo invernale che inß uiscono maggiormente sulla croccantezza e sul colore rosso intenso delle foglie oltre alle particolari caratteristiche dei terreni, sabbiosi ricchi di sostanza organica, profondi, ben drenati, freschi, dotati di buona fertilità tipici dell’areale di produzione delimitato all’art. 3 del presente disciplinare. Questi elementi peculiari ambientali e climatici, unitamente alla tradizionale e secolare opera dell’uomo ivi insediato, grazie alle sue capacità culturali, alla continua ricerca ed alla messa in atto di tradizionali e speciÞ che tecniche colturali (con particolare riguardo ad una continua opera di miglioramento genetico), hanno contribuito a conferire al Radicchio di Verona caratteristiche organolettiche e qualitative uniche, riconosciute sia dalla specifica letteratura agricola e scientifica che dal punto di vista commerciale. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo conforme a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del regolamento CE n. 510/2006. Articolo 8. Etichettatura Il «Radicchio di Verona» IGP viene immesso al consumo in confezioni sigillate conformi alle tipologie di seguito riportate, nel rispetto della normativa comunitaria: vassoi in cartone e/o legno e/o materiale sintetico; cestini in cartone e/o legno e/o materiale sintetico; confezioni cm 30 x cm 40 in cartone e/o legno e/o materiale sintetico; confezioni cm 30 x cm 50 in cartone e/o legno e/o materiale sintetico; confezioni cm 40 x cm 60 in cartone e/o legno e/o materiale sintetico; borsa retinata di kg 0,5, di kg 1 e di kg 1,5. Ciascuna confezione dovrà contenere un solo strato di prodotto e dovrà essere sigillata in modo che l’apertura dell’involucro determini la rottura del sigillo. La confezione deve recare obbligatoriamente sull’etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al logo della denominazione ed al simbolo grafico comunitario le seguenti diciture: nome, ragione sociale e indirizzo del confezionatore, peso, data e luogo di confezionamento, scadenza per il consumo nonché tutte le altre indicazioni previste dalla normativa nazionale o comunitaria. Logo della IGP «Radicchio di Verona». Il logo raffigura 3 grumoli di Radicchio di Verona con linee e striscia azzurra che vogliono rappresentare l’Arena di Verona e il fiume Adige come riferimento all’origine geografica. Il logo, di seguito raffigurato con indicazione del pantone dei colori, può presentare le seguenti dimensioni in relazione alle tipologie di confezioni sopra descritte: - mm. 28x21 - mm.60x48 - mm.105x85 - mm.150x120 Colori usati: Pantone bianco Pantone 235 Pantone nero Pantone 220 Pantone 222 Pantone 647 Pantone Gr. ch. 1 Alla denominazione IGP «Radicchio di Verona» è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non prevista nel presente disciplinare di produzione. È ammesso l’uso di indicazioni che fanno riferimento alla denominazione dell’azienda produttrice e alla località della relativa sede. È autorizzato l’uso del marchio aziendale. In ogni caso la dicitura «Radicchio di Verona» IGP dovrà avere dimensioni significativamente superiori a quelle utilizzate per qualsiasi altra dicitura. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Verona, Vicenza, Padova |
Radicchio Rosso di Treviso Radicchio Rosso di Treviso IGP Disciplinare di produzione - Radicchio Rosso di Treviso IGPArticolo 1. Denominazione. L'indicazione geografica protetta «Radicchio Rosso di Treviso» - di seguito indicata con la sigla I.G.P. - è riservata, nel settore orticolo, al radicchio rosso del tipo tardivo e precoce che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Utilizzazione Hanno titolo di venir qualificate con l'I.G.P. in questione le produzioni di radicchio rosso esclusivamente prodotte, trasformate e confezionate entro i territori delle province di Treviso, Padova e Venezia di seguito specificati, da conduttori di adatti terreni annualmente investiti in tale coltivazione. Articolo 3. Zona di produzione 1) La zona di produzione, trasformazione e confezionamento del Radicchio Rosso di Treviso del tipo tardivo comprende, nell'ambito delle province di Treviso, Padova e Venezia, l'intero territorio amministrativo dei comuni di seguito elencati. Provincia di Treviso: Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Istrana, Mogliano Veneto, Morgano, Paese, Ponzano Veneto, Preganziol, Quinto di Treviso, Silea, Spresiano, Trevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zero Branco. Provincia di Padova: Piombino Dese, Trebaseleghe. Provincia di Venezia: Martellago, Mirano, Noale, Salzano, Scorzè. 2) La zona di produzione, trasformazione e confezionamento del Radicchio Rosso di Treviso del tipo precoce comprende, nell'ambito delle province di Treviso, Padova e Venezia, l'intero territorio amministrativo dei comuni di seguito elencati. Provincia di Treviso: Breda di Piave, Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Castelfranco Veneto, Castello di Godego, Istrana, Loria, Maserada sul Piave, Mogliano Veneto, Monastier, Morgano, Paese, Ponzano Veneto, Preganziol, Quinto di Treviso, Resana, Riese Pio X, Roncade, San Biagio di Callalta, Silea, Spresiano, Trevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zenson di Piave, Zero Branco. Provincia di Padova: Borgoricco, Camposanpiero, Loreggia, Massanzago, Piombino Dese, Trebaseleghe. Provincia di Venezia: Martellago, Mirano, Noale, Salzano, Santa Maria di Sala, Scorzè, Spinea. Articolo 4. Caratteristiche ambientali Le colture destinate alla produzione della I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso» devono essere costituite da piante della famiglia delle composite - genere cichorium - varietà silvestre, che comprende i tipi tardivo o precoce. Le condizioni di impianto e le operazioni colturali degli appezzamenti destinati alla produzione della I.G.P. «Treviso» devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire ai cespi le caratteristiche specifiche. Per la produzione del «Radicchio Rosso di Treviso» del tipo tardivo e precoce sono da considerarsi idonei i terreni freschi, profondi, ben drenati, e non eccessivamente ricchi di elementi nutritivi, in specie azoto, ed a reazione non alcalina. In particolar modo sono indicate le zone di coltivazione con terreni argillosi-sabbiosi di antica alluvione in stato di decalcificazione e con una situazione climatica caratterizzata da estati sufficientemente piovose e con temperature massime contenute, autunni asciutti, inverni che volgono precocemente al freddo e con temperature minime fino a meno 10 gradi °C. Per il «Radicchio Rosso di Treviso» tardivo e precoce la densità di impianto, al termine delle operazioni di semina o trapianto e successivo diradamento delle piantine, non deve superare le 8 piante per mq. Ai fini della qualificazione del prodotto con l'I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso» le produzioni massime per ettaro di superficie coltivata non devono superare (esclusa ogni tolleranza) i seguenti limiti: 1) tardivo kg 7.000/Ha; 2) precoce kg 9.000/Ha. Il peso massimo unitario dei cespi che compongono il prodotto finito non può superare (esclusa ogni tolleranza) i seguenti limiti: 1) tardivo kg 0,400; 2) precoce kg 0,500. Articolo 5. Modalità di coltivazione La produzione del Radicchio Rosso di Treviso, precoce e tardivo, inizia, indifferentemente, con la semina o il trapianto. Le operazioni di semina, in pieno campo, devono essere effettuate entro il periodo compreso tra il 1° giugno e il 31 luglio di ciascun anno. In caso di trapianto, questo dovrà essere effettuato entro il 31 agosto di ciascun anno. 1) Le operazioni di raccolta per il Radicchio Rosso di Treviso tardivo si effettuano a partire dal 1° novembre e comunque dopo che la coltura abbia subito almeno due brinate, per favorire la colorazione rossa della pianta. 2) Le operazioni di raccolta per il Radicchio Rosso di Treviso precoce si effettuano a partire dal 1° settembre. Le operazioni di coltivazione, imbianchimento, forzatura e l'acquisizione delle caratteristiche previste per l'immissione al consumo dei radicchi destinati alla utilizzazione della I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso», compreso il confezionamento, devono essere effettuate esclusivamente nel territorio amministrativo dei comuni indicati all'art. 3. I radicchi commercializzati prima dell'acquisizione delle caratteristiche previste nel successivo art. 6 fuori dalla zona di produzione perdono in via definitiva il diritto di fregiarsi della I.G.P. e di qualsiasi riferimento geografico. Il processo di imbianchimento, forzatura e preparazione dei cespi al confezionamento avviene attraverso fasi successive di lavorazione per ognuno dei due tipi di radicchio indicati all'art. 1. 1) Radicchio Rosso di Treviso tardivo. Il tradizionale processo di lavorazione post-raccolta del prodotto si articola nelle fasi di seguito descritte. Fase di preforzatura. Per questa prima fase le piante raccolte con parte dell'apparato radicale, vengono pulite dalle foglie più esterne e dalla terra eventualmente rimasta aderente alla radice. Quindi i cespi vengono raccolti in mazzi oppure collocati in gabbie retinate o traforate. In entrambi i casi il colletto delle singole piante deve risultare alla medesima altezza. I mazzi o le gabbie riempite dei cespi, allineati sul terreno, sono protetti con tunnel in modo da impedire maggiori bagnature degli stessi in caso di precipitazioni atmosferiche o di scioglimento di brinate notturne. I tunnel devono garantire la massima ventilazione dei cespi. Questa ultima fase potrà essere svolta anche ponendo detti mazzi o gabbie in locali condizionati. Fase di forzatura - imbianchimento. La forzatura - imbianchimento è l'operazione fondamentale e insostituibile che consente di esaltare i pregi organolettici, merceologici ed estetici del Radicchio Rosso di Treviso tardivo. Si realizza ponendo i cespi in condizioni di formare nuove foglie che, in assenza di luce, sono prive o quasi di pigmenti clorofilliani, mettono in evidenza la colorazione rosso intensa della lamina fogliare, perdono la consistenza fibrosa, assumono croccantezza ed un sapore gradevolmente amarognolo. La forzatura del Radicchio Rosso di Treviso tardivo avviene mediante utilizzazione di acqua di falda, che nella zona risulta particolarmente idonea all'imbianchimento di queste produzioni. I cespi vengono collocati verticalmente in ampie vasche protette ed immersi fino in prossimità del colletto per il tempo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione contrassegnato dalle caratteristiche indicate al successivo art. 6. Fase di toilettatura. Seguono le operazioni di toilettatura con le quali si liberano i cespi dai legacci o dalle gabbie, si asportono le foglie deteriorate o prive dei requisiti minimi fino ad ottenere un germoglio con le sue caratteristiche previste, si taglia e si scorteccia il fittone in misura proporzionale alle dimensioni del cespo. L'operazione di toilettatura deve essere eseguita immediatamente prima dell'immissione nella filiera distributiva del prodotto. Terminata la toilettatura il radicchio si colloca in capaci recipienti con acqua corrente per essere lavato e confezionato. 2) Radicchio Rosso di Treviso precoce. Fase di legatura. In questa fase i cespi, in pieno campo, vengono legati al fine di inibire il normale processo di fotosintesi, per il tempo necessario al raggiungimento del giusto grado di maturazione contrassegnato dalle caratteristiche indicate al successivo art. 6. Fase di toilettatura. Nella prima fase, successiva alla raccolta, i cespi liberati dalla legatura vengono mondati dalle foglie esterne non rispondenti ai requisiti minimi e quindi si effettua la toilettatura del colletto e del fittone. Di seguito il radicchio si colloca in capaci recipienti colmi di acqua corrente per essere lavato. Si eliminano le eventuali foglie prive dei requisiti di qualità e si avvia al confezionamento. Articolo 6. Caratteristiche al consumo All'atto dell'immissione al consumo il radicchio contraddistinto dall'I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso» deve presentare le caratteristiche di seguito indicate. 1) Radicchio Rosso di Treviso tardivo. a) Aspetto: germogli regolari, uniformi e dotati di buona compattezza; foglie serrate, avvolgenti che tendono a chiudere il cespo nella parte apicale; cespo corredato di una porzione di radice fittonante perfettamente toilettata e di lunghezza proporzionale alla dimensione del cespo, comunque non superiore a 6 cm. b) Colore: lembo fogliare rosso vinoso intenso con nervature secondarie appena accennate; costola dorsale (nervatura principale) bianca. c) Sapore: costola dorsale di sapore gradevolmente amarognolo e croccante nella consistenza. d) Calibro: (dei cespi) peso minimo 100 g, diametro minimo al colletto 3 cm, lunghezza (senza fittone) 12-25 cm. Il profilo merceologico del Radicchio Rosso di Treviso tardivo è così definito: perfetto grado di maturazione; spiccata colorazione rosso-brillante del lembo fogliare; nervatura principale di color bianco; buona consistenza del cespo; pezzatura medio-grande; uniformità nel calibro e nella lunghezza dei cespi; toilettatura precisa - raffinata - priva di sbavature; fittone proporzionato al cespo e non più lungo di 6 cm. 2) Radicchio Rosso di Treviso precoce. a) Aspetto: cespo voluminoso, allungato, ben chiuso, corredato da modesta porzione di radice. b) Colore: foglie caratterizzate da una nervatura principale molto accentuata, di color bianco che si dirama in molte piccole penninervie nel rosso intenso del lembo fogliare notevolmente sviluppato. c) Sapore: foglie di sapore leggermente amarognolo e di consistenza mediamente croccante. d) Calibro: (dei cespi) peso minimo 150 g, lunghezza del cespo (senza radice) 15-25 cm. Il profilo merceologico del Radicchio Rosso di Treviso precoce è così definito: perfetto grado di maturazione; colorazione rosso-brillante del lembo fogliare interrotta da fini nervature bianche; buona consistenza del cespo; pezzatura medio-grande; uniformità nel calibro dei cespi; toilettatura precisa - raffinata - priva di sbavature; fittone proporzionato al cespo e non più lungo di 4 cm. Articolo 7. Rintracciabilità e controllo Al fine di controllare le fasi di produzione, trasformazione e confezionamento della I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso» vengono attivati presso l'Organismo autorizzato ai sensi dell'art. 10 del reg. (CEE) 2081/92, gli elenchi dei produttori e confezionatori che intendono avvalersi della I.G.P. per le relative tipologie di radicchio. Hanno titolo alla iscrizione nel precitato elenco i produttori di radicchio, conduttori a qualsiasi titolo di un fondo della superficie minima di mq 1.500 rientrante nella zona delimitata dalla I.G.P. in questione, dagli stessi destinato alla coltivazione di «Radicchio Rosso di Treviso» tardivo e/o precoce. I produttori ai fini di utilizzare l'I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso», sono tenuti ad iscriversi per ogni campagna produttiva al precitato elenco, dichiarando annualmente le tipologie e le superfici coltivate. La richiesta di iscrizione dovrà essere presentata all'Organismo di controllo autorizzato entro il 31 maggio di ogni anno con le modalità previste nel piano di controllo. I confezionatori hanno l'obbligo di inviare all'Organismo di controllo autorizzato la dichiarazione della produzione annuale confezionata ripartita secondo le tipologie utilizzate. L'iscrizione dei singoli produttori e confezionatori all'elenco ha validità annuale ed è rinnovabile. Il controllo per l'applicazione del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo conforme a quanto stabilito dall'art. 10 del reg. (CEE) 2081/92. Articolo 8. Denuncia di produzione L'inizio delle operazioni di ciascuna tornata di raccolta deve venire progressivamente annotato, a cura del conduttore, in un'apposita scheda aziendale. Il conduttore denuncia all'Organismo indicato all'articolo precedente le quantità di prodotto finito pronto per la cessione al mercato, ottenuto dalla tornata produttiva. Il conduttore provvederà contestualmente ad indicare detto quantitativo sulla scheda aziendale, annotando la data di consegna al confezionatore, ad eccezione del caso in cui egli provveda direttamente alle operazioni di confezionamento. Articolo 9. Designazione e presentazione Per l'immissione al consumo il radicchio che si fregia della I.G.P. «Radicchio Rosso di Treviso» deve essere confezionato: a) in contenitori idonei di base di cm 30X50 o 30X40 e per una capienza massima pari a 5 kg di prodotto; b) in contenitori idonei di dimensione di base di cm 40X60 e per una capienza massima pari a 7,5 kg di prodotto; c) in contenitori idonei di dimensioni diverse purchè non eccedenti nel peso i 2 kg di prodotto. Su ciascun contenitore deve essere apposta una copertura sigillante tale da impedire che il contenuto possa venire estratto senza la rottura del sigillo. Sui contenitori stessi devono essere indicati in caratteri di stampa delle medesime dimensioni la dicitura «Radicchio Rosso di Treviso» I.G.P. accompagnato dalla specificazione «tardivo» o «precoce». Sui medesimi contenitori devono essere altresì riportati gli elementi atti ad individuare: nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo e/o associato e/o confezionatore; peso netto all'origine, nonchè eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del prodotto. Su ciascun contenitore e/o sulla copertura sigillante, inoltre, dovrà essere sempre apposto il logo identificativo dell'I.G.P., allegato al presente disciplinare, del quale ne costituisce parte integrante, utilizzando le forme, i colori e le dimensioni o i rapporti indicati; specificando altresì la tipologia «precoce» o «tardivo» conformemente al modello allegato. Il logo, di colore rosso, su fondo bianco, è costituito da una composizione stilizzata di radicchi al di sopra della quale campeggia la scritta «Radicchio Rosso di Treviso I.G.P.», il tutto riquadrato da una bordatura rossa. Tipo di carattere: Rockwell condensed. Colore logo: Rosso = Magenta 100% - Yellow 80% - Cyan 30%. L'indicazione «precoce» o «tardivo» è apposta in caratteri bianchi su una campitura rossa accanto alla riproduzione fotografica del corrispondente «Radicchio Rosso di Treviso». Il logo, inoltre, potrà essere inserito - a cura del soggetto preposto - anche nell'apposito sigillo. Qualunque altra indicazione diversa dal «Radicchio Rosso di Treviso I.G.P.» dovrà avere dimensioni significativamente inferiori alle stesse. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso, Padova, Venezia |
Radicchio Variegato di Castelfranco Radicchio Variegato di Castelfranco IGP Disciplinare di produzione - Radicchio Variegato di Castelfranco IGPArticolo 1. Denominazione L'indicazione geografica protetta "Castelfranco" - di seguito indicata con la sigla I.G.P. - è riservata, nel settore orticolo, al Radicchio variegato che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Utilizzazione Hanno titolo di venir qualificate con l'I.G.P. in questione le produzioni di Radicchio variegato esclusivamente e totalmente realizzate entro i territori delle province di Treviso, Padova e Venezia di seguito specificate, da conduttori di adatti terreni annualmente investiti in tale coltivazione. Articolo 3. Organismi preposti Sono coinvolte nell'attuazione della procedura amministrativa prevista dal presente disciplinare, a garanzia e tutela degli interessi economici e morali di tutte le parti rappresentate: la Regione Veneto, le Amministrazioni comunali e le Camere di Commercio competenti per territorio. A queste ultime è affidata la costituzione e la tenuta di appositi "Albi di produttori". La vigilanza circa l'osservanza delle disposizioni contenute nel presente disciplinare è affidata dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali ad un Consorzio volontario di tutela, da costituirsi a cura della Camera di Commercio di Treviso in collaborazione con gli altri Enti Camerali interessati. Articolo 4. Zona di produzione 1) La zona di produzione del Radicchio Variegato di Castelfranco comprende, nell'ambito delle province di Treviso, Padova e Venezia, l'intero territorio amministrativo dei comuni di seguito elencati: Provincia di Treviso: Breda di Piave, Carbonera, Casale sul Sile, Casier, Castelfranco Veneto, Castello di Godego, Istrana, Loria, Maserada, Mogliano Veneto, Morgano, Paese Ponzano, Preganziol, Quinto di Treviso, Resana, Riese Pio X, San Biagio di Callata, Silea, Spresiano, Trevignano, Treviso, Vedelago, Villorba, Zero Branco. Provincia di Padova: Albignasego, Battaglia Terme, Borgoricco, Camposanpiero, Carrara S. Giorgio, Carrara S. Stefano, Cartura, Casalserugo, Conselve, Loreggia, Maserà di Padova, Massanzago, Monselice, Montagnana, Montegrotto, Terme, Pernumia, Piombino Dese, Ponte San Nicolò, San Pietro Viminario, Trebaselghe. Provincia di Venezia: Martellago, Mirano, Noale, Salzano, Santa Maria di Sala, Scorzè, Spinea. Articolo 5. Caratteristiche ambientali Le colture destinate alla produzione della I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco" devono essere costituite da piante della famiglia delle composite, genere cichorium, varietà silvestre, che comprende il tipo variegato. Le condizioni di impianto e le operazioni colturali degli apprezzamenti destinati alla produzione della I.G.P. "Castelfranco" devono essere quelle tradizionali della zona e comunque atte a conferire ai cespi le caratteristiche specifiche. Per la produzione del "Radicchio Variegato" sono da considerarsi idonei i terreni freschi, profondi, ben drenati, e non eccessivamente ricchi di elementi nutritivi, in specie-azoto, ed a reazione non alcalina. In particolar modo indicate le zone di coltivazione con terreni argillosi-sabbiosi di antica alluvione in stato di decalcificazione e con una situazione climatica caratterizzata da estati sufficientemente piovose e con temperature massime contenute, autunni asciutti, inverni che volgono precocemente al freddo e con temperature minime fino a meno 8/10 gradi C.. Per il "Radicchio variegato" la densità di impianto, al termine delle operazioni di semina o trapianto e successivo diradamento delle piantine, non deve superare le 5/7 piante per mq. Ai fini della qualificazione del prodotto con l'I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco" le produzioni massime per ettaro di superficie coltivata non devono superare (esclusa ogni tolleranza) i 6.000 kg. Il peso massimo unitario dei cespi che compongono il prodotto finito non può superare (esclusa ogni tolleranza) i 0,400 kg. Articolo 6. Modalità di coltivazione Le operazioni di semina per il "Radicchio variegato di Castelfranco" devono essere effettuate (in vivaio o in contenitori) dal 1° giugno al 15 agosto. Il trapianto avviene dal 15 giugno al 31 agosto. Le operazioni di raccolta del "Radicchio variegato di Castelfranco" si effettuano a partire dal 20 settembre. Le operazioni di coltivazione, imbianchimento, forzatura e l'acquisizione delle caratteristiche previste per consumo dei radicchi destinati alla utilizzazione della I.G.P. "Castelfranco" devono essere effettuate esclusivamente nel territorio amministrativo dei comuni indicati all'art. 4. I radicchi commercializzati prima dell'acquisizione delle caratteristiche previste nel successivo art. 7 fuori della zona di produzione perdono in via definitiva il diritto di fregiarsi della I.G.P. e di qualsiasi riferimento geografico. Il tradizionale processo di lavorazione post-raccolta del prodotto si articola nelle fasi di seguito descritte. 1. Fase di preforzatura In questa prima fase le piante raccolte, con circa 10 cm. di fittone, vengono pulite e collocate in casse di plastica con fondo retinato. Queste ultime si allineano in solchi profondi circa 20 cm e protetti con tunnel in modo da impedire ulteriori bagnature dei cespi in caso di precipitazioni atmosferiche o di scioglimento di brinate notturne. I tunnel devono garantire la massima areazione dei cespi. 2. Fase di forzatura-imbianchimento La forzatura-imbianchimento è l’operazione fondamentale e insostituibile che consente di esaltare i pregi organolettici, merceologici ed estetici del "Radicchio variegato di Castelfranco". Si realizza ponendo i cespi in condizioni di formare nuove foglie che, in assenza di luce, sono prive o quasi di pigmenti clorofilliani, mettono in evidenza la variegatura sullo sfondo della lamina fogliare, perdono la consistenza fibrosa, assumono croccantezza ed un sapore gradevolmente amarognolo. La forzatura del radicchio variegato di Castelfranco avviene: a) immergendo i cespi verticalmente, fino al colletto, per un periodo massimo di 20 giorni, in acqua sorgiva a circa l1 gradi C° fatta scorrere in ampie vasche di cemento protette; oppure b) in magazzini, serre, tunnel o anche direttamente in pieno campo garantendo comunque un giusto grado di umidità dell'apparato radicale, somministrando calore alle piante, riducendo l'intensità della luce e favorendo (in ogni maniera) lo sviluppo dei germogli di ogni cespo. A completamento delle operazioni di imbianchimento e forzatura i cespi sono portati su strati di sabbia o altro materiale inerte in grado di assorbire acqua, in ambiente a temperatura costante di 18 gradi C° in modo che i germogli raggiungano la completa maturazione. 3. Fase di toilettatura Seguono le operazioni di toilettatura con le quali si asportano le foglie deteriorate o con caratteristiche non idonee, si esegue il taglio e lo scortecciamento del fittone in misura proporzionale al cespo. L'operazione di toilettatura deve essere eseguita immediatamente prima dell'immissione al consumo del prodotto. Terminata la toilettatura il radicchio si colloca in capaci recipienti con acqua corrente per essere lavato e confezionato. Articolo 7. Caratteristiche al consumo All'atto dell'immissione al consumo il radicchio contraddistinto dall'I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco" deve presentare le caratteristiche di seguito indicate. Aspetto: cespo bello di forma e splendido di colori e con un diametro minimo di 15 cm; partendo dalla base del cespo si ha un giro di foglie piatte, un secondo giro di foglie un po’ più sollevato, un terzo giro ancora più inclinato e così via fino ad arrivare al cuore; lunghezza massima del fittone 4 cm, di diametro proporzionale alle dimensioni del ceppo stesso; foglie spesse il più possibile, con bordo frastagliato, con superficie del lembo ondulata, di forma rotondeggiante. Colore: foglie bianco-crema con variegature distribuite in modo equilibrato su tutta la pagina fogliare di tinte diverse da viola chiaro al rosso violaceo e al rosso vivo. Sapore: foglie di sapore dal dolce al gradevolmente amarognolo molto delicato. Calibro: cespi del peso minimo di 100 g, diametro minimo della "rosa" 15 cm. Il profilo merceologico del radicchio variegato è così definito: perfetto grado di maturazione, colorazione bianco-crema con variegature equamente distribuite dal viola chiaro al rosso vivo, foglie con bordo frastagliato e lembo leggermente ondulato, buona consistenza del ceppo, pezzatura medio-grande, uniformità nel calibro dei cespi, toilettatura precisa - raffinata - priva di sbavature, fittone proporzionato al cespo e non più lungo di 4 cm. Articolo 8. Procedimento amministrativo Ai fini di consentire la commercializzazione con l'I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco" delle produzioni, le Camere di Commercio rilasciano annualmente ricevute di produzione. A tale scopo viene attivato, presso le Camere di Commercio, per ciascuna campagna produttiva, l'Albo dei produttori che intendono utilizzare la I.G.P. per il radicchio variegato. Hanno titolo alla iscrizione nel precitato Albo i produttori di radicchio, conduttori a qualsiasi titolo di un fondo della superficie minima di mq. 1.500 rientrante nella zona delimitata dalla I.G.P. in questione, dagli stessi destinato alla coltivazione di "Radicchio variegato di Castelfranco". I produttori ai fini di utilizzare l'I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco", sono tenuti ad iscriversi per ogni campagna produttiva al precitato Albo, dichiarando annualmente le superfici coltivate. La richiesta di iscrizione dovrà essere presentata al comune presso il quale ha sede il centro aziendale entro il 31 marzo di ogni anno. La richiesta viene formulata in tre esemplari che il Comune provvede a datare e protocollare. Un esemplare viene restituito al produttore, gli altri due vengono trasmessi a cura del comune medesimo, entro tre giorni dalla presentazione all'Ispettorato Regionale dell'Agricoltura (di seguito sinteticamente indicato come I.R.A.) competente per territorio. Ciò ai fini di consentire l'effettuazione degli accertamenti tecnici di conformità delle colture alle condizioni stabilite dal presente disciplinare. L'accertamento tecnico è diretto a rilevare la superficie effettivamente investita nelle colture, la densità di piante, la rispondenza varietale e quant'altro necessario ai fini di assicurare il rispetto delle condizioni stabilite dal presente disciplinare. L'I.R.A., cui competono gli accertamenti in questione, esperiti i sopralluoghi, trasmette alle Camere di Commercio, entro e non oltre il 31 ottobre di ogni anno, un esemplare della richiesta munito del parere tecnico di iscrivibilità dei terreni al relativo. Albo, fissando il limite massimo di prodotto finito ottenibili dalle superfici utilizzate in quell'anno dall'azienda stessa. Ciascuna Camera di Commercio provvede sulla scorta di tali indicazioni, alla costituzione dell'Albo dei produttori dell'I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco", contenente la successione dei nominativi dei conduttori aventi titolo, ciascuno accompagnato dalla superficie investita e dal quantitativo massimo di produzione attribuito. L'iscrizione del singolo conduttore all'Albo ha validità annuale ed è rinnovabile. Ove, per qualsiasi causa, anche non imputabile, il conduttore non utilizzi l'I.G.P. in argomento per tre campagne produttive consecutive, viene disposta la sua cancellazione d'ufficio dall'Albo. Articolo 9. Denuncia di produzione L'inizio delle operazioni di ciascuna tornata di raccolta deve venir progressivamente annotato, a cura del conduttore, in un'apposita scheda aziendale, rilasciata e vidimata dall'I.R.A. in occasione del sopralluogo. Il conduttore denuncia altresì alla competente Camera di Commercio, le. quantità di prodotto finito pronto per la cessione al mercato, ottenuto dalla tornata produttiva. Il conduttore provvederà contestualmente ad indicare detto quantitativo sulla scheda aziendale, annotando la data di avvio al mercato. Tale denuncia di produzione viene presentata alla competente Camera di Commercio al più presto e comunque non oltre il terzo giorno successivo rispetto alla conclusione delle operazioni di toilettatura della tornata produttiva. La Camera di Commercio, operati gli opportuni raffronti e controlli rilascia agli interessati una ricevuta di produzione per la quantità di prodotto finito denunciata fino alla concorrenza del quantitativo massimo assegnato a ciascuna azienda. L'azione di verifica circa l'effettiva corrispondenza delle produzioni di radicchio, quantificate mediante ricevuta, rispetto alle previsioni espresse, anche in termini qualitativi, dal presente disciplinare, rientra tra le obbligazioni, poste a carico del Consorzio di tutela. Con successivo decreto del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali viene regolamentata la materia inerente ai procedimenti amministrativi dei controlli e la relativa modulistica. Articolo 10. Designazione e presentazione Per l'ammissione al consumo il radicchio che si fregia della I.G.P. "Radicchio variegato di Castelfranco" deve essere confezionato: in contenitori di legno, plastica o cartone di dimensione di base di cm 30x50 e per una capienza massima pari a 5 kg di prodotto; in contenitori di legno, plastica, cartone o altri materiali purché, non eccedenti nel peso i 2 kg di prodotto. Su ciascun contenitore deve essere apposta una copertura sigillante tale da impedire che il contenuto possa venire estratto senza la rottura del sigillo. Sui contenitori stessi devono essere indicati in caratteri di stampa delle medesime dimensioni le diciture "Radicchio di Castelfranco" accompagnato dalla specificazione "variegato". Sui medesimi contenitori devono essere altresì riportati gli elementi atti ad individuare: nome o ragione sociale ed indirizzo o sede del produttore singolo e/o associato e/o del confezionatore, peso netto all'origine, nonché eventuali indicazioni complementari ed accessorie non aventi carattere laudativo e non idonee a trarre in inganno il consumatore sulla natura e le caratteristiche del prodotto. Per gli ulteriori, eventuali adempimenti concernenti la pubblicità obbligatoria, è fatto esplicito rinvio alle norme di legge vigenti. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Veneto | Treviso, Padova, Venezia |
Riso del Delta del Po Riso del Delta del Po IGP Disciplinare di produzione - Riso del Delta del Po IGPArticolo 1. Nome del prodotto L’indicazione geografica protetta “Riso del Delta del Po “ è riservata ai frutti di riso che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto L’indicazione “Riso del Delta del Po” designa esclusivamente il frutto del riso appartenente al tipo “Japonica”, Gruppo Superfino nelle varietà Carnaroli, Volano, Baldo e Arborio. Il “Riso del Delta del Po” – I.G.P., all’atto dell’immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche riferite alla granella: Articolo 3. Zona di produzione L’area tipica per l’ottenimento del “Riso del Delta del Po” si estende sul cono orientale estremo della pianura padana fra la regione Veneto e l'Emilia Romagna, nei territori formati dai detriti e riporti del fiume Po nonché dalle successive opere di trasformazione fondiaria che ne hanno reso possibile la coltivazione. In particolare nel Veneto il Riso del delta del Po viene coltivato, in provincia di Rovigo nei comuni di Ariano nel Polesine, Porto Viro, Taglio di Po, Porto Tolle, Corbola, Papozze, Rosolina e Loreo; in Emilia Romagna tale produzione concerne la provincia di Ferrara nei comuni di Comacchio, Goro, Codigoro, Lagosanto, Massa Fiscaglia, Migliaro, Migliarino, Ostellato, Mesola, Jolanda di Savoia e Berra. L’area è delimitata ad Est dal Mare Adriatico a Nord dal fiume Adige e a Sud dal Canale navigabile Ferrara/Porto Graribaldi. Le fasi di trasformazione e confezionamento sono state da sempre tradizionalmente effettuate all'interno delle regioni nelle quali si trovano i territori di produzione del Riso del Delta del Po; tali fasi di trasformazione e confezionamento devono quindi aver luogo all'interno dell'intero territorio delle Regioni Veneto ed Emilia Romagna anche al fine di garantirne la tradizionalità, l'effettuazione dei controlli e la tracciablità del prodotto. Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine del prodotto Pochi decenni dopo la diffusione del riso nella pianura Padana (1450) compaiono le prime documentazioni sulla presenza di coltivazioni in Polesine, in particolare nel territorio del Delta del Po poiché questa coltura era strettamente legata alla bonifica e rappresentava il primo stadio di valorizzazione agraria dei nuovi terreni. La natura dei terreni prosciugati divenne elemento determinante per la destinazione colturale degli stessi. La coltivazione del riso diveniva perciò importante nelle zone del delta del Po per accelerare il processo di utilizzazione dei terreni salsi da destinare poi alla rotazione colturale, come viene testimoniato da una legge della Repubblica veneta del 1594 che proibisce la concessione dell'acqua a questa coltura e dà la possibilità di coltivare il riso solo "per valli ed altri luochi sottoposti alle acque, stimati impossibili di asciugarli in tutto e di rendersi ad alcuna cultura". Dopo il 1598, fine del periodo Estense, in provincia di Ferrara, la coltivazione del riso si diffuse su terreni bassi e paludosi, dove si procedeva con un tipo di bonifica per colmata, e non per prosciugamento. La bonifica per colmata infatti risolveva al contrario del prosciugamento, il problema della utilizzazione dei terreni bassi e paludosi, senza alcun rischio di abbassamento dei terreni. La Repubblica Veneta tra il 1660 e il 1604 attuò il Taglio di Porto Viro che deviò verso sud, nella Sacca di Goro, la foce del Po Grande definendo con quest’opera idraulica la conformazione dell’attuale territorio del Delta del Po. Verso la fine del 700 alcuni patrizi veneziani: Diedo, Contarini, Farsetti, Valier e Venier, proprietari di immense tenute bonificate e non, nel Delta del Po, iniziarono con metodi sistematici agrari la coltura del riso nei territori appena bonificati, ma saranno soprattutto nell’800 i nuovi proprietari borghesi, alcuni di questi di origine ebraica, come i Lattis, i Piavenna ed i Sullam che allargheranno su vasta scala questa coltura. Testi e disegni relativi alla zona del Delta, risalenti all’epoca, testimoniano la presenza del riso nel Delta. Nella provincia di Ferrara, nel 1870, anno che precedeva le moderne bonifiche, la superficie adibita a risaia era di 702 ha. Tali dati riguardano i territori limitrofi alla Bonificazione Ferrarese, ma è da ritenere che proprio l’avvio dei prosciugamenti in quel Comprensorio e in altri, insieme a motivi economici, come l’arrivo dall’Oriente di un prodotto più competitivo, indussero ad un ridimensionamento della coltura, soprattutto nei terreni a elevata produttività di altri prodotti. Negli anni compresi tra il 1879 e il 1893 la superficie a risaia, si ridusse pertanto in provincia di Ferrara a 538 ha. Nel 1930 cominciò il prosciugamento dei terreni limitrofi, per iniziativa del Consorzio delle Bonifiche Argentane, fino ad una estensione di 2750 ha, i terreni vennero adibiti alla coltivazione del grano, con medie produttive scarse. I terreni nelle vicinanze delle derivazioni dal Reno vennero acquistati da una società che appurate le condizioni di alta salinità dei terreni medesimi, decise di tentare la coltivazione del riso. In provincia di Rovigo l’estensione delle risaie fino al 1950 si manteneva elevata; le alluvioni del 1951, 1957, 1960, e 1966 causarono una notevole revisione dei piani colturali aziendali fino ad arrivare agli anni ’80 con una restrizione notevole della coltivazione dettata soprattutto da problemi di carattere economico-gestionale, per poi riprendere negli anni ’90 per giungere agli attuali circa 9.000 ettari complessivi. L’origine del prodotto è comprovata inoltre dall’iscrizione dei produttori, dei trasformatori e dei confezionatori in appositi elenchi tenuti e aggiornati dall’organismo di controllo di cui all’art. 7 del presente disciplinare. Il produttore o l’organismo associativo deve comunicare all’organismo di controllo la data indicativa della raccolta dieci giorni prima che questa avvenga. Entro 30 giorni dalla data di fine raccolta il produttore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale di produzione annuale. Annualmente l’essicatore è soggetto a controlli e pertanto deve indicare la data di avvenuta lavorazione del prodotto; così alla fine del periodo di commercializzazione il confezionatore deve presentare all’organismo di controllo una denuncia finale delle quantità immesse al commercio. Articolo 5. Tecnica di produzione e raccolta Lavorazioni del terreno Le tessiture dei terreni sono sostanzialmente due tipi: nell’area rodigina di origine alluvionale franco argillose/franco limose (con ph superiore a 7,5), nell’area ferrarese a forte componente torbosa (con ph inferiore a 7,5). In entrambi i casi i terreni sono caratterizzati da una lenta capacità drenante e dotati di elevata fertilità minerale. Dovrà essere eseguita un’aratura a profondità di 25 - 30 cm., seguita almeno da una erpicatura; successivamente il terreno dovrà essere livellato per consentire una gestione ottimale delle acque. Analisi dei terreni Le aziende che producono Riso del Delta del Po devono eseguire almeno ogni 5 anni delle analisi dei terreni sulle seguenti caratteristiche: tessitura, ph, sostanza organica, calcare attivo, fosforo assimilabile, potassio scambiabile, azoto totale, rapporto C/N, calcio scambiabile, magnesio scambiabile, sodio scambiabile e rapporto Mg/K, al fine di redigere e conservare in azienda un piano di concimazione eseguito da un tecnico agrario. Le quantità di concime minerale previste non potranno comunque superare quelle indicate nel seguente paragrafo “concimazioni”. La varietà Carnaroli, che necessita di particolari terreni a prevalenza argillosa, può essere prodotta solo in terreni con ph superiore a 7,5. Le altre tre varietà possono essere prodotte in tutto il territorio definito dall’art. 3 del presente disciplinare. Concimazioni I terreni sono dotati di elevata fertilità minerale, in particolare di potassio, tanto da rendere a volte inutili gli apporti di concime minerale potassico nonché, nei terreni torbosi, di quello azotato. Per questo motivo nelle aziende è importante che le concimazioni vengano effettuate secondo quanto previsto nel piano di concimazione aziendale comunque per quanto riguarda la concimazione minerale, non superando i seguenti massimali: - Azoto (N) 130 kg/ha - Fosforo (P205) 100 kg/ha - Potassio (K2O) 100 kg /ha Per quanto concerne la modalità di distribuzione esse possono essere attuate con spandiconcime a spaglio o pneumatico. Rotazione colturale La risaia non può insistere sullo stesso terreno per più di otto anni, dopodiché dovrà entrare in rotazione per almeno due anni prima che vi sia riseminato riso. Semina E' necessario utilizzare seme proveniente da partite selezionate e certificate secondo legislazione vigente. La quantità massima di seme utilizzabile per ettaro è di 240 kg.. La semina può essere effettuata in acqua con caduta libera o in asciutta sul terreno lavorato che dovrà immediatamente venir sommerso di acqua. Difesa fitosanitaria e lotta alle erbe infestanti La costante ventilazione delle risaie da parte di venti e brezze, grazie alla vicinanza del mare, e la conseguente minore umidità relativa, consente di mantenere la pianta più asciutta e di conseguenza più sana. E’ obbligatoria la concia del seme per combattere le crittogame tipiche del riso (fusariosi, elmintosporiosi e pyricularia - brusone). E’ obbligatoria l’asciutta della risaia e l’esposizione al sole in caso di problemi causati da fitofagi del riso (crostacei , insetti, vermi). Prima che con i fitofarmaci autorizzati, la lotta alle erbe infestanti deve avvenire attraverso un corretto sfalcio degli argini, con la regolazione dell’acqua in risaia e con lavorazioni mirate del terreno in presemina. Ove possibile e consentito dai regolamenti comunali è consigliata la bruciatura delle stoppie al fine di eliminare le sementi infestanti residue soprattutto di riso crodo. A parità di principio attivo deve essere utilizzata quello con classe tossicologica inferiore Raccolta, Essiccamento, conservazione e trasformazione: Alla raccolta, la produzione massima unitaria per tipologia di risone secco, non deve superare i seguenti quantitativi: - Carnaroli : 6,0 ton/ha - Volano : 8,0 ton/ha - Baldo : 8,0 ton/ha - Arborio : 7,5 ton/ha L’essiccazione deve essere effettuata in essiccatoi che non lascino sulle glumelle residui di combustione od odori estranei. Sono ammessi essiccatoi a fuoco indiretto o diretto se alimentari a metano e GPL. L’umidità del risone essiccato non deve essere superiore al 14%. La trasformazione industriale deve avvenire in stabilimenti e secondo procedure che garantiscano al Riso del Delta del Po il mantenimento di caratteristiche commerciali ineccepibili. Per quanto sopra, l’essicazione, la conservazione e la trasformazione del prodotto del Riso del Delta del Po IGP, debbono avvenire in stabilimenti autorizzati e sottoposti al controllo dell’organismo di cui all'art. 7. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico Esiste un legame stretto tra il territorio del Delta del Po e le caratteristiche organolettiche del Riso del Delta del Po tali da influenzare positivamente alcune caratteristiche fisiche e gustative del prodotto ottenuto nell'area definita all'art 3. Tale riso, infatti, viene coltivato in terreni che, pur di differente tessitura, sono caratterizzati da una salinità elevata (E. C. superiori a 1 mS/cm), derivante dalla pedogenesi del suolo, che conferisce al riso un aroma ed una sapidità particolare. I terreni inoltre sono alluvionali, dotati di un'elevata fertilità minerale, in particolare di potassio, tanto da rendere a volte inutili gli apporti di concime minerale potassico (oltre che azotato nei terreni torbosi) e favoriscono nel riso una maggiore resistenza alla cottura ed un elevato tenore proteico del chicco. Inoltre il terreno deltizio dell'area di produzione, risulta particolarmente sano dal punto di vista malerbologico e permette una presenza molto bassa e facilmente contenibile di riso crodo. La peculiare ubicazione geografica, limitrofa al mare, determina inoltre un microambiente particolarmente favorevole al riso grazie alla presenza di costanti brezze e conseguentemente, di una minore umidità relativa; da contenute variazioni di temperatura sia in inverno che difficilmente scendono sotto gli 0 °C, sia in estate che negli ultimi trent’anni, non hanno mai superato i 32°C; da una piovosità generalmente ben distribuita nell'arco dei mesi che non raggiunge i 700 mm/anno. Tale clima permette di mantenere la pianta più asciutta e più sana, che non necessita degli interventi anticrittogamici tipici di questa coltura; favorisce una crescita costante della pianta e l'ottenimento di un seme di riso maturato in modo lento e costante, quindi più resistente alle malattie, con cariossidi ben nutrite ed una granella bianca e senza vaiolatura. Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura La commercializzazione del “Riso del delta del Po”- I.G.P., ai fini dell’immissione al consumo deve essere effettuata dopo apposito confezionamento che consenta di apporre uno specifico contrassegno. Il riso viene immesso in sacchetti adatti all’uso alimentare da 0,5 kg, 1 kg, 2 kg e 5 kg , può essere confezionato anche in sottovuoto o in atmosfera controllata, il tutto può essere inserito in un contenitore di dimensioni appropriate al peso del contenuto e stampato all’esterno. I contenitori devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura della confezione. Sui contenitori dovrà essere apposto obbligatoriamente il logo della denominazione avente dimensioni minime di mm. 40 x 30, e con caratteri di adeguata dimensione (altezza minima 5 mm) la dicitura “Riso del Delta del Po” seguita da “Indicazione Geografica Protetta” anche sotto forma di acronimo “I.G.P.”. Nella confezione dovrà essere indicata la varietà (“Arborio”, “Carnaroli”, “Volano”, “Baldo”). Sulla medesima confezione dovrà anche apparire nome o ragione sociale ed indirizzo del confezionatore, nonché il peso all’origine. Indicazioni diverse dalla dicitura Riso del delta del Po – Indicazione Geografica Protetta, dovranno avere dimensioni non superiori ad 1/3 di quelle utilizzate per “Riso del Delta del Po” Il logo ufficiale del prodotto “Riso del Delta del Po" è composto da una fascia ellittica di colore bianco panna (Pantone n. 1205c) di mm. 10, bordata esternamente per mm. 1 di colore verde. All’interno di suddetta fascia vi sono le scritte “RISO DEL DELTA DEL PO”, sulla metà superiore e “INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA” su quella inferiore, entrambe in maiuscolo di colore verde (Pantone 557 cvc). Entrambe le scritte hanno carattere Century Gothic Grassetto. Nell’interno della suddetta fascia, in campo verde (Pantone 557 cvc), a destra e a sinistra sono presenti figure tipiche del Delta del Po (canne palustri ed uccelli stilizzati) di colore bianco panna (Pantone n. 1205c), al centro si trova una donna stlizzata con un fascio di riso in colore giallo (Pantone Hexacrome H 20 – 4 cvc). A seconda della tipologia dei terreni di provenienza, rispettivamente a componente argillosa o torbosa, il prodotto potrà portare anche le seguenti due diciture: “Riso delle Terre Bianche” se il prodotto è proveniente da terreni argillosi, ovvero “Riso delle Terre Brune” nel caso di prodotto proveniente da terreni torbosi. | I.G.P. | Cereali | Veneto, Emilia-Romagna | Rovigo, Ferrara |
Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOP Disciplinare di produzione - Riso di Baraggia Biellese e Vercellese DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto. La denominazione d’origine protetta «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» è riservata al prodotto alimentare che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto. La denominazione d’origine protetta «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» designa, con esclusività, il prodotto risiero ottenuto mediante l’elaborazione del riso grezzo o risone a riso «integrale», «raffinato» e «parboiled». Le varietà di riso oggetto di coltivazione sono quelle di seguito indicate con le rispettive caratteristiche: Le caratteristiche medie dei grani e i parametri di riconoscimento delle varietà DOP «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» Le indicazioni d’ordine biometrico e le caratteristiche fisico-chimiche che identificano e definiscono le varietà di riso in esame, unitamente ai parametri sopra ricordati, sono qui di seguito indicate. Per quanto attiene i difetti che potrebbero manifestarsi sui grani del Riso Integrale e del Riso Raffinato è consentita una tolleranza percentuale massima come qui di seguito è indicato: - grani spuntati: 5,0% - grani striati rossi: 3,0% - grani difformi ed impurità varietali: 5,0% - grani gessati: 3,0% - grani danneggiati: 1,50% - grani danneggiati da calore: 0,05%. Con riguardo alla percentuale dei grani spezzati (rotture), per il Riso Raffinato è consentito il limite del 3,0%; per il Riso Integrale il limite è del 2,0%. Nel Riso Raffinato «Parboiled» i limiti di difetto consentiti sono i seguenti: - grani striati rossi: 1,0% - impurità varietali: 5,0% - grani di riso che non hanno subito il trattamento idrotermico parboiled: 0,10% - grani non completamente gelatinizzati: 4,0% - grani danneggiati: 1,0% - pecks: 0,50% - grani spezzati: 3,0%. Articolo 3. Delimitazione geografica del territorio di produzione. La zona di coltivazione, raccolta, elaborazione o trasformazione della denominazione d’origine protetta «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» è situata nel nord - est del Piemonte, nelle Province di Biella e di Vercelli e comprende i territori comunali e relative frazioni dei seguenti Comuni: Albano Vercellese, Arborio, Balocco, Brusnengo, Buronzo, Carisio, Casanova Elvo, Castelletto Cervo, Cavaglià, Collobiano, Dorzano, Formigliana, Gattinara, Ghislarengo, Gifflenga, Greggio, Lenta, Massazza, Masserano, Mottalciata, Oldenico, Rovasenda, Roasio, Salussola, San Giacomo Vercellese, Santhià, Villanova Biellese, Villarboit. Articolo 4. L’origine del prodotto. Ogni fase del processo produttivo deve essere controllata dalla struttura di controllo di cui all’articolo 7, secondo i dispositivi fissati nel piano dei controlli, documentando per ognuna i prodotti in entrata e quelli in uscita. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, degli elaboratori/trasformatori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti e dei quantitativi confezionati ed etichettati, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte delle struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. L’operazione di confezionamento può avvenire esclusivamente sotto il controllo diretto della struttura autorizzata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali per il controllo sulla DOP «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese». Ciò al fine di verificare l’origine e di controllare che il prodotto e le modalità di presentazione dello stesso siano conformi a quanto stabilito dal presente disciplinare di produzione. Articolo 5. Metodi di ottenimento della coltivazione del risone e di lavorazione del riso. A - Metodi di ottenimento della materia prima (risone) Fertilizzazione - Le concimazioni devono essere finalizzate all’ottenimento di un prodotto sano e di perfetta maturazione. È vietato l’impiego di concimi nitrici e dei composti o formulati fertilizzanti che contengano metalli pesanti. Interventi antiparassitari ed erbicidi - Fatto salvo l’assoluto rispetto delle norme esistenti sull’uso dei fitofarmaci consentiti dalle leggi, i trattamenti fungicidi o insetticidi alle colture devono essere eseguiti almeno 40 giorni prima della raccolta. Il seme - La semente necessaria per le colture dovrà essere un prodotto sementiero certificato dall’E.N.S.E., a garanzia della purezza varietale, dell’assenza di parassiti fungini oltre che della germinabilità. L’essiccazione - Le operazioni di essiccazione del riso grezzo devono essere eseguite con mezzi e modalità operative tali da evitare o da ridurre al minimo la contaminazione degli involucri del grano di riso dagli eventuali residui del combustibile e da odori estranei. Sono da preferirsi essiccatoi a fuoco indiretto, possibilmente alimentati da metano oppure g.p.l. e similari. Il riso grezzo o risone riposto in magazzino e quello offerto in vendita per la lavorazione non deve superare il 14% di umidità. Lo stoccaggio del risone - Nella conservazione del risone, al risicoltore è fatto obbligo di eseguire ogni accorgimento per impedire l’insorgenza dei parassiti animali o fungini e quella di fermentazioni anomale. Al termine dell’estate, comunque prima della raccolta del risone e del successivo immagazzinamento, nei magazzini, silos o celle di stoccaggio e nei locali contigui dovranno essere compiute le seguenti operazioni: a) un preventivo trattamento mediante insetticidi, per evitare il ritorno degli insetti dai possibili rifugi nascosti in cui possono essersi rifugiati a seguito delle operazioni di pulizia eventualmente eseguite in precedenza; b) le operazioni di pulizia e di asportazione dei residui impropri, dopo la disinfestazione, ad evitare il possibile ritorno degli insetti; c) la pulizia integrale della mietitrebbiatrice dai residui di precedenti raccolti e quella dei veicoli propri e di terzi adibiti al trasporto del risone da immagazzinare o in vendita. B. Metodi di ottenimento del prodotto alimentare. Riso di Baraggia Biellese e Vercellese Modalità operative per la lavorazione del risone: le elaborazioni sul risone ammesse sono: Per la preparazione del riso integrale o ver la successiva raffinazione dei prodotti Scortecciatura o sbramatura: operazione atta ad eliminare le glumelle del grano di riso «lolla», seguite dalle successive operazioni di calibratura del riso. Per la preparazione del riso raffinato Raffinazione o Sbiancatura - Operazione atta ad asportare dalla superficie del grano di riso per abrasione, le bande cellulari del pericarpo: le operazioni devono essere eseguite in modo da conseguire il grado di raffinazione definito di II° grado. Le tecniche operative di raffinazione devono adeguarsi alle metodologie atte ad evitare che i grani presentino lesioni da microfratture. Articolo 6. Elementi di legame con l’ambiente geografico. Il territorio situato al confine nord-est della Regione Piemonte, nelle province di Vercelli e di Biella, per le specifiche e precipue caratteristiche della struttura geologica dei terreni fu indicato, ab antiquo, con particolare ed esclusiva definizione «Baraggia», distinguendola, anche mediante la dizione, dal più generico brughiera (Zona LXXII del Catasto Agrario denominata «Pianura risicola dell’Alto Vercellese o delle Baragge»). È l’area pedemontana che dalle prealpi, site sotto il massiccio del Monte Rosa, si sviluppa verso il piano a terrazzi, o in lieve graduale declivio, da nord-ovest a sud-est. L’ambiente ecologico che la caratterizza è particolare, oltre che sotto il profilo geopedologico, anche per le situazioni climatiche, idrologiche e di fertilità dei terreni, qui di seguito ricordate: - i suoli d’origine morenica formatisi durante il periodo diluvio-glaciale dall’alterazione in loco di materiali granitici e porfidi quarziferi delle alpi, risultano costituiti da limi, argille e sabbie, i derivati autoctoni della degradazione di quelle rocce. - il suolo e il sottosuolo - contrariamente ad altri tipi di brughiera sabbiosi e con scheletro abbondante, d’origine alluvionale - sono generalmente compatti, asfittici, deficienti di vita microbica, poveri di humus. Mediante la lavorazione dei terreni, si rendono evidenti in superficie le concrezioni limonitiche, anche pisoliformi: i ferretti. - all’analisi chimica i terreni, oltre che in eccesso di ferro, si dimostrano carenti di calcare, su livelli di acidità che oscillano da pH 4,5 a 5,5; sono inoltre assai poveri di componenti fosforici e potassici oltre che di sostanze umiche. - l’irrigazione delle colture è assicurata, mediante canalizzazione, dai corsi d’acqua che scendono dalle Alpi e dalle Prealpi contribuendo, nella modesta presenza di inquinanti per la loro origine, a favorire un ambiente protetto. Le derivazioni fluviali sono: il fiume Sesia derivato dai ghiacciai del Monte Rosa; il Cervo e l’Elvo che, unitamente ad altri torrenti minori derivati dalle Prealpi e dalle tre dighe con i relativi invasi posti sui torrenti Ostola, Ravasenella ed Ingagna, contribuiscono alla distribuzione delle acque destinate anche ad usi civici e potabile. - in prospettiva climatica l’area resta costantemente sotto gli effetti della prospiciente catena montana da cui discendono flussi d’aria fredda a determinare inversioni termiche. Le temperature e l’umidità dell’aria, ambedue stabilite di norma a livelli minori di quelle misurabili nel piano, contribuiscono alla migliore formazione del grano di riso, determinando una più rapida maturazione. - l’assieme delle situazioni geo-pedologiche, le edafiche dei terreni di risaia, le climatiche e le idriche hanno assicurato la formazione di un particolare habitat a nicchia ecologica protetta, all’interno della circoscritta e modesta area geografica sottesa tra il Sesia, l’Elvo e i rilievi prealpini. Sotto il profilo morfologico e fisiologico le piante del riso coltivate in Baraggia assumono un abito vegetativo meno sviluppato rispetto a quello che la medesima varietà manifesta in altre aree di coltivazione; la maturazione si perfeziona con la riduzione del tempo necessario per completare la fase riproduttiva. Le frequenti inversioni termiche, favorite dall’ingresso dei venti che discendono dai monti, rendono più rapida la formazione delle cariossidi a perfezionamento della maturazione. In virtù delle sopra ricordate situazioni di habitat, il grano del riso - per risaputa, tradizionale conoscenza ed esperienza - assume, nelle corrette condizioni agronomiche colturali una superiore compattezza dei tessuti cellulari, una superiore traslucidità, una minore dimensione in volume, peso e lunghezza, rispetto a quello che in altre zone acquisisce l’identico tipo varietale. Proprio a causa delle ricordate situazioni di modesta feracità del terreno, unitamente ai predetti parametri ambientali, i risultati produttivi - di norma - sono inferiori a quelli ottenibili in situazioni ambientali più favorevoli; è uno dei motivi per i quali si consegue il miglioramento della qualità del riso sopra ricordata; conclamata e unanimemente riconosciuta dai consumatori. In seguito alla cottura, il riso di Baraggia manifesta una superiore consistenza del grano rispetto all’omologo prodotto di altre zone e una minore collosità, a parità di trattamento o di metodologia nella preparazione dell’alimento. La reputazione acquisita nel tempo dal riso raffinato prodotto nella Baraggia, fin dal XIX secolo, è affidata ad un prodotto ritenuto dal consumatore dotato di precipue caratteristiche di tenuta alla cottura: superiore consistenza e modesta collosità. Tale reputazione è correlata alla indiscussa qualità delle varietà di riso nei tempi selezionate da risicoltori di Baraggia e ivi coltivate, successivamente adottate per la coltura e alimento anche in altre Regioni e aree risicole. L’area geografica della Baraggia Biellese e Vercellese di coltivazione è compresa all’interno del più esteso comprensorio della «Baraggia Vercellese» delimitato con Regio Decreto 30 dicembre 1929, n. 2357 e con D.M. 3 maggio 1931, n. 1458 del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste . (N.B. nel 1929 non esisteva la suddivisione geografica tra le Province attuali di Biella e Vercelli, per cui la «Baraggia» era solo Vercellese). Le varietà create dai risicoltori della Baraggia risalgono almeno al XIX secolo e sono di seguito elencate: Ranghino (1887), Greppi (1906), Rosso Gorei (1922), Roncarolo Giovanni (1924), Riccardo Restano (1926), Generale Rossi (1926), Vercelli (1926), Pierrot (1927), S. Giacomo (1927), Barbero (1929), Carluccio Gallardi (1931), Battezzato (1935), Vercelli Gigante Inallettabile1936), Arborio (1946), Franco Roncarolo (1948), A 3 Marchetti (1950), Precoce Corbetta (1954), S. Domenico (1957), Rosa Marchetti (1964), Ariete (1980). Fin dai primi anni del secolo scorso, il riso - coltura storica tradizionale della Baraggia - fu utilizzato anche quale simbolo di manifestazioni popolari anche di carattere sportivo, corse ciclistiche in particolare, cui parteciparono, campioni quali Coppi, Bartali e Magni con altri. La diversità della Baraggia e del suo riso fu descritta per circa 50 anni nel «Giornale di Risicoltura», edito mensilmente dal 1912 al 1952 dall’ex Istituto Sperimentale di Risicoltura di Vercelli, che riportò frequentemente articoli tecnico scientifici per motivare le peculiare caratteristiche dell’area di baraggia e per il riso che vi si produceva. Lo stesso Istituto, nel 1931, acquisì in comune di Villarboit (centro dell’area risicola di Baraggia) un’azienda risicola utilizzandola quale centro di ricerca allo scopo di perfezionare le specificità di produzione dell’area baraggiva. Dal 1952 al su ricordato mensile fece seguito la rivista «Il Riso», edita dall’Ente Nazionale Risi (E.N.R), in cui articoli diversi ricordano le peculiari caratteristiche di qualità del riso prodotto in quest’area. La coltivazione del riso nell’area delimitata della Baraggia si ritrova agli inizi del XVI secolo ed ha riscontri anche in atti notarili dell’anno 1606 nel Comune di Salussola, incluso nel perimetro delimitato. Articolo 7. Organismo di controllo. I controlli saranno effettuati da un organismo conforme a quanto previsto dagli articoli 10 e 11 del regolamento (CE) n. 510/2006. Articolo 8. Confezionamento, etichettatura e contrassegni. 1- Confezionamento del Riso di Baraggia Il prodotto D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» , per essere ammesso al consumo deve riportare sulla confezione la denominazione precisa della varietà agraria coltivata nel territorio e non quella di altra consimile, anche quando fosse concesso dalle norme vigenti. Sono previste diverse forme di condizionamento e di confezionamento a seconda del mercato di destinazione. Le confezioni di D.O.P. «Riso di Baraggia Biellese e Vercellese», ai fini dell’immissione al consumo, devono essere dei seguenti pesi espressi in Kg: 0,250 - 0,500 - 1,0 - 2,0 - 5,0 - 10,0 - 25,0 e devono essere presentati in sacchi, sacchetti di stoffa o di materiale plastico igienicamente idoneo a contenere prodotti alimentari, scatole di materiali differenti purché ammessi dalle norme di legge che regolano le condizioni igienico sanitarie sugli alimenti. 2 - L’etichettatura Le denominazioni che devono comparire in caratteri di stampa sulle confezioni sono: - il contrassegno (D.O.P.) della Comunità Europea; - il Logo della D.O.P. « Riso di Baraggia Biellese e Vercellese» , come identificato all’art. 10, che deve figurare sulla confezione in caratteri chiaramente distinguibili per dimensioni e colore, unitamente al predetto contrassegno; - marchi privati delle riserie e pilerie, ragioni sociali, indicazioni varietali. Sono vietate indicazioni laudative od ingannevoli. Articolo 9. Prodotti derivati o trasformati con l’impiego del Riso di Baraggia. I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la D.O.P. Riso di Baraggia, anche a seguito di processi elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario a condizione che: - il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; - gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della DOP riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal MIPAAF in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del regolamento (CE) n. 510/2006. Articolo 10. Logo. Il «RISO DI BARAGGIA Biellese e Vercellese» sarà identificato dal Logo sotto identificato. Descrizione del Logo La espressione grafica del logo è tesa a favorire l’identificazione dell’alimento nel disegno della forma dei grani e anche per l’origine e le precipue caratteristiche dell’habitat geografico di coltura e cultura. Alla base e in primo piano è la rappresentazione di tre grani di riso raffinato, diritti e accostati, come di norma sono presentati e visti dal consumatore. E’ evidente all’apice dei grani la minuta area vuota in cui, prima della raffinazione, era collocato l’embrione della cariosside del riso. Sullo sfondo bianco interno del Logo, campeggia l’immagine stilizzata del massiccio del Monte Rosa dai cui ghiacciai discendono le acque che, direttamente e primariamente, alimentano l’irrigazione delle risaie della Baraggia dalle cui coltivazioni trae origine esclusiva il riso regolamentato dal presente Disciplinare. Fa da corollario al Logo, nella parte alta, il nome «RISO DI BARAGGIA» ed, in basso, l’indicazione del territorio amministrativo rappresentato, Biellese. e Vercellese. MANUALE GRAFICO Immagine del logo Dimensioni Le dimensioni possono variare in base alle varie tipologie di confezioni utilizzate, con il diametro esterno compreso tra 2,5 e 5 cm. Carattere Per tutte le scritte abbiamo usato il carattere: copperplate gothic RISO DI BARAGGIA = copperplate gothic thirty three bc BIELLESE E VERCELLESE = copperplate gothic thirty two bc Valore dei colori per la riproduzione tipografica, espressi in percentuale di Ciano, Magenta, Giallo e Nero Testo: Bianco Filetto esterno verde: 100% Ciano- 100% Giallo Cerchio blu di sfondo alle scritte: 100% Ciano - 80% Magenta - 20% Nero Montagne: 65% Magenta Chicchi di riso: Gradazione di grigio in quadricromia. Modifiche del Disciplinare - Regolamento n. 1296/2011 della Commissione del 9.12.2011
| D.O.P. | Cereali | Piemonte | Biella, Vercelli |
Riso Vialone Nano Veronese Riso Vialone Nano Veronese IGP Disciplinare di produzione - Riso Vialone Nano Veronese IGPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" è riservata al riso vialone nano rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Varietà di riso La denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" deve essere ottenuta solo da coltivazioni dì riso della specie japonica della varietà vialone nano. Articolo 3. Zona di produzione Il risone destinato alla produzione del riso della denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" deve essere prodotto sui terreni suscettibili di irrigazione del territorio della pianura veronese. Tale zona comprende i territori amministrativi dei seguenti comuni: Bovolone, Buttapietra, Casaleone, Cerea, Concamarise, Erbè, Gazzo Veronese, Isola della Scala, Isola Rizza, Mozzecane, Nogara, Nogarole Rocca, Oppeano, Palù, Povegliano Veronese, Ronco all'Adige, Roverchiara, Salizzole, Sanguinetto, San Pietro di Morubio, Sorgà, Trevenzuolo, Vigasio, Zevio. La zona di produzione della denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" è così delimitata in cartografia 1: 25.000: partendo da nord-ovest ossia a sud del paese di Villafranca, si procede lungo il corso del canale Alto Agro Veronese fino alla località Pontoncello (Santa Maria di Zevio, si segue poi il corso del fiume Adige fino al comune di Roverchiara; di qui si continua verso sud lungo la strada comunale che porta a Cerea e quindi lungo il fiume Menago sino ad incontrare il Canal Bianco che congiunge la delimitazione in oggetto con il confine mantovano in prossimità di Bastiorie San Michele; seguendo tale confine si arriva alla strada provinciale n. 62 (nei pressi della frazione Tormine) il cui percorso sino al paese di Villafranca, punto di partenza, costituisce l'ultimo tratto di demarcazione. Articolo 4. Caratteristiche di coltivazione ed essiccazione La coltivazione del riso "Vialone Nano Veronese" deve essere fatta su terreni coltivati in rotazione od in avvicendamento. La risaia non può insistere sullo stesso appezzamento per più di sei anni consecutivi e ritornarvi dopo almeno due anni. La lotta alle erbe infestanti, prima che con gli erbicidi autorizzati, deve avvenire con le buone tecniche di coltivazione, con la regolazione dell'acqua in risaia e con lavorazioni mirate del terreno. Le concimazioni devono essere indirizzate all'ottenimento di granella sana e matura e le produzioni massime per ettaro non devono superare i 70 quintali. La semente di vialone nano utilizzata non deve essere infetta da parassiti di crittogame tra cui: piricularia oryzae, fusarium monoliforme, drechslera oryzae. La semente deve essere certificata dall’E.N.S.E. L'umidità del risone essiccato per essere avviato alla lavorazione non deve essere superiore al 14,0%. L'essiccazione deve essere effettuata in essiccatoi in grado di abbassare uniformemente l’umidità delle granelle, senza lasciare sulle glumelle residui di combustione o odori estranei. Sono ammessi solo essiccatoi a fuoco indiretto ad eccezione di quelli alimentati a metano, g.p.l. o gasolio agricolo. Il Consorzio per la tutela del riso "Vialone Nano Veronese" è impegnato a collaborare con il responsabile costitutore della varietà Vialone Nano, Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, Stazione specializzata per la risicoltura di Vercelli, responsabile della conservazione in purezza la varietà Vialone Nano. Articolo 5. Modalità di lavorazione del riso Le operazioni di sbiancatura e di confezionamento del riso devono essere effettuate all'interno della zona delimitata dall'art.3. Le lavorazioni raccomandate ed ammesse sono quelle di seguito elencate: sbramatura: lavorazione atta a togliere le glumelle (lolla) che può essere effettuata con sbramini sia a rulli che a smeriglio; sbiancatura: lavorazione atta a togliere il pericarpo e l'embrione che deve essere eseguita con idonee sbiancatrici; lavorazioni secondarie: ad integrazione dell’operazione di sbiancatura il riso può subire una lavorazione all’elica smeriglio, per eliminare i granelli gessati, ed una lavorazione alla spazzola lustrino o alla lucidatrice ad acqua-aria per lucidatura della cariosside. Articolo 6. Caratteristiche al consumo Il riso "Vialone Nano Veronese" per essere ammesso al consumo deve avere le seguenti caratteristiche di granella: - colore del pericarpo bianco - lunghezza semilunga - forma tonda - grossezza media - perla centrale estesa - striscia assente - dente pronunciato - testa tozza - sezione tondeggiante con i seguenti valori medi: - lunghezza mm 5,7 - larghezza mm 3,5 - spessore mm 2,1 - forma (lungh/largh) 1,6 I limiti di difetti ammessi per la commercializzazione sono quelli elencati nelle tabelle Ministeriali emanate con Decreto ogni anno e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Per le impurità varietali il limite massimo consentito è il 3%. Oltre alle caratteristiche varietali di cui sopra, il "Vialone Nano Veronese" dovrà rispettare i parametri fisico-chimici di seguito elencati: - amilosio % s.s. superiore a 21 - tempo di gelatinizzazione minuti 15,5-16,5 - indice di consistenza superiore a 0,85 kg/cmq - indice di collosità inferiore a 1,1 g/cm Non è ammesso nessun trattamento insetticida o fumigante per la conservazione del riso lavorato. È facoltà del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali inserire o modificare, su richiesta del Consorzio per la tutela del riso "Vialone Nano Veronese", i parametri chimico fisici atti a caratterizzare maggiormente l'identità della denominazione. Articolo 7. Designazione e presentazione Alla denominazione di cui all'art. 1 è vietata, sulla confezione, l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista dal presente disciplinare di produzione ivi compresi gli aggettivi: scelto, selezionato, superiore, genuino, cimone. È vietato l'uso di menzioni geografiche aggiuntive, indicazioni geografiche o toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni e aree geografiche comprese nell'area di produzione di cui all'art.3. È tuttavia consentito l'uso di nomi, ragioni sociali, marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l'acquirente su nomi geografici. L'uso di nomi, aziende, tenute, fattorie, corti ed il riferimento al confezionamento nell'azienda risicola o nell'associazione di aziende risicole o nell'impresa, situate nell'area di produzione, è consentito solo se il prodotto è stato ottenuto esclusivamente con riso raccolto nelle risaie facenti parte dell’azienda. Il nome della denominazione di origine protetta "Vialone Nano Veronese" deve figurare sulla confezione in caratteri chiari, indelebili, con colorimetria di ampio contrasto rispetto al colore della. confezione e tale da poter essere nettamente distinto dal complesso delle indicazioni che compaiono sulla confezione. Le confezioni di riso "Vialone Nano Veronese" ai fini dell'immissione al consumo devono essere di kg 0.5, kg 1, kg 2 e kg 5, di materiale ammesso dalla normativa vigente. Le confezioni di riso dovranno essere numerate secondo le indicazioni fornite dal Consorzio per la tutela del riso "Vialone Nano Veronese". Articolo 8. Controlli Tutti i risicoltori sono obbligati, a semine ultimate, a procedere ad una denuncia di produzione su appositi moduli forniti dal Consorzio di tutela, con indicata la superficie investita a riso per tutte le varietà seminate e i relativi dati catastali. Tale denuncia dovrà pervenire al Consorzio di tutela entro il 31 maggio di ogni anno accompagnata dalla copia della denuncia di superficie presentata all'Ente Nazionale Risi. Allo stesso modo, entro il 30 novembre di ogni anno e comunque prima dell'inizio della commercializzazione, i produttori dovranno denunciare, sempre su modulistica fornita dal Consorzio di tutela stesso, i quantitativi di prodotto delle diverse partite di risone Vialone nano e richiederne il campionamento. Il Consorzio di tutela dovrà effettuare in tempi brevi il campionamento dei cumuli di risone,effettuare i necessari controlli e rilasciare l'autorizzazione all'utilizzo della denominazione. Tutti i dati elaborati relativi alle produzioni di risone "Vialone Nano Veronese" saranno inviati per conoscenza alla C.C.I.A.A. di Verona a cura del Consorzio di tutela. Le riserie dovranno rispettare tutte le direttive del Consorzio per la Tutela del Riso Vialone Nano Veronese, assoggettarsi ai controlli e mettere a disposizione dello stesso i registri dell'Ente Nazionale Risi. La vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse/Agricole, Alimentari e Forestali, il quale può avvalersi ai fini del controllo della produzione e del commercio del "Riso Vialone Nano Veronese" del consorzio tra i produttori conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del Reg. (CEE) 2081/92. | I.G.P. | Cereali | Veneto | Verona |
Scalogno di Romagna Scalogno di Romagna IGP Disciplinare di produzione - Scalogno di Romagna IGPArticolo 1. L'indicazione geografica protetta "Scalogno di Romagna" è riservata ai bulbi cipollini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. L'indicazione "Scalogno di Romagna" designa esclusivamente il bulbo cipollino delle specie Allium Ascalonicum. Articolo 3. La zona di produzione comprende la parte del territorio della Regione Emilia Romagna atta alla coltivazione dell'Allium Ascalonicum e interessa i seguenti comuni: - in provincia di Ravenna: Brisighella, Casola Valsenio, Castelbolognese, Faenza, Riolo Terme, Solarolo; - in provincia di Forlì: Modigliana, Tredozio; - in provincia di Bologna: Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castel Guelfo, Dozza, Fontanelice, Imola, Mordano. Articolo 4. I terreni idonei per la coltivazione dello "Scalogno di Romagna" sono di natura collinare, tessitura media tendente all'argilloso, asciutti, ben dotati di potassio e sostanza organica, ben esposti e soprattutto ben drenati. L'utilizzo dell'irrigazione, delle pratiche di concimazione e l'effettuazione delle altre pratiche colturali ed agronomiche debbono essere effettuati secondo le modalità tecniche indicate dai competenti Servizi della Regione Emilia Romagna. Lo Scalogno non può essere coltivato in successione a se stesso od altre liliacee (aglio o cipolla). Non è ammesso il ristoppio. Devono trascorrere almeno 5 anni per il ritorno dello Scalogno sullo stesso appezzamento. È inoltre vietata la successione a solanacee, a barbabietole e a cavoli. È ammessa la rotazione con frumento, orzo, radicchio, insalate e carote. L'impianto si deve effettuare nei mesi di novembre-dicembre, mentre la raccolta è attuata a partire dal mese di giugno dell'anno successivo. La produzione unitaria massima è di 60-80 q.li ad ettaro. Articolo 5. La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità di cui al precedente art. 4 è accertata dalla Regione Emilia Romagna. I terreni idonei alla produzione dello "Scalogno di Romagna" sono inseriti in apposito Albo attivato, aggiornato e pubblicato ogni anno. Copia di tale Albo viene depositata presso tutti i Comuni compresi nel territorio di produzione. Ai fini del rispetto della rotazione dovranno essere specificatamente indicati i riferimenti catastali e di superficie dei terreni annualmente interessati. Il Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali indica le modalità da adottarsi per l'iscrizione, per l'effettuazione delle denunce annuali di produzione e per le certificazioni conseguenti ai fini di un corretto ed opportuno controllo della produzione riconosciuta e commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta. Articolo 6. Lo "Scalogno di Romagna" all'atto dell'immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche: A. prodotto fresco: mazzetti legati di circa 500 grammi al di sopra del colletto legati con rafia nella parte terminale. B. prodotto secco: mazzetti di bulbi del peso di gr. 500 circa. I mazzetti debbono essere composti da bulbi omogenei di pezzatura grossa. La legatura è fatta con rafia al di sopra dell'apice del bulbillo, ben stretta e con le foglie mozzate cm 5 sopra la legatura. trecce. I bulbi devono essere selezionati, intrecciati o con le sole foglie oppure ordite con rafia. bulbi secchi in confezione mignon in rete di plastica da gr. 100. Articolo 7. La commercializzazione dello "Scalogno di Romagna" ai fini dell'immissione al consumo deve essere effettuata dopo apposito confezionamento che consenta di apporre un eventuale specifico contrassegno. In tutti i casi i contenitori debbono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto senza la rottura del contenitore stesso. Ciascun tipo di confezione deve essere autorizzata dalla Regione Emilia Romagna. Sui contenitori dovranno essere indicate in caratteri di stampa delle medesime dimensioni le diciture "Scalogno di Romagna", seguita immediatamente dalla dizione "Indicazione Geografica Protetta". Nel medesimo campo visivo deve comparire nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore nonché il peso lordo all'origine. La dizione "Indicazione Geografica Protetta" può essere ripetuta in altra parte del contenitore o dell'etichetta anche in forma di acronimo "I.G.P." A richiesta dei produttori interessati può essere utilizzato un simbolo grafico relativo all’immagine artistica, compresa la base colorimetrica eventuale, del logo figurativo o del logotipo specifico ed univoco da utilizzare in abbinamento inscindibile con la indicazione. geografica. Deve inoltre figurare la dizione "prodotto in Italia" per le partite destinate all’esportazione. | I.G.P. | Ortofrutticoli | Emilia-Romagna | Ravenna, Forlì-Cesena, Bologna |
Sedano Bianco di Sperlonga Sedano Bianco di Sperlonga IGP Disciplinare di produzione - Sedano Bianco di Sperlonga IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
Articolo 10.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Lazio | Latina |
Susina di Dro Susina di Dro DOP Disciplinare di produzione - Susina di Dro DOPArticolo 1. Denominazione. La Denominazione di Origine Protetta “Susina di Dro” è riservata ai frutti freschi che rispondono alle condizioni e ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto. La Denominazione di Origine Protetta “Susina di Dro” designa il frutto fresco della cultivar locale Prugna di Dro (o Prugna Nera di Dro), comunemente detta Susina di Dro, coltivata nel territorio definito nel successivo articolo 3. Caratteristiche del prodotto: all’atto dell’immissione al consumo i frutti freschi devono essere interi, di aspetto fresco e sano, puliti, privi di sostanze ed odori estranei, di forma ovale, moderatamente allungata, con polpa compatta, ricoperti dalla caratteristica pruina biancastra. La colorazione tipica dei frutti freschi è: - buccia di colore da rosso-violaceo a blu-viola scuro, con presenza di patina pruinosa, a volte con piccole superfici verdastre; - polpa di colore giallo o verde-giallo. Caratteristiche chimiche: Zuccheri - valore minimo alla raccolta 9.0 °Brix Polifenoli – valore minimo 900 mg/Kg Caratteristiche organolettiche: la DOP “Susina di Dro” si distingue per un delicato gusto dolceacidulo- aromatico e per la gradevole consistenza pastosa. Articolo 3. Zona di produzione. La zona di produzione della DOP “Susina di Dro”, è situata nella Provincia Autonoma di Trento ed è corrispondente alla porzione di bacino idrografico del fiume Sarca per la parte ricadente nei seguenti comuni: Arco, Bleggio Inferiore, Bleggio Superiore, Calavino, Cavedine, Fiavè, Dorsino, Drena, Dro, Lasino, Lomaso, Nago-Torbole, Padergnone, Riva del Garda, San Lorenzo in Banale, Stenico, Tenno, Terlago, Vezzano e Trento, quest’ultimo limitatamente alle frazioni di Cadine, Sopramonte, Sant’Anna, Vigolo Baselga e Baselga del Bondone. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione, dei produttori e dei condizionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. Materiale di propagazione – Per i nuovi impianti il materiale di propagazione deve essere provvisto di certificazione CAC. Forma di allevamento e densità d’impianto - Le forme di allevamento previste sono due: pieno vento e fusetto. Per la produzione di DOP “Susina di Dro” non sono ammessi susineti con più di 2.500 piante per ettaro. Gestione del suolo - Al fine di mantenere e accrescere la dotazione di sostanza organica, e di conseguenza la vitalità microbiologica dei terreni ed il necessario equilibrio nutrizionale, è obbligatorio l’inerbimento dei filari, mentre sono consentite le pratiche di diserbo lungo il filare. Concimazione minerale, difesa fitosanitaria, irrigazione, verranno gestite secondo le tecniche tradizionalmente adottate nella zona di produzione. Controllo della produzione - Le produzioni massime realizzabili nella zona di produzione non possono superare le 78 t/ha. Il controllo del carico produttivo viene eseguito attraverso una opportuna gestione delle operazioni di potatura, effettuate manualmente nel periodo compreso tra il primo ottobre e il trentun marzo. La raccolta - La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano nei mesi di luglio, agosto e settembre, rispettando la scalarità di maturazione tipica dei diversi microclimi vallivi e collinari e delle varietà. Confezionamento - Le susine denominate DOP “Susina di Dro” devono essere confezionate nella zona di produzione per evitare deterioramenti dei frutti e ammuffimenti della massa, inoltre una rapida chiusura della filiera influisce positivamente sul mantenimento del caratteristico strato di pruina che ricopre i frutti. Articolo 6. Legame con l’ambiente. Nella zona di produzione della DOP “Susina di Dro” questa coltivazione assume un’importanza fondamentale, paragonabile a quella della vite e del melo. La cultivar locale “Prugna di Dro” è stata selezionata nei secoli dalla sapienza agricola dei contadini della zona di produzione, che derivavano le nuove piantine prevalentemente da seme o pollone radicale, esercitando un continuo controllo ed una pressione di miglioramento genetico massale basata sull’osservazione dei caratteri fenotipici legati soprattutto alle caratteristiche produttive degli impianti e organolettiche dei frutti. Il particolare pregio della DOP “Susina di Dro” è da legare ad il suo contenuto in polifenoli che influenzano in modo determinante i caratteri organolettici, il colore ed il sapore del frutto e rivestono un grande interesse dal punto di vista farmacologico. Essi esercitano, innanzitutto, un’azione protettiva sui capillari sanguigni, favoriscono poi la secrezione dei succhi gastrici, incrementano il flusso della bile ed i movimenti intestinali, agiscono come antidepressivi. L’elaborazione e l’accumulo di tali sostanze è fortemente correlato all’andamento climatico, soprattutto alla radiazione solare, che svolge un ruolo primario nel livello e nel ritmo di attività degli enzimi coinvolti nel metabolismo fenolico. L’area di produzione della DOP “Susina di Dro” è caratterizzata infatti da un clima particolarmente favorevole, riconosciuto come assolutamente unico nell’arco alpino, legato all’azione mitigatrice del Lago di Garda, il più grande lago italiano. È inoltre caratterizzato da un significativo periodo di luminosità, generalmente 10 ore di luce per una media di 36000 secondi di insolazione totale accumulati (dato medio al 21/06 di ogni anno), legato alla pressoché costante limpidezza del cielo: sono le brezze regolari, in particolare quella denominata “Òra del Garda”, a garantire tale limpidezza oltre ad esercitare una benefica attenuazione delle temperature massime pomeridiane che, altrimenti, andrebbero a compromettere la componente fenolica del frutto. Queste peculiarità climatiche si rivelano determinanti anche nella fase di svolgimento dei meccanismi fotosintetici che portano all’accumulo di carboidrati, e quindi degli zuccheri. Infatti, la frescura tipica degli ambienti alpini, esaltata nell’area di produzione dall’azione della brezza pomeridiana precedentemente citata, consente di mantenere costante durante il giorno la produzione di fotosintati che altrimenti verrebbe ad essere inibita dalle elevate temperature estive. Ugualmente favorevole risulta la relativa freschezza delle notti, che risentono del clima alpino condizionato dalla vicinanza di importanti massicci montuosi, che inibisce i fenomeni respiratori, negativi ai fini dell’accumulo di carboidrati, a beneficio del positivo bilancio energetico, espresso dal quantitativo finale degli zuccheri prodotti. Il frutto presenta inoltre particolari caratteristiche di precocità, consistenza e di equilibrio complessivo di sapidità e appropriata durezza della polpa, caratteristiche sinergiche che fanno apprezzare l’unicità della DOP “Susina di Dro”, anch’esse legate al clima particolarmente favorevole. Sui particolari livelli di sapidità e consistenza della polpa influisce naturalmente anche la natura dei terreni che, di medio impasto tendente al sabbioso con lieve componente argillosa e leggermente alcalini, favoriscono particolarmente l’assorbimento di fosforo, potassio, calcio e magnesio. Altra caratteristica di particolare pregio è data dalla presenza della pruina, un’abbondante patina biancastra che ricopre la superficie del frutto, correlata invece alla relativa freschezza delle notti, che risentono del clima alpino condizionato dalla vicinanza di importanti massicci montuosi. Nella zona di produzione della DOP “Susina di Dro” sono quindi particolarmente miti le stagioni invernali, così come le estati non presentano se non sporadicamente periodi di siccità ed eccessi termici: queste caratteristiche, che si aggiungono anche alla significativa luminosità giornaliera nonché a caratteristiche pedologiche di pregio, riconducibili geologicamente a formazioni sedimentarie marine, fanno di questo territorio un’oasi particolarmente felice per la coltivazione della susina e sono in grado di conferire alla stessa le caratteristiche tipiche relative alla composizione chimica, alla serbevolezza ed alla presenza della pruina. L’area agricola di produzione della DOP “Susina di Dro” già nel 1284 era definita con la dicitura “di Dro” come punto di riferimento storico-agricolo nei 42 capitolati delle Carte di Regola del “Piano del Sarca”. Successivamente il Massarello, segretario del Concilio di Trento (1545-1563), scriveva in merito a “le pruna provenienti dal castello di Riva” e che la produzione di quella frutta “non è accidentale o fuor dell’usato, ma ogni anno sempre maturano a quest’epoca ciocchè parve a tutti cosa assai maravigliosa”. Anche Agostino Perini in “Statistica del Trentino” confermava nel 1852 la coltivazione de “le brugne nere” in quell’area. La susinicoltura industriale decolla nel 1911 con la costituzione del Consorzio Cooperativo “Lega dei Contadini del Bacino Arcense”, che già alla sua nascita contava 650 soci. Nel 1941 il suo Consiglio di Amministrazione si impegnò in un costoso ampliamento dei magazzini e nella realizzazione di un moderno impianto di essiccazione della “Susina di Dro” che all’inizio degli anni ’60 arrivò a produrre 150 tonnellate di prugne secche. L’uso del nome è testimoniato dai libri contabili. L’intera comunità della Valle del Sarca, da sempre sensibile alla valorizzazione della specificità qualitativa della DOP “Susina di Dro” si è attivata sul piano culturale in un contesto di sinergia turistico-territoriale-agroalimentare. Significative iniziative sono la “Settimana del Prugno Fiorito di Dro”, appuntamento ricorrente dall’inizio degli anni ’70, poi sfociato nella più moderna manifestazione agostana denominata “Dro: il tempo delle prugne”. La maggior parte degli attuali 600 soci della Cooperativa Ortofrutticola Valli del Sarca - Garda Trentino, ove viene raccolta e commercializzata la DOP “Susina di Dro”, traggono da questa coltivazione un reddito integrativo rispetto ad altre produzioni agricole tipiche della zona o rispetto ad altre attività svolte anche al di fuori del contesto agricolo. Articolo 7. Controlli. Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Autorità pubblica designata Camera di Commercio, Industria Artigianato e Agricoltura di Trento– Via Calepina n. 13 – 38100 Trento – Tel.: +39-0461-887101, Fax: +39-0461-239853, e-mail: osservatorio@palazzoroccabruna.it. Articolo 8. Etichettatura. Etichettatura - Sulle confezioni di vendita del prodotto dovrà apparire la dicitura DOP “Susina di Dro” (font arial) e vi comparirà il logo come di seguito descritto. Si tratta di una susina stilizzata colorata con pantone 2617 (viola), completa di foglie, colorate con pantone 376 (verde), e con le scritte, in colore bianco con font arial, “SUSINA DI DRO DOP” al centro della susina e“DENOMINAZIONE D’ORIGINE PROTETTA” sul margine della stessa. Logo: Nella designazione è vietata l'aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare o di indicazioni complementari che potrebbero trarre in inganno il consumatore. La DOP “Susina di Dro” sarà confezionata conformemente alla normativa in vigore. Tutte le tipologie di confezione saranno chiuse attraverso un retino, un film od un coperchio. | D.O.P. | Ortofrutticoli | Prov. Aut. di Trento | Trento |
Uva da tavola di Canicattì Uva da tavola di Canicattì IGP Uva da tavola di Canicattì IGPDISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA
"UVA DA TAVOLA DI CANICATTI"
Art.l
L'indicazione geografica protetta
"Canicattì"
è riservata
all'uva da mensa che risponde alle condizioni ed ai
requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.
Art.
2
La denominazione "Canicattì" designa i grappoli di uva da
mensa della cv. Italia nota come incrocio Pirovano
"65"
ottenuta da incrocio
Bičane
x Moscato d'Amburgo, adattatosi
alle particolari condizioni pedologiche e climatiche della
zona geografica del Canicattese.
Art.3
La zona di produzione comprende tutti i Comuni ricadenti
nelle province di Agrigento e Caltanissetta che si
caratterizzano per la coltivazione dell'uva "Italia"
individuati come segue:
Provincia di Agrigento:
Canicattì,
Castrofilippo,
Racalmuto,
Grotte, Naro, Camastra.
C.Bello
di Licata, Ravanusa, Favara, Agrigento, Licata,
Comitini,
Aragona, Palma di Montechiaro.
Provincia di Caltanissetta:
Caltanissetta,
Serradifalco,
Montedoro, Butera, Sommatino,
Delia,
Mazzarino, Riesi, Gela, S.Cataldo, Milena.
Art.
4
L'uva
da mensa "Canicattì" viene prodotta in vigneti
allevati a tendone al sesto variabile da mt. 2.80 x 2.80 a 3
x 3 a
"mono
palco" e/o a "doppio palco". I vigneti vengono
coperti con materiali di copertura per garantire la
conservazione sulle piante dell'uva che può essere raccolta
e commercializzata allo stato fresco nei mesi autunno-
invernali fino alla prima-seconda decade di gennaio.
La raccolta si effettua dalla terza decade di agosto alla
seconda decade di gennaio dell'anno successivo.
Le tecniche di produzione adottate consistono nella potatura
in verde, concimazioni organo-minerali, operazioni in verde
quali eliminazione germogli, potatura verde, sfogliatura,
raddrizzamenti
grappoli, diradamento, selezione grappoli,
irrigazione di soccorso, interventi
fitosanitari.
La produzione media per ettaro è di ql. 250.
La Regione Sicilia potrà indicare idonee e dettagliate
prescrizioni per garantire qualità e conformazione
dei grappoli.
Nell'ambito di questo limite la Regione Sicilia, tenuto
conto dell'andamento stagionale e delle condizioni
ambientali e di coltivazione, fissa annualmente, entro il
mese di luglio di ogni anno, la produzione media unitaria.
Art.
5
La sussistenza delle condizioni tecniche di idoneità di cui al precedente
art.4
è accertata dalla Regione Sicilia.
I vigneti idonei alla produzione della "Uva di
Canicattì"
sono inseriti in apposito Albo attivato, aggiornato e
pubblicato ogni anno.
Copia di tale Albo viene depositata presso tutti i Comuni
compresi nel territorio di produzione.
II Ministero delle risorse Agricole, Alimentari e Forestali
indica le modalità da adottarsi per l'iscrizione, per
l'effettuazione delle denunce annuali di produzione e per le certificazioni
conseguenti ai fini di un corretto ed opportuno controllo della produzione riconosciuta e
commercializzata annualmente con la indicazione geografica protetta.
Art.
6
L'uva designata con la indicazione geografica protetta "Canicattì"
all'atto dell'immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche:
Grappoli: medio grandi, di forma conico-piramidale,
giustamente spargoli, senza acinellature, di dimensioni,
forma e colore uniformi con raspi armonicamente sviluppati, peduncolo lignificato;
Acini:
medio grossi di forma sferoidale ellissoidale; polpa carnosa e croccante, dolce con delicato aroma di moscato di gusto gradevole;
Colore epicarpo: da giallo tenue a giallo paglierino dorato;
Grado zuccherino: non inferiore a 15 gradi babo.
Art.
7
La commercializzazione della "Uva da tavola di Canicattì" ai
fini dell'immissione al consumo deve essere effettuata utilizzando le confezioni di capacità minima 0,5 Kg e multipli, secondo le disposizioni che verranno in tal senso
adottate dalla Regione Sicilia, opportunamente sigillate. In tutti i casi i contenitori devono essere sigillati in modo tale da impedire che il contenuto possa essere estratto
senza la rottura del contenitore stesso.
La commercializzazione deve essere effettuata nel periodo
fissato annualmente dagli organi tecnici della Regione Sicilia.
Sui contenitori dovranno essere indicate in caratteri di
stampa delle medesime dimensioni le diciture "Uva da tavola di Canicattì",
seguita immediatamente dalla dizione "Indicazione Geografica Protetta" . Nel medesimo campo
visivo deve comparire nome, ragione sociale ed indirizzo del confezionatore
nonché il peso lordo all'origine.
La dizione "Indicazione Geografica Protetta" può essere
ripetuta in altra parte del contenitore o dell'etichetta
anche in forma di acronimo "I.G.P."
A richiesta dei produttori interessati può essere utilizzato
un simbolo grafico relativo alla immagine artistica,
compresa la base colorimetrica eventuale, del logo
figurativo o del logotipo specifico ed univoco da utilizzare
in abbinamento inscindibile con la indicazione geografica.
Deve inoltre figurare la dizione "prodotto in Italia" per le
partite destinate alla esportazione.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Agrigento, Caltanissetta |
Uva da tavola di Mazzarrone Uva da tavola di Mazzarrone IGP Disciplinare di produzione - Uva da tavola di Mazzarrone IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Sicilia | Catania, Ragusa |
Uva di Puglia Uva di Puglia IGP Disciplinare di produzione - Uva di Puglia IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Per tutte le varietà, il valore del rapporto °Brix/acidità totale deve essere non inferiore a 22. Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Ortofrutticoli | Puglia | Bari, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Foggia, Taranto, Lecce |