Asiago Asiago Nuovo Disciplinare di produzione: D.M.24/01/2005 Gazzetta Ufficiale n. 43 del 22/02/05Articolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta “Asiago” è riservata al formaggio a pasta semicotta, prodotto esclusivamente con latte vaccino, ottenuto nel rispetto del presente disciplinare di produzione, distinto in due diverse tipologie di formaggio, Asiago pressato e Asiago d’allevo, le cui caratteristiche vengono di seguito indicate. Articolo 2. Zona di produzione Il formaggio D.O.P. “Asiago” si produce con latte di allevamenti bovini ubicati all’interno della zona delimitata ed in caseifici ubicati all’interno della zona stessa che di seguito si precisa: provincia di Vicenza: tutto il territorio; provincia di Trento: tutto il territorio; provincia di Padova: il territorio dei comuni di Carmignano di Brenta, S. Pietro in Gù, Grantorto, Gazzo, Piazzola sul Brenta, Villafranca Padovana, Campodoro, Mestrino, Veggiano, Cervarese S. Croce e Rovolon; provincia di Treviso: il territorio così delimitato: prendendo come punto di riferimento il paese di Rossano Veneto, in provincia di Vicenza, il limite segue la strada Rossano – Castelfranco Veneto fino al suo incrocio con la strada statale n. 53 “Postumia”. Esso costeggia tale strada, attraversa la tangenziale sud di Treviso, fino alla sua intersezione con l’autostrada di Alemagna. Il limite prosegue a nord lungo il tracciato di detta autostrada fino al fiume Piave. Piega quindi ad ovest lungo la riva destra di detto fiume fino al confine della provincia di Treviso con quella di Belluno. Da questo punto il limite si identifica con il confine della provincia di Treviso fino al punto di incontro di questo con il confine della provincia di Vicenza. Le zone di produzione sopraindicate, che sono situate ad un’altitudine non inferiore ai 600 metri, vengono identificate come territorio montano. Articolo 3. Alimentazione del bestiame Il bestiame il cui latte è destinato alla trasformazione in formaggio D.O.P. “Asiago” non deve essere alimentato con i foraggi ed i mangimi di seguito indicati: Foraggi - erbai di colza, ravizzone, senape, fieno greco; - foglie di piante da frutto, foglie e colletti di bietola; - erba silo di trifoglio, di pisello, sottoprodotti insilati; - frutta e relativi sottoprodotti della lavorazione industriale freschi e conservati umidi; - ortaggi e relativi sottoprodotti freschi e conservati umidi; - sottoprodotti delle industrie di fermentazione freschi e conservati umidi (trebbie di birra, distilleria, vinacce ecc.); - sottoprodotti dell’industria saccarifera: polpe di bietole da zucchero fresche ed insilate; - sottoprodotti dell’industria di macellazione e dell’allevamento: residui vari, tal quali o associati ad altri foraggi; - urea, urea-fosfato, biureto. Mangimi - farine di carne, pesce e di penne; - farine di panelli di ravizzone, semi di agrumi, vinaccioli; - ortaggi e frutta essiccati; - sottoprodotti essiccati della lavorazione industriale di ortaggi e frutta (bucce di piselli e di fagioli, carciofi, castagne, pastazzo, sanse, vinaccioli, fecce, vinacce); - sottoprodotti dell’industria saccarifera: concentrato proteico del melasso, borlande varie, polpe borlandate essiccate ed altri; - sottoprodotti essiccati dell’industria di fermentazione: borlande, residui di fermentazione ed altri. Qualora il latte sia destinato alla produzione di formaggio Dop Asiago che si fregia della menzione “prodotto della montagna” è altresì vietata l’alimentazione con ogni tipo di insilati. Articolo 4. Modalità di produzione Il formaggio “Asiago”, sia nella tipologia pressato che in quella d’allevo, viene prodotto con latte conforme alle disposizioni sanitarie vigenti in materia. E’ tuttavia consentita la produzione dell’Asiago allevo nelle malghe durante il periodo di monticazione con latte in deroga alle normative sanitarie vigenti. Il latte deve essere stoccato a temperatura compresa fra i 4 e gli 11 gradi Celsius e deve essere trasformato entro il tempo massimo di 60 ore dalla prima o dalla eventuale seconda munta. Nel caso in cui il formaggio “Asiago” sia prodotto da latte crudo, la trasformazione deve essere ottenuta entro le 36-48 ore successive all’ingresso nello stabilimento, secondo le vigenti disposizioni. Per la produzione del formaggio “Asiago” pressato può essere utilizzato latte, derivante da una o due mungiture, crudo o pastorizzato a 72 gradi Celsius per 15 secondi, secondo le vigenti normative. Per la produzione di formaggio “Asiago” d’allevo può essere utilizzato latte derivante da due mungiture parzialmente scremate per affioramento, o derivante da due mungiture di cui una parzialmente scremata per affioramento, o da una sola mungitura pure parzialmente scremata per affioramento. Può essere utilizzato latte crudo o termizzato a 57/68 gradi Celsius per 15 secondi con parametro analitico della fosfatasi positivo. Non sono consentiti ulteriori trattamenti al latte oltre quelli espressamente previsti nel presente disciplinare di produzione. Per la produzione del formaggio Dop Asiago che si fregia della menzione “prodotto della montagna” è consentito utilizzare latte di 2 o 4 munte, ma la trasformazione di tale latte deve avvenire entro 18 ore dal ricevimento, nel caso di utilizzo di latte di 2 munte, ed entro 24 ore dal ricevimento nel caso di utilizzo di latte di 4 munte. Il latte posto in lavorazione per la produzione di “Asiago” pressato deve essere latte intero e la miscela in caldaia deve essere costituita da latte, fermenti lattici o lattoinnesto, caglio bovino ed eventualmente modeste quantità di cloruro di sodio. Durante la lavorazione possono essere inoltre aggiunte, per esigenze tecnologiche, delle quantità di acqua potabile. Nel caso di produzione di “Asiago” d’allevo il latte posto in lavorazione è latte parzialmente scremato per affioramento, eventualmente addizionato di lisozima (E 1105) nei limiti di legge; la miscela è pertanto costituita da latte parzialmente scremato, fermenti lattici o lattoinnesto, caglio bovino, eventuali modeste quantità di cloruro di sodio e di lisozima. L’uso del Lisozima (E1105) è in ogni caso vietato nella produzione della Dop “Asiago” che si fregia della menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”. Il latte destinato alla trasformazione in Asiago pressato deve derivare da una o due mungiture. Il latte destinato alla trasformazione in Asiago d’allevo deve derivare da due mungiture parzialmente scremate per affioramento, da due mungiture, di cui una scremata per affioramento o, da una sola mungitura pure parzialmente scremata per affioramento. Nella trasformazione del latte in “Asiago” pressato sono rispettati i seguenti parametri tecnologici: - temperatura di coagulazione 35/40°C - taglio della cagliata a 15/25 minuti dall’addizione del caglio fino alla dimensione di noce/nocciola; - temperatura di semicottura: 44° +/- 2°C; - pressatura per massimo 12 ore; Nella trasformazione del latte in “Asiago” d’allevo sono rispettati i seguenti parametri tecnologici: - temperatura di coagulazione: 33/37°C; - taglio della cagliata a 15/30 minuti dall’addizione del caglio fino alla dimensione di nocciola o inferiore; - temperatura di semicottura: 47° +/- 2°C Gli sfridi o ritagli di cagliata di lavorazioni precedenti non sono utilizzabili nelle successive produzioni di formaggio D.O.P. “Asiago”. Articolo 5. Identificazione e marchiatura Tutte le forme di formaggio D.O.P. “Asiago” sono identificate a mezzo di placchette di caseina numerate e marchiate con fascere marchianti, detenute dal Consorzio di Tutela incaricato e assegnate in uso a tutti gli aventi diritto, contenenti il seguente logo costitutivo della denominazione, quale parte integrante del presente disciplinare di produzione. Tale logo rappresenta una forma di formaggio tagliata e mancante di uno spicchio; lo spicchio mancante, trasformato in una “A” stilizzata, è inserito parzialmente nella forma. L’altezza complessiva del logo apposto sulla forma di formaggio è di mm 100 per l’Asiago pressato e di mm 80 per l’Asiago allevo. Nella fascere marchianti è inoltre inserita la sigla alfanumerica del caseificio produttore ed il nome della denominazione, ripetuto più volte e di altezza 25 mm per l’Asiago pressato e di 20 mm per l’Asiago allevo Le forme di “Asiago” d’allevo presentano inoltre, impressa sullo scalzo, una lettera alfabetica indicatrice del mese di produzione: gennaio B febbraio C marzo D aprile E maggio H giugno I luglio L agosto N settembre P ottobre S novembre T dicembre U Le forme di Asiago che si fregiano della menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”si contraddistinguono mediante l’inserimento, nelle fascere marchianti indicate al precedente comma primo del presente articolo, e per una sola volta, delle parole “prodotto della montagna”. Inoltre, al termine del periodo minimo di stagionatura, le citate forme sono ulteriormente identificate da una marchiatura a fuoco, apposta sullo scalzo, realizzata con strumenti di proprietà del Consorzio di tutela incaricato e assegnati in uso ai caseifici aventi diritto, e riportante il logo con la scritta "Prodotto della montagna". Articolo 6. Modalità di conservazione e stagionatura Prima della salatura le forme vengono conservate per un periodo minimo di 48 ore in locali a 10/15°C con Umidità relativa del 80-85%. La salatura, qualora non sia già stata ultimata in pasta, viene completata a secco o in salamoia a 20° +/- 2° Be. La stagionatura minima dell’ “Asiago” pressato è di giorni 20 dalla data di produzione. La stagionatura minima dell’ “Asiago” d’allevo è di giorni 60 dall’ultimo giorno del mese di produzione. La stagionatura minima dell’Asiago che si fregia della menzione “prodotto della montagna” è di giorni 90 dall’ultimo giorno del mese di produzione per l’Asiago allevo e di 30 giorni dalla produzione per l’Asiago pressato. La stagionatura deve avvenire all’interno della zona di produzione stessa in magazzini aventi temperature comprese fra i 10/15° C con umidità relativa compresa fra 80-85%. Tali condizioni devono essere evidenziate da idonea strumentazione. Per i primi 15 giorni dopo la salatura l’ “Asiago” d’allevo può essere conservato in magazzino con temperature comprese fra 5/8° C. Il formaggio Asiago, che utilizza la menzione “prodotto della montagna”, deve essere stagionato in aziende ubicate in territorio montano in locali che possono avere condizioni di temperatura e umidità determinate dalle condizioni ambientali naturali. Articolo 7. Caratteristiche del prodotto finito Caratteristiche specifiche tecniche per il formaggio “Asiago” pressato a 20 giorni di maturazione. Specifiche Tolleranze a) visive organolettiche - pasta di colore bianco o leggermente paglierino - occhiatura marcata ed irregolare - sapore delicato e gradevole - crosta sottile ed elastica b) chimiche - umidità 39,5% +/- 4,5 - proteine 24,0% +/- 3,5 - grasso 30,0% +/- 4,0 - cloruro di sodio 1,7% +/- 1,0 - grasso sul secco non inferiore a 44% Nessuna c) fisiche - Scalzo diritto o leggermente convesso - Facce piane o quasi piane - Peso da 11 a 15 Kg - Altezza da 11 a 15 cm - Diametro da 30 a 40 cm d) microbiologiche ed igienico sanitarie - Patogeni Assenti - S. Aureus * M < 1.000 per g - E. coli * M < 1.000 per g - Coliformi 30°C * M < 100.000 per g * Tali dati si riferiscono ad un formaggio ottenuto con latte trattato termicamente. Caratteristiche specifiche tecniche per il formaggio “Asiago” d’allevo a 60 giorni di maturazione. Specifiche Tolleranze a) visive/organolettiche - Pasta di colore paglierino o leggermente paglierino - Occhiatura di piccola e media grandezza - Sapore dolce(mezzano)/fragrante (vecchio) - Crosta liscia e regolare b) chimiche - Umidità 34,50% +/- 4,00 - Proteine 28,00% +/- 4,00 - Grasso 31,00% +/- 4,50 - Cloruro di sodio 2,40% +/- 1,00 - Grasso sul secco non inferiore a 34% Nessuna c) fisiche - Scalzo diritto o quasi diritto - Facce piane o quasi piane - Peso da 8 a 12 Kg - Altezza da 9 a 12 cm - Diametro da 30 a 36 cm d) microbiologiche ed igienico sanitarie - Patogeni Assenti - S. Aureus M < 10.000 per g - E. coli M < 100.000 per g Le forme di formaggio “Asiago”, dopo il raggiungimento del periodo minimo di stagionatura del prodotto, possono essere trattate in superficie con sostanze consentite a norma delle vigenti disposizioni. La parte superficiale delle forme (crosta) non è edibile. Il trattamento superficiale delle forme deve in ogni caso consentire la leggibilità della placchetta di caseina identificativa della forma e del logo della denominazione. E’ vietato il trattamento superficiale con sostanze coloranti e antimuffa per le forme di Asiago che si fregiano della menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”. Articolo 8. Confezionamento Le forme intere di formaggio D.O.P. “Asiago” possono essere porzionate e preconfezionate in tranci che consentano la visibilità dello scalzo della forma E’ in ogni caso consentito confezionare in porzioni il centro della forma purché il suo peso totale non superi il 10% del peso della forma stessa. Queste porzioni dovranno comunque avere la crosta del piatto. È consentito indicare in etichetta l’eventuale non utilizzo del Lisozima (E 1105). Il confezionamento, qualora le operazioni di porzionamento comportino la raschiatura e/o asportazione della crosta, rendendo così invisibile la marchiatura di origine (cubetti, fettine ecc.) deve avvenire nella zona di produzione al fine di garantire la rintracciabilità del prodotto. Il formaggio Asiago prodotto con latte proveniente da stalle site in territorio montano, trasformato in caseifici ubicati in zona montana e stagionato in zona montana, si può fregiare in etichetta, della menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”. Il formaggio “Asiago” pressato può recare in etichetta anche l’indicazione fresco. Il formaggio “Asiago” d’allevo può recare in etichetta anche l’indicazione stagionato. Il formaggio “Asiago” d’allevo, con stagionatura compresa fra i 4/6 mesi, può recare in etichetta anche l’indicazione mezzano. Il formaggio “Asiago” d’allevo, con stagionatura superiore a 10 mesi, può recare in etichetta anche l’indicazione vecchio. Il formaggio “Asiago” allevo con stagionatura superiore a 15 mesi, può recare in etichetta anche l’indicazione stravecchio. Eventuali etichette, timbri, serigrafie, ecc., riportanti indicazioni aziendali devono essere conformi alle vigenti disposizioni normative in materia di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari ed in ogni caso devono sempre consentire la completa leggibilità dei contrassegni costitutivi della D.O.P. “Asiago” (marchiatura a mezzo fascere marchianti) e delle placchette di caseina identificative delle forme di formaggio “Asiago”. | D.O.P. | Formaggi | Prov. Aut. di Trento, Veneto | Trento, Vicenza, Padova, Treviso | ||
Bitto Bitto DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA
DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA “BITTO” Art.1 La denominazione di origine protetta “Bitto” è riservata al formaggio prodotto nell’area geografica di cui all’art.2 del presente disciplinare ed avente i requisiti di seguito fissati. Art. 2 La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione, di produzione e di stagionatura del formaggio “Bitto”, comprende l’intero territorio della provincia di Sondrio, gli alpeggi dei territori limitrofi dei seguenti comuni dell’Alta Valle Brembana in provincia di Bergamo: Averara, Carona, Cusio, Foppolo, Mezzoldo, Piazzatorre, Santa Brigida, Valleve e gli alpeggi denominati Varrone, Artino e Lareggio dei territori limitrofi nei comuni di Introbio e Premana in provincia di Lecco. Art. 3 1. il formaggio “Bitto” è prodotto esclusivamente con latte vaccino crudo intero derivato da razze tradizionali nella zona individuata all’art. 2 del presente disciplinare ed ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative all’allevamento e al processo di ottenimento, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente: a) l’alimentazione delle bovine lattifere deve essere costituita da erba di pascolo degli alpeggi dell’area delimitata all’art.2. Al fine di mantenere il corretto livello di benessere animale, è consentita per le lattifere una integrazione dell’alimentazione da pascolo, fissata nei limiti massimi di kg 3 di sostanza secca al giorno, con i seguenti alimenti: mais, orzo, frumento, soia, melasso nella quantità non superiore al 3%. È ammesso l’impiego di sale pastorizio. È ammessa inoltre un’alimentazione di solo soccorso a base di fieno di prato stabile, non superiore al 5%, nel caso in cui si verifichino eventi meteorici straordinari che non consentono il pascolamento (quali neve, grandine) e limitatamente al tempo necessario al ripristino delle normali condizioni. b) Il latte di una mungitura, con l’eventuale aggiunta di latte caprino crudo in misura non superiore al 10%, deve essere lavorato in loco entro un’ora dal termine della mungitura. È consentito l’utilizzo di fermenti autoctoni che valorizzino la microflora casearia spontanea. c) La coagulazione è ottenuta con l’uso di caglio di vitello. La cottura della cagliata, che avviene ad una temperatura compresa fra i 48 e i 52°C, si protrae per circa 30 minuti. La rottura della cagliata avviene fino a quando i grumi hanno la grandezza di chicchi di riso. Una volta estratta, la pasta viene posta in fascere tradizionali che conferiscono il caratteristico scalzo concavo. La salatura avviene a secco o in salamoia. La maturazione inizia nelle “casere d’alpe” e si completa nelle strutture di fondovalle sfruttando il naturale andamento climatico della zona di produzione. La maturazione deve essere protratta per almeno settanta giorni; a decorrere dal settantesimo giorno dalla data di produzione il Consorzio di Tutela incaricato, previo controllo effettuato dall’Organismo di controllo con esito positivo, appone sulle forme il contrassegno e il marchio a fuoco descritti all’art. 4. Le caratteristiche della DOP “Bitto” sono le seguenti: a) Forma: cilindrica, regolare, con superfici piane e con uno scalzo concavo, a spigoli vivi; b) Dimensioni: il diametro delle facce è di 30 – 50 cm, l’altezza dello scalzo è di 8-12 cm; c) Peso variabile da 8 kg a 25 kg, in relazione alle dimensioni della forma. La forma, le dimensioni ed il peso possono subire delle leggere variazioni in relazione alle condizioni tecniche di produzione e al periodo di maturazione; d) Aspetto esterno: crosta compatta di colore giallo paglierino che diventa più intenso con la stagionatura, di spessore compreso fra 2 e 4 millimetri; e) Pasta: struttura compatta, con presenza di occhiatura rada ad occhio di pernice; al taglio il colore si presenta variabile dal bianco al giallo paglierino, a seconda della stagionatura; f) Sapore: dolce, delicato, più intenso con il procedere della maturazione. L’eventuale aggiunta di latte caprino rende più intenso il caratteristico aroma; g) Grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 45%; h) Umidità media a 70 giorni: 38%; Le varie fasi produttive si svolgono secondo gli usi tradizionali, legati alle caratteristiche ambientali, nel periodo compreso tra il 1° giugno e il 30 settembre. Dopo almeno un anno di stagionatura il prodotto può essere utilizzato grattugiato come condimento. Art. 4 1. Il formaggio a denominazione di origine protetta “Bitto” deve recare apposti sullo scalzo, all’atto della sua immissione al consumo, i seguenti contrassegni, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative: a) il contrassegno, di seguito rappresentato, che costituisce parte integrante del presente disciplinare e che deve essere apposto a fuoco sullo scalzo al termine del periodo di maturazione e prima di immettere al consumo il formaggio, si compone della scritta "Bitto" dove la "B" è parzialmente leggibile, il completamento della lettera è compiuto con l'immagine di una forma di formaggio stilizzata cui manca una fetta. La parte mancante della forma va a comporre una "V" iniziale di Valtellina; la forma di formaggio richiama al prodotto. La B è un’immagine, mentre la restante scritta ITTO è in formato times regular allargato al 113,94%. b) Al fine dell’identificazione del prodotto, è inoltre possibile applicare sulle forme intere un disco di carta ad uso alimentare apposto su una faccia. Il disco ha diametro di cm 30. Esso è formato come di seguito specificato. Una corona esterna di cm 6,5 con sfondo di colore rosso, la scritta BITTO di colore giallo ripetuta più volte a raggiera e il logo comunitario per le Denominazioni d’Origine Protetta di dimensioni adattate e nei colori e caratteri originali. E’ consentita inoltre l’aggiunta di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati e collettivi; tali indicazioni non devono essere prevalenti sulle altre indicazioni. Una corona interna contigua alla corona rossa larga cm 0,75 e di colore giallo che può essere utilizzata per indicare elementi previsti dalla normativa vigente e riferimenti ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati e collettivi non aventi significato laudativo e ingannevoli per l’acquirente. Una parte interna di cm 15,5 di diametro personalizzabile dalle aziende in cui compare la scritta BITTO di colore rosso. Caratteristiche tecniche Colori: composizione rosso: 100% magenta – 100% giallo composizione giallo: 10% magenta – 95% giallo Carattere: scritta BITTO: come descritto al punto a) Le dimensioni del disco, delle corone e della parte interna possono subire leggere variazioni. c) per i produttori che, nel rispetto del Disciplinare di Produzione, alimentano le bovine lattifere esclusivamente con erba di pascolo degli alpeggi dell’area delimitata all’art. 2 senza aggiunta alcuna di integratori, fatta eccezione che per il sale pastorizio e un’alimentazione di solo soccorso a base di fieno di prato stabile non superiore al 20%, che non utilizzano fermenti durante il processo di caseificazione e che iniziano la lavorazione del latte entro trenta minuti dalla fine della mungitura, è ammessa la marchiatura che indica il nome dell’alpeggio in cui il formaggio è stato prodotto. Tale marchiatura, apposta in bassorilievo sullo scalzo della forma al momento della produzione, riporta il nome dell’alpeggio per esteso in formato Times. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Sondrio, Bergamo | ||
Bra Bra DISCIPLINARE DEL FORMAGGIO BRA DOP
ART.1.
E’ riconosciuta la denominazione di origine del for
maggio “Bra” il cui uso è riservato al prodotto ave
nte i
requisiti fissati con il presente decreto con rigua
rdo ai metodi di lavorazione ed alle caratteristich
e
organolettiche e merceologiche derivanti dalla zona
di produzione delimitata nel successivo art 3.
ART.2.
La denominazione di origine “Bra” è riservata al fo
rmaggio avente le seguenti caratteristiche:
formaggio pressato, prodotto con latte vaccino even
tualmente igienizzato ed eventualmente addizionato
con
piccole aggiunte di latte ovino e/o caprino, talvol
ta parzialmente decremato per il tipo duro, eventua
lmente
inoculato con fermenti lattici e/o innesti naturali
.
L’alimentazione base del bestiame vaccino ed eventu
almente ovino e caprino deve essere costituita da
foraggi verdi o conservati, oppure da foraggi affie
nati che derivano da prato, da pascolo o da prato-p
ascolo e
da fieno provenienti per la maggior parte dalla zon
a geografica delimitata.
Nella produzione viene impiegato latte proveniente
da due o più mungiture.
Si produce per l’intero arco dell’anno.
Il latte, eventualmente sottoposto a trattamenti te
rmici e/o igienizzanti ed eventualmente inoculato c
on
fermenti lattici e/o innesti naturali, è addizionat
o con caglio liquido e viene coagulato ad una tempe
ratura
compresa tra i 27°C e i 38°C.
Il formaggio deve essere prodotto con una tecnologi
a caratteristica con doppia rottura della cagliata
in
caldaia.
Si effettuano adeguate pressature e si utilizzano s
tampi idonei.
Di norma si effettuano due salature a secco e/o la
salatura in salamoia.
Periodo di stagionatura quarantacinque giorni il mi
nimo per il tipo Tenero e sei mesi minimo per il ti
po
Duro.
E’ usato come formaggio da tavola per il tipo Tener
o, da tavola e da grattugia per il tipo Duro e pres
enta le
seguenti caratteristiche:
forma: cilindrica con facce piane;
dimensioni: diametro della forma 30-40 cm,
scalzo: leggermente convesso di 6-10 cm con variazi
oni in più o in meno per entrambe le caratteristich
e in
rapporto ai mezzi tecnici di produzione;
peso: da 6 a 9 kg;
Le misure ed i pesi si riferiscono al prodotto ai m
inimi di stagionatura.
Colore della pasta: per il tipo Tenero bianco o bia
nco avorio, per il tipo Duro da leggermente paglier
ino al
giallo ocra.
Struttura della pasta: per il tipo Tenero moderatam
ente consistente ed elastica con piccole occhieggia
ture non
troppo diffuse. Per il tipo Duro con piccole occhie
ggiature non troppo diffuse;
confezione esterna: crosta, per il tipo Tenero, gr
igio chiara, elastica, liscia e regolare, non edibi
le;
crosta, per il tipo Duro, dura, consistente, di co
lore beige scuro, può subire trattamenti di oliatur
a con oli di
uso alimentare per un’azione antimuffa; non edibile
;
sapore: gradevolmente profumato, moderatamente sapi
do per il tipo Tenero, gustoso o fortemente sapido
per
il tipo Duro,
grasso sulla sostanza secca: minimo 32%
ART.3
Il latte destinato alla trasformazione in formaggio
“BRA”, sia Tenero che Duro, deve essere prodotto d
a
allevamenti ubicati in Provincia di Cuneo.
La zona di produzione e di stagionatura comprende l
’intero territorio della provincia di Cuneo più il
comune
di Villafranca Piemonte in provincia di Torino per
la sola stagionatura.
Il “BRA” tipo Tenero e tipo Duro prodotto e stagion
ato nei Comuni Montani di Brondello, Castellar,
Crissolo, Gambasca, Martiniana Po, Oncino, Ostana,
Paesana, Pagno, Rifreddo, Sanfront, Bellino,
Brossasco, Casteldelfino, Frassino, Isasca, Melle,
Piasco, Pontechianale, Rossana, Sampeyre, Valmala,
Venasca, Acceglio, Canosio, Cartignano, Celle Macra
, Dronero, Elva, Macra, Marmora, Prazzo,
Roccabruna, S. Damiano Macra, Stroppo, Villar S. Co
stanzo, Bernezzo, Castelmagno, Cervasca, Montemale,
Monterosso Grana, Pradleves, Valgrana, Cignolo, Ais
one,
Argentera, Demonte, Gaiola, Moiola,
Pietraporzio, Rittana, Roccasparvera, Sambuco, Vall
oriate, Vinadio, Chiusa Pesio, Entracque, Limone
Piemonte, Roaschia, Robilante, Roccavione, Valdieri
, Vernante, Briaglia, Frabosa Soprana, Frabosa Sott
ana,
Monasterolo Casotto, Monastero di Vasco, Montaldo M
ondovì, Pamparato, Roburent, Roccaforte Mondovì,
S. Michele Mondovì, Torre Mondovì, Vicoforte Alto,
Bagnasco, Battifoglio, Briga Alta, Caprauna,
Castelnuovo Ceva, Garessio, Lisio, Mombasiglio, Mon
tezemolo, Nucetto, Ormea, Perlo, Priero, Priola, Sa
le
S. Giovanni, Scagnello, Viola e parzialmente i terr
itori classificati montani dalla Legge 25 luglio 19
52, n°
991, e successive modificazioni: Barge, Bagnolo Pie
monte, Envie, Revello, Costigliole Saluzzo, Verzuol
o,
Busca, Caraglio, Borgo S. Dalmazzo, Boves, Peveragn
o, Villanova Mondovì, Ceva, Lesegno, Pianfei e
Magliano Alpi per la parte che confina con il comun
e di Ormea, possono portare la menzione “di Alpegg
io”.
ART.4
Il marchio di conformità è dato dall’apposizione di
un contrassegno cartaceo preceduto in fase di form
atura
dall’applicazione sullo scalzo, tramite una opportu
na fascera, della scritta B stilizzata oltre alle s
critte duro o
tenero, il numero di casello costituito dalla sigla
della provincia e da un numero a due cifre.
Il marchio di conformità, riportato sul contrassegn
o cartaceo, raffigura il caratteristico logo dell’o
mino con i
baffi, e cappello, accovacciato, che abbraccia una
forma alla quale è stata asportata una fetta. Tale
contrassegno riporta inoltre la scritta BRA TENERO
O BRA DURO, BRA TENERO D’ALPEGGIO O
BRA DURO D’ALPEGGIO.
Solo a seguito di tali procedure il prodotto potrà
essere
Immesso sul mercato con la Denominazione di Origine
Protetta “Bra”.
Per l’applicazione del contrassegno cartaceo è amme
sso l’utilizzo di colla alimentare.
Il medesimo logo deve essere riprodotto nella citaz
ione dell’autorizzazione sul prodotto porzionato.
ART.5
Il formaggio può essere venduto al consumo sia inte
ro che al taglio, sia porzionato che preconfezionat
o. Il
tipo Duro può essere preconfezionato anche grattugi
ato. Le operazioni di porzionamento e
preconfezionamento possono essere effettuate anche
al di fuori dell’area geografica di produzione.
| D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Cuneo, Torino | ||
Burata di Andria Burrata di Andria Disciplinare di produzione
“Burrata di Andria”
Articolo 1
Denominazione del prodotto
L’Indicazione Geografica Protetta “Burrata di Andria” è riservata al prodotto che risponde alle
condizioni ed ai requisiti stabiliti dal Reg. UE n. 1151/2012 e dal pre
sente disciplinare.
Articolo 2.
Caratteristiche del prodotto
La “Burrata di Andria” I.G.P.
è un formaggio
prodotto con latte vaccino e ottenuto dall’unione di
panna e formaggio a pasta filata. L’involucro è costituito esclusivamente da pasta filata che
racchiude, al suo interno, una miscela di panna e pasta filata sfilacciata.
2.1
-
Materia prima
Il
latte vaccino impiegato nella produzione della “Burrata di Andria” deve
possedere le seguenti caratteristiche:
Grasso p/p
> 3,50 %
Proteine p/p
> 3,30 % Cellule somatiche<
400.000 cell / ml Inibenti assenti
Indice crioscopico
< 520 mc°
Lattosio p/p
> 4.75 %
Linea con latte delattosato
lattosio
< 0,01 g / su 100 g
Carica batterica mesofila 30 °C
< 100.000 ufc / ml
Acidità gradi SH %
6.50:6.
70
Aflatossina M1
< 0.05 ppb
Fosfatasi
se latte crudo
positiva
se latte pastorizzato
negativa
La
panna
utilizzata nella composizione della burrata di Andria è prodotta per centrifugazione da
latte o siero di latte fresco e successivo trattamento
di pastorizzazione a 72° per 15 secondi, oppure
con panna fresca pastorizzata e/o UHT confezionata e/o loro miscele,
nel rispetto dei requisiti
microbiologi
ci dettati della normatıva cogente
2.2
Prodotto finito
Caratteristiche morfologiche,fisico chimiche microbiologiche, organolettiche
Peso
Il peso della “Burrata di Andria IGP” varia tra i 100 g e i 1000 g
Aspetto
La “Burrata di Andria IGP” si presen
ta di colore bianco latte,
con involucro di spessore ≥ 2 mm circa
Consistenza del ripieno
Massa sfilacciata spugnosa immersa nella panna
Forma
Si presenta di forma rotondeggiante a forma di sacca, dalla
caratteristica chiusura apicale
Stracciatella
Il ripieno è ottenuto con pasta filata “stracciata” sfılaccıata e immersa in panna
Umidità
compresa tra 60% e 70%
Rispetto dei requisiti microbiologici
dettati dalla normatıva cogente.
Gli indicatori riportati di seguito sono stati individuati e valutati dall’Organizzazione Nazionale
Articolo 3
Zona Geografica
L’area geografica di produzione e di confezionamento della “Burrata di Andria
IGP è rappresentata dall’intero territorio della Regione Puglia.
Articolo 4
Prova dell’origine
Ogni fase del processo produttivo del formaggio Burrata di Andria viene monitorato documentando
per ognuno gli input e gli output durante la produzione della materia prima, la caseificazione, la
marchiatura e l'etichettatura. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo di tutti i soggetti della filiera, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto.
Per poter risalire a tutte le fasi della filiera, dal prodotto finale alla materia prima, i produttori
devono tenere nota su apposito registro della quantità di latte e del quantitativo di prodotto. Tutte le persone, fisiche e giuridiche, iscritte nei relativi elenchi saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo secondo quanto disposto dal disciplin
are di produzione e dal relativo piano di controllo.
Articolo
5
Metodo di ottenimentoLa “Burrata di Andria” viene prodotta tutto l’anno e il metodo di lavorazione prevede le fasi e i relativi passaggi riportati di seguito.
5.1
Produzione
5.1.a
Riscaldamento
La produzione della Burrata di Andria può avvenire utilizzando latte crudo o pastorizzato a 72 °C
per 15 secondi. Segue il riscaldamento in caldaia alla temperatura compresa tra 35 °C e 37 °C.
| I.G.P. | Formaggi | Puglia | Bari, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Foggia, Taranto, Lecce | ||
Caciocavallo Silano Caciocavallo silano Disciplinare di produzione
della Denominazione di Origine
Protetta "Caciocavallo silano"
Allegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 maggio 1993
(G.U. n. 196 del 21.08.93)
(Iscrizione nel "Registro delle denominazioni di origine pr
otette e delle indicazioni geografiche protette" ai sensi
del Reg. CE n. 1263/96 e del
successivo Reg. CE n. 1204/2003)
Il testo di seguito riportato contiene le modifiche proposte sulle G.U. n. 253/2001 e n. 272/2001 ed approvate dalla
Commissione UE con Reg. n. 1204/2003.
Il presente testo, in ogni caso, non sostit
uisce i documenti ufficiali sopra indicati.
Art. 1
» riconosciuta la denominazione di origine "Cacio
cavallo silano" al formaggio prodotto nell'area
geografica di cui allíarticolo 2 ed avente i requisiti indicati agli articoli 3 e 4.
Art. 2
La zona di provenienza del latte di trasformazione e
di elaborazione del formaggio "Caciocavallo silano"
comprende territori delle regioni Calabria, Campan
ia, Molise, Puglia e Basilicata, delimitati nel modo
seguente:
Regione Calabria
Provincia di Catanzaro, provincia di
Crotone e provincia di Vibo Valentia
: líintero territorio dei seguenti
comuni ricadenti nelle zone sottospecificate:
zona dellíalto Crotonese e del Marchesato
: Belvedere di Spinello, Caccuri, Carfizzi, Casabona, Castelsilano,
Cerenzia, CirÚ, Melissa, Pallagorio, San Nicola dell'
Alto, Savelli, Strongoli, Umbriatico, Verzino:
zona della Piccola Sila e della fascia Presilana
: Andali, Albi, Belcastro, Cerva, Cotronei, Fossato Serralta,
Magisano, Mesoraca, Pentone, Petronia, Petilia Policastro,
Sersale, Sorbo S. Basile, Soveria Simeri, Taverna,
Zagarise;
zona dei monti Tiriolo
: Reventino, Mancuso, Carlopoli, Cicala, C
onflenti, Decollatura, Martirano Lombardo,
Motta Santa Lucia, San Pietro Apostolo,
Serrastretta, Soveria Mannelli, Tiriolo;
zona delle Serre
: San Nicola da Crissa, Serra San Bruno, Si
mbario, Spadola, Torre di Ruggiero, Valle
Longa;
zona dellíalto Maesina
: Pizzoni, Sorianello, Soriano Calabro, Vazzano.
Provincia di Cosenza
: l'intero territorio dei seguenti comuni ricadenti nelle zone sottospecificate:
zona del Ferro e dello Sparviero
: Amendolara, Albidona, Alessandria del Carretto, Canna, Castroregio,
Cerchiara di Calabria, Cassano allo Jonio, Montegio
rdano, Oriolo, Plataci, Rocca Imperiale, Roseto Capo
Spulico, San Lorenzo Bellizzi;
zona del Pollino
: Frascineto, Castrovillari, Morano Calabro,
Laino Castello, Mormanno, Laino Borgo,
Saracena, San Basile, Lungro;
zona dorsale Appenninica
: Falconara Albanese, Longobardi, Belmonte Calabro;
zona Silana
: San Giovanni in Fiore, Aprigliano, Celico,
Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Spezzano
della Sila, San Pietro in Guarano, R
ovito, Lappano, Pietrafitta, Bocchigliero;
zona della Sila Greca Cosentina
: Campana, Scala Coeli, Longobucco, Terravecchia, Mandatoriccio,
Pietrapaola, Caloveto, Calopezzati,
Cropalati, Paludi, Rossano, Cariati;
zona destra del Crati
: Vaccarizzo Albanese, San Giorgio Albanese, San Cosmo Albanese, San Demetrio
Corone, Santa Sofia d'Epiro, Acri, Bisignano, Luzzi, Rose, Tarsia;
zona Busento
: San Martino di Finita, Cosenza, Rota Greca,
San Benedetto Ullano, Lattarico, Montalto
Uffugo, San Vincenzo la Costa, San Fili;
zona Unione delle Valli
: San Donato di Ninea, San Sosti, Santa
Caterina Albanese, Mottafollone, Sant'Agata
d'Esaro.
Regione Campania
Provincia di Avellino
: l'intero territorio dei seguenti comuni: Andr
etta. Aquilonia, Ariano Irpino, Atripalda,
Avella, Bagnoli Irpino, Baiano, Bisaccia, Cairano, Ca
litri, Caposele, Carife, Casalbore, Cassano Irpino,
Castel Baronia, Castel Vetere sul Calore, Castelfranc
i, Cervinara, Chiusano di San Domenico, Conza della
Campania, Flumeri, Forino, Frigento, Greci, Guardia Lombardi, Lacedonia, Lauro, Lioni, Mercogliano,
Montaguto, Montecalvo Irpino, Monteforte Irpino,
Montefusco, Montella, Montemarano, Monteverde,
Montoro Inferiore, Montoro Superiore, Morra De
Sanctis, Moschiano, Mugnano del Cardinale, Nusco,
Ospedaletto d'Alpinolo, Pietrastornina, Quadrelle, Qu
indici, Rocca San Felice, Rotondi, Salza Irpina, San
Mango sul Calore, San Martino Valle
Caudina, San Nicola Baronia, San Sossio Baronia, Sant'Andrea di
Conza, Sant'Angelo a Scala, Sant'Angelo dei Lombardi,
Santa Lucia di Serino, Santa Paolina, Santo Stefano
del Sole, Savignano Irpino, Scampitella, Senerchia, Se
rino, Sirignano, Solofra, Sorbo Serpico, Summonte,
Taurano, Teora, Torella dei Lombardi, Tornoni,
Trevico, Vallata, Vallesaccarda, Villanova del Battista,
Volturara Irpina, Zungoli.
Provincia di Benevento
: l'intero territorio dei seguenti comuni: Ap
ice, Arpaia, Baselice, Benevento, Bonea,
Bucciano, Buonalbergo, Campolattaro, Castelfranco in Mi
scano, Castelpagano, Castelvetere in Val Fortore,
Cautano, Ceppaloni, Cerreto
Sannita, Circello, Colle Sannita, Cusano Mu
tri, Faicchio, Foiano in Val Fortore,
Forchia, Frasso Telesino, Ginestra degli Schiavoni,
Moiano, Molinara, Montefalcone di Val Fortore,
Morcone, Pannarano, Paolisi, Pietraro
ja. Pontelandolfo, Reino, San Bartol
omeo in Galdo, San Giorgio la
Molara, San Lupo, San Marco dei Ca
voti, San Salvatore Telesino, Sant'Agata de' Goti, Santa Croce del
Sannio, Sassinoro, Solopaca, Tocco Caudio, Vitulano.
Provincia di Caserta
: l'intero territorio dei seguenti comuni: Aila
no, Alife, Capriati a Volturno, Castel di
Sasso, Castello del Matese, Ciorlano, Conca della
Campania, Dragoni, Fontegreca, Formicola, Gallo,
Galluccio, Giano Vetusto, Gioia Sannitica, Letino, Liberi, Mignano Monte Lungo, Piedimonte Matese,
Pietramelara, Pontelatone, Prata Sannita, Prat
ella, Presenzano, Raviscanina, Rocca d'Evandro,
Roccamonfina, Roccaromana, Rocchetta e Croce, San
Gregorio Matese, San Pietro Infine, San Potito
Sannitico, Sant'Angelo d'Alife, Valle Agricola.
Provincia di Napoli
: l'intero territorio dei seguenti comuni: Ager
ola, Casola di Napoli, Castellammare di
Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Piano di
Sorrento, Pimonte, Roccarainola, Sant'Agnello,
Sorrento, Vico Equense.
Provincia di Salerno
: l'intero territorio dei seguenti comuni: A
cerno, Aquara, Albanella, Alfano, Altavilla
Silentina, Amalfi, Ascea, Atena Lucana, Atrani, Au
letta, Baronissi, Bellosguardo, Bracigliano, Buccino,
Buonabitacolo, Caggiano, Calabritto, Calvanico, Ca
merota, Campagna, Campora, Cannalonga, Capaccio,
Casalbuono, Casaletto Spartano, Caselle in Pittari, Cast
el San Lorenzo, Castelcivita, Castelnuovo di Conza,
Castiglione del Genovesi, Cava dei Tirreni, Celle di Bu
lgheria, Centola, Ceraso, Cetara, Cicerale, Colliano,
Conca dei Marini, Controne, Contursi Terme, Corbar
a, Corleto Monforte, Cuccaro Vetere, Felitto, Fisciano,
Furore, Futani, Giffoni Sei Casali, Giffoni Valle Pian
a, Gioi, Ispani, Laureana Cilento, Laurino, Laurito,
Laviano, Lustra, Magliano Vetere, Maiori, Minori,
Moio della Civitella, Montano Antilia, Monte San
Giacomo, Montecorice, Montecorvino Rovella, Monteforte
Cilento, Montesano sulla Marcellana, Morigerati,
Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Novi Velia, Ogliast
ro Cilento, Olevano sul Tusciano, Oliveto Citra,
Omignano, Orria, Ottati, Padula, Pagani, Palomonte,
Perdifumo, Perito, Petina, Piaggine, Pisciotta, Polla,
Pollica, Positano, Postiglione, Praiano, Prignano Cile
nto, Ravello, Ricigliano,
Roccadaspide, Roccagloriosa,
Rofrano, Romagnano al Monte, Roscigno, Rutino, Sacco,
Sala, Consilina, Salvitelle, San Cipriano Picentino,
San Giovanni a Piro, San Gregorio Ma
gno, San Mauro Cilento, San Mauro la
Bruca, San Pietro al Tanagro,
San Rufo, Sant'Angelo a Fasanella, Sant'Arsenio, Sant
'Egidio del Monte Albino, Santa Marina, Santomenna,
Sanza, Sapri, Sarno, Sassano, Scala, Serramezzana,
Serre, Sessa Cilento, Sicignano degli Alburni, Stella
Cilento, Stio, Teggiano, Torraca, Torre Orsaia, Tortor
ella, Tramonti, Trentinara, Valle dell'Angelo, Vallo
della Lucania, Valva, Vibonati, Vietri sul Mare.
Regione Molise
Provincia di Isernia
: l'intero territorio della provincia.
Provincia di Campobasso
: l'intero territorio dei seguenti comuni:
Acquaviva Collecroci, Baranello, Boiano,
Bonefro, Busso, Campobasso, Campochiaro, Campodi
pietro, Campolieto, Casacalenda, Casalciprano,
Castelbottaccio, Castellino del Biferno, Castelmauro, Castropignano, Cercemaggiore, Cercepiccola, | D.O.P. | Formaggi | Calabria, Campania, Molise, Puglia, Basilicata | Catanzaro, Cosenza, Avellino, Benevento, Caserta, Napoli, Salerno, Isernia, Campobasso, Foggia, Bari, Taranto, Brindisi, Matera, Potenza | ||
Canestrato di Moliterno Canestrato di Moliterno DISCIPLINARE DI PRODUZIONE PER IL FORMAGGIO PECORINO
AD INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA
«CANESTRATO DI MOLITERNO»
Art. 1
nome del prodotto
L'indicazione geografica protetta (I.G.P.) «Canestrato di Moliterno» è riservata esclusivamente ai
formaggi, ottenuti dalla trasformazione di latte ovino e caprino, che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione.
Art. 2
descrizione del prodotto
Il «Canestrato di Moliterno » può essere immesso al consumo dopo almeno 60 giorni di
stagionatura; potrà essere utilizzato sia come formaggio da tavola che da grattugia con le seguenti
caratteristiche:
forma:
cilindrica a facce piane con scalzo più o meno convesso;
dimensioni:
diametro delle facce da 15 a 25 cm, con altezza d
ello scalzo da 10 a 15 cm;
peso:
variabile da 2 a 5,5 kg in relazione alle dimensioni della forma;
crosta:
di colore giallo più o meno intenso nella tipologia primitivo fino al bruno nella
tipologia stagionato; il colore della crosta può dipendere dai
trattamenti subiti durante la stagionatura fino al nero ardesia se la crosta è stata trattata con l'emulsione di acqua e nerofumo, olio di oliva e aceto di vino; la stessa non è edibile;
pasta:
struttura compatta con occhiatura non regolarmente distribui
ta; al taglio il colore si presenta bianco o leggermente paglierino per la tipologia primitivo; di colore paglierino più o meno intenso per la tipologia stagionato ed extra;
sapore:
tendenzialmente dolce e delicato all'inizio della stagionatura, con il protrarsi della
stessa, evolve verso caratteristiche organolettiche più accentuate e piccanti;
grasso s.s.:
il contenuto del grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%;
utilizzo:
come formaggio da tavola per la tipologia primitivo; da tavola o da grattugia per le tipologie stagionato ed extra.
Art. 3
area di produzione
Il latte destinato alla produzione del «Canestrato di Moliterno» deve provenire da ovini e caprini di aziende agricole ubicate nei territori amministrativi dei seguenti comuni:
in provincia di Potenza:
Armento, Brienza, Calvello, Calvera, Carbone, Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore,
Castelsaraceno, Castronuovo Sant'Andrea, Cersosimo, Chiaromonte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Francavilla in Sinni, Gallicchio, Grumento Nova, Guardia Perticara, Lagonegro,
Latronico, Lauria, Marsiconuovo, Marsicovetere, Missanello, Moliterno, Montemurro, Nemoli,
Noepoli, Paterno, Rivello, Roccanova, Rotonda, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San
Martino d'Agri,
San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant'Arcangelo, Sarconi, Senise,
Spinoso, Teana, Terranova del Pollino, Tramutola, Viggianello, Viggiano;
in provincia di Matera:
Accettura, Aliano, Bernalda, Craco, Cirigliano, Ferrandina, Gorgoglione, Montalbano Jonico,
Montescaglioso, Pisticci, Pomarico, Scanzano Jonico, Stigliano, Tursi.
Nella stessa zona deve avvenire anche la produzione del «Canestrato di Moliterno».
Art. 4
elementi che comprovano l'origine
Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita).
In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo,
degli allevatori all'interno di tale registro vengono registrati anche i dati sul latte che viene destinato alla produzione del «Canestrato di Moliterno», dei produttori e/o trasformatori, degli stagionatori e dei confezionatori, nonché la tenuta di registri di produzione e condizionamento e la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto.
Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al
controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
Art. 5
descrizione del processo produttivo
L'indicazione geografica protetta «Canestrato di Moliterno» è riservata ai formaggi ovini e
caprini a pasta dura prodotti con latte di pecora intero, in quantità non inferiore al 70% e non superiore al
90%, e di capra intero, in quantità non inferiore al 10% e non superiore al 30%.
Il latte destinato alla trasformazione in «Canestrato di Moliterno» deve provenire da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, da foraggi freschi e comunque da fieni prodotti nell'area di cui al precedente art. 3.
È consentita l'integrazione alimentare solo con granelle di cereali quali avena, orzo, grano, mais e di leguminose quali fava, favino e cece.
È vietato l'utilizzo di prodotti derivati di origine animale e di insilati.
Il latte che non viene trasformato immediatamente dopo la mungitura, deve essere refrigerato nel rispetto dei valori minimi previsti dalle vigenti disposizioni legislative in materia.
Il latte proveniente da una o più mungiture deve essere trasformato al massimo entro 48 ore dalla prima mungitura.
Il latte da impiegare per la produzione del «Canestrato di Moliterno» deve provenire da pecore di razza «Gentile di Puglia», «Gentile di Lucania», «Leccese», «Sarda», «Comisana» e loro incroci,
per la parte ovina, e da capre di razza «Garganica», «Maltese», «Jonica», «Camosciata» e loro
incroci, per la parte caprina, allevate nei territori di cui all'art.
3 ed alimentate secondo quanto disposto dal presente disciplinare.
Il processo tecnologico e lo standard produttivo del «Canestrato di Moliterno» viene così di seguito descritto:
a.
la produzione del «Canestrato di Moliterno» è consentita tutto l'anno;
b
il latte destinato alla trasformazione può essere utilizzato crudo o può essere sottoposto a
termizzazione;
c.
il latte sottoposto a termizzazione viene successivamente inoculato con colture di fermenti lattici
naturali o con colture autoctone selezionate;
d.
la coagulazione del latte è ottenuta per via presamica aggiungendo caglio, di agnello o di capretto
in pasta, e si effettua alla temperatura compresa tra 36 e 40°C in un tempo massimo di 35 minuti;
e.
il caglio può essere ricavato artigianalmente da animali allevati nell'area di produzione del
“Canestrato di Moliterno” e preparato con la tecnica di seguito descritta;
f.
la cagliata così ottenuta viene rotta fino ad ottenere grumi delle dimensioni del chicco di riso;
dopo pochi minuti di riposo, essa viene estratta dal siero e messa in canestri di giunco o di altro
materiale autorizzato per l'uso alimentare, purché conferiscano comunque alla crosta la tipica
striatura del canestrato, ove viene pressata e lavorata con le mani per favorire la fuoriusci
ta del siero; le forme possono essere immerse nel siero a temperatura non superiore a 90°C per un tempo
| I.G.P. | Formaggi | Basilicata | Potenza e Matera | ||
Canestrato Pugliese Canestrato Pugliese Disciplinare di produzione - Canestrato Pugliese DOPArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine del formaggio "Canestrato pugliese" il cui uso è riservato al prodotto avente i requisiti fissati con il presente decreto con riguardo ai metodi di lavorazione ed alle caratteristiche organolettiche e merceologiche derivanti dalla zona di produzione delimitata nel successivo art. 3. Articolo 2. La denominazione di origine "Canestrato pugliese" è riservata al formaggio avente le seguenti caratteristiche: formaggio stagionato a pasta dura non cotta prodotto esclusivamente con latte di pecora intero proveniente da una o due mungiture giornaliere; l'alimentazione base del bestiame ovino deve essere costituita da foraggi verdi o affienati provenienti dai pascoli naturali della zona, con integrazione di fieno ed eccezionalmente di mangimi semplici concentrati; si produce durante tutto l'anno. Il latte deve essere coagulato ad una temperatura compresa tra i 38 e i 45°C con aggiunta di solo caglio animale onde evitare la coagulazione del latte entro 15-25 minuti. Il formaggio deve essere prodotto con una tecnologia caratteristica e nella lavorazione della durata di circa 30-60 giorni in relazione alle dimensioni e peso della forma devono essere effettuate adeguate pressature ed utilizzati stampi idonei denominati "canestri" onde assicurare alla crosta la caratteristica rugosità. Le salature possono essere effettuate a secco o in salamoia e l'operazione che inizia 2-4 giorni dopo la preparazione viene effettuata in più riprese e si protrae per tutto il periodo di lavorazione, durante il quale il formaggio rimane sempre nel canestro. Il periodo di stagionatura si protrae da due a dieci mesi in locali freschi debolmente ventilati. È usato come formaggio da tavola o da grattugia quando la maturazione non è inferiore a sei mesi. Presenta le seguenti caratteristiche: forma cilindrica a facce piane con scalzo leggermente convesso; dimensioni: diametro delle facce da 25 a 34 cm; altezza dello scalzo da 10 a 14 cm, con variazioni in più o in meno per entrambe le caratteristiche in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; peso: da 7 a 14 kg; confezione esterna: crosta di colore marrone tendente al giallo, più o meno rugosa dura e spessa, trattata con olio di oliva, eventualmente in miscela con aceto di vino; colore della pasta: di colore giallo paglierino più o meno intensa in relazione alla stagionatura; struttura della pasta: pasta a struttura compatta alquanto friabile, discretamente fondente, poco elastica, con occhiatura grassa appena visibile; sapore piccante caratteristico piuttosto marcato; grasso nella sostanza secca: minimo 38%. Articolo 3. La zona di produzione e di stagionatura del formaggio di cui sopra comprende l'intero territorio amministrativo della provincia di Foggia e quello dei seguenti comuni ricadenti nella provincia di Bari: Altamura, Andria, Bitonto, Canosa, Cassano, Corato, Gravina di Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Modugno, Poggiorsini, Puvi di Puglia, Santerano, Spinazzola, Terlizzi e Toritto. | D.O.P. | Formaggi | Puglia | Foggia, Bari | ||
Casatella Trevigiana Casatella Trevigiana Disciplinare di produzione - Casatella Trevigiana DOPArticolo 1. Denominazione. La denominazione del prodotto Casatella Trevigiana «DOP» è riservata al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione del prodotto. All'atto dell'immissione al consumo la Casatella Trevigiana «DOP» deve avere le caratteristiche di seguito riportate. Caratteristiche organolettiche Pasta morbida, lucida, lievemente mantecata, fondente in bocca, di colore da bianco latte a bianco crema; sono ammesse lievi occhiature minute. La consistenza della pasta è tale da rendere la Casatella Trevigiana DOP non classificabile tra i formaggi «spalmabili» o ad elevata cremosità. Crosta assente o appena percepibile, forma tradizionalmente cilindrica. Profumo lieve, latteo e fresco. Sapore dolce, caratteristico da latte, con venature lievemente acidule. Caratteristiche chimiche Umidità 53% - 60% Grasso 18% - 25% sul tal quale Proteine > 12% sul tal quale Caratteristiche fisiche Forma Cilindrica Peso Forma grande 1,8 kg - 2,2 kg Forma piccola 0,25 kg - 0,70 kg Diametro Forma grande 18 cm - 22 cm Forma piccola 8 cm - 12 cm Scalzo Forma grande 5 cm - 8 cm Forma piccola 4 cm - 6 cm Articolo 3. Zona di produzione. Il latte utilizzato per la produzione della Casatella Trevigiana DOP deve essere prodotto in stalle ubicate all'interno della zona geografica corrispondente alla provincia di Treviso e sottoposto a caseificazione, maturazione e confezionamento all'interno della stessa zona. I confini della zona di produzione corrispondono ai limiti amministrativi della provincia di Treviso, che confina a nord con la provincia di Belluno, ad ovest con la provincia di Vicenza, a sud ovest con la provincia di Padova, a sud e sud est con la provincia di Venezia, ad est con la provincia di Pordenone in regione Friuli-Venezia Giulia. Articolo 4. Prova dell'origine. A garanzia dell'origine del prodotto, ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna, gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo e attraverso l'iscrizione degli allevatori, dei caseifici e dei confezionatori in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo di cui all'art. 7, nonché la denuncia dei quantitativi prodotti è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi e che vogliono utilizzare la denominazione, saranno assoggettate a controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodologia di produzione. La trasformazione del latte, proveniente esclusivamente dalle zone indicate all'art. 3, deve essere attuata in ogni sua fase presso caseifici ubicati all'interno della stessa zona tipica. Caratteristiche del latte Il formaggio Casatella Trevigiana DOP viene ottenuto dalla trasformazione casearia di latte intero, esclusivamente di origine vaccina e proveniente dalle seguenti razze bovine: Frisona, Pezzata Rossa, Bruna. Il grasso del latte, parametro merceologico fondamentale per la buona riuscita del prodotto finale, deve rientrare, all'atto della trasformazione, nel seguente valore: Grasso Superiore al 3,2% Per quanto riguarda i parametri igienico-sanitari del latte, questi devono essere conformi alle normative in vigore. Il latte impiegato per la caseificazione del formaggio Casatella Trevigiana DOP deve avere odore e sapore normali e non deve contenere conservanti. Non è ammesso l'uso di latte colostrale o proveniente da bovine con patologie conclamate. La razione delle bovine il cui latte è destinato alla produzione di Casatella Trevigiana DOP deve essere composta almeno per il 90% da mangimi originari della zona delimitata di cui all'art. 3. È inoltre vietato l'uso dei seguenti, mangimi, non tipici della zona di produzione: barbabietola da foraggio, frutta e residui della lavorazione di agrumi e olive, lupinella e sulla, ortaggi integrali o residui della lavorazione delle piante di carciofo, cavolfiore, rapa e pomodoro. Tali mangimi, non di uso tradizionale, possono infatti apportare aromi o fermentazioni anomale nel latte e nel formaggio. Nelle razioni alimentari delle bovine in lattazione la sostanza secca giornalmente apportata deve provenire almeno per il 60% da foraggi. La conservazione del latte in stalla deve avvenire mediante refrigerazione secondo le disposizioni previste dalla normativa vigente. La caseificazione deve avere inizio, in ogni caso, entro e non oltre le 48 ore dalla mungitura. Fasi della trasformazione Pastorizzazione È ammessa la pastorizzazione del latte impiegato per la produzione di Casatella Trevigiana DOP effettuata in un tempo compreso tra 15 e 25 secondi ad una temperatura compresa tra i 70° C e i 75° C, o con rapporti tempo/temperatura con effetti equivalenti, a seconda delle caratteristiche del latte. Riscaldamento Il latte va portato alla temperatura di coagulazione, 34° C - 40° C, in funzione della stagione e dell'acidità del latte. Acidificazione Avviene mediante l'aggiunta di lattoinnesto proveniente dalla zona di produzione prevista all'art. 3 del presente disciplinare. Questa fase è particolarmente importante per la Casatella, poiché l'acidità determina la consistenza finale della pasta che, in questo formaggio, risulta consistente e poco spalmabile. Le popolazioni microbiche degli innesti impiegati nella produzione del formaggio Casatella Trevigiana DOP, responsabili della caratterizzazione nel formaggio della struttura, consistenza, sapore e aroma, sono tutte di provenienza autoctona; esse sono costituite da ceppi appartenenti alla specie Streptococcus thermophilus e in misura minore da lattobacilli termofili, con prevalenza tra questi ultimi del Lactobacillus delbrueckii subsp. lactis. Caratteristiche degli innesti: il lattoinnesto va ottenuto da latte riscaldato ad una temperatura compresa tra 65° C e 68° C, raffreddato a temperatura ambiente e lasciato maturare fino ad un'acidità di 8 - 12 SH/50 ml. Nel caso d'utilizzo di lattoinnesto le quantità impiegate possono variare tra 1% e 5% del latte di massa. Coagulazione Determinata dall'aggiunta di caglio bovino liquido o in polvere. La quantità e il titolo del caglio devono essere tali da garantire un tempo di coagulazione compreso tra 15 minuti primi e 40 minuti primi. Il titolo del caglio può variare tra 1:10.000 e 1:20.000. La temperatura del latte al momento dell'aggiunta del caglio deve essere compresa tra 34° C e 40° C. Prima rottura della cagliata La cagliata viene tagliata a croce, operando con cautela per non sbriciolare la massa. Sosta A tale punto nella cagliata lasciata ferma inizia la sineresi e l'espulsione di parte del siero. Il tempo di sosta può variare da 45 minuti primi a 55 minuti primi. La fase di sosta è nettamente più lunga rispetto ai formaggi freschi di tipo cremoso, ed è tale da garantire una maggiore espulsione del siero, e quindi un coagulo più consistente. Seconda rottura della cagliata Sempre operando con cautela, si pratica la completa rottura della massa. La rottura deve essere uniforme e completa, i granuli ottenuti devono avere grandezza di noce. Il taglio più fine della cagliata rispetto a quello praticato in altri formaggi freschi, garantisce una più completa espulsione del siero e una maggiore consistenza della pasta nel prodotto finale. Agitazione, estrazione della cagliata e stufatura. In questa fase, la cui durata può variare tra i 7 e i 13 minuti primi, attraverso la lenta agitazione della massa inizia lo spurgo. Segue l'estrazione della cagliata e la formatura in stampi cilindrici a parete forata di diametro e altezza tali da ottenere forme con misure entro gli standard indicati, tenendo conto della tendenza del prodotto ad assestarsi fino a due cm una volta estratto dallo stampo. Gli stampi sono posti in locale di stufatura per un tempo variabile in relazione al formato prescelto, fino a 3.5 ore per le pezzature grandi, tempi inferiori per le piccole. La temperatura del locale di stufatura va compresa tra 25° C e 40° C. In fase di spurgo si effettuano da 2 a 4 rivoltamenti. Salatura La salatura può avvenire in soluzione salina di sale marino a 16° - 20° Baumè, con temperatura compresa tra 4° C e 12° C, per un tempo variabile in funzione della dimensione delle forme, compreso tra 40 minuti primi e 50 minuti primi per le forme piccole, e tra 80 minuti primi e 120 minuti primi per le forme grandi. Altresì la salatura può avvenire a secco per distribuzione superficiale di sale marino, oppure può avvenire in caldaia con aggiunta di sale marino in quantità pari allo 0.8% - 1.2% della massa. I tempi più lunghi della fase di salatura rispetto ad altri formaggi freschi, concorrono a definire la sapidità e la consistenza della Casatella Trevigiana DOP. Maturazione Da effettuarsi in cella a 2° C - 8° C, per 4 - 8 giorni, in stampi, rivoltando le forme almeno ogni due giorni. È ammessa la maturazione applicando a sostegno una fascetta cilindrica di carta. La temperatura più alta e i tempi più lunghi di maturazione rispetto agli altri formaggi freschi, sono aspetti caratterizzanti il sapore della Casatella Trevigiana DOP. Confezionamento La Casatella Trevigiana DOP deve essere confezionata. Il confezionamento deve avvenire all'interno della zona indicata nell'art. 3 per garantire la tipicità, la rintracciabilità, il controllo e deve essere effettuato utilizzando materiale conforme alle disposizioni di legge relative all'imballaggio dei prodotti alimentari, riportando obbligatoriamente il contrassegno e la scritta previsti dal presente disciplinare. Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico. Le proprietà e le caratteristiche qualitative della Casatella Trevigiana DOP sono strettamente riconducibili alla sua origine locale, familiare e contadina, nonché all'evoluzione artigianale della tecnica di caseificazione e ai ceppi batterici autoctoni selezionatisi nel luogo di produzione. In particolare la qualità e la tipicità del formaggio Casatella Trevigiana DOP derivano in maniera diretta e immediata dalle caratteristiche della flora microbica locale contenuta nel latte, nonché dalle temperature e dai tempi di lavorazione che ne selezionano le specie, i ceppi e la concentrazione. La flora microbica locale ha pertanto un ruolo essenziale nella caratterizzazione della Casatella Trevigiana DOP. Recenti studi attestano infatti che nella flora microbica selezionatasi all'interno dell'area tipica nel corso degli anni, si rinvengono ceppi diversi di Streptococchi termofili, le cui proprietà e attività metaboliche sono fondamentali non solo in termini di acidificazione, ma anche per il loro contributo alle proprietà sensoriali del prodotto quali il caratteristico sapore lievemente acidulo della pasta giunta a maturazione. Parimenti, la presenza anche se più ridotta di Lattobacilli termofili a maggiore attività proteolitica, garantisce la degradazione delle caseine con produzione di molecole o loro precursori in grado di caratterizzare la consistenza, la maturazione e il sapore del formaggio, condizioni queste del tutto particolari e irripetibili in altri contesti produttivi non compresi nell'area tipica. La lunga tradizione casearia che sottintende la lavorazione della Casatella Trevigiana, trae origine dalla produzione del latte e dalla successiva trasformazione in formaggio da parte di molte piccole aziende agricole anticamente sparse sul territorio trevigiano. La caratteristica fondamentale del latte destinato alla produzione della Casatella Trevigiana era quella di provenire principalmente da aziende medio piccole a conduzione familiare, che gestivano l'allevamento con metodi tradizionali e costanti come è riportato in alcuni manuali e testi di tecnica casearia, in testi sui prodotti tipici ed in numerosi articoli. La presenza di foraggi aziendali e il limitato uso di concentrati, la minore spinta produttiva per capo, l'alta rusticità dei capi allevati, sono stati fattori caratterizzanti il latte del territorio della Marca Trevigiana ma che ne limitavano i quantitativi prodotti. Le disponibilità spesso limitate di latte hanno fatto sì che sovente il procedimento di caseificazione assumesse forme di estrema semplicità. Il latte, generalmente dopo scrematura per produrre il burro, veniva trasformato direttamente in casa utilizzando un comune paiolo di rame, servendosi del focolare domestico per il riscaldamento del latte. Alcuni testi riportano che il nome della Casatella, chiamata talvolta anche casata a seconda della forma, sembra derivare dalle parole «casa» e «de casada» proprio in ragione di questa consuetudine di produrla nelle case con attrezzi rudimentali. Ciò che ne derivava era un prodotto caratteristico e facilmente distinguibile rispetto agli altri formaggi freschi di altre aree agricole. Articolo 7. Organi di controllo. Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 8. Etichettatura. Il formaggio Casatella Trevigiana DOP viene identificato mediante il marchio così costruito: nella parte superiore è presente una «C» bianca in campo circolare di colore verde a tre sfumature; nella parte inferiore è riportata la dicitura «Casatella Trevigiana» in colore blu e centrata rispetto al tondo superiore, il testo è composto con il carattere Carleton, dove la parola «Casatella» è di dimensioni superiori alla parola «Trevigiana», che si trova sotto e spostata verso destra, nel rapporto 2:1. A sinistra viene riportata in colore verde la dicitura in tre righe «Denominazione d'Origine Protetta». L'indicazione «Denominazione d'Origine Protetta» può essere sostituita dalla dicitura «D.O.P.». Le proporzioni tra la parte superiore del marchio e la parte inferiore sono invariabili e riportate nel disegno allegato. Le specifiche tecniche del marchio sono: Colore verde: Pantone 389 U - cyano 40%, magenta 0%, giallo 75%, nero 0%; Pantone 382 U - cyano 60%, magenta 0%, giallo 100%, nero 0%; Pantone 368 U - cyano 77%, magenta 0%, giallo 100%, nero 0% Colore blu: Pantone 288 U - cyano 100%, magenta 65%, giallo 0%, nero 30%. Il marchio deve essere riportato sull'involucro esterno protettivo del formaggio, costituito da materiale conforme alle disposizioni di legge relative all'imballaggio dei prodotti alimentari. Sull'involucro esterno non possono essere riportate indicazioni laudative o tali da trarre in inganno i consumatori. Il marchio può essere usato nelle pubblicazioni e nei materiali promozionali. La dimensione del marchio deve essere proporzionata alle dimensioni dell'imballaggio secondo la seguente regola: le dimensioni della larghezza totale della dicitura «Casatella» non deve essere inferiore all'80% del diametro della confezione. Stante la tipologia del formaggio, non sono ammissibili indicazioni di alcun tipo da riportare direttamente sulla forma. L'uso dell'imballaggio, riportante il contrassegno e la scritta come descritti, è obbligatorio. L'imballaggio deve risultare conforme alle normative europee e nazionali di riferimento. | D.O.P. | Formaggi | Veneto | Treviso | ||
Casciotta d'Urbino Casciotta di Urbino Disciplinare di produzione - Casciotta di Urbino DOPArticolo 1. La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio "Casciotta d'Urbino" comprende l'intero territorio della provincia di Pesaro e Urbino. Articolo 2. Il formaggio "Casciotta d'Urbino", a pasta semicotta, è prodotto con latte di pecora intero in misura variabile fra il 70 e l'80% e con latte di vacca intero per il restante 20-30% derivato da due mungiture giornaliere, provenienti da allevamenti ubicati nella zona di cui all'art.1, ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative al pro cesso di realizzazione e in quanto rispondente al seguente standard produttivo: il latte di pecora e di vacca viene coagulato a temperatura di 35°C circa con caglio liquido e/o in polvere; il formaggio deve essere sottoposto, in stampi idonei, ad una pressatura manuale con tecnica caratteristica; la salatura: deve essere effettuata a secco ovvero alternando la salamoia alla salatura a secco; il formaggio deve essere maturato per un periodo variabile da 20 a 30 giorni, in ambiente a temperatura compresa fra i 10 e i 14 °C e con umidità di 80-90%, in relazione alle dimensioni della forma; forma: cilindrica a scalzo basso con facce arrotondate; dimensioni: il diametro e compreso fra 12 e 16 cm con altezza dello scalzo da 5 cm a 7 cm; peso variabile da 800 g a 1200 g in relazione alle dimensioni della forma; aspetto esterno: crosta sottile, di spessore pari a circa 1 mm, di colore paglierino ad avvenuta maturazione; pasta: la struttura si presenta di consistenza molle e friabile con lieve occhieggiatura; al taglio il colore risulta bianco - paglierino; sapore: dolce, caratteristico delle particolari procedure di produzione; grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 45%. Il prodotto è utilizzato come formaggio da tavola. Articolo 3. Il formaggio a denominazione di origine "Casciotta d'Urbino" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all'allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative. Articolo 4. Il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1982, concernente il formaggio a denominazione di origine "Caciotta d'Urbino", e' sostituito dal presente decreto per quanto riguarda il disciplinare di produzione del formaggio medesimo. Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 4 agosto 1995 | D.O.P. | Formaggi | Marche | Pesaro-Urbino | ||
Castelmagno Castelmagno Disciplinare di produzione - Castelmagno DOPArticolo 1. La denominazione di origine protetta «Castelmagno» e riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Il formaggio «Castelmagno» è ottenuto da latte di vacca crudo. Le mungiture devono essere fino ad un massimo di quattro mungiture consecutive con eventuali aggiunte di latte ovino e/o caprino in percentuale da un minimo del 5% ad un massimo del 20%. Il bestiame bovino deve essere riconducibile ai tipi genetici Barà Pustertaler, Bruna, Pezzata Rossa d’Oropa, Pezzata Rossa, Montbeillard, Grigio Alpina, Piemontese, Valdostana e loro incroci. Le vacche che forniscono il latte per la DOP «Castelmagno» devono essere sottoposte a mungitura non più di due volte al giorno. Nell’ambito della gestione aziendale è vietato il ciclo di asciutta delle vacche fuori dalla zona tipica di produzione; ad eccezione dei capi di proprietà dei margari, in relazione ai tradizionali cicli di monticazione e demonticazione. L’alimentazione del bestiame deve essere costituita da almeno il 10% giornaliero di foraggi freschi od affienati, ottenuti in zona di produzione, al fine di tutelare un legame con il territorio. È vietato l’uso di insilati di mais ed il ricorso a fermenti. I componenti dei mangimi costituenti l’integrazione della razione alimentare dovranno essere costituiti da cereali, leguminose, Sali minerali e vitamine consentiti dalle leggi vigenti. I Si veda il Disciplinare di produzione allegato al Decreto 14 luglio 2006. Il formaggio DOP «Castelmagno» presenta una forma cilindrica a facce piane del diametro di 15-25 cm. Lo scalzo è di 12-20 cm. Il peso di una forma varia dai 2 ai 7 kg. Le caratteristiche del formaggio DOP sono riferite al periodo minimo di stagionatura (60 giorni). Le caratteristiche del «Castelmagno» sono le seguenti: formaggio presamico pressato a pasta semidura che si produce per l’intero arco dell’anno, tranne che per la tipologia d’alpeggio che viene prodotta nell’intervallo di tempo maggio-ottobre; a) Crosta: non edibile, sottile di colore giallo-rossastro, liscia, tendente al rigido e regolare ai minimi di stagionatura; assume invece un colore più scuro, si ispessisce e diventa rugosa con il progredire della stagionatura; b) Pasta: bianco perlaceo o bianco avorio ai minimi di stagionatura, di colore giallo ocrato con eventuali venature blu verdastre all’interno col progredire della stagionatura; c) Struttura: friabile ai minimi di stagionatura, più compatta col progredire della stagionatura, d) Sapore: fine, delicato e moderatamente salato ai minimi di stagionatura; più saporito col progredire della stagionatura. La percentuale minima di grasso sulla sostanza secca è del 34 %. Il latte destinato alla trasformazione in «Castelmagno» deve essere esclusivamente crudo. Le mungiture devono essere fino ad un massimo di quattro mungiture consecutive. È consentito il raffreddamento del latte per lo stoccaggio ad una temperatura non inferiore ai 6° C. Il latte, dopo l’eventuale scrematura per affioramento, va riscaldato alla temperatura di 30-380 C. Non è consentita la pastorizzazione e la termizzazione del latte. La coagulazione avviene alla temperatura compresa tra 30 e 38° C, in un tempo tra i 30 e i 90 minuti con caglio liquido di vitello (con almeno il 70 % di chimosina). Quando il coagulo ha raggiunto un sufficiente grado di rassodamento lo si rivolta e successivamente lo si rompe mantenendolo sempre all’interno del siero di lavorazione chiamato tradizionalmente «la laita». La rottura successiva viene effettuata dapprima grossolanamente e poi in modo sempre più fine sino ad ottenere granuli caseosi omogenei, delle dimensioni da chicco di mais a nocciola. La lavorazione in caldaia avviene mantenendo la massa in continua agitazione per un tempo da 10 a 15 minuti al fine di facilitare la separazione della cagliata dalla laità che si trova inglobata nelle maglie del coagulo con eventuali soste intermedie. La cagliata così frantumata viene lasciata depositare sul fondo della caldaia o scaricata. La cagliata viene messa in una tela asciutta e pulita chiamata «risola» in tessuto vegetale o sintetico. La risola va poi eventualmente pressata e appesa oppure appoggiata su un piano inclinato. Si lascia riposare per almeno 18 ore, necessarie perché il siero residuo fuoriesca senza l’azione di pressatura. È consentito durante questo riposo raffreddare la cagliata. Trascorso questo periodo di almeno 18 ore, la cagliata viene messa in recipienti (di materiale idoneo all’uso alimentare compreso il legno), sommersa nel siero delle lavorazioni precedenti che deve avere una temperatura di almeno 10° C per un periodo che va dai 2 ai 4 giorni per una regolare fermentazione. Successivamente la cagliata viene rotta e poi finemente tritata, rimescolata e salata. Il prodotto viene ora avvolto in una tela in tessuto vegetale o sintetico, ed introdotto nelle «fascelle» di formatura in legno o altro materiale idoneo ove rimane per almeno un giorno e sottoposta ad una adeguata pressatura manuale o meccanica. Sulla base delle fascelle viene posizionata una matrice recante il marchio di origine in negativo sulla forma, descritto nel presente disciplinare di produzione. È consentita un’ulteriore salatura delle forme a secco per dare colore e consistenza alla crosta del formaggio. La maturazione deve avvenire in grotte naturali fresche ed umide o comunque in locali che ripetano dette condizioni ambientali per un periodo minimo di 60 giorni su assi di legno o altro materiale idoneo. La temperatura di stagionatura deve essere compresa tra i 5 °C e i 15 °C e l’umidità tra 70%-98%. Articolo 3. Il formaggio «Castelmagno» deve essere prodotto, stagionato e confezionato nel territorio amministrativo dei seguenti comuni siti in provincia di Cuneo: Castelmagno, Pradleves, Monterosso Grana, da cui dovrà provenire anche il latte destinato alla trasformazione. Articolo 4. Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori/stagionatori e dei confezionatori, nonchè la tenuta di registri di produzione e condizionamento e la denuncia alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da monte a valle della filiera di produzione) del prodotto. Inoltre, il quantitativo di latte prodotto, nonché i bovini e gli ovi-caprini da cui deriva la materia prima, devono essere soggetti a controllo funzionale. Deve essere sempre presente la scheda tecnica del caglio ed il riferimento al lotto in uso. Devono anche essere denunciate mensilmente il numero delle forme prodotte. Per il formaggio «Castelmagno» che si fregia della menzione aggiuntiva «di Alpeggio», gli appezzamenti sui quali sono gestiti gli animali al pascolo devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Organismo di controllo. Di tali appezzamenti sono determinate le quantità massime di latte prodotto per specie animale di cui si terrà conto nell’emissione dell’autorizzazione alla marchiatura. La stima delle potenzialità massime in termini di litri di latte sostenibile dall’area pascolata deve essere realizzata tenendo conto della composizione floristica, del momento di utilizzazione, della tipologia e del carico animale presente; inoltre deve essere denunciato ogni anno l’inizio e la fine dell’attività di pascolo all’Organismo di controllo. Gli alpeggi devono essere censiti dall’Organismo di controllo. Tutte le persone, fisiche e giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Le condizioni da rispettare sono relative alle strutture destinate alla produzione del latte ed alla sua lavorazione e stagionatura. Le stalle dove viene prodotto il latte devono essere registrate ai sensi della normativa vigente ed i punti di lavorazione devono essere in possesso o del bollo CEE oppure, in caso di aziende che effettuano la vendita diretta, di idonea autorizzazione sanitaria rilasciata sulla base della vigente normativa nazionale. Entro il 10 di ogni mese deve essere dichiarato all’Organismo di controllo il numero di forme prodotte o stagionate da ogni azienda nel mese precedente. Articolo 5. Il formaggio «Castelmagno» prodotto e stagionato può portare la menzione aggiuntiva «di Alpeggio» a condizione che: il latte sia proveniente esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo in alpeggio per un periodo compreso tra l’inizio di maggio e la fine di ottobre. Gli animali devono essere alimentati al pascolo con almeno il 90% di flora locale; tutto il processo produttivo avvenga in alpeggio; la caseificazione avvenga al di sopra dei 1000 metri s.l.m. Articolo 6. I controlli di cui all’art. 10 del Reg. (CEE) n. 2081/92 verranno effettuati dall’Organismo di controllo autorizzato. Articolo 7. Il prodotto viene marchiato all’origine con il logo impresso sulla faccia a contatto con la base della fascella al momento della formatura. Prima dell’immissione del prodotto al consumo verrà, apposta sul formaggio conforme un contrassegno identificativo, che costituisce il marchio di conformità, denominato «sventolina» sulla stessa faccia occupata dal marchio di origine, descritta nel presente disciplinare di produzione. Il marchio di origine è costituito da una «C» stilizzata con abbozzi di vette alpine nella parte superiore ed al centro una forma ellittica di formaggio intagliato. Il marchio è realizzato in due dimensioni: di cm 11,0 x 12,0 per marchiare le forme da 2 a 3 kg. E di cm 15,3 x 16,3 per le forme da 3 a 7 kg. Marchio all’origine Il formaggio «Castelmagno» essendo prodotto tutto al di sopra dei 600 metri s.l.m. reca in etichetta la dicitura «prodotto della montagna»; quando la produzione del latte e la caseificazione avvengono al di sopra dei 1000 metri s.l.m., il formaggio DOP anziché la dicitura «prodotto della montagna» arrecherà in etichetta la dicitura «di alpeggio». Nel caso di formaggio «Castelmagno» prodotto della montagna, la scritta della sventolina sarà in campo colore blu. Per il formaggio «Castelmagno» d’Alpeggio la sventolina porterà la menzione «DI ALPEGGIO» sulle quattro eliche che la compongono; la scritta «CASTELMAGNO» sarà in campo colore verde muschio e i caratteri della scritta «DI ALPEGGIO», posta all’interno della scritta «CASTELMAGNO», avranno un’altezza di 6 mm. Marchio di conformità Su entrambe le scritte verrà riportata la dicitura «crosta non edibile». Indici colorimetri del marchio di conformità: Sventolina per il Castelmagno DOP «Prodotto della montagna»: colore giallo pantone n. 101C, colore blu reflex; Sventolina per Castelmagno DOP «di alpeggio»: colore giallo pantone n. 101C, colore verde pantone n. 348C. Solo a seguito di tale marchiatura ed etichettatura il prodotto potrà essere immesso al consumo con la denominazione di origine protetta «Castelmagno». Il marchio di conformità è costituto da un contrassegno di carta a forma circolare con fustellature a quattro eliche di diametro di cm 18 recanti il medesimo disegno di cui al marchio d’origine. I contrassegni devono recare le diciture di legge oltre alla dicitura Denominazione di origine protetta «Castelmagno» e, se del caso, delle menzioni aggiuntive «prodotto della montagna» o «di Alpeggio». Tutti gli elementi utili alla marchiatura, contenenti il logo costitutivo della Denominazione d’origine protetta che costituisce parte integrante del presente disciplinare di produzione comprensivo della sigla alfanumerica che identifica il casello di produzione, sono detenuti dal Consorzio incaricato e sono dati in uso agli aventi diritto. Articolo 8. Il formaggio può essere venduto al consumo sia intero che al taglio, sia porzionato che preconfezionato: in tali casi dovrà sempre essere riconoscibile il marchio di origine e il contrassegno identificativo, inoltre la porzionatura dovrà essere effettuata soltanto nella zona di produzione del formaggio D.O.P. «Castelmagno». L’etichettatura relativa al prodotto porzionato o preconfezionato deve riportare il nome del produttore e dello stagionatore e deve essere conforme alle vigenti disposizioni normative in materia di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari ed in ogni caso deve sempre consentire la visibilità dei contrassegni costitutivi della D.O.P. e il numero del lotto di appartenenza per permettere una migliore rintracciabilità del prodotto. I prodotti ottenuti dall’elaborazione del formaggio «Castelmagno» sono immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla predetta denominazione, senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: il «Castelmagno» costituisca l’unico componente della categoria merceologica di appartenenza contenuto nel prodotto elaborato; gli utilizzatori del «Castelmagno» siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato della tutela, dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle politiche agricole e forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) n. 2081/92. | D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Cuneo | ||
Fiore sardo Fiore Sardo Disciplinare di produzione - Fiore Sardo DOP(DPR 30 ottobre 1955, modificato dal DPR 28 novembre 1974 – GURI n. 295 del 22 dicembre 1955) (Iscrizione nel "Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette" ai sensi del Reg. CE n. 1107/96) Articolo 1. A modifica di quanto stabilito dall’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1955, n. 1279, la denominazione del formaggio "Fiore sardo" è riconosciuta come denominazione di origine e, pertanto, non è più da considerare come "tipica". Articolo 2. Tale denominazione è riservata al formaggio avente i particolari requisiti fissati dall’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1955, n. 1279, circa i metodi di lavorazione e le caratteristiche merceologiche. Formaggio a pasta dura cruda, prodotto esclusivamente con latte intero di pecora, fresco, coagulato con caglio di agnello o di capretto. La pasta è modellata con particolari stampi per conferire alle forme l'aspetto caratteristico. Dopo una breve sosta in salamoia le forme vengono salate a secco. È usato da tavola quando non supera i tre mesi di stagionatura, o da grattugia se la stagionatura ha superato i sei mesi. Presenta le seguenti caratteristiche: 1. forma costituita da due tronchi di cono molto schiacciati a basi orizzontali, unite fra loro rispettivamente per la base maggiore e conferenti quindi allo scalzo la forma a <<schiena di mulo>>; 2. peso: da Kg 1,500 a Kg 4, con variazioni, in più o in meno, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; 3. crosta da giallo carico a marrone scuro; 4. pasta bianca o giallo paglierino; 5. sapore più o meno piccante a seconda dello stadio della maturazione; 6. grasso sulla sostanza secca: minimo 40%. La zona di produzione del formaggio di cui trattasi comprende l’intero territorio della regione sarda. | D.O.P. | Formaggi | Sardegna | Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio | ||
Fontina Fontina Disciplinare di produzioneArticolo1. Denominazione Il presente disciplinare regolamenta la produzione, la stagionatura e la porzionatura del formaggio a Denominazione di Origine Protetta “Fontina”. La Fontina è un formaggio grasso a pasta semicotta, fabbricato con latte intero di vacca, proveniente da una sola mungitura. Articolo 2. Zona di produzione La zona di produzione, stagionatura e porzionatura del formaggio Fontina è l’intero territorio della Valle d’Aosta. Articolo 3. Materia prima Il latte destinato alla trasformazione in Fontina deve essere prodotto in Valle d’Aosta e avere i seguenti requisiti: - crudo, - intero, - proveniente da una sola mungitura, - di bovina appartenente alla razza valdostana (Pezzata rossa, pezzata nera, castana), alimentata secondo le disposizioni dell’Art.4. Articolo 4. Alimentazione L’alimentazione delle lattifere dev’essere costituita da fieno ed erba verde prodotti in Valle d’Aosta. E’ possibile l’utilizzo dei mangimi concentrati conformi alla normativa vigente. E’ consentito l’uso degli alimenti di seguito elencati nei limiti delle quantità a fianco di ognuno indicate espresse in percentuale sul totale della formulazione del concentrato di cui fanno parte: - farina di girasole di qualità superiore, ovvero con un contenuto in proteine oltre il 30% e in fibra <28% sul tal quale, in ragione non superiore al 10%; - pannelli di lino, di mais e di soia certificato Biologico (in ragione non superiore al 10%; se in abbinamento alla soia integrale, la loro somma deve essere inferiore al 10%); - semola glutinata di mais, in ragione non superiore al 10%; - soja integrale, in ragione non superiore al 5%; se in abbinamento al pannello di soia certificato biologico, la loro somma dev’essere inferiore al 10%; - buccette di soia, in ragione non superiore al 10%; - polpe di bietola, in ragione non superiore al 10% purché in forma di fettucce vergini; - pisello proteico, in ragione non superiore al 10%; - carbonato di calcio < 2%. Sono proibiti i foraggi insilati o fermentati e gli alimenti di seguito riportati: PANNELLI Pannelli diversi da quelli indicati al punto 2. FARINE DI ESTRAZIONE E PROTEICHE DI ORIGINE ANIMALE Farine di estrazione: arachide, colza, ravizzone, cotone, pomodoro, papavero, palmisto, olive, mandorle, noci. Farine proteiche animali: pesce, carne, sangue, sottoprodotti macellazione. FARINE E OLI DI ORIGINE ANIMALE E VEGETALE Farina di ossa, grasso di ossa, oli vegetali (ad esclusione dei preparati vitaminici in veicolo oleoso), sanse. SEMI Cotone, veccia, fieno greco, lupino, colza, ravizzone, ricino, fagioli, lenticchie, pomodori, papavero, tabacco. RADICI, ORTAGGI E FRUTTA Carrube, manioca, tapioca, rutabaga, navone, patata, barbabietola fresca e sottoprodotti freschi (foglie e colletti), olive e sottoprodotti (sanse, pastazzi), ortaggi in genere (cavoli, porri, insalate), rape, pomodori freschi e sottoprodotti (piante, buccette), frutta fresca o essiccata di qualsiasi origine e natura (mele, pere, pesche, uva, agrumi). SOTTOPRODOTTI INDUSTRIALI Industria saccarifera e dolciaria: saccarosio, glucosio, residui di fermentazione (marchi, lieviti), melasso (permesso come legante dei pellets in misura inferiore al 3%). Industria del riso: riso e sottoprodotti (pula, pula vergine, farinaccio, lolla, risina, granaverde e gemma di riso). Industria enologica, della birra e della distillazione: vinacce, vinaccioli, fecce, borlande. Sono altresì vietati tutti i sottoprodotti delle industrie alimentari, della macellazione e lattierocasearia. FONTI AZOTATE Urea, sali ammonio, concentrato proteico di bietole (CPB), borlande di ogni tipo. ALTRO Antibiotici, ormoni e/o stimolanti, terreni di fermentazione, silice, paglia trattata chimicamente, pane secco o fresco. Articolo 5. Trasformazione Prima della coagulazione il latte non deve aver subito riscaldamento a temperatura superiore ai 36°C. Al latte possono essere aggiunte colture di batteri lattici autoctoni (denominati fermenti); conservati sotto la responsabilità del Consorzio Produttori e Tutela dalla DOP Fontina, che li rilascia liberamente a tutti i produttori di Fontina DOP. La coagulazione del latte avviene in caldaie in rame o in acciaio, mediante l’aggiunta di caglio di vitello. Il procedimento deve avvenire ad una temperatura compresa tra i 34°C e i 36°C e deve durare almeno 40 minuti. Deve essere poi eseguita la rottura del coagulo fino a ottenere granuli di cagliata dalle dimensioni paragonabili al chicco di mais. Successivamente deve avvenire la fase di spinatura su fuoco che deve raggiungere una temperatura compresa tra 46°C e 48°C. La spinatura va completata fuori fuoco fino al momento in cui il casaro decide che i granuli di cagliata sono sufficientemente spurgati. Dopo una fase di riposo, comunque non inferiore ai 10 minuti, avviene l’estrazione e l’infagottamento, ossia l’avvolgimento in tele di tessuto della massa caseosa che deve essere posta nelle tipiche fascere a scalzo concavo che vengono impilate e poste sotto pressa. Al primo rivoltamento deve essere applicata una placchetta di caseina, le cui caratteristiche sono indicate nell’art.10, recante un codice identificativo della forma e l’elemento grafico identificativo del prodotto. Prima dell’ultima fase di pressatura deve essere applicata la placchetta di identificazione, così come previsto dall’articolo 10, recante il numero del produttore attribuito dal Consorzio incaricato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. La fase di pressatura si protrae fino alla lavorazione successiva. Durante questo intervallo le forme devono essere rivoltate per favorire lo spurgo della massa caseosa. Al termine della fase di pressatura, entro 24 ore e per un periodo non superiore a 12 ore, le forme possono essere sottoposte all’operazione di salamoia mediante l’immissione in vasconi contenenti una soluzione di acqua e sale. Articolo 6. Rivoltamento, salatura e strofinatura delle forme durante la stagionatura Il rivoltamento, la salatura e la strofinatura delle singole forme vengono eseguite nel modo seguente. La forma viene estratta dallo scaffale e rivoltata per la salatura della faccia che appoggiava sul ripiano, attraverso la distribuzione a spaglio di un leggero strato di sale. Dopo tale operazione la forma viene posizionata nuovamente sul ripiano dello scaffale. Verificato lo scioglimento del sale, la forma viene estratta per essere strofinata sul lato precedentemente salato e sullo scalzo a mezzo di spazzole e di una soluzione di acqua e sale; quindi viene riposta nello scaffale nella sua posizione originaria. Questa sequenza di operazioni, che avviene nei magazzini di stagionatura, permette di trattare entrambe le facce della forma, favorendo il corretto sviluppo della crosta: l’addetto alle suddette operazioni valuta la necessità di compiere l’una o l’altra operazione in base alle caratteristiche delle singole forme da trattare. Articolo 7. Magazzini di stagionatura La maturazione deve svolgersi in magazzini con le seguenti caratteristiche: - umidità almeno 90%; - temperatura compresa tra 5 e 12 °C. Le condizioni di umidità e temperatura di cui al punto precedente si possono ritrovare sia in magazzini che utilizzano tecnologie di condizionamento sia nelle grotte tradizionalmente usate per la maturazione dei formaggi. Articolo 8. Caratteristiche del prodotto Il prodotto Fontina deve possedere le caratteristiche chimiche, fisiche microbiologiche ed organolettiche descritte ai commi successivi. Caratteristiche fisiche: Forma: a) cilindrica tipicamente appiattita b) facce piane c) scalzo in origine concavo, non sempre rilevabile a maturazione Dimensione: a) diametro compreso tra 35 e 45 cm b) altezza variabile compresa tra 7 e10 cm c) peso variabile e compreso tra 7,5 e 12 Kg Crosta: a) compatta di colore marrone da chiaro a scuro a seconda delle condizioni di maturazione e della durata di stagionatura. b) Morbida o semidura con il protrarsi della stagionatura c) sottile Pasta: a) elastica e morbida in relazione al periodo di produzione b) occhiatura caratteristica e dispersa nella forma c) colore variabile dall’avorio al giallo paglierino più o meno intenso Caratteristiche chimiche: la percentuale di grasso deve essere minimo il 45% sulla sostanza secca. Caratteristiche microbiologiche: elevato contenuto in fermenti lattici vivi. Caratteristiche organolettiche: la pasta fondente in bocca ha caratteristico sapore dolce e delicato, più intenso con il procedere della maturazione. Articolo 9. Legame I fattori naturali sono connessi con il tipico ambiente montano della Regione, determinante qualità peculiari della materia prima che si riflettono direttamente nelle caratteristiche del formaggio. Per quanto riguarda i fattori umani, si segnala il tradizionale allevamento della razza autoctona nonché la continuità della tecnica di trasformazione del latte con diffusione del prodotto sui mercati di consumo, prevalentemente del nord Italia. Articolo 10. Identificazione del prodotto Gli elementi di tracciabilità presenti sulla forma sono: la placchetta in caseina, l’identificativo “Consorzio Tutela Fontina” (con acronimo “CTF”) e il marchio. La placchetta in caseina riporta un codice alfanumerico identificativo della forma e si trova sullo scalzo della forma. Gli stampi degli identificativi “Consorzio Tutela Fontina” (con acronimo CTF), riportano anche un codice numerico identificativo del produttore. Gli stampi sono in materiale plastico e di forma rettangolare (10 x 7,5 cm) e vengono applicati su una delle facce piane della forma in fase di pressatura, terminata la quale vengono rimossi. Gli stampi sopra descritti vengono distribuiti dal Consorzio a tutti i soggetti che operano rispettando il disciplinare di produzione della Fontina D.O.P. Il marchio viene impresso sulle forme aventi le caratteristiche di cui all’articolo 8 ed almeno 80 giorni di maturazione a partire dal giorno di produzione dopo il controllo con esito positivo effettuato dalla struttura di controllo. Articolo 11. Condizionamento e etichettatura La Fontina è porzionata nella sola zona di produzione, come definita dall’articolo 2 al fine di garantire il mantenimento delle caratteristiche del prodotto al consumatore finale. La Fontina presenta una crosta umida e un tenore di umidità della pasta tali per cui l’immagazzinamento, lo stoccaggio e le modalità di confezionamento risultano fasi estremamente delicate, da effettuarsi in tempi rapidi, mantenendo le condizioni ambientali ideali (temperatura e umidità) e dedicando particolare cura nel trattamento delle forme da parte degli operatori. La rapidità nelle diverse fasi permette di ridurre al minimo il rischio di sviluppo di muffe sulla crosta e all’interno della pasta. Infatti, lo sviluppo di muffe, oltre a produrre colorazioni anomale della crosta causate dallo sviluppo di miceli fungini, compromette facilmente l’integrità della sottile crosta, provocando una conseguente alterazione delle proprietà della pasta, ovvero una colorazione anomala e un sapore forte e sgradevole, caratteristiche non gradite al consumatore finale. L’etichetta del prodotto porzionato deve riportare: - il marchio distintivo della DOP individuato nell’Art. 13. - logo comunitario - la dicitura “Prodotto di montagna” e “Produit de montagne”. Articolo 12. Organismo di controllo Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del seguente disciplinare è svolto da un organismo autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art.11 del regolamento (CE) N. 510 del 20 marzo 2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni Via S. Gaetano, 74, THIENE (VI) 36016, Tel.+39.0445.313011-Fax.+39.0445.313070, email: csqa@csqa.it. Articolo 13. Caratteristiche del marchio Le caratteristiche grafiche del marchio sono di seguito descritte: - “FONTINA”: scritta realizzata in tracciati, disegno vettoriale. - “ZONA DI PRODUZIONE REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA”: carattere utilizzato Univers 75 Black - “ DOP”: carattere utilizzato Univers Black Extended. - Al centro della composizione compare il tratto di una montagna stilizzata sopra la scritta Fontina. Sotto la dicitura DOP inserita in una ellisse. - Tutti gli elementi costitutivi il marchio completo della DOP Fontina sono da considerarsi inseparabili. Per l’utilizzo del presente marchio è obbligatorio l’utilizzo in positivo su qualsiasi sfondo o superficie sufficientemente chiara da mantenere inalterata la totale leggibilità. In caso di stampa o riproduzione su fogli grigi, disomogenei o comunque scuri, è necessario l’uso in negativo. Per la stampa a colori, il colore di riferimento è il Pantone 1535 CVC. | D.O.P. | Formaggi | Valle d'Aosta | Aosta | ||
Formaggella del Luinese] Formaggella del Luinese Disciplinare di produzione - Formaggella del Luinese DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.) FORMAGGELLA DEL LUINESE è riservata al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal regolamento (CEE) 2081/92 e dal presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione e caratteristiche al consumo La «Formaggella del Luinese» è un formaggio a pasta semidura, prodotto esclusivamente con latte intero e crudo di capra, a coagulazione presamica, con stagionatura minima di venti giorni. 2.1 Caratteristiche morfologiche: Forma: cilindrica, con facce piane; Dimensioni: Diametro: 13-15 cm; Scalzo: 4-6 cm; Peso medio: 700-900 g Aspetto: Crosta naturale, non dura, con possibile presenza di muffe; Pasta morbida, compatta, con eventuale occhiatura fine. 2.2 Caratteristiche fisico-chimiche: Grasso sulla sostanza secca: min 41%; Estratto secco: mm 45%; Tenore in acqua: max 55%. 2.3 Caratteristiche microbiologiche: spiccata prevalenza di una microflora lattica mista (cocchi, bastoncini,omoeterofermentanti), proveniente dal latte, dall'ambiente e dagli innesti. 2.4 Caratteristiche organolettiche: Il sapore è mediamente dolce, delicato, gradevole e si intensifica con il progredire della stagionatura. L'odore e l'aroma sono delicati e anch'essi si intensificano durante la stagionatura. La struttura è elastica, umida, morbida e abbastanza solubile. Il colore della pasta è omogeneo e prevalentemente bianco. Articolo 3. Zona di produzione Il territorio interessato alla produzione del latte, alla caseificazione, alla stagionatura ed al condizionamento della«Formaggella del Luinese», comprende i seguenti comuni appartenenti alla provincia di Varese: Agra, Arcisate, Azzio, Barasso, Bardello, Bedero Valcuvia, Besano, Besozzo, Biandronno, Bisuschio, Brebbia, Bregano, Brenta, Brezzo di Bedero, Brinzio, Brissago Valtravaglia, Brusimpiano, Cadegliano Viconago, Cantello, Casalzuigno, Cassano Valcuvia, Castello Cabiaglio, Caravate, Casciago, Castelveccana, Cittiglio, Clivio, Cocquio Trevisago, Comerio, Cremenaga, Cuasso al Monte, Cugliate Fabiasco, Cunardo, Curiglia con Monteviasco, Cuveglio, Cuvio, Dumenza, Duno, Ferrera di Varese, Gavirate, Gemonio, Germignaga, Grantola, Induno Olona, Lavena Ponte Tresa, Laveno Mombello, Leggiuno, Luino, Luvinate, Maccagno, Marchirolo, Marzio, Masciago Primo, Malgesso, Mesenzana, Montegrino Valtravaglia, Monvalle, Orino, Pino sulla Sponda del Lago Maggiore, Porto Ceresio, Porto Valtravaglia, Rancio Valcuvia, Saltrio, Sangiano, Travedona-Monate, Tronzano Lago Maggiore, Valganna, Varese, Veddasca, Viggiù. Articolo 4. Origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, degli allevatori, dei produttori e dei confezionatori, nonchè attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Il metodo di ottenimento è così schematizzato: al latte crudo al 100% di capra sono aggiunti l'innesto e il caglio; coagulazione; rottura della cagliata; agitazione e sosta; estrazione e messa negli stampi; rivoltamenti; salatura; asciugatura; stagionatura; marchiatura a fuoco nel corso della stagionatura. 5.1. Materia prima: Latte crudo intero 100% di capra. Il periodo di produzione copre l'intero ciclo di lattazione. 5.1.1. Caratteristiche: il latte utilizzato può essere conservato al massimo per 30 ore a una temperatura non superiore a +4°C prima di essere trasformato. 5.2. Ingredienti: latte di capra, caglio naturale, sale. 5.3. Preparazione: il riscaldamento del latte può avvenire con fuoco di legna, gas o vapore. Si utilizza innesto naturale o selezionato, costituito in prevalenza da batteri lattici termofili, con possibilità di aggiunta di piccole dosi di ceppi mesofili. Il caglio impiegato deve essere esclusivamente caglio naturale di vitello. La coagulazione avviene tra 32°C e 34°C, con una durata di 30-40 minuti. La rottura della cagliata avviene quando la consistenza ha raggiunto una densità medio-forte e viene protratta fino al raggiungimento di una grana fine, tendente al chicco di mais. Successivamente, se l'ambiente è particolarmente freddo, avviene un eventuale riscaldamento a una temperatura massima di 38°C, seguito da una fase di agitazione e da una di riposo di circa 15 minuti ciascuna. La formatura avviene in stampi di 14 cm di diametro. 5.4. Trasformazione. La sgocciolatura delle forme viene protratta al massimo per 48 ore a temperatura ambiente, nel corso della quale si effettuano 2-5 rivoltamenti. La salatura può essere eseguita a secco o in salamoia ed è seguita da un'asciugatura a temperatura ambiente. La stagionatura viene effettuata in celle con umidità controllata a 85-95% e con una temperatura massima di 15°C, oppure in cantine a umidità naturale. La fase di stagionatura deve essere protratta per almeno venti giorni. In alternativa all'acciaio e alla plastica alimentare è consentito l'impiego di caldaie in rame e l'utilizzo di tele e di scalere con assi in legno. Non è ammesso l'uso di griglie. Articolo 6. Legame con l'ambiente Le testimonianze storiche che comprovano come il formaggio e la formaggella di capra sia da sempre presente nella tradizione gastronomica dei luoghi sono numerose a partire dalla menzione dello «Specioso formaggio che si fa in Valtravaglia», che si trova in un celebre trattato del XVII secolo (Morigia, Paolo, Historia della nobiltà et degne qualità del Lago Maggiore, Milano, 1603). Questo, analogamente a diverse fonti del periodo medioevale, sottolinea la presenza dell'allevamento nelle Valli del Luinese e come i formaggi fossero ampiamente presenti sui mercati e oggetto di scambi, donazioni e commerci. Ancora, due secoli dopo, i formaggi locali e il loro sapore non mancano di colpire l'attenzione di Luigi Boniforti, che, a proposito della Valtravaglia, annota: «...È fertile specialmente in viti e pascoli: di questi abbondano le supreme parti delle vicine montagne, nell'estiva stagione popolate da un gran numero di mandriani e caprai, che vi ammaniscono piccoli formaggi di gusto piccante, e molto gradito ai riverani...». (Boniforti Luigi, Il Lago Maggiore e dintorni con viaggi ai laghi e ai monti circonvicini, Milano 1814). Riferimenti altrettanto espliciti alle produzioni casearie locali sono di Vagliano (1710), che riferisce dei «casci preziosi» di Porto Valtravaglia e di Binda, che stimava men che mediocri le caciole di Valtravaglia e preferiva il gusto piccante dei formaggini prodotti in valle Veddasca. La «Nota della spesa fatta dalli rev.di sacerdoti di Val travaglia nella visita di mons.re ill.mo card.le Borromeo fatta l'anno 1596 del mese di agosto» riferisce ancora come alcune libbre di formaggio comparissero regolarmene nei pranzi e nelle cene offerte al Cardinale Federico Borromeo. Il legame con il territorio, inteso come insieme dei fattori ambientali e sociali, è sintetizzato dalla stessa filiera produttiva, che si concretizza nella specificità del patrimonio caprino allevato, nella prevalenza del pascolamento, nel razionamento del bestiame e nelle tecniche di caseificazione che vengono condotte secondo metodologie e con strumentazione tradizionale. Tali condizioni determinano uno strettissimo legame tra la qualità del patrimonio caprino, il valore tabulare dei foraggi, le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche del latte impiegato, la sapidità e il valore organolettico del formaggio. A ciò si aggiunga il fattore umano che è depositario di un'antica cultura casearia che si esprime, attraverso strumenti e tecnologie particolari, in una serie di produzioni fortemente caratterizzate dai luoghi. Queste abilità, che ancora permangono fra gli operatori del settore, caratterizzano il patrimonio di competenze e di tecniche casearie che si sono espresse all'interno dell'area geografica anche grazie alla costruzione di un'ampia e specifica serie di strumenti caseari che possono ritenersi tipici dell'area e lo stretto legame con il territorio che si esprime in particolare nella forma di alimentazione del gregge che permane al pascolo per sette o otto mesi avvantaggiandosi di un'ampia variabilità di foraggi. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE 2081/92. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura La «Formaggella del Luinese» a Denominazione di Origine Protetta è immessa al consumo esclusivamente in forma intera e identificata da un'etichetta di carta ad uso alimentare apposta su una faccia che riporta il simbolo grafico così come previsto al successivo art. 9. Sul bordo circolare esterno di colore giallo oro deve essere indicata la sede dell'azienda produttrice e dello stagionatore. È consentita inoltre l'aggiunta di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi, ragioni sociali, marchi privati, non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l'acquirente. Tali indicazioni devono essere di dimensioni inferiori rispetto alla scritta «FORMAGGELLA DEL LUINESE D.O.P.». Inoltre, sullo scalzo del formaggio sarà impresso a fuoco un simbolo grafico costituito da una testa di capra (larghezza e altezza: 3 cm) affiancata ad un numero di matricola identificativo dell'azienda produttrice (altezza 1,5 cm). Il marchio a fuoco sarà impresso trascorsi almeno quindici giorni dalla data di lavorazione. (si omette immagine) Articolo 9. Logo Il marchio di identificazione della FORMAGGELLA DEL LUINESE D.O.P. è di forma circolare di cm 9 di diametro. Esso è formato da un bordo circolare esterno di colore giallo oro e da una parte interna di colore rosso. Sulla parte interna di colore rosso è rappresentata una testa di capra di colore nero sfumato, con collare e campana di colore giallo oro, contornati dalla scritta FORMAGGELLA DEL LUNESE di colore bianco. Tale scritta è divisa in una parte superiore, in cui è rappresentata la parola «FORMAGGELLA», scritta in stampatello, in senso orario, e in una parte inferiore in cui è rappresentata, in stampatello, la scritta «DEL LUINESE» in senso antiorario. La parola «FORMAGGELLA» è preceduta dal logo comunitario per le Denominazioni d'Origine Protetta, di dimensioni adattate e nei colori e caratteri originali, e seguita dall'acronimo D.O.P. dello stesso blu del logo comunitario per le Denominazioni d'Origine Protetta e dello stesso carattere utilizzato per la dicitura FORMAGGELLA DEL LUINESE, inserito in un ovale con sfondo giallo oro e stesso bordo del logo comunitario per le Denominazioni d'Origine Protetta. Inoltre, sopra la scritta DEL LUINESE viene inserita la dicitura AL LATTE CRUDO, in stampatello, di colore bianco su sfondo giallo oro. Caratteristiche tecniche. Forma: cerchio di diametro 9 cm; Colori: giallo oro Pantone 110, rosso Warm Red, i colori del marchio DOP; Carattere: Bodoni grassetto corpo 32, 16 e 9; Immagine: Testa stilizzata della capra della razza Nera di Verzasca; Carta: da alimenti gr. 90 al m2 (si omette immagine) Articolo 10. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la Formaggella del Luinese D.O.P., anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica di appartenenza; gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della Formaggella del Luinese D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal MIPAF in quanto autorità nazionale preposta all'attuazione del regolamento (CEE) 2081/92. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Varese | ||
Formaggio di fossa di Sogliano “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello”è riservata al formaggio che risponde ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto All’atto della sua immissione al consumo il “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello” D.O.P. presenta le seguenti caratteristiche: La parte esterna del prodotto finito varia dal colore bianco avorio al giallo ambrato. Alla fine della stagionatura il “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello” D.O.P. si presenta con forme irregolari, caratterizzate da arrotondamenti e depressioni. La superficie si presenta prevalentemente umida e grassa, in alcuni casi può essere ricoperta di grasso condensato e muffe facilmente asportabili con leggera raschiatura. La presenza di piccole screpolature ed eventuali macchie giallo ocra, più o meno intense, sulla superficie, rientra nelle caratteristiche del prodotto. La buccia è assente o appena accennata. La pasta interna è di consistenza semi dura, facilmente friabile, di colore bianco ambrato o leggermente paglierino. L’odore è caratteristico e persistente , a volte intenso, ricco di aromi che ricordano il sottobosco con sentori di muffa e di tartufo. Il sapore varia a seconda della composizione del formaggio stagionato, secondo le seguenti caratteristiche: - il pecorino presenta un gusto aromatico e sapore fragrante, intenso e gradevole, leggermente piccante, in modo più o meno accentuato; - il vaccino è fine e delicato, moderatamente salato e leggermente acidulo, con una punta di amaro; - il misto presenta sapore gradevole ed equilibrato tra il saporito e l’amabile con sentori amarognoli; La quantità di grasso sulla sostanza secca è superiore al 32 %. Le forme avranno un peso proporzionale al calo fisiologico che subiscono le forme fresche, di cui all’art. 5. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione del “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello” D.O.P. comprende l’intero territorio delle province di Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna, Pesaro-Urbino; Ancona; Macerata; Ascoli Piceno e parte del territorio della Provincia di Bologna, limitatamente ai Comuni di: Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel San Pietro Terme, Castel del Rio, Dozza, Fontanelice, Imola, Loiano, Monghidoro, Monterenzio, Pianoro. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo delle fosse, degli allevatori, dei produttori, degli infossatori, dei porzionatori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Le razze bovine per la produzione del latte sono la Frisona Italiana, la Bruna Alpina, la Pezzata Rossa e relative meticcie. Il latte ovino e bovino utilizzato per la produzione del Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello DOP deve provenire da allevamenti situati nella zona di produzione individuata all’articolo 3 del presente disciplinare. Gli animali possono effettuare sia la stabulazione, sia il pascolo. L’alimentazione base del bestiame stabulato deve essere costituita da foraggi composti da graminacee e leguminose raccolto da prati monofiti, oligofiti e polifiti dei territori regionali, individuati all’art.3, che attraverso il clima e le caratteristiche del suolo determinano la qualità della produzione del latte. Gli animali al pascolo utilizzano le stesse essenze foraggere utilizzate per la fienagione ed i pascoli polifiti spontanei dei territori compresi nel disciplinare di produzione ricchi di flora con specie vegetali erbacee, arbustive e arboree. I foraggi affienati o verdi ed il pascolo possono essere integrati da mangimi semplici (un solo tipo di granaglie) o composti (più tipi di granaglie), con eventuale aggiunta di prodotti minerali/vitaminici. L’integrazione della dieta con mangimi, non deve superare il 30% della razione giornaliera totale. Non è ammesso l’uso di insilati. Il latte impiegato proviene da 2 mungiture giornaliere. Il formaggio deve essere prodotto con l’impiego esclusivo o la miscela delle seguenti tipologie di latte: - latte ovino intero: PECORINO - latte vaccino intero: VACCINO - miscela di latte intero vaccino (massimo 80 %) e di latte intero ovino (minimo 20 %): MISTO Le caratteristiche del latte sono: LATTE BOVINO Grasso p/v % = > 3,4 Proteine p/v % = > 3,0 Carica batterica UF/ml = < 100.000 Cellule somatiche / ml = < 350.000 Sporigeni Anaerobi / litro assenti Sostanze inibenti assenti Punto crioscopico ° C = < 0,520 LATTE OVINO Grasso p/v % = > 6,0 Proteine p/v % = > 5,4 Carica batterica UF/ml = < 1.400.000 Cellule somatiche / ml = < 1.400.000 Sostanze inibenti assenti Viene utilizzato latte crudo, ma è consentito l’utilizzo di latte pastorizzato a 71,7° C per 15 secondi, o a qualsiasi altra combinazione equivalente. La lavorazione del latte deve avvenire entro 48 ore dalla prima munta. Il latte deve essere riposto in recipienti refrigerati. Il latte va coagulato con caglio naturale. È vietato l’uso di additivi. Il latte va quindi messo nelle polivalenti per la fermentazione e il coagulo, che avviene ad una temperatura compresa tra 30°/38° C, con tempi di presa che possono variare da 7 a 20 minuti. Quindi avviene la rottura della cagliata, dopo la quale la pasta viene messa in forme idonee per lo spurgo del siero e sottoposta a pressatura manuale e/o a stufatura. La salatura viene effettuata a secco o in salamoia. La forma della caciotta fresca deve avere un’altezza variabile dai 6 ai 10 centimetri e un diametro variabile dai 12 ai 20 centimetri. Il peso sarà compreso tra 600 e 2000 grammi all’infossatura. La maturazione del formaggio dovrà avvenire per un periodo minimo di 60 giorni ed un massimo di 240, in ambienti provvisti di autorizzazione sanitaria. È consentita la maturazione in cella ad una temperatura compresa tra i 6° C e i 14° C, ad una umidità relativa del 75-92 %. Alla fine della maturazione il formaggio deve presentare una bucciatura asciutta, grassa, ma priva di siero. I formaggi maturi per la stagionatura in fossa devono essere puliti e privi di muffa, racchiusi in sacchi di tela non colorata, idonea per alimenti, legata con spago naturale e contraddistinti con marchio identificativo dell’azienda produttrice e con il numero di identificazione del lotto, utili per riconoscere le varie partite di prodotto e la loro origine, apposti con coloranti ad uso alimentare. Qualora i predetti sacchi contengano una singola forma possono a loro volta essere inseriti in sacchi di capacità superiore. Prima dell’infossatura del formaggio le fosse vanno adeguatamente preparate secondo la seguente metodologia: a) durante il periodo di riposo la fossa viene tenuta chiusa tramite copertura di legno, e aggiunta di sabbia o sassi; b) per l’utilizzo viene aperta e aerata, poi sanificata con fuoco e fumo, incendiando al suo interno piccole quantità di paglia di grano. Spento il fuoco si procede alla pulizia, eliminando ogni residuo di cenere; c) si realizza sul fondo un pavimento sopra elevato, tramite l’utilizzo di tavole di legno non trattato, questo consentirà il deflusso dei liquidi grassi prodotti dalla fermentazione del formaggio, durante la stagionatura; d) viene fatto il rivestimento delle pareti con uno strato minimo di 10 cm. di paglia di grano sorretto da uno steccato verticale di canne; e) la fossa viene riempita accatastando i sacchi di formaggio, rispondenti ai requisiti del presente disciplinare, fino all’imboccatura; dopo un periodo di assestamento, non superiore ai 10 giorni, la fossa può essere rimboccata con aggiunta di prodotto analogo, nello spazio che si è creato; f) riempita la fossa, la bocca viene coperta con teli non colorati e idonei all’uso alimentare, e/o paglia, atti ad evitare la traspirazione. La fossa viene quindi chiusa tramite l’apposizione di un coperchio di legno sigillato con gesso o malta di arenaria calcidrata. E’ ammessa l’ulteriore copertura con sassi, polvere di arenaria, sabbia e/o tavole. g) Da questo momento comincia la stagionatura. h) È vietata l’apertura delle fosse durante l’intero periodo di stagionatura. i) L’infossatura varia da un minimo di 80 giorni ad un massimo di 100 giorni. La sfossatura deve avvenire secondo le seguenti modalità: con lo scalpello e la mazzetta, la bocca della fossa viene liberata dalla copertura e viene aperto il coperchio di legno. Prima di dare inizio alle operazioni di svuotamento della fossa, è necessario aerare la stessa da un minimo di 30 minuti ad un massimo di 6 ore al fine di favorire la discesa dello sfossatore. A tale scopo si utilizzano anche appositi ventilatori per permettere ai gas stagnanti all’interno della fossa di fuoriuscire e rendere l’ambiente più sicuro per l’operatore. Solo un addetto entra all’interno della fossa, vestito con un camice o tuta di colore bianco, scarpe igienicamente predisposte, guanti di lattice e copricapo bianco. I sacchi di formaggio vengono passati ad un altro operatore, sempre opportunamente abbigliato e posizionato ai bordi della fossa, e vengono predisposti su appositi teli, bancali, o contenitori, per evitare il contatto con qualsiasi tipo di pavimentazione. Entro 12 ore dalla fine della sfossatura, le forme verranno consegnate ai proprietari del formaggio, o depositate nei locali provvisti di autorizzazione sanitaria, per le successive operazioni previste dalla legge al fine dell’immissione al consumo del prodotto. Per ottemperare ai requisiti della tradizione e per assicurare le inimitabili qualità organolettiche che fanno di questo prodotto un formaggio unico e immediatamente riconoscibile, sono previsti due distinti periodi di infossatura da effettuarsi nel corso dello stesso anno solare: infossatura primaverile e infossatura estiva. L’infossatura primaverile avrà decorrenza dal 1° marzo e potrà essere effettuata fino al limite massimo del 20 giugno di ciascun anno. L’infossatura estiva avrà decorrenza dal 21 giugno e potrà essere effettuata fino al limite massimo del 21 settembre di ciascun anno. Tra un’infossatura e l’altra viene rispettato un periodo di ripristino della fossa per un minimo di 10 giorni, in modo da permettere le operazioni di pulitura ed asciugatura della fossa stessa. Alla fine dell’infossatura e conseguente stagionatura estiva, le fosse dovranno osservare un periodo di riposo invernale che avrà una durata minima di tre mesi. Ogni fossa non potrà effettuare più di due infossature nel corso dello stesso anno solare. Le operazioni di produzione del latte, di caseificazione, di infossatura, di porzionamento e di confezionamento devono avvenire nella zona delimitata all’art. 3 del presente disciplinare di produzione, al fine di garantire la qualità, la tracciabilità ed il controllo del prodotto. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il processo produttivo del “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello”, presenta caratteristiche del tutto uniche perché indissolubilmente correlate allo specifico ambiente geologico e climatico, nonché alla tradizione propriamente locale, leale e costante nel corso dei secoli, di cui sono abili detentori solo gli infossatori del luogo che si sono tramandati conoscenza e “sensibilità” da generazione in generazione. L’area di produzione si sviluppa lungo il crinale pedecollinare e collinare della dorsale appenninica tra Romagna e Marche. Le caratteristiche geomorfologiche sono: forme dolci e arrotondate dei rilievi, crinali ampi e versanti con pendenze più o meno moderate, che degradano verso i fondovalle. Frequenti e di piccole dimensioni, tranne qualche eccezione, i franamenti inseriti all’interno delle aree colluviali dove la natura del substrato è prevalentemente argillosa. Più stabili sono i pendii a rocce madri arenacee che costituiscono la vera ossatura stabile dell’intero ambito territoriale esaminato. Il territorio in oggetto è formato da sedimenti argillosi, sabbiosi o alternanze di essi, appartenenti ai depositi del Pliocene inferiore e del Quaternario attuale. I siti dove lavorano le fosse sono scavate in una formazione che è composta da una serie di arenarie micaceofeldespatiche, in generale poco cementate, di colore giallo-bruno o giallastre, in strati dello spessore variabile dai 30/40 cm. a 1 mt. circa, con alternanze di sottili livelli di argille marnose grigie e grigio-azzurre. Questa formazione, a luoghi puntiformi, a zolle, o placche di limitate dimensioni, lascia osservare delle laminazioni incrociate sulle rocce arenacee, talora anche delle convolute e/o dei locali fenomeni di franamento sottomarino. La tradizione di infossare si introdusse durante il Medioevo e divenne ben presto parte integrante della civiltà contadina del territorio compreso tra le valli del Rubicone e del Marecchia, fino al fiume Esino, a cavallo della Romagna e delle Marche. L’uso di infossare era naturalmente legato alle necessità di conservazione del prodotto, nonché al desiderio di proteggerlo dalle razzie delle tribù ed eserciti che, nel corso dei secoli, cercarono di occupare il territorio. Le Fosse venivano scavate artificialmente nella roccia viva di arenaria e lasciate grezze. Tale operazione divenne poi così frequente da essere soggetta a precise norme legislative. Le prime documentazioni riguardanti le fosse e le tecniche di infossatura, risalgono al XIV secolo e appartengono agli archivi della famiglia Malatesta, proprietaria del territorio. A partire dal 1350 la Signoria dei Malatesta istituì la Compagnia dell’Abbondanza dentro la cinta muraria, nei castrum, e nelle tumbae, case coloniche sparse sul territorio. Le fosse erano usate per custodire, celare, preservare cereali, generi alimentari di varia natura e per stagionare il formaggio, in caso di assedio, epidemia, carestia e per sottrarlo alle durissime clausole dei contratti che regolavano le colonie. Nel corso dei secoli l’usanza si è mantenuta costante e leale, secondo le regole stabilite dai codici malatestiani. In base alla tradizione, mantenuta storicamente costante nel corso dei secoli, le fosse devono possedere le seguenti caratteristiche: a) fosse scavate manualmente in roccia di arenaria, delle formazioni tipiche del distretto storico in oggetto; b) si prevede la possibilità di attivazione di altre fosse, all’interno della zona geografica individuata, che andranno cartografate e censite e che dovranno superare un periodo di prova della durata di un minimo di cinque infossature, nell’arco di almeno 5 anni, teso a verificare la conformità al presente disciplinare delle caratteristiche geologiche, dell’ambiente interno alle fosse e del prodotto finale; c) unica apertura di accesso superiore, avente larghezza tra 70 cm. e 120 cm. La forma dovrà essere tronco-conica o a fiasco, con una profondità ed una larghezza massima di tre metri. Verranno accettate forme e dimensioni diverse solo per fosse storiche già esistenti (anche se non in uso). Si definisce storica la fossa recuperata all’interno di fabbricati in insediamenti di origine medioevale che evidenziano segni di precedenti utilizzi allo scopo della conservazione di derrate alimentari. La presenza di chiodi infissi sulle pareti irregolarmente levigate, la presenza sul fondo di un pozzetto per la raccolta di percolati, l’arenaria con tracce di grassi assorbiti e affumicata da precedenti sanificazioni con fuoco e fumo sono le caratteristiche delle fosse storiche. d) le pareti devono risultare prive di infiltrazioni; e) il fondo delle fosse deve essere fornito di incavo di scolo e raccolta dei grassi. f) in ottemperanza alla tradizione storica documentata e in coerenza con lo scopo di mantenere il delicato equilibrio tipico e caratteristico solo della zona in oggetto, tra ambiente interno e ambiente esterno alla fossa, le nuove fosse potranno essere create esclusivamente nei borghi, nei centri storici e al servizio delle case coloniche. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare, è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE 510/2006. Articolo 8. Etichettatura Il “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello” DOP è immesso al consumo secondo le seguenti modalità di confezionamento: a) vendita nei sacchi di stagionatura; b) vendita in confezioni sottovuoto, delle forme intere o porzionate; c) vendita in confezioni di carta vegetale. Sulla etichetta devono comparire a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al logo della denominazione, al simbolo grafico comunitario e relative menzioni (in conformità, alle prescrizioni del Reg. CE 1726/98 e successive modifiche) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: - La tipologia di latte utilizzato; - Il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice; - Il luogo, il codice identificativo della fossa ed il periodo di infossatura. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E’ tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore. Il logo della DOP “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello” è costituito dalla forma stilizzata di una fossa, i cui contorni esterni, a forma di trapezio isoscele, rappresentano la pietra arenaria e i cui contorni interni, rappresentano le forme dei formaggi che fuoriescono dalla base minore aperta, del trapezio isoscele. Al centro della fossa è situato il simbolo araldico della Signoria Malatesta, un elefantino. I disegni sono in rosso (pantone 221 CVU) su base giallopaglierino (pantone Yellow Quadricromia retinato al 40 % ). Sotto il semicerchio che delimita la base maggiore del trapezio, si trova la dicitura FORMAGGIO DI FOSSA, in carattere Franklin Gothic Extra Condensed grassetto, stampatello maiuscolo in rosso. Nella due righe sottostanti è riportata la scritta di Sogliano al Rubicone e Talamello in carattere Franklin Gothic Extra Condensed grassetto, stampatello minuscolo in rosso, sempre su base giallo-paglierino. La superficie occupata dal logo di identificazione sopra specificato, non dovrà essere inferiore al 33% della superficie totale dell’etichetta. Attorno al logo, nella parte laterale superiore dell’etichetta a destra e a sinistra formando un semicerchio, va riportata la scritta, sempre in carattere grassetto stampatello minuscolo in rosso,“delle terre Malatestiane e del Montefeltro”, a dimostrazione della continuità storica e del legame con il territorio. Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la DOP “Formaggio di Fossa di Sogliano al Rubicone e Talamello”, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: 9.1. il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; 9.2. gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della DOP riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CE) 510/2006. | D.O.P. | Formaggi | Emilia-Romagna, Marche | Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna, Bologna, Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno | ||
Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana Formai de Mut Disciplinare di produzioneArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine del formaggio "Formai de Mut dell’Alta Val Brembana" il cui uso è riservato al prodotto avente i requisiti fissati con il presente decreto con riguardo ai metodi di lavorazione ed alle caratteristiche organolettiche e merceologiche derivanti dalla zona di produzione delimitata nel successivo art. 3. Articolo 2. La denominazione di origine del formaggio "Formai de Mut dell’Alta Val Brembana" è riservata la formaggio avente le seguenti caratteristiche: formaggio grasso a pasta semicotta prodotto esclusivamente con latte di vacca intero proveniente da una o due mungiture giornaliere a debole acidità naturale. L’alimentazione del bestiame vaccino deve essere costituita da foraggi verdi od affienati che derivano da prato, da pascolo, da prato-pascolo e da fieno di prato polifita della zona di produzione oltre ad eventuali integrazioni con miscela di cereali e nel periodo invernale con insilati di mais o erba. Si produce durante l’intero anno. Il latte deve essere coagulato ad una temperatura tra i 35 e i 37°C, con aggiunta di caglio onde ottenere la cagliata in 30 minuti. Il formaggio deve essere ottenuto con una tecnologia caratteristica e nella lavorazione si effettua una prima rottura della cagliata seguita dalla semicottura della massa caseosa fino alla temperatura di 45-47°C e dalla successiva agitazione fuori fuoco. Devono altresì essere effettuate adeguate pressature utilizzando idonee presse onde consentire lo spurgo del siero. Successivamente vengono utilizzati stampi idonei denominati "fassere". Le salature possono essere effettuate a secco o in salamoia e l’operazione deve ripetersi a giorni alterni per 8-12 giorni. Il periodo di stagionatura ha la durata minima di quarantacinque giorni. È usato come formaggio da tavola quando la maturazione non è inferiore ai sei mesi. Presenta le seguenti caratteristiche: - forma: cilindrico a scalzo diritto o leggermente convesso con facce piane o semipiane; - dimensioni: diametro delle facce da 30 a 40 cm, altezza dello scalzo da 8 a 10 cm, con variazioni in più o in meno in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; - peso della forma: da 8 a 12 kg circa in rapporto alle condizioni tecniche di produzione con variazioni in più o in meno fino ad un massimo del 10%; - confezione esterna: crosta sottile, compatta, naturale di colore giallo paglierino tendente al grigio con la stagionatura; - colore della pasta: di colore avorio leggermente paglierino; - struttura della pasta: compatta, elastica, con occhiatura diffusa da 1 mm di diametro fino alle dimensioni definite di "occhio di pernice"; - sapore: delicato, fragrante, poco salato, non piccante, con aroma caratteristico; - grasso sulla sostanza secca: minimo 45%. Le caratteristiche del formaggio variano in relazione alla durata di stagionatura che può protrarsi oltre l’anno. Articolo 3. La zona di produzione e stagionatura del formaggio di cui sopra comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni sottoelencati ricadenti tutti nella provincia di Bergamo: Averara, Branzi, Carona, Camerata, Cornello, Cassiglio, Cusio, Fiazzatore, Foppolo, Isola di Fronda, Lenna, Mezzoldo, Moio de Calvi, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzolo, Roncobello, Santa Brigida, Valleve, Valtorta, Valnegra. Articolo 4. Sulle forme di formaggio "Formai de Mut dell’Alta Val Brembana" devono risultare le apposite marcature o da altri contrassegni specifici la denominazione di origine del formaggio e gli estremi del presente decreto. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Bergamo | ||
Gorgonzola Gorgonzola Disciplinare di produzione - Gorgonzola DOPArticolo 1. D.O.P. «Gorgonzola» è riservata al formaggio molle, grasso, a pasta cruda, prodotto esclusivamente con latte di vacca intero. Articolo 2. La zona di produzione e stagionatura della D.O.P. "Gorgonzola" comprende l'intero territorio delle province di Bergamo, Biella, Brescia, Como, Cremona, Cuneo, Lecco, Lodi, Milano, Novara, Pavia, Vercelli, Varese, nonchè i seguenti comuni appartenenti alla provincia di Alessandria: Casale Monferrato, Villanova Monferrato, Balzola, Morano Po, Coniolo, Pontestura, Serralunga di Crea, Cereseto, Treville, Ozzano Monferrato, San Giorgio Monferrato, Sala Monferrato, Cellamonte, Rosignano Monferrato, Terruggia, Ottiglio, Frassinello Monferrato, Olivola, Vignale, Camagna, Conzano, Occimiano, Mirabello Monferrato, Giarole, Valenza, Pomaro Monferrato, Bozzole, Valmacca, Ticineto, Borgo San Martino e Frassineto Po. Articolo 3. La produzione del formaggio a D.O.P. «Gorgonzola» avviene secondo la seguente sequenza operativa: Il latte intero di vacca proveniente dalla zona di produzione viene pastorizzato, cagliato ad una temperatura di 28-36°C, inseminato con fermenti lattici e con una sospensione di spore di pennicillium e di lieviti selezionati ed addizionato con caglio di vitello; Dopo qualche giorno si procede alla salatura a secco che è continuata per alcuni giorni in ambiente con temperatura di 18-24 °C. Durante la maturazione la pasta viene più volte forata per favorire lo sviluppo delle varietà e ceppi di penicillum, caratteristici del "Gorgonzola" e determinanti la colorazione verde/bluastra (erborinatura). La stagionatura che può protrarsi anche per 2 o 3 mesi, e comunque la durata minima della stagionatura può essere quantificata in cinquanta giorni, viene effettuata in ambienti con temperatura di 2-7 °C e un'umidità del 85/95%. La D.O.P. "Gorgonzola" deve presentare le seguenti caratteristiche: forma cilindrica a scalzo alto e diritto con facce piane; La durata minima della stagionatura è di cinquanta giorni: tale operazione si effettua in ambienti con temperatura di 2 - 7° C e con umidità relativa di 85-99%. Articolo 4. La D.O.P. «Gorgonzola» deve presentare le seguenti caratteristiche: forma cilindrica con facce piane; scalzo diritto con altezza minima di cm 13; diametro della forma compreso tra cm 20 e cm 32; crosta di colore grigio e/o rosato, non edibile; pasta: unita, di colore bianco e paglierino, screziata per sviluppo di muffe (erborinatura) con venature caratteristiche blu-verdastre; grasso sulla sostanza secca: minimo 48%. Il formaggio a D.O.P. «Gorgonzola» può essere immesso al consumo nelle seguenti tipologie il cui sapore dipende dal protrarsi della stagionatura: 1. forma «grande»: peso compreso tra kg 10 e kg 13, con sapore dolce o leggermente piccante; 2. forma «media»: peso compreso tra kg 9 e kg 12, con sapore decisamente piccante e con durata minima di stagionatura di ottanta giorni; 3. forma «piccola»: peso compreso tra kg 6 e kg 8, con sapore decisamente piccante con durata minima di stagionatura di sessanta giorni. Il formaggio a D.O.P. «Gorgonzola» viene utilizzato da tavola. Articolo 5. La DOP «Gorgonzola» è contraddistinta da due marchi da apporsi nella zona di produzione: 1) uno all'origine (allegato 1) che viene apposto su entrambe le facce piane contenente il numero di identificazione del caseificio, ottenuto mediante l'applicazione delle matrici distribuite dal Consorzio di tutela, incaricato dal Ministero delle politiche agricole e forestali; 2) l'altro al momento in cui il prodotto ha raggiunto le caratteristiche per l'immissione al consumo e che consiste in un foglio di alluminio goffrato che avvolge la forma, recante anch'esso il marchio identificativo (allegato 2). La forma «grande» avente le caratteristiche per essere definita «dolce», e le forme «media» e«piccola» aventi le caratteristiche per essere definite «piccante», potranno rispettivamente portare in etichetta dette indicazioni accanto o al di sotto della denominazione «Gorgonzola», utilizzando caratteri grafici di dimensioni significativamente inferiori. | D.O.P. Gorgonzola video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=Zd_rb02PvCQ[/embedyt] | Formaggi | Piemonte, Lombardia | Alessandria, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Cuneo, Milano, Novara, Pavia, Vercelli | ||
Grana Padano Grana Padano Disciplinare di produzione - Grana Padano DOPArticolo 1. La denominazione di origine protetta GRANA PADANO si riferisce al formaggio prodotto durante tutto l’anno con latte crudo di vacca decremato in parte mediante affioramento naturale, a pasta cotta, duro e a lenta maturazione, usato da tavola o da grattugia, e che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO FINITO Le caratteristiche del prodotto al momento dell’immissione al consumo sono: CARATTERISTICHE FISICHE Forma: cilindrica, scalzo leggermente convesso o quasi dritto, facce piane, leggermente orlate. diametro della forma: da 35 a 45 cm.; altezza dello scalzo: da 18 a 25 cm., con variazioni per entrambi, in più o in meno, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; peso: da 24 a 40 kg; crosta: dura e liscia, con spessore di 4-8 mm; pasta: dura, con struttura finemente granulosa, frattura radiale a scaglia e occhiatura appena visibile. CARATTERISTICHE CHIMICHE Grasso sulla sostanza secca: minimo 32%. CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE Colore della crosta: scuro o giallo dorato naturale; colore della pasta: bianco o paglierino; aroma: fragrante; sapore: delicato. CARATTERISTICHE DELLA TIPOLOGIA ‘GRATTUGIATO’ DEL GRANA PADANO D.O.P. Il GRANA PADANO D.O.P. nella tipologia ‘grattugiato’ è ottenuto esclusivamente da formaggio intero già certificato. Le operazioni di grattugia devono essere effettuate nell’ambito della zona di produzione del GRANA PADANO D.O.P. Il confezionamento deve avvenire immediatamente, senza nessun trattamento e senza aggiunta di altre sostanze. Ferme restando le caratteristiche tipiche del GRANA PADANO D.O.P. individuate nel presente disciplinare, il GRANA PADANO D.O.P. nella tipologia ‘grattugiato’ deve presentare le seguenti caratteristiche: - umidità: non inferiore al 25% e non superiore al 35%; - aspetto: non pulverulento ed omogeneo, particelle con diametro inferiore a 0.5 mm non superiori al 25%; - quantità di crosta: non superiore al 18%. Art. 3 - ZONA DI PRODUZIONE E GRATTUGIATURA La zona di produzione e di grattugiatura del GRANA PADANO D.O.P. è il territorio delle province di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbania, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova a sinistra del Po, Milano, Monza, Pavia, Sondrio, Varese, Trento, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Bologna a destra del Reno, Ferrara, Forlì Cesena, Piacenza, Ravenna e Rimini. Esclusivamente con riferimento alla produzione del latte, la zona di origine si estende anche all’intero territorio amministrativo dei comuni di Anterivo, Lauregno, Proves, Senale- S. Felice e Trodena nella provincia autonoma di Bolzano. Articolo 4. MATERIA PRIMA Il formaggio GRANA PADANO D.O.P. è prodotto a partire da latte crudo di vacca proveniente da vacche munte due volte al giorno e che, ad esclusione del latte destinato a Trentingrana, non si avvalga delle deroghe previste dalla vigente normativa sanitaria per quanto riguarda la carica batterica totale e il tenore di cellule somatiche. La raccolta del latte deve avvenire entro le ventiquattro ore dall’inizio della prima mungitura. 4.1 L’alimentazione base delle bovine da latte è costituita da foraggi verdi o conservati, e viene applicata alle vacche in lattazione, agli animali in asciutta ed alle manze oltre i 7 mesi di età. 4.2 L’alimentazione delle vacche da latte si basa sulla utilizzazione di alimenti ottenuti dalle coltivazioni aziendali o nell’ambito del territorio di produzione del latte del GRANA PADANO D.O.P., come individuato all’articolo 3. Nella razione giornaliera non meno del 50% della sostanza secca deve essere apportata da foraggi con un rapporto foraggi/mangimi, riferito alla sostanza secca, non inferiore a 1. 4.3 Il rapporto fra Formaggio GRANA PADANO D.O.P. ed il territorio è assicurato dalla prevalente utilizzazione di alimenti ottenuti dalle coltivazioni effettuate nell’ambito del territorio di produzione del GRANA PADANO D.O.P., con particolare rilevanza per gli alimenti di origine aziendale. Per questo motivo almeno il 70% della sostanza secca dei foraggi della razione giornaliera deve provenire da alimenti prodotti nel territorio di produzione del latte. 4.4 I Foraggi ammessi sono: Foraggi freschi - foraggi freschi da prati stabili od artificiali o sfalciati. Le essenze foraggere idonee sono: erbe di prato stabile polifita, di medica, trifoglio; erbai singoli od associati composti da loietto, segale, avena, orzo, granturchino, frumento, sorgo da ricaccio, mais, panico, erba mazzolina, festuca, fleolo, lupinella, pisello, veccia e favino. Fieni: ottenuti dall’essiccamento in campo, con tecniche di aeroessiccazione o per disidratazione, delle essenze foraggere utilizzabili come foraggi verdi. Paglie: di cereali quali frumento, orzo, avena, segale, triticale. Insilati, non ammessi per la produzione della tipologia Trentingrana: - trinciato di mais; - fieni silo. 4.5 Mangimi ammessi Di seguito è riportato l’elenco delle materie prime per mangimi, raggruppate per categorie, ammesse ad integrazione dei foraggi, nell’alimentazione delle vacche in lattazione, degli animali in asciutta e delle manze oltre i 7 mesi di età destinate alla produzione del latte per la trasformazione in formaggio GRANA PADANO D.O.P.. Cereali e loro derivati: - Mais, orzo, frumento, sorgo, avena, segale, triticale: granelle, sfarinati e relativi derivati sia essiccati che insilati, compresi gli schiacciati, i derivati trattati termicamente come fiocchi, gli estrusi, micronizzati, derivati della lavorazione dei prodotti da forno. Pastoni di mais: spiga integrale del mais sfarinata in Pastone integrale di mais o in Pastone di pannocchia; granella umida sfarinata in Pastoni di farina umida. Semi oleaginosi loro derivati - soia, cotone, girasole, lino: granelle, sfarinati e relativi derivati, quali farine di estrazione espeller, sottoposti anche a trattamenti termici. Tuberi e radici, loro prodotti - Patata e relativi derivati. Foraggi disidratati - Essenze foraggere: paglia di cereali, tutolo di mais, pianta integrale di mais, tal quali, trinciati, sfarinati o pellettati. Derivati dell'industria dello zucchero - Polpe secche esauste, polpe secche semizuccherine, polpe melassate; - melasso e/o derivati: solo come adiuvanti tecnologici ed appetibillizzanti pari ad un valore massimo del 2,5% della sostanza secca della razione giornaliera. Semi di Leguminose, carrube - Pisello proteico , fave, favino: granelle, sfarinati e relativi derivati. - Carrube: essiccate e relativi derivati. Grassi - Grassi di origine vegetale con numero di iodio non superiore a 70, acidi grassi da oli di origine vegetale con acidi grassi tal quali o salificati. Sono ammessi olii di pesce per soddisfare il fabbisogno giornaliero di vitamine liposolubili. Minerali Additivi Fra gli aromi e gli antiossidanti sono ammessi solo quelli naturali e i prodotti sintetici corrispondenti. Articolo 5. DESCRIZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO Il latte crudo, conservato alla stalla e trasportato, deve avere una temperatura non inferiore agli 8°C. È ammessa la lavorazione del latte di una singola munta o di due munte miscelate dopo averlo lasciato riposare e affiorare naturalmente. È pure ammessa la lavorazione del latte di due munte miscelate di cui una sola delle due è lasciata riposare e affiorare naturalmente. Il latte deve essere parzialmente decremato mediante affioramento naturale, a temperatura compresa tra 12 e 20°C, in modo che il rapporto grasso/caseina nella caldaia sia compreso tra 0,80 e 1,05. Per il Trentingrana il rapporto grasso/caseina del latte in caldaia massimo è di 1,15. Detto rapporto è altresì consentito per ogni altro caso in cui il latte proveniente dalla miscela di due munte preveda che una delle due sia lasciata riposare. Il latte, dalla stalla alla sua lavorazione, non può subire alcun trattamento fisico, meccanico o termico, che ne modifichi lo status di latte crudo naturale. Il latte viene, quindi, messo nelle caldaie a campana rovesciata, in rame o con rivestimento interno in rame. È ammesso l’uso di lisozima, con esclusione del Trentingrana, fino ad un massimo di 2,5 g per 100 chilogrammi di latte. La coagulazione è ottenuta con caglio di vitello, previa aggiunta di siero innesto naturale. Nei casi in cui si dovesse riscontrare un valore di acidità di fermentazione del siero innesto a 24 ore inferiore a 26° Soxhlet Henkel/50ml è ammessa, fino ad un massimo di dodici volte all’anno, l’aggiunta di batteri lattici autoctoni, quali Lactobacillus helveticus e/o lactis e/o casei, all’inizio della preparazione del siero innesto per il giorno successivo. La cagliata è rotta in granuli fini e cotta fino a quando i granuli diventano elastici, a una temperatura massima di 56°C e lasciati totalmente immersi nel siero, nella medesima caldaia, fino ad un massimo di 70 minuti a decorrere da fine cottura. Viene poi immessa nelle apposite fascere, per almeno 48 ore, che imprimono i contrassegni di origine e quindi in salamoia per un periodo di tempo fra i 14 e i 30 giorni a decorrere dalla messa in salamoia. La maturazione naturale viene effettuata conservando il prodotto in ambiente con temperatura da 15° a 22°C. Viene sottoposto ad espertizzazione, non prima del compimento dell’ottavo mese dalla formatura, solo il formaggio che presenta un valore della fosfatasi alcalina, nella parte di pasta situata ad un centimetro sotto crosta prelevata a metà altezza dello scalzo, di almeno 300.000 milliunità di fluorescenza per chilogrammo di formaggio, misurato con metodo fluorimetrico, e comunque compatibile con l’impiego di latte crudo e che altresì rispetta tutti i parametri previsti dal presente disciplinare all’articolo 2. L’espertizzazione darà quindi luogo alla marchiatura a fuoco, oppure darà luogo alla cancellazione dei contrassegni d’origine impressi dalle fascere, mediante retinatura o sbiancatura, qualora il prodotto non abbia le caratteristiche richieste dall’articolo 2. Il prodotto non può essere commercializzato come GRANA PADANO D.O.P. prima del compimento effettivo del nono mese di età. Prima di detto termine il formaggio non può uscire dalla zona di produzione. Articolo 6. CONTROLLI Il controllo per l’applicazione del presente Disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato o da un’autorità pubblica designata, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Reg. CEE 2081/92 del 14.7.1992. Articolo 7. COMMERCIALIZZAZIONE DEL PRODOTTO TRASFORMATO 7.1. AUTORIZZAZIONE AL CONFEZIONAMENTO Il condizionamento del prodotto GRANA PADANO D.O.P., inteso come qualsivoglia tipologia e pezzatura – sia in porzioni che grattugiato, sia munita che priva di crosta (scalzo) - con impiego della Denominazione di Origine Protetta e del logo che la contraddistingue, può avvenire unicamente ad opera di soggetti titolari di apposita autorizzazione al confezionamento rilasciata dal Consorzio di Tutela, soggetto riconosciuto e incaricato a svolgere le funzioni di cui all’art. 14, comma 15, della legge 21 dicembre 1999, n. 526. Sono previste due distinte autorizzazioni al confezionamento, l’una relativa agli spicchi con crosta e l’altra relativa al grattugiato. Qualsiasi tipologia di prodotto confezionato che non riporti la crosta (bocconcini, tranci non muniti di crosta, scaglie o simili) è assimilata al grattugiato e soggetta alle prescrizioni previste per lo stesso. 7.2. VINCOLI TERRITORIALI PER LA TIPOLOGIA ‘GRATTUGIATO’ Al fine di salvaguardare nel migliore dei modi la qualità, assicurare la rintracciabilità e garantire il controllo del prodotto, le autorizzazioni al confezionamento del formaggio GRANA PADANO D.O.P. per la tipologia ‘grattugiato’ e per le tipologie ad esso assimilate potranno essere rilasciate unicamente a soggetti economici operanti all’interno della zona di produzione individuata all’articolo 3 e limitatamente allo stabilimento ubicato nella predetta zona. Per il rilascio delle autorizzazioni in questione sarà necessario il preventivo nulla osta da parte dell’Organismo di controllo incaricato, a seguito degli opportuni accertamenti da quest’ultimo effettuati presso la ditta richiedente. 7.3. ECCEZIONI L’autorizzazione al confezionamento non è richiesta nel solo caso del cosiddetto“preincartato”, ossia il prodotto che venga posto sottovuoto contestualmente alla vendita a richiesta del cliente. 7.4. UTILIZZO DI GRANA PADANO D.O.P. IN PRODOTTI COMPOSTI, ELABORATI O TRASFORMATI I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la D.O.P. "GRANA PADANO", anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione, senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione di origine protetta. In mancanza dell’autorizzazione di cui sopra da parte del Consorzio di tutela incaricato, il riferimento all’utilizzo della D.O.P. "GRANA PADANO" potrà avvenire unicamente tra gli ingredienti del prodotto che la contiene, o nel quale è trasformata o elaborata. Articolo 8. ETICHETTATURA Il contrassegno ufficiale attestante il possesso dei requisiti che legittimano l'uso della Denominazione di Origine Protetta GRANA PADANO e che deve dunque comparire tanto sulle forme intere quanto su tutte le confezioni di formaggio GRANA PADANO D.O.P. in porzioni e grattugiato è costituito da un disegno romboidale, attraversato, in corrispondenza della diagonale minore, da una grande fascia delimitata da due strisce parallele superiori e da due strisce parallele inferiori; nel centro della fascia sono iscritte, disposte su due righe, le parole “GRANA” e “PADANO”, in carattere stampatello maiuscolo. Dentro gli angoli superiore e inferiore del romboide, aventi i vertici arrotondati, sono iscritte rispettivamente le iniziali “G” e “P”. Il formaggio GRANA PADANO D.O.P. è individuato mediante i contrassegni: A) SULLE FORME: 1 – della tipologia GRANA PADANO Le fasce marchianti che imprimono a freddo il marchio di origine sulle forme all’atto della formatura si compongono di una serie di losanghe romboidali tratteggiate che riportano al loro interno alternativamente le parole “GRANA “ e “PADANO” scritte in caratteri maiuscoli e leggermente inclinati verso destra e tratteggiati, sfalsate tra loro e ripetute in continuo su tutto il giro della forma, salvo uno spazio vuoto destinato all’apposizione del marchio a fuoco GRANA PADANO come sopra individuato; al centro figura un quadrifoglio, che riporta al suo interno, dall’alto in basso, le due lettere, in carattere maiuscolo, che costituiscono la sigla della provincia nella quale è situato il caseificio produttore, il numero di matricola del caseificio medesimo, composto di tre numeri, e la dicitura “DOP”, oltre a due piccoli ovali e due piccoli cerchi che interrompono ciascuno una losanga tratteggiata, posti rispettivamente sopra e sotto e a destra e sinistra del numero di matricola; in basso alla sinistra del quadrifoglio figura il bollo CEE, che identifica, ai fini sanitari, lo stabilimento di produzione, mentre sulla destra del quadrifoglio, sotto allo spazio riservato all’apposizione del marchio a fuoco GRANA PADANO, compare l’indicazione del mese e dell’anno di produzione, rispettivamente con tre lettere e due cifre. Quanto descritto e qui di seguito riprodotto si riferisce all’effetto finale sul formaggio, ma si precisa che nelle fascere l’ordine degli elementi citati appare invertito, ovvero il bollo CEE figura alla destra del quadrifoglio e lo spazio per il marchio a fuoco e l’indicazione del mese ed anno di produzione si trovano alla sinistra del quadrifoglio medesimo). sviluppo in piano dell’effetto finale sul formaggio: 2 – della tipologia TRENTINGRANA Unicamente per il GRANA PADANO D.O.P. prodotto nella Provincia autonoma di Trento, e a condizione che nella produzione sia impiegato latte proveniente dagli allevamenti di vacche lattifere che insistono nelle vallate alpine del territorio medesimo, ovvero nell’intero territorio amministrativo dei comuni della provincia autonoma di Bolzano indicati al precedente art. 3, alimentate con foraggi con esclusione, per tutto l’anno, di insilati di ogni tipo, è consentito riportare il riferimento alla zona di origine, mediante i contrassegni di seguito descritti e riprodotti. Le specifiche fasce marchianti previste per la tipologia TRENTINGRANA come sopra individuata si compongono di una fila in alto e una in basso di losanghe romboidali tratteggiate attraversate dalla parola “TRENTINO”, scritta in caratteri maiuscoli e leggermente inclinati verso destra e tratteggiati; nella parte centrale, fra le forme stilizzate di alcune montagne, si leggono le parole “TRENTINO” scritte bifrontali; al centro figura un quadrifoglio, che riporta al suo interno, dall’alto in basso, le due lettere “TN” in carattere maiuscolo, sigla della provincia di Trento nella quale è situato il caseificio produttore, il numero di matricola del caseificio medesimo, composto di tre numeri, e la dicitura “DOP”, oltre a due piccoli ovali e due piccoli cerchi posti rispettivamente sopra e sotto e a destra e sinistra del numero di matricola; in basso sulla destra del quadrifoglio, sotto allo spazio riservato all’apposizione del marchio a fuoco GRANA PADANO, compare l’indicazione del mese e dell’anno di produzione, rispettivamente con tre lettere e due cifre. Quanto descritto e qui di seguito riprodotto si riferisce all’effetto finale sul formaggio, ma si precisa che nelle fascere l’ordine degli elementi citati appare invertito, ovvero lo spazio per il marchio a fuoco e l’indicazione del mese ed anno di produzione si trovano alla sinistra del quadrifoglio medesimo). sviluppo in piano dell’effetto finale sul formaggio: L’azione identificativa dell’origine da parte delle fasce marchianti è integrata con l’apposizione di una placca di caseina, recante la scritta “GRANA PADANO”, l’anno di produzione e un codice alfanumerico, disposto su due righe, che identifica in maniera univoca ogni singola forma, al fine di garantire in modo esatto la tracciabilità del prodotto. Oltre al GRANA PADANO D.O.P. tal quale, quello regolarmente marchiato a fuoco con la losanga GP GRANA PADANO, al termine del periodo minimo di stagionatura previsto dal disciplinare di produzione e previo accertamento dei requisiti di qualità mediante l’espertizzazione, è prevista, su base volontaria, l’ulteriore categoria di prodotto denominato “Grana Padano RISERVA”. La qualifica in questione contraddistingue un formaggio che abbia una stagionatura di almeno 20 mesi dalla formatura e presenti le seguenti caratteristiche qualitative: - scelto sperlato; - pasta a grana evidente con chiara struttura radiale a scaglia; - colore omogeneo bianco o paglierino; - assenza di odori anomali; - sapore fragrante e delicato. L’appartenenza alla categoria “Grana Padano RISERVA” viene sancita da un secondo marchio a fuoco, apposto sullo scalzo delle forme a richiesta degli operatori, con le stesse modalità previste per l’apposizione del marchio D.O.P.. Il marchio in questione è costituito da un disegno circolare, attraversato trasversalmente al centro da una grande fascia delimitata da una striscia superiore e da una striscia inferiore parallele; nel centro della fascia è iscritta la parola “RISERVA”, in carattere maiuscolo. Dentro la lunetta superiore sono iscritti la parola “OLTRE”, in carattere maiuscolo, e il numero “20”, mentre dentro quella inferiore è iscritta la parola “MESI”, sempre in carattere maiuscolo. La riproduzione del marchio a fuoco in questione è la seguente: Trattandosi di un marchio eventuale, non è previsto uno spazio sulla fascera riservato all’apposizione del marchio in questione. In ogni caso esso verrà apposto in prossimità del quadrifoglio, dalla parte opposta a quella dove già figura il marchio a fuoco GRANA PADANO. B) SULLE CONFEZIONI Il formaggio confezionato dai confezionatori autorizzati deve riportare sulle confezioni il logo GRANA PADANO. Nella riproduzione sulle confezioni, il contrassegno ufficiale attestante il possesso dei requisiti che legittimano l'uso della Denominazione di Origine Protetta GRANA PADANO, così come descritto all’inizio del presente articolo, insiste su uno sfondo di colore pantone 109 c di forma corrispondente ma leggermente più ampio del tratto per il nero. I parametri per riprodurre il logo sulle confezioni sono i seguenti: Font: FUTURA BOLD Dimensione minima consentita: Anche per quanto riguarda il prodotto confezionato, oltre al GRANA PADANO D.O.P. tal quale, quello regolarmente marchiato a fuoco con la losanga GP GRANA PADANO al termine del periodo minimo di stagionatura previsto dal disciplinare di produzione e previo accertamento dei requisiti di qualità mediante l’espertizzazione, è prevista un’ulteriore categoria di prodotto, sempre su base volontaria: il “Grana Padano OLTRE 16 MESI”. La tipologia di prodotto in questione consente agli operatori che fossero interessati di evidenziare una stagionatura del prodotto prolungata oltre il termine minimo previsto, fornendo al consumatore un’informazione ulteriore. Il formaggio acquisisce la legittimazione a rientrare in tale categoria, unicamente sulla base del trascorrere del tempo, a decorrere dal compimento del sedicesimo mese di stagionatura, dalla formatura. Sulle confezioni contenenti il formaggio rientrante nella categoria in questione, il logo GRANA PADANO come sopra descritto è completato dalla specifica “OLTRE 16 MESI”, disposta su una sola riga e realizzata in carattere nero e su sfondo giallo pantone 109 c, con le parole “OLTRE” e “MESI”, in carattere maiuscolo, poste fra due strisce parallele una sopra e una sotto le parole medesime. | D.O.P. Grana Padano video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=b3qR5-1f7PY[/embedyt] | Formaggi | Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Prov. Aut. di Trento, Veneto | Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Padova, Trento, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Bologna, Ferrara, Forlì, Piacenza, Ravenna | ||
Montasio Montasio Disciplinare di produzione - Montasio DOPG.U. n° 301 del 28.12.2005 La D.O.P. «Montasio» e' riservata al formaggio a pasta dura, cotto, prodotto esclusivamente con latte di vacca, di media e lunga stagionatura, di forma cilindrica a scalzo diritto o quasi diritto, con facce piane o leggermente convesse. La zona di produzione della D.O.P. «Montasio» comprende: Friuli-Venezia Giulia: l'intero territorio; Veneto: l'intero territorio delle province di Belluno e Treviso e parte del territorio delle province di Padova e Venezia cosi' come delimitato: «dall'intersecare della linea di confine della provincia di Treviso con quella di Padova, si prosegue lungo quest'ultima fino ad incontrare l'autostrada Serenissima. Si prosegue lungo questa linea fino al ponte autostradale sul fiume Brenta quindi lungo detto fiume fino alla foce». Gli allevamenti che forniscono latte ai fini della trasformazione in formaggio a D.O.P. «Montasio» devono essere ubicati nella zona di produzione. Essi non devono utilizzare: 1) alimenti da terreni acquitrinosi; 2) alimenti da bordi strade a denso traffico; 3) ortaggi, frutta, barbabietole e colza; 4) insilati (con esclusione del fieno-silos e del silo-mais) e sostanze fermentate provenienti dalle lavorazioni industriali di frutta, bietole, birra e distillati; 5) mangimi industriali medicati; 6) sottoprodotti lavorazione riso; 7) farine di origine animale; 8) polpe di bietola fresche, umide o insilate sottoprodotti della birra e distillati. Nel periodo di conservazione del latte presso la stalla e' vietato aggiungere conservanti ed effettuare qualsiasi trattamento termico, eccettuato il raffreddamento fino ad un minimo di 4 °C. I caseifici che producono formaggio a D.O.P. «Montasio» e gli stabilimenti di stagionatura devono essere ubicati nella zona di produzione. Il latte utilizzato: deve provenire dalla munta serale e da quella della mattina, fino ad un massimo di quattro mungiture consecutive. Deve essere lavorato entro trenta ore dalla raccolta. Deve essere ricevuto e stoccato a temperatura non inferiore a 4 °C. Per quanto attiene il tenore in germi a 30° C (x ml) e le cellule somatiche (per ml) il latte utilizzato deve essere conforme e rispettare il disposto del decreto del Presidente della Repubblica n. 54 del 14 dicembre 1997, allegato A, capitolo IV. Il latte destinato alla D.O.P. «Montasio» non deve essere sottoposto a trattamenti di pastorizzazione e deve presentare un'analisi della fosfatasi chiaramente positiva. E' utilizzato caglio di vitello, liquido o in polvere e sale alimentare secondo la normativa vigente. E 'consentito l'uso del lisozima. La produzione del formaggio a D.O.P. «Montasio» avviene secondo la seguente sequenza operativa: 01) riscaldamento del latte a 32-36 °C; 02) aggiunta innesto/fermento naturale selezionato; 03) aggiunta caglio in polvere o liquido; 04) coagulazione del latte; 05) rottura della cagliata; 06) cottura a 42-48 °C e spinatura fuori fuoco per un tempo complessivo di venti/trenta minuti; 07) estrazione della cagliata; 08) pressatura e rivoltamento delle forme; 09) marchiatura all'origine con fascere personalizzate con apposizione del codice del caseificio e della sigla della provincia e la data di produzione (anno, mese e giorno) come riportato in figura 1; 10) salatura a secco oppure in salamoia leggera con eventuale completamento a secco; 11) stagionatura minima di sessanta giorni a temperature non inferiori a 8 °C per i primi trenta giorni e superiori nel prosieguo della stagionatura. Al decimo giorno di stagionatura il formaggio a D.O.P. «Montasio» deve presentare una umidità massima non superiore al 42,84%. Sono ammessi valori di analisi entro i dieci giorni superiori a tale limite a condizione che il formaggio atto a diventare D.O.P. Montasio, opportunamente identificato, al solo successivo controllo effettuato al sessantesimo giorno di stagionatura, presenti valori di umidità conformi alla specifica prevista per tale stagionatura. Al sessantesimo giorno di stagionatura il formaggio a D.O.P. «Montasio» deve presentare le seguenti caratteristiche: 1) umidita' massima non superiore a 36,72%; 2) grasso nella sostanza secca: minimo 40%; 3) peso: 6-8 kg; 4) diametro: forma 30-35 cm; 5) scalzo: massimo 8 cm; 6) crosta: liscia, regolare ed elastica; 7) pasta: compatta con leggera occhiatura; 8) colore: naturale, leggermente paglierino; 9) aroma: caratteristico; 10) sapore: piccante e gradevole. Sono ammessi valori di analisi di umidità a sessanta giorni superiori a tale limite a condizione che il formaggio atto a diventare D.O.P. Montasio, opportunamente identificato, al solo successivo controllo effettuato entro il novantesimo giorno di stagionatura, presenti valori di umidità conformi alla specifica prevista per il sessantesimo giorno di stagionatura prima di avere la qualifica della D.O.P. formaggio Montasio. E' consentita l'utilizzazione di protettivi della superficie esterna del formaggio, purchè gli stessi siano trasparenti, privi di coloranti e rispettino il colore della crosta. La porzionatura e il preconfezionamento devono essere eseguiti dopo una stagionatura minima di sessanta giorni. Il formaggio a D.O.P. «Montasio» viene usato da grattugia quando la stagionatura ha raggiunto almeno dodici mesi e si presenta friabile, di colore paglierino, con pochi e piccolissimi occhi. Qualora l'intero processo produttivo, dalla produzione del latte alla stagionatura minima di sessanta giorni, avvenga nelle aree considerate di montagna, comprese nella zona di produzione della D.O.P. formaggio Montasio, il formaggio può riportare in etichetta la dicitura «prodotto della montagna». Il caseificio che produce formaggio Montasio D.O.P. «prodotto della montagna» deve identificare in maniera univoca le forme di formaggio Montasio D.O.P. che possiedono tali requisiti. A tale scopo, sullo scalzo verrà impressa una apposita targhetta recante la dicitura PDM, acronimo della dicitura «prodotto della montagna» (fig. 1). Sul formaggio D.O.P. «Montasio» con età superiore a cento giorni di stagionatura, può essere impresso a fuoco, nell'apposita area dello scalzo, dal Consorzio per la Tutela del Formaggio Montasio, previa verifica dello stesso, il logo della denominazione. | D.O.P. | Formaggi | Friuli Venezia Giulia, Veneto | Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine, Belluno, Treviso, Padova, Venezia | ||
Monte Veronese Monte Veronese Disciplinare di produzione - Monte Veronese DOPArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine al formaggio "Monte Veronese", il cui uso è riservato al prodotto avente i requisiti fissati con il presente decreto con particolare riguardo alle caratteristiche derivanti dalla zona di produzione, trasformazione ed elaborazione delimitata all'art. 2. Articolo 2. La zona di provenienza del latte di trasformazione e di elaborazione del formaggio "Monte Veronese" è ubicata nella parte settentrionale della provincia di Verona e comprende tutto in parte il territorio dei seguenti comuni: S.Bonifacio (parte), Soave (parte), Colognola ai Colli (parte), Mezzane di Sotto, Monteforte d'Alpone, Illasi, Cazzano di Tramigna, Caldiero (parte), Montecchia di Crosara, Roncà, Lavagno (parte), San Martino Buon Albcrgo (parte), Verona (parte), Bussolengo (parte), Pescantina, San Pietro in Cariano, Sona (parte), Castelnuovo (parte), Pastrengo, Peschiera del Garda (parte), Lazise, Bardolino, Garda, Cavaion Veronese, Affi, San Giovanni Ilarione, Tregnago, Badia Calavena, Vestenanuova, Selva di Progno, Velo Veronese; San Mauro di Saline, Grezzana, Cerro Veronese, Roveré Veronese, Bosco Chiesanuova, Erbezzo, S. Anna d'Alfaedo, Marano di Valpolicella, Negrar, Fumane, S. Ambrogio di Valpolicella, Dolce, Rivoli Veronese, Costermano, Caprino Veronese, Ferrara di Monte Baldo, Brentino-Belluno, Malcesine, Brenzone, San Zeno di Montagna, Torri del Benaco. Tale zona è così delimitata: partendo dall'inizio della strada statale n. 11 (Padana Superiore) si entra nel comune di San Bonifacio che viene attraversato, si passa per Villanova; si raggiunge San Martino Buon Albergo e San Michele centro, si attraversa Verona lungo la circonvallazione e si prosegue al km 297 della Croce bianca sino a Caselle, terminando nel comune di Peschiera con i confini delle province di Verona e Brescia. Articolo 3. La denominazione di origine "Monte Veronese" é riservata ai formaggi aventi le seguenti caratteristiche, in quanto si intende distinguere la tipologia a latte intero dalla tipologia ottenuta con latte parzialmente scremato e definita "d’allevo", ferma restando la medesima zona di provenienza del latte nonché di trasformazione ed elaborazione per entrambe le tipologie: A) "Monte Veronese" latte intero, formaggio da tavola a pasta semicotta prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, proveniente da una o due mungiture consecutive, che presenti una acidità con valore compreso tra 3,6-3,8 SH/50 ml, ottenuta naturalmente o indotta con aggiunta di fermenti lattici prodotti nello stabilimento interessato o in altri stabilimenti ubicati nella zona delimitata all’art. 2 e derivanti da lavorazioni precedenti. Il coagulo si ottiene usando caglio di pellette di vitello per 15-20 minuti e la rottura della cagliata si protrae per pochi secondi fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di un chicco di riso. Si procede poi al riscaldamento per raggiungere la temperatura di cottura di 43-45 gradi e questa si protrae per circa 10 minuti. Segue la sosta della cagliata in caldaia per circa 25-30 minuti. La salatura avviene a secco o in salamoia dopo uno spurgo di circa 24 ore. La maturazione si compie in circa trenta giorni con un minimo di 25 giorni. Il formaggio presenta le seguenti caratteristiche: a) Forma cilindrica a facce quasi piane con scalzo leggermente convesso. b) Peso compreso da 7 a 10 kg. c) Dimensioni: altezza dello scalzo cm 7-11, diametro delle facce cm 25-35. Variazioni in più o in meno del peso e delle dimensioni dipendono dalle condizioni tecniche di produzione e dal periodo di maturazione. d) Crosta sottile ed elastica, di colore paglierino più o meno intenso. e) Pasta di colore bianco o leggermente paglierino con occhiatura minuta ed uniformemente diffusa. f) Sapore delicato e gradevole. La stagionatura si protrae per un minimo di 90 giorni; se il formaggio è usato da tavola, e per un minimo di sei mesi se usato da grattugia. g) Grasso sulla sostanza secca non inferiore al 44%. B)"Monte Veronese" d'allevo, formaggio da tavola o da grattugia a pasta semicotta prodotto esclusivamente con latte di vacca parzialmente scremato, proveniente da una o due mungiture consecutive, aventi una acidità compresa fra i 3,8-4 SH/50 ml, ottenuta naturalmente o indotta con aggiunta di fermenti lattici prodotti nello stabilimento interessato o in altri stabilimenti ubicati nella zona delimitata all’art. 2 e derivanti da lavorazioni precedenti. Il coagulo si ottiene usando caglio di pellette di vitello per 25-30 minuti e la rottura della cagliata si protrae per pochi secondi fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di un chicco di riso. Si procede poi al riscaldamento per raggiungere la temperatura di cottura di 46-48 gradi e questa si protrae per circa 15 minuti. Segue la sosta della cagliata in caldaia per circa 25-30 minuti. La salatura avviene a secco o in salamoia dopo uno spurgo di circa 24 ore. La stagionatura si protrae per un minimo di 90 giorni, se il formaggio è usato da tavola, e per un minimo di sei mesi se usato da grattugia. Il formaggio presenta le seguenti caratteristiche: a) Forma cilindrica a facce quasi piane con scalzo leggermente convesso. b) Peso compreso da 6 a 9 kg. c) Dimensioni: altezza dello scalzo cm 6-10, diametro delle facce cm 25-35. Variazioni in più o in meno del peso e delle dimensioni dipendono dalle condizioni tecniche di produzione e dal periodo di maturazione. d) Crosta sottile ed elastica, di colore paglierino più o meno intenso. e) Pasta di colore bianco o leggermente paglierino con occhiatura sparsa e di norma di dimensioni da 2 a 3 mm leggermente superiori a quella della tipologia a latte intero. f) Sapore fragrante, tipico del formaggio stagionato, che tende a leggermente piccante con il protrarsi della stagionatura delicato e gradevole. g) Grasso sulla sostanza secca non inferiore al 30%. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Monte Veronese" deve recare apposto all’atto della sua immissione al consumo il contrassegno specifico, di cui all’allegato A che costituisce parte integrante del presente decreto, nel quale risultano individuati la provenienza geografica e gli estremi della decretazione con cui si è riconosciuta la denominazione stessa, a garanzia della rispondenza alle prescrizioni normative. | D.O.P. | Formaggi | Veneto | Verona | ||
Mozzarella Mozzarella STG Disciplinare di produzione - Mozzarella STGArticolo 1. 1. Premessa. I prodotti alimentari registrati nell'Albo delle specialità tradizionale garantite (STG) ai sensi del regolamento n. 2082/92/CEE devono essere conformi ai requisiti specificati nel disciplinare approvato dalla Comunità europea mediante apposito regolamento. La verifica di conformità del prodotto al disciplinare può essere effettuata da parte di organismi di controllo autorizzati dagli Stati membri. Articolo 2. Definizioni e abbreviazioni. Certificazione di conformità: atto mediante il quale un organismo di controllo autorizzato dal Ministero competente attesta che il prodotto ed il procedimento utilizzato per la sua fabbricazione sono conformi ai requisiti specificati nel disciplinare della "Mozzarella" STG. Controlli interni: valutazione del livello di soddisfazione dei requisiti del prodotto e del procedimento di fabbricazione specificati nel disciplinare della "Mozzarella" STG effettuata da parte del fabbricante. Controllo di conformità: attività di verifica mediante le quali l'organismo di controllo autorizzato e/o l'autorità pubblica designata accerta il livello di soddisfacimento dei requisiti specificati nel disciplinare della "Mozzarella" STG ai fini del rilascio della certificazione di conformità o dal mantenimento della certificazione rilasciata in precedenza. Non conformità: mancato soddisfacimento di requisiti specificati relativi a materiali, prodotto o procedimento di fabbricazione della "Mozzarella" STG. Disciplinare: documento che specifica i requisiti obbligatori della "Mozzarella" STG e del procedimento necessario alla sua fabbricazione. Organismo di controllo autorizzato: ente terzo e indipendente di sorveglianza, autorizzato dal Ministero competente ad esercitare la verifica di conformità ai relativi disciplinari dei prodotti DOP, IGP e STG, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 526/1999 che ha sostituito l'art. 53 della legge n. 128/1998. Articolo 3. Riferimenti. Regolamento (CEE) n. 2082/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992, relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli ed alimentari. Regolamento (CEE) n. 2515/94 della Commissione, del 9 settembre 1994, recante modificazioni del regolamento (CEE) n. 1848/93 della Commissione che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 2082/92 relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli ed alimentari.SoCert – Società di Certificazione S.r.l. Articolo 4. Richiedenti la certificazione di conformità. I contenuti del presente documento trovano applicazione presso i soggetti che intendono fabbricare ed immettere sul mercato il formaggio "Mozzarella" STG. I produttori interessati sono pertanto tenuti a richiedere per iscritto all'organismo di controllo autorizzato l'accesso al sistema di certificazione di conformità, allegando alla domanda i seguenti elementi: 1) ragione sociale del richiedente; 2) indirizzo dello/degli stabilimento/i di produzione; 3) recapito telefonico, fax, posta elettronica; 4) nominativo e funzione della persona responsabile dei rapporti con l'Organismo di controllo autorizzato; 5) stima del quantitativo di "Mozzarella" STG da immettere annualmente sul mercato; 6) elenco identificativo dei documenti relativi al sistema di autocontrollo aziendale. 5. Requisiti di conformità del prodotto. Il formaggio "Mozzarella" STG e' un formaggio fresco a pasta filata, molle, a fermentazione lattica. Le principali caratteristiche, desunte dal disciplinare di prodotto, sono le seguenti: a) caratteristiche fisiche: forma sferoidale (eventualmente con testina) o a treccia; peso sgocciolato da 20g (125g per la forma a treccia) a 250g (determinato entro tre giorni dalla fabbricazione); b) caratteristiche organolettiche: aspetto: pelle di consistenza tenera, superficie liscia e lucente, omogenea, di color bianco latte; pasta di struttura fibrosa (più pronunciata all'origine), a foglie sovrapposte, che rilascia al taglio e per leggera compressione liquido lattiginoso; possibile presenza di distacchi ma non di occhiatura; colore omogeneo, bianco latte; consistenza: morbida e leggermente elastica; sapore: caratteristico, sapido, fresco, delicatamente acidulo; odore: caratteristico, fragrante, delicato, di latte lievemente acidulo; c) caratteristiche chimiche: umidità (m/m): 58-66% (forma sferoidale); 56-62% (forma a treccia); grasso sul secco (m/m): min. 44%; umidità sul non grasso (m/m): 69-80%; pH della pasta: 5,1-5,6; NaCl (m/m): max 1%; acido L(+) lattico (m/m): > 0,2 (entro tre giorni dalla fabbricazione); attività fosfatasica: max 12 μg fenolo/g di formaggio; furosina: max 10 mg/100g di proteina (N x 6,38); d) caratteristiche microbiologiche: microflora caratteristica: min. 10.000.000 ufc/g (entro tre giorni dalla fabbricazione); microflora preponderante: streptococcus thermophilus; microflora accessoria: enterococchi, batteri lattici termodurici (63 °C per 35 min.). L'accertamento delle caratteristiche del prodotto avviene su campioni prelevati nell'unita' di produzione e, salvo quando diversamente indicato, conservati alle temperature e fino alla data indicate in etichetta. Le modalità del prelievo dei campioni sono descritte nella norma UNI ISO 707. Articolo 6. Confezionamento. Il confezionamento della "Mozzarella" STG è effettuato in linea dopo rassodamento del formaggio. Il liquido di governo e' costituito da acqua con eventuale aggiunta di sale. La "Mozzarella" STG può essere posta in vendita solo se appositamente preconfezionata all'origine. Sulle confezioni dovrà essere apposta la dicitura "Garantito dal Ministero delle politiche agricole e forestali ai sensi dell'art. 14 del regolamento (CEE) n. 2082/92" [Sostituita con la seguente dicitura“Garantito dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ai sensi dell'art. 10 del Regolamento (CE) n. 510/2006" – Vedi Circolare MiPAF n° 62307 del 31 marzo 2006]. Articolo 7. Modalità di conservazione. Ad una temperatura compresa fra 0 e 4o C. La temperatura massima di conservazione e la data di scadenza (da consumarsi entro gg/mm) devono essere indicate in etichetta. Articolo 8. Requisiti di conformità del procedimento di fabbricazione. a) materie prime: latte intero che arriva crudo allo stabilimento, eventualmente regolato per il solo tenore in grasso; lattoinnesto naturale preparato con latte proveniente dalla zona di raccolta dello stabilimento di produzione del formaggio ed utilizzato in loco; caglio bovino liquido (attività di pepsina compresa fra 20 e 30%); sale. N.B. - Non è previsto l'impiego di additivi alimentari ne' di coadiuvanti tecnologici diversi da quelli sopra descritti. b) lattoinnesto naturale: si ottiene per arricchimento selettivo della microflora presente naturalmente nel latte crudo. Il primo lattoinnesto si ottiene da latte crudo non refrigerato e può servire da inoculo ai lattoinnesti successivi oppure essere direttamente impiegato in lavorazione. Trattamento termico di almeno 63 °C per 15 minuti (o equivalente), seguito da raffreddamento ed incubazione a 42-50 °C fino ad un'acidità di 14-24 °SH su 100 ml e quindi raffreddamento a T < 8°C. Se conservato, va mantenuto in regime di refrigerazione a T ≤ 4 °C. I lattoinnesti successivi si ottengono da latte crudo (anche refrigerato) inoculato con almeno il 4% di un lattoinnesto precedente (che non deve essere necessariamente il primo), trattato termicamente ed incubato come sopra fino allo stesso livello di acidità. Raffreddamento e conservazione come sopra. Il lattoinnesto finale deve: avere un'acidità compresa fra 16 e 30 °SH su 100 ml; avere un contenuto minimo di streptococchi termofili di 100.000.000 ufc/ml; avere attività fosfatasica negativa; essere utilizzato entro tre giorni dalla sua preparazione; c) procedimento di fabbricazione: comprende esclusivamente le fasi seguenti, effettuate in ciclo continuo nello stesso stabilimento di produzione: prematurazione eventuale del latte (solo con lattoinnesto naturale); pastorizzazione del latte minimo a 71,7 °C per 15 secondi (o combinazioni equivalenti); inoculo del latte con lattoinnesto naturale; aggiunta del caglio bovino liquido con attività di pepsina compresa tra il 20 e il 30%; coagulazione presamica a 35-39 °C; taglio, rottura e dissieramento della cagliata; maturazione lattica della cagliata fino ad un pH di 5,0-5,4; taglio in pezzi della pasta matura; filatura con acqua calda eventualmente addizionata di sale (T pasta =58-65 °C); formatura a caldo della pasta; rassodamento in acqua fredda (eventualmente addizionata di sale); confezionamento. Articolo 9. Identificazione e rintracciabilità. Al fine di fornire completa evidenza dei requisiti di conformità, il fabbricante di "Mozzarella" STG deve adottare idonee metodologie di identificazione e di registrazione dei lotti di materie prime, ingredienti, imballaggi e prodotti finiti. Il fabbricante deve in ogni momento poter fornire piena visibilità della composizione e destinazione di ogni lotto di fabbricazione in uscita dallo stabilimento, nonché dell'identificazione ed origine dei lotti di materie prime, ingredienti ed imballi impiegati nella loro produzione. 10. Piano dei controlli. La verifica della conformità del prodotto e del suo procedimento di fabbricazione ai requisiti specificati nel disciplinare della "Mozzarella" STG comporta sia la valutazione delle modalità e dei risultati dell'autocontrollo attuato dal fabbricante, sia le verifiche effettuate da una struttura di controllo presso l'unità produttiva. I controlli sistematici cui materie prime, processo e prodotto devono essere sottoposti per poter essere certificati conformi ai requisiti del disciplinare della "Mozzarella" STG si articolano quindi su due livelli di attività: controlli interni - attività di verifica, misura ed analisi attuate dal fabbricante nell'ambito del proprio autocontrollo; controlli esterni - attività di controllo, effettuate da un organismo di controllo autorizzato, mediante verifiche ispettive e prove sul prodotto (materie prime, ingredienti, prodotti finiti). Le prove da eseguirsi sui prodotti devono essere affidate a laboratori accreditati a fronte della norma UNI CEI EN 45001 relativamente alle specifiche prove da effettuare, o, in caso di indisponibilità di tali accreditamenti, in laboratori qualificati dalla struttura di controllo. Materie prime, ingredienti e prodotti devono essere sottoposti a campionamento ed analisi secondo le modalità prescritte dal disciplinare. | S.T.G. Mozzarella STG Mozzarellla STG [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=HQPRNE9R0Pk[/embedyt] | Formaggi | Italia | Tutte le Regioni | ||
Mozzarella di Bufala Campana Mozzarella di bufala Campana Disciplinare di produzione - Mozzarella di bufala Campana DOPArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine "Mozzarella di bufala" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli articoli 3 e 4. Articolo 2. La zona di provenienza del latte di trasformazione e di elaborazione del formaggio "Mozzarella di bufala" comprende il territorio amministrativo di seguito specificato: Regione Campania Provincia di Benevento: comuni di Limatola, Dugenta, Amorosi. Provincia di Caserta: l'intero territorio. Provincia di Napoli: comuni di Acerra, Giugliano in Campania, Pozzuoli, Qualiano, Arzano, Cardito, Frattamaggiore, Frattaminore, Mugnano di Napoli. Provincia di Salerno: l'intero territorio. Regione Lazio Provincia di Frosinone: comuni di Amaseno, Giuliano di Roma, Villa S. Stefano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceccano, Frosinone, Ferentino, Morolo, Alatri, Castrocielo, Ceprano, Roccasecca. Provincia di Latina: comuni di Cisterna di Latina, Fondi, Lenola, Latina, Maenza, Minturno, Monte S. Biagio, Pontinia, Priverno, Prossedi, Roccagorga, Roccasecca dei Volsci, Sabaudia, S. Felice Circeo, Sermoneta, Sezze, Sonnino, Sperlonga, Terracina, Aprilia. Provincia di Roma: comuni di Anzio, Ardea, Nettuno, Pomezia, Roma, Monterotondo. Regione Puglia Provincia di Foggia: l.intero territorio dei comuni di Manfredonia, Lesina e Poggio Imperiale e parte del territorio dei comuni che seguono con la corrispondente delimitazione: Cerignola . La zona confina ad est con il lago Salpi, a sud con la statale n. 544, a nord e ad ovest con il comune di Manfredonia; Foggia . La zona abbraccia il perimetro della nuova circonvallazione, ad est in direzione del comune di Manfredonia, ad ovest in direzione del comune di Lucera, a nord e a sud confina con la rimanente parte del comune di Foggia; Lucera . La zona interessata confina ad ovest con il comune di Foggia, a sud con la statale n. 546 e con parte del torrente San Lorenzo, a nord con la strada provinciale n. 16 fino a raggiungere il comune di Torremaggiore e ad est con la strada provinciale n. 17 che da Lucera conduce a Foggia; Torremaggiore . La zona interessata confina a sud con il comune di Lucera, ad est con il comune di San Severo, ad ovest con la strada provinciale n. 17 in direzione Lucera e a nord confina con il comune di Apricena; Apricena . La zona interessata costeggia a sud il torrente Radicosa, ad est la strada .Pedegarganica. ed il comune di Sannicandro Garganico, ad ovest con il comune di Lesina e a nord con il comune di Poggio Imperiale; Sannicandro Garganico . La zona interessata confina a sud con la strada statale Garganica, a nord con il comune di Lesina, ad ovest con il comune di Apricena, ad est con il comune di Cagnano Varano; Cagnano Varano . La zona interessata confina a sud con la strada statale Garganica, ad est con il lago di Varano, ad ovest con il comune di Sannicandro Garganico e a nord con il mare; San Giovanni Rotondo . La zona interessata confina a sud con la strada n. 89, ad est con il comune di Manfredonia, ad ovest con il comune di San Marco in Lamis e a nord con la strada provinciale n. 58; San Marco in Lamis . La zona interessata confina a nord con il comune di Foggia, ad est con il comune di San Giovanni Rotondo, ad ovest con il comune di Rignano Garganico e a nord con la restante parte del comune di San Marco in Lamis. Regione Molise Provincia di Isernia: comune di Venafro. Articolo 3. La "Mozzarella di bufala campana" è prodotta esclusivamente con latte di bufala intero fresco. La lavorazione prevede l.utilizzo di latte crudo, eventualmente termizzato o pastorizzato, proveniente da bufale allevate nella zona di cui all'art. 2 e ottenuta nel rispetto di apposite prescrizioni relative all'allevamento e al processo tecnologico, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente: A) gli allevamenti bufalini dai quali deriva il latte devono essere strutturati secondo gli usi locali con animali originari della zona di cui all.art. 2, di razza mediterranea italiana. I capi bufalini allevati in stabulazione semilibera in limitati paddok, allaperto con ricorso al pascolamento, devono risultare iscritti ad apposita anagrafe già prevista per legge; B) il latte deve: i. possedere titolo in grasso minimo del 7,2%; ii. possedere titolo proteico minimo del 4,2%; iii. essere consegnato al caseificio, opportunamente filtrato con mezzi tradizionali e trasformato in Mozzarella di Bufala Campana entro la 60a ora dalla prima mungitura; C1) l.acidificazione del latte e cagliata è ottenuta per addizione di siero innesto naturale, derivante da precedenti lavorazioni di latte di bufala avvenute nella medesima azienda o in aziende limitrofe ubicate nella stessa zona di produzione di cui all.art. 2; C2) la coagulazione, previo riscaldamento del latte ad una temperatura variante da 330° a 390° c. è ottenuta per aggiunta di caglio naturale di vitello; C3) la maturazione della cagliata avviene sotto siero per un tempo variabile in relazione alla carica di fermenti lattici presenti nel siero innesto naturale aggiunto, ma oscillante intorno alle cinque ore dalla immissione del caglio. Al termine della maturazione, dopo sosta sul tavolo spersoio, la cagliata viene ridotta a strisce, tritata e posta in appositi mastelli, anche in acciaio o in filatrici. La cagliata, dopo miscelazione con acqua bollente, viene filata, quindi mozzata e/o formata in singoli pezzi nelle forme e dimensioni previste. Questi ultimi, vengono posti in acqua potabile, per tempi variabili in funzione della pezzatura, fino a rassodamento. La salatura viene eseguita in salamoia per tempi variabili in base alla pezzatura ed alla concentrazione di sale delle salamoie, cui segue immediatamente il confezionamento, recante il contrassegno della D.O.P. da effettuarsi nello stesso stabilimento di produzione. Il prodotto confezionato deve essere mantenuto, fino al consumo finale, nel suo liquido di governo, acidulo, eventualmente salato. Il prodotto può essere affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali: in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura "affumicata"; D) forma: oltre alla forma tondeggiante, sono ammesse altre forme tipiche della zona di produzione, quali bocconcini, trecce, perline, ciliegine, nodini, ovolini; E) peso, variabile da 10 g a 800 g, in relazione alla forma. Per la forma a trecce, è consentito il peso fino a 3 kg; F) aspetto esterno: colore bianco porcellanato, crosta sottilissima di circa un millimetro con superficie liscia, mai viscida ne' scagliata; G) pasta: struttura a foglie sottili, leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dopo la produzione ed il confezionamento, successivamente tendente a divenire più fondente; priva di difetti quali occhiature, provocati da fermentazioni gassose o anomale; assenza di conservanti, inibenti e coloranti; al taglio presenza di scolatura in forma di lieve sierosità biancastra, grassa, dal profumo di fermenti lattici; H) sapore: caratteristico e delicato; I) grasso sulla sostanza secca: minimo 52%; L) umidità' massima: 65%. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Mozzarella di Bufala Campana" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo il contrassegno sulla confezione di cui all'allegato A, rilasciato dall.ente consortile, titolare della tutela e vigilanza, su mandato dell.organismo di controllo. Il suddetto contrassegno che costituisce parte integrante del presente disciplinare, reca il numero attribuito dall.ente consortile e gli estremi del regolamento comunitario con cui e' stata registrata la denominazione stessa, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative. Il contrassegno deve avere i seguenti riferimenti colorimetrici: A) parte superiore, sole a raggiera: rosso composto da 79% magenta e 91% giallo; B) parte inferiore, campo verde, composto da 91% cyan e 83% giallo, con la dicitura .Mozzarella di Bufala. di colore bianco; sotto campo verde, la dicitura . Campana. di colore verde; C) parte centrale, recante la testa di bufala, di colore nero. Il prodotto ottenuto con latte crudo deve riportare in etichetta detta specificazione. E. vietato utilizzare nella designazione e presentazione del prodotto D.O.P. Mozzarella di Bufala Campana ulteriori qualificazioni geografiche. Articolo 5. E. abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1979. Allegato A: DM 7 aprile 1998 Determinazione degli elementi di etichettatura per il prodotto a denominazione di origine protetta "Mozzarella di bufala Campana" Articolo 1. Il prodotto a denominazione di origine "Mozzarella di bufala Campana" è immesso al consumo munito di un apposito contrassegno apposto sul relativo confezionamento, recante il simbolo visivo riportato in allegato al presente decreto, utilizzando i seguenti riferimenti colorimetrici: 1) parte superiore, sole a raggiera: rosso composto da 79% Magenta e 91% Giallo; 2) parte inferiore, campo verde, composto da 91% Cyan e 83% Giallo, con la dicitura "Mozzarella di bufala Campana" di colore bianco ad eccezione del nome "Campana" di colore verde; 3) parte centrale, recante la testa di bufala, di colore nero. Il contrassegno di cui trattasi è parte integrante delle norme di designazione che ne prevedono l'utilizzo esclusivamente con la dicitura "Mozzarella di bufala Campana", immediatamente seguita dalla menzione "denominazione di origine" ovvero "denominazione di origine protetta". Articolo 2. Tenuto conto che le specifiche norme nazionali e quelle comunitarie di cui all.art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92 prevedono che tutte le produzioni a denominazione di origine siano sottoposte a controlli specifici inerenti l.origine della materia prima e le modalità di produzione, gli operatori che intendano utilizzare la denominazione di origine protetta "Mozzarella di bufala Campana" devono manifestare la propria opzione prima di dare corso al ciclo produttivo indicando tutti gli elementi utili per l'accertamento tecnico dell'origine del latte e del completo rispetto del disciplinare di produzione, avanzando richiesta in tal senso all.Organo di controllo tecnico al fine dell.effettuazione dei controlli preliminari all.apposizione del contrassegno di cui al precedente articolo. DM 21 luglio 1998 Criteri per l.utilizzo dei termini di designazione relativi al prodotto a denominazione di origine protetta "Mozzarella di bufala Campana" Articolo 1. Nell'etichettatura di formaggi freschi a pasta filata, derivati da solo latte di bufala, che utilizzino per la loro designazione il termine "mozzarella" ed analoghi, ma non recanti la denominazione di origine protetta "Mozzarella di bufala campana", non è consentito l'utilizzo della denominazione "mozzarella di bufala" ma è consentito indicare esclusivamente anche nello stesso campo visivo la denominazione di vendita "mozzarella" unitamente alla specificazione "di latte di bufala" a condizione che i singoli termini "mozzarella" e di "latte di bufala" vengano riportati in caratteri di uguale dimensione e che tra il termine "mozzarella" e la successiva specificazione "di latte di bufala" compaia l'indicazione di un nome di fantasia o del nome, o ragione sociale, o marchio depositato del fabbricante. Articolo 2. Al fine di evitare ogni forma di evocazione della denominazione di origine protetta con conseguente confusione nel consumatore, sulle confezioni dei prodotti di cui all'art. l non può figurare la riproduzione o imitazione del contrassegno specifico recante la testa di bufala di cui all'allegato A del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 maggio 1993 e al decreto ministeriale 7 aprile 1998, in quanto parte integrante della denominazione di origine protetta "Mozzarella di bufala campana". Per le medesime motivazioni, le indicazioni dei nomi di fantasia o del nome o ragione sociale o marchio depositato di cui all'art. 1, non devono fare alcun richiamo all.accezione geografica della denominazione protetta e/o riferimenti scritti alla specie dell.animale bufala. | D.O.P. Mozzarella di bufala Campana Mozzarella di Bufala Campana dop
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Murazzano Murazzano Disciplinare di produzione - Murazzano DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
| D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Cuneo | ||
Nostrano Valtrompia Nostrano Valtrompia Disciplinare di produzione - Nostrano Valtrompia DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta (DOP) “Nostrano Valtrompia” è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Il “Nostrano Valtrompia” D.O.P. è un formaggio semigrasso a pasta extra dura, prodotto tutto l’anno, a partire da latte crudo e con l’aggiunta di zafferano. Le caratteristiche del prodotto al momento dell’immissione al consumo, sono le seguenti: - forma cilindrica con scalzo quasi diritto: il diametro è compreso tra 30 e 45 cm e l'altezza dello scalzo varia da 8 a 12 cm; - il peso della forma può variare da 8 a 18 kg; - la crosta è dura e presenta colorazioni variabili dal giallo bruno al rossastro; - la pasta si presenta dura, tuttavia non eccessivamente granulosa, e può presentare occhiatura di dimensione medio - fine uniformemente distribuita; - la pasta ha gusto e aroma pieni ed intensi, senza percezione di note acide a maturazione minima e quando molto stagionata anche con note di pungente appena accennate; - il colore della pasta è giallo paglierino con tendenza al giallo verde; - il contenuto di grasso, riferito al formaggio tal quale, è compreso tra 18 e 28%; - il contenuto di grasso, espresso sulla sostanza secca, è compreso tra 27,5 e 42%; il contenuto massimo di umidità è pari al 36% del tal quale; la durata minima della stagionatura è di 12 mesi. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e di stagionatura del formaggio “Nostrano Valtrompia” D.O.P. appartiene ai comuni della Provincia di Brescia ricadenti nella Valle Trompia quali Bovegno, Bovezzo, Brione, Caino, Collio, Concesio, Irma, Gardone Val Trompia, Lodrino, Lumezzane, Marcheno, Marmentino, Nave, Pezzaze, Polaveno, Sarezzo, Tavernole sul Mella, Villa Carcina, nonché la zona montana del comune di Gussago (BS) comprendente le frazioni Quarone e Civine. La zona di produzione è definita in base sia alle caratteristiche fisiche del territorio che all’omogeneità dell’utilizzo delle pratiche tradizionali, così come esposto nell’art. 6. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorato documentando per ognuno gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, degli allevatori, dei produttori e degli stagionatori nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1 Materia Prima Il latte proviene dalla zona di produzione ed è ottenuto da vacche di razza bruna iscritte al libro genealogico, per almeno il 90% del totale. Il restante 10% può derivare da soggetti di altre razze o meticci. La razione alimentare del bestiame, è costituita da erba e/o fieno di prato polifita in percentuale almeno pari al 75% della sostanza secca totale; concentrati di cereali e leguminose, sottoprodotti della lavorazione dei medesimi, sale pastorizio e complessi minerali e vitaminici quali integratori, non superano il 25% della sostanza secca della razione. I capi devono essere alimentati con erba e/o fieno di prato polifita contenenti essenze prative spontanee, provenienti dal territorio identificato all’art. 3, sufficiente a garantirne l’alimentazione per almeno il 50% del fabbisogno giornaliero della razione totale, espressa in sostanza secca. Durante il periodo compreso tra giugno e settembre viene praticato l’alpeggio o il pascolo per non meno di 60 giorni, compatibilmente con le condizioni meteorologiche. Non è consentita l’alimentazione delle bovine con insilato di mais. 5.2 Preparazione Per la produzione del formaggio si utilizza il latte derivante al massimo da quattro munte consecutive. Il latte crudo è trasferito in bacinelle tonde o rettangolari costruite in acciaio o alluminio, ove sosta, al fine di consentire l’affioramento spontaneo della panna, per periodi variabili da 10 a 48 ore, dal momento in cui la prima munta è stata colata in bacinella. Il latte dell'ultima munta può essere utilizzato intero. Dopo la scrematura parziale, il latte è immesso crudo nella caldaia di coagulazione. La caldaia è in rame. Il riscaldamento del latte alla temperatura di coagulazione, compresa tra 36 e 40 gradi Celsius, è realizzato mediante fuoco diretto di legna o con bruciatori a gas e vapore indiretto come fonte energetica. E’ consentita l'aggiunta, fino ad un massimo del 2% del latte in caldaia, di sieroinnesto naturale ottenuto per incubazione a temperatura spontaneamente decrescente di un'aliquota di siero cotto di fine caseificazione, proveniente al massimo dalle lavorazioni dei tre giorni precedenti. La coagulazione del latte avviene, per aggiunta di caglio di vitello o di vitellone (minimo 70% chimosina con titolo minimo di 1:10.000), in tempi variabili da 30 a 60 minuti a temperature comprese tra 35 e 40°C. Dopo la rottura fine del coagulo con spino, fino ad ottenere granuli di cagliata dalle dimensioni di un chicco di riso, la cagliata è mantenuta in agitazione con la rotella, tradizionale attrezzo di legno formato da un disco di legno montato su un lungo manico, ed è quindi cotta a temperature comprese tra 47 e 52°C. Al latte in caldaia o alla miscela di siero e cagliata prima della cottura è aggiunto zafferano in quantità comprese tra 0,05-0,2 g /100 kg di latte. La cagliata cotta, dopo giacenza sul fondo della caldaia per tempi compresi tra 15 e 60 min, viene estratta con telo o con la mastella, tradizionale recipiente di legno di forma cilindrica, ove permane fino al suo trasferimento in fascera. Sulla stessa fascera è impressa, in rilievo, la scritta “Nostrano Valtrompia” ripetuta più volte, oltre al contrassegno identificativo composto dal numero di matricola dell’azienda produttrice e dal lotto di produzione rappresentato da un numero progressivo da 1 a 366/anno. La cagliata in fascera è quindi ricoperta con teli e rimane sullo spersore, tradizionale tavolo rettangolare inclinato, fino a completamento dello sgrondo del siero e comunque per non più di 24 ore a decorrere dal momento dell’estrazione della cagliata. 5.3 Salatura La salatura del formaggio avviene per aspersione manuale ripetuta di sale secco sulle facce e sullo scalzo e la durata della salatura è variabile da 5 a 20 giorni in funzione delle dimensioni della forma. 5.4 Stagionatura Durante la stagionatura, con intervalli di 3 - 10 giorni, viene effettuato il rivoltamento sulla faccia delle forme. Inoltre, a partire dal terzo mese e fino al termine della stagionatura, la cura periodica delle forme prevede, ogni 7 – 20 giorni, la raspatura e successiva oliatura della crosta con olio di lino. La durata minima della stagionatura è di 12 mesi dal momento in cui la forma è posta nella fascera. Al termine della durata minima di stagionatura sullo scalzo viene impresso a fuoco, il logo identificativo di cui all'art. 8. Articolo 6. Legami con l’ambiente La struttura irregolare e accidentata del territorio ha portato sia alla forzata parcellizzazione dell'attività produttiva che alla disincentivazione della trasformazione industriale del latte, consolidando nel tempo organizzazioni aziendali che vedono quale fulcro del sistema, la piccola azienda zootecnica di autotrasformazione del proprio latte. Infatti, il complesso sistema orografico, che vede alpeggi situati a oltre 1.800 metri s.l.m. e le difficoltà di ordine viabilistico dell’area di produzione, condizionano da sempre la modalità di raccolta e trasformazione del latte, che avvengono tutt’ora in secchi/bidoni e bacinelle nelle aziende di autotrasformazione. La somma dei fattori legati alla particolarità della zona geografica e alle tecniche di lavorazione tradizioni determinano la specificità del latte e contribuiscono quindi alle caratteristiche del “Nostrano Valtrompia”. Nello specifico, l’affioramento spontaneo della crema di latte permette una sensibile riduzione del contenuto in grasso del latte destinato alla caseificazione e nello stesso tempo contribuisce a che nel latte si sviluppi una microflora autoctona importante per i processi di stagionatura e per le caratteristiche gustative del formaggio. L'azione combinata della microflora autoctona presente nel latte crudo di caldaia permette la corretta acidificazione della cagliata e nel corso della stagionatura contribuisce a produrre un’importante quantità di peptidi ed aminoacidi liberi che caratterizzano le proprietà di gusto e sapore rendendo il formaggio privo di note acide al gusto. Durante il periodo di maturazione del formaggio “Nostrano Valtrompia” D.O.P., i produttori mantengono la pratica tradizionale di oliatura della forma per evitare che il raggiungimento precoce del valore di umidità massimo (36%) influenzi negativamente le attività enzimatiche, modificando negativamente le caratteristiche di gusto intenso. Inoltre, la pratica consolidata dell’aggiunta di zafferano nel latte o alla miscela di siero e cagliata permette di migliorare l’aspetto della pasta del formaggio che altrimenti per fattori legati alla scrematura parziale del latte e all’alimentazione delle bovine assumerebbe un eccesso di tonalità verde. In Valle Trompia, è prevalente la figura dell'allevatore del bestiame che è anche casaro e stagionatore. Si riunisce quindi in una sola figura gran parte della filiera. In questo contesto interviene l'uso di tecniche comuni che si tramandano da padre in figlio. L'addizione di zafferano, l'uso di caldaie di rame e di attrezzi spesso prodotti dagli stessi casari, quali lo spino, la rotella e la spannarola, e la cura nelle operazioni di oliatura delle forme ad opera dei produttori con olio di lino durante la stagionatura sono l'evidenza del mantenimento dell’antico metodo di lavorazione del latte che permette di ottenere il “Nostrano Valtrompia”, formaggio espressione della cultura umana e agricola del territorio di produzione. Articolo 7. Organismo di controllo Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 e 11 del Reg. (CE) n.510/06. Tale struttura è un Organismo di Controllo autorizzato: Csqa Certificazioni srl, Via San Gaetano n.74, 30016 Thiene (VI) - Tel. 0445 313011 - Fax +39 0445 313070. Articolo 8. Etichettatura Il formaggio “Nostrano Valtrompia” D.O.P. è commercializzato in forma intera e/o porzionata ed è immesso al consumo munito di logo identificativo, comprensivo della scritta "Nostrano Valtrompia" ripetuta più volte e dal numero di matricola, impressi sullo scalzo in fascera, oltre che eventualmente da un disco di carta, da apporre su una delle facce, sul quale è riportato il logo identificativo comprensivo della scritta “Nostrano Valtrompia” D.O.P. affiancato dal logo comunitario come previsto nel Reg. (CE) n.1898/2006. Il logo identificativo dovrà avere preponderanza su ogni altro simbolo o indicazione presente in confezione. La porzionatura del formaggio venduto preconfezionato può avvenire in spicchi di peso variabile, comunque tali da comprendere una parte dello scalzo che testimoni l’origine del formaggio. Su ogni pezzo o confezione, o sull’etichetta posta sui medesimi, viene riportato, oltre agli elementi previsti dalla normativa vigente, il logo identificativo comprensivo della scritta “Nostrano Valtrompia” affiancato dal logo comunitario come previsto nel Reg. CE 1898/2006. Le porzioni potranno essere preconfezionate sia sotto vuoto che in atmosfera modificata. Il logo identificante il formaggio “Nostrano Valtrompia” è costituito da due linee curve costituenti un semiellisse di altezza pari ad un terzo della larghezza, troncato al centro dalle diciture “NOSTRANO” sulla linea del diametro e “VALTROMPIA” sul settore inferiore in caratteri “Vag Rounded Black”. All’interno del semiellisse compaiono le lettere NVT in forma maiuscola corsiva e intersecantisi fra di loro con lo sbaffo destro della T leggermente traslato. Il logo così descritto dovrà avere prevalenza su ogni altro simbolo o indicazione presente in confezione. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Brescia | ||
Parmigiano Reggiano parmigiano DISCIPLINARE DI PRODUZIONE
DEL FORMAGGIO PARMIGIANO REGGIANO
STANDARD DI PRODUZIONE DEL FORMAGGIO
La D.O.P. Parmigiano Reggiano è un formaggio a pasta dura, cotta e a lenta maturazione, prodotto
con latte crudo, parzialmente scremato, proveniente da
vacche la cui alimentazione è costituita
prevalentemente da foraggi della zona d’origine. Il latte non può essere sottoposto a trattamenti
termici e non è ammesso l’uso di additivi.
Tutto il latte introdotto in caseificio deve essere conforme ai Regolament
i di Produzione del Parmigiano Reggiano.
Per l’intero allevamento il tempo di mungitura di ciascuna delle due munte giornaliere consentite deve essere contenuto entro le quattro ore.
Il latte della mungitura della sera e quello della mungitura del mattino
sono consegnati integri al caseificio entro due ore dalla fine di ciascuna mungitura. Il latte non può essere sottoposto a processi di centrifugazione.
Il latte può essere raffreddato immediatamente dopo la mungitura e conservato ad una temperatura non inf eriore a 18ºC.
Il latte della sera viene parzialmente scremato per affioramento naturale del grasso in vasche di
acciaio a cielo aperto. Il latte del mattino, dopo la consegna in caseificio, viene miscelato con il
latte parzialmente scremato della sera precedente; può anche essere sottoposto ad una parziale
scrematura per affioramento naturale del grasso.
E’ possibile conservare un’aliquota di latte del mattino, fino ad un massimo del 15%, per la
caseificazione del giorno successivo. In tal caso il latte deve essere conservato in caseificio in
appositi recipienti di acciaio; se raffreddato, la temperatura non può risultare inferiore a 10ºC.
Al latte è addizionato il siero innesto, una coltura naturale di fermenti lattici ottenuta
dall’acidificazione spontane a del siero residuo della lavorazione del giorno precedente.
La coagulazione del latte, ottenuta con l’uso esclusivo di caglio di vitello, è effettuata nelle cal
daie tronco coniche di rame per ottenere fino a due forme per ciascuna caldaia.
Le caldaie devo no essere utilizzate una sola volta al giorno. E’ possibile riutilizzare il 15% delle
caldaie per una seconda caseificazione.
Alla coagulazione seguono la rottura della cagliata e la cottura. Si lasciano quindi sedimentare i
granuli sul fondo della caldaia in modo da ottenere una massa compatta. Tali operazioni debbono avvenire entro la mattinata.
Dopo la sedimentazione, la massa caseosa è trasferita negli appositi stampi per la formatura.
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Dopo alcuni giorni, si procede alla salatura per immersione in una soluzione salina. La maturazione deve protrarsi per almeno 12 mesi, a partire dalla formatura del formaggio. In estate la temperatura del magazzino di stagionatura non può essere inferiore a 16ºC.
Il Parmigiano Reggiano presenta le seguenti caratteristiche:
forma cilindrica a scalzo leggermente convesso o quasi diritto, con facce piane
leggermente orlate;
dimensioni: diametro delle facce piane da 35 a 45 cm., altezza dello scalzo da 20 a 26 cm.;
peso minimo di una forma: kg. 30;
aspetto esterno: crosta di colore paglierino naturale;
colore della pasta: da leggermente paglierino a paglierino;
aroma e sapore della pasta caratteristici: fragrante, delicato, saporito ma non piccante;
struttura della pasta: minutamente granulosa, frattura a scaglia;
spessore della crosta: circa 6 mm.;
grasso sulla sostanza secca: minimo 32%.
Per quanto non specificato si fa riferimento alla prassi consacrata dagli usi locali, leali e costanti.
Come già previsto dal D.P.C.M. 4.11.1991 l
a denominazione di origine del formaggio “Parmigiano Reggiano” è estesa alla tipologia grattugiato, ottenuta esclusivamente da formaggio intero avente
diritto alla denominazione di origine di cui trattasi, a condizione che le operazioni di grattugia siano effettuate nell’ambito della zona di produzione del formaggio medesimo e che il confezionamento avvenga immediatamente senza nessun trattamento e senza aggiunta di sostanze atte a modificare la conservabilità e le caratteristiche organolettiche originarie.
La tipologia della denominazione in parola è riservata al formaggio grattugiato avente i parametri tecnici e tecnologici sottospecificati: additivi: assenti;
umidità: non inferiore al 25% e non superiore al 35%;
aspetto: non pulverulento ed omogeneo, particelle con diametro inferiore a 0,5 mm. non superiori al 25%;
quantità di crosta: non superiore al 18%;
composizione amminoacidica: specifica del “Parmigiano Reggiano”.
La zona di produzione comprende i territori delle province di Bologna alla sinistra del fiume Reno, Mantova alla destra del fiume Po, Modena, Parma e Reggio nell’Emilia.
Il condizionamento del formaggio Parmigiano Reggiano grattugiato e in porzioni con e senza crosta deve essere effettuato all’interno della zona di origine al fine di garantire la qualità, la tracciabilità e il controllo.
Al fine di garantire l’autenticità e consentire la corretta identificazione del formaggio Parmigiano
Reggiano immesso sul mercato preconfezionato, grattugiato e in porzioni, ogni confezione dovrà
recare un contrassegno costituito, nella parte superiore,
dalla figura di una fetta e di una forma di formaggio Parmigiano Reggiano e da un coltellino nonché, nella parte inferiore, dalla scritta
PARMIGIANO REGGIANO.
| D.O.P. parmigiano-video [embedyt] https://www.youtube.com/watch?v=9gTaa9L6du8[/embedyt] | Formaggi | Emilia-Romagna, Lombardia | Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Mantova | ||
Pecorino Crotonese Pecorino Crotonese Disciplinare di produzione “Pecorino Crotonese ”Articolo 1. Denominazione del prodotto La denominazione di origine protetta (DOP) «Pecorino Crotonese» e' riservata esclusivamente al formaggio rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione La zona di provenienza del latte, di produzione e di stagionatura del formaggio Pecorino Crotonese DOP comprende: Provincia di Crotone: l'intero territorio amministrativo dei comuni di Belvedere Spinello, Caccuri, Carfizzi, Casabona, Castelsilano, Cerenzia, Ciro', Ciro' Marina, Cotronei, Crotone, Crucoli, Cutro, Isola di Capo Rizzuto, Melissa, Mesoraca, Pallagorio, Petilia Policastro, Rocca di Neto, Roccabernarda, San Mauro Marchesato, San Nicola Dell'Alto, Santa Severina, Savelli, Scandale, Strongoli, Umbriatico, Verzino. Provincia di Catanzaro: l'intero territorio amministrativo dei comuni di Andali, Belcastro, Botricello, Cerva, Cropani, Marcedusa, Petrona', Sellia, Sersale, Simeri Crichi, Soveria Simeri, Zagarise. Provincia di Cosenza: l'intero territorio amministrativo dei comuni di Bocchigliero, Calopezzati, Caloveto, Campana, Cariati, Cropalati, Crosia, Mandatoriccio, Paludi, Pietrapaola e San Giovanni in Fiore, Scala Coeli, Terravecchia. Articolo 3. Caratteristiche del prodotto Il pecorino Crotonese presenta le seguenti caratteristiche: Forma: cilindrica a facce piane con scalzo dritto o leggermente convesso. Peso: compreso tra kg 0,5 e kg 5,0. Per i formaggi sottoposti a stagionatura superiore ai sei mesi, la forma puo' raggiungere il peso di kg 10,0. Dimensioni: variano in funzione del peso del pecorino. Per un peso compreso tra kg 0,5 e kg 5,0 l'altezza dello scalzo varia da 6 a 15 cm, il diametro delle facce da 10 e 20 cm. Per un peso superiore a kg 5,0 e fino a 10 kg, l'altezza dello scalzo varia da 15 a 20 cm, mentre il diametro delle facce da 20 a 30 cm. Grasso: Il contenuto di grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 40%. Utilizzo: Il pecorino crotonese e' usato come formaggio da tavola nelle varianti fresco semiduro, stagionato, anche da grattugia. Pecorino Crotonese Fresco: Formaggio Pecorino dalla pasta tenera e dolce, di colore bianco o leggermente paglierino. Dotato di gusto deciso, morbido e leggermente acidulo, la crosta e' sottile e sono evidenti i tipici segni del canestro; la pasta e' uniforme e cremosa di colore bianco latte, con rare occhiature. Pecorino Crotonese Semiduro: Formaggio Pecorino a pasta semidura, dotato di gusto intenso e armonico. La crosta e' spessa con evidenti i tipici segni del canestro, di colore leggermente bruno, la pasta e' compatta con rare occhiature. Pecorino Crotonese Stagionato: Formaggio Pecorino a lunga stagionatura e' dotato di gusto intenso e deciso, dal leggerissimo retrogusto piccante. La pasta, di colore leggermente paglierino, presenta rare occhiature. La crosta con evidenti i tipici segni del canestro e' dura e bruna. Puo' essere cappata (curata) con olio o morchia di oliva. Articolo 4. Metodo di ottenimento La denominazione DOP «Pecorino Crotonese» e' riservata al formaggio prodotto con latte di pecora intero, proveniente da pecore allevate esclusivamente nella zona di produzione di cui al precedente art. 2. Alimentazione del bestiame: L'alimentazione del bestiame ovino deve basarsi prevalentemente su pascoli naturali, foraggi verdi e fieni aziendali provenienti dalla zona di produzione, per la parte prevalente della razione alimentare. Per la restante parte ad integrazione, si utilizzano mangimi concentrati OGM FREE. E' vietato l'utilizzo di prodotti derivati di origine animale e insilati. Il pascolo dell'area di produzione, concentrandosi sulle tipiche colline di argille plioceniche, e' sufficientemente omogeneo. Metodo di Produzione: La produzione del formaggio pecorino Crotonese e' consentita tutto l'anno. Il latte intero, proveniente da due a quattro mungiture giornaliere, destinato alla trasformazione, puo' essere utilizzato crudo o puo' essere sottoposto a termizzazione o pastorizzazione. Nel caso che il formaggio sia prodotto da latte intero crudo la trasformazione deve avvenire secondo la vigente normativa in materia. Il latte intero crudo, termizzato o pastorizzato deve essere coagulato, per via presamica con aggiunta di caglio di pasta di capretto, ad una temperatura compresa tra i 36-38° C e in un tempo di 40-50 minuti. E' consentito lo sviluppo e l'utilizzo di fermenti lattici naturali esistenti nel latte sottoposto a caseificazione o l'uso di sieri innesti-lattoinnesti naturali provenienti ed esistenti nella zona di produzione. Successivamente avviene la rottura della cagliata in modo da ridurre la stessa in granuli della dimensione del chicco di riso. A questo punto, tenendo in agitazione la massa, si sottopone tutto alla cottura di 42 C° - 44 C° per 5 - 6 minuti, quindi si lascia depositare la cagliata sul fondo. Nel caso di utilizzo di latte crudo, una volta che la cagliata si e' unita in un unico aggregato, essa viene estratta in pezzi e messa nelle tipiche forme a canestro. Nel caso di utilizzo di latte termizzato o pastorizzato, la cagliata viene fatta defluire insieme al siero grasso nelle tipiche forme a canestro. In seguito si attua l'operazione di pressatura delle forme nei canestri, manualmente o sovrapponendo le stesse, per la produzione a latte crudo, mentre per la produzione a latte termizzato o pastorizzato viene effettuata l'operazione di stufatura a vapore per un periodo variante da 120 a 240 minuti. Entrambe le operazioni sono tendenti ad eliminare siero in eccesso, oltre a conferire alla cagliata la tipica forma a canestro. I canestri possono essere in plastica, in giunco o di altro materiale adatto a venire a contatto con i prodotti alimentari secondo la normativa vigente. Le forme cosi' ottenute nei canestri vengono immerse per qualche minuto nel siero caldo a temperatura non superiore a 55° C, al fine di ottenere la perfetta chiusura delle forme, con l'ulteriore spurgo del siero e la formazione della crosta. La salatura delle forme e' effettuata sia a secco che in salamoia, i giorni sono variabili secondo le dimensioni delle forme. Nel primo caso il sale viene cosparso manualmente. Nel secondo caso le forme vengono immerse in salamoie sature. Stagionatura: Per il Pecorino Crotonese Semiduro la stagionatura si protrae per un periodo compreso dai 60 giorni ai 90 giorni, in locali freschi e debolmente ventilati o in grotte di arenaria adeguatamente allestite. Per il Pecorino Crotonese Stagionato la stagionatura si protrae oltre i 90 giorni, in locali freschi e debolmente ventilati o in grotte di arenaria adeguatamente allestite. Articolo 5. Elementi che comprovano l'origine Ogni fase del processo produttivo e' monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. Gli allevamenti, i caseificatori e gli stagionatori sono iscritti in appositi registri, gestiti dall'organismo di controllo, e devono dichiarare tempestivamente le quantita' prodotte. Tutte le persone fisiche e giuridiche iscritte ai relativi elenchi sono assoggettate al controllo secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano dei controlli. Ciascuna forma di Pecorino Crotonese DOP riporta un codice univoco aziendale (numerico e/o alfanumerico) per la garanzia della sua individuazione in ogni fase del processo. Articolo 6. Controlli Il controllo della conformita' del prodotto al disciplinare e' svolto da un ente di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale ente e' l'organismo di controllo Bioagricert srl, Via dei Macabraccia n. 8 - Casalecchio di Reno (Bologna) 40033, Tel. 051 562158, Fax 051 564294, e-mail info@bioagricert.org, sito web www.bioagricert.org Articolo 7. Legame con l'ambiente La zona geografica di produzione e' un'area omogenea sia dal punto di vista geografico che storico-culturale e coincide, sostanzialmente, con il territorio del Marchesato di Crotone, che sin dall'anno 1390 dell'era volgare identifica il territorio in questione. L'area di produzione e' caratterizzata dalle tipiche colline locali di argilla plioceniche del Crotonese e nella fascia montana confinante con la provincia di Crotone, che va dalla Sila Piccola alla Sila Grande. Quest'area geografica e' dal punto di vista fisico strettamente interconnessa, infatti gli altopiani silani sono in gran parte i pascoli naturali estivi per le greggi stanziate nelle colline comprese fra i monti in questione e il mar Jonio. La composizione floristica dei pascoli naturali e' composta prevalentemente da essenze vegetali fresche, quali: loglio, trifoglio, cicoria, sulla, erba medica di ecotipi locali. La specificita' del prodotto e' data essenzialmente dalla qualita' organolettica unica del formaggio, le cui caratteristiche sono ben definite e riconoscibili dagli esperti. Appena tagliata la forma, si avverte un odore lieve di latte di pecora legato armonicamente con altri odori suoi caratteristici, quali odore di fieno, erbe mature di campo, sentore di nocciola e di fumo. Nei formaggi a lunga stagionatura e' presente un leggerissimo retrogusto piccante. La caratteristica che lo contraddistingue e' l'armonicita' dell'aroma in tutte le sue componenti odorose, che si sommano senza una specifica dominanza o, al massimo, con una leggera dominanza del sentore di pecora. La consistenza in bocca e' scarsamente elastica; durante la masticazione si avvertono i granuli della struttura, che si sciolgono bene in bocca dopo un'accurata masticazione. Si avverte la presenza di grasso, ma non la sensazione di burrosita'. Per effetto della masticazione e del calore corporeo si ha la medesima impressione aromatica avuta al taglio, ma in forma piu' completa e marcata, soprattutto durante la deglutizione. A questo punto l'aroma tipico avvolge la bocca con una lunga e piacevole persistenza. Nella produzione del Pecorino Crotonese assume particolare rilevanza l'utilizzo di sieri innesti-lattoinnesti naturali provenienti ed esistenti nella zona di produzione, che crea un importante legame microbiologico con l'area di produzione e la tecnica di caseificazione, derivante dalla tradizione secolare locale dei mastri caporali/casari, fra i piu' bravi al mondo, dai quali anche deriva la reputazione del prodotto. Da secoli e' infatti l'unico prodotto caseario calabrese ad aver volumi utili all'esportazione extraregionale. Il Pecorino Crotonese e' un formaggio che rappresenta un elemento costitutivo dello spazio rurale identificato con l'area di produzione della DOP: le testimonianze della sua produzione sono molto antiche, gia' antecedenti il medioevo, ma documenti comprovanti l'esportazione risalgono al XVI secolo. Durante il Viceregno Austriaco (1707 - 1734) si assiste ad una massiccia esportazione di formaggio e all'inizio del gennaio 1712 a Napoli il reverendo Giacinto Tassone di Cutro, vende al mercante napoletano Aniello Montagna «200 cantara di formaggio Cotrone della presente stagione del corrente anno, non gonfio, ne tarlato, ne sboccato o serchiato». Articolo 8. Etichettatura Il Pecorino Crotonese DOP e' commercializzato intero e porzionato nel rispetto della normativa vigente. L'etichetta posta sulle forme di formaggio «Pecorino Crotonese» reca oltre alle informazioni di cui ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: il logotipo del Pecorino Crotonese, seguito dalla menzione Denominazione di Origine Protetta o dall'acronimo D.O.P. con l'indicazione del regolamento comunitario e/o il logo comunitario; la ragione sociale e l'indirizzo dell'azienda produttrice o confezionatrice. I caratteri con cui e' indicata la dicitura «Pecorino Crotonese DOP o le altre diciture previste dal presente disciplinare, devono essere raggruppati nel medesimo campo visivo e presentati in modo chiaro, leggibile ed indelebile e sufficientemente grandi da risaltare sullo sfondo sul quale sono riprodotte, cosi' da poter essere distinte nettamente dal complesso delle altre indicazioni e/o disegni. Possono essere inseriti in etichetti i marchi aziendali dei trasformatori e commercianti ma, con caratteri di dimensioni inferiori rispetto al logotipo della DOP. Possono altresi' figurare in etichetta altre indicazioni facoltative a garanzia del consumatore e/o informazioni di carattere nutrizionale oltre all'uso di ragioni sociali e marchi privati, purche' non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l'acquirente. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali puo' essere utilizzata la menzione «Denominazione di Origine Protetta» e il logo comunitario nella lingua del paese di destinazione. Articolo 9. Logotipo Il logotipo in oggetto, si pone come obiettivo quello di evidenziare le caratteristiche di un formaggio tipico di qualita' legato al territorio di produzione e fortemente caratterizzato dalla presenza di latte di pecora. Elementi distintivi del logotipo sono la stilizzazione della testa di un ovino, ricavata dalla lettera «C», l'occhio ovoidale caratteristico della specie animale degli ovini. La testa dell'ovino e' circoscritta da un'ellissi cui e' sovrapposta una forma triangolare con base tondeggiante che rappresentano al contempo una forma di pecorino, da cui e' stata estratta una fetta, ed una «Q» stilizzata, a sostegno del forte impegno a mantenere il prodotto «Pecorino Crotonese» come formaggio di Qualita'. Il logotipo del prodotto e' costituito da due campi, sulla sinistra il logotipo grafico, sulla destra il logotipo lettering. Sulla destra del logotipo grafico, disposta su due righe, vi e' il logotipo lettering composto dalla dicitura «Pecorino Crotonese» realizzata da caratteri minuscoli. La parola pecorino avra' al posto del puntino sulla « i » uno piccolo spicchio di formaggio identico a quello vicino all'ellissi ma con la punta rivolta verso il basso anziche' verso l'alto; la parola «Crotonese» sara' scritta con lo stesso lettering di testo e con la C che e' la testa dell'ovino del logo grafico ruotata di 90° in senso antiorario. Il logotipo deve essere impresso a fuoco o con timbri fustelle sulle forme di formaggio e il lettring impresso sullo scalzo secondo le medesime modalita' I colori utilizzati sono: il nero, una tonalita' d'oro ed un verde marrone. Il logotipo puo' essere riprodotto anche in versione monocromatica. Di seguito sono definite le campionature di quadricromia, riproduzione in scala di grigio, inversione di colore negativo/positivo. | D.O.P. | Formaggi | Calabria | Crotone | ||
Pecorino delle Balze Volterrane Pecorino delle Balze Volterrane Disciplinare di produzione - Pecorino delle Balze Volterrane DOPArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta "Pecorino delle Balze Volterrane" è riservata esclusivamente al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto finito Il "Pecorino delle Balze Volterrane” è un formaggio prodotto esclusivamente con caglio vegetale e latte ovino crudo intero proveniente da allevamenti ubicati nella zona di cui all’art.3, rispondente, a seconda del periodo di stagionatura, a quattro diverse tipologie: “fresco”, da 7 giorni a 44 giorni di conservazione; “semistagionato”, da 45 giorni a 6 mesi di stagionatura; “stagionato”, da 6 mesi a 12 mesi di stagionatura; “da asserbo”, oltre 12 mesi di stagionatura. Il "Pecorino delle Balze Volterrane” deve, inoltre, avere al momento della immissione al consumo, le seguenti caratteristiche: 2.1 Caratteristiche fisiche Forma: cilindrica a facce piane con scalzo dritto o leggermente convesso. Diametro delle facce: da 10 a 30 cm. Altezza dello scalzo: da 5 a 15 cm. Peso: da 600 g a 2 Kg, per il pecorino «fresco», «semistagionato» e «stagionato», fino a 7 Kg per il pecorino «da asserbo». Crosta: di colore variabile dal giallo paglierino al giallo carico. Dopo il trattamento (di cui all’art. 5.2.2) con olio di oliva e cenere presenta colore grigio. Pasta: a struttura compatta e minima friabilità con eventuale leggera occhiatura irregolarmente distribuita. Al taglio il colore si presenta variabile dal bianco per il tipo «fresco» al paglierino più meno intenso nel tipo «semistagionato», «stagionato» e «da asserbo». 2.2 Caratteristiche chimiche Grasso sulla sostanza secca: >45 % Proteine(Nx6,25): >20 % 2.3 Caratteristiche organolettiche Profumo: persistente che ricorda il latte e il cardo selvatico, con sentori di erbe aromatiche e fiori. Sapore: al primo assaggio dolce, con sentori di latte e floreali e note di cardo; retrogusto lungo e persistente con richiami vegetali freschi; finale leggermente piccante, caratteristica che diventa più intensa con l’aumentare del periodo di stagionatura, accompagnandosi a una leggera sapidità e allappatura nei tipi “stagionato” e “da asserbo”. Articolo 3. Zona di produzione La zona di allevamento degli ovini e di produzione e stagionatura del "Pecorino delle Balze Volterrane" è rappresentata esclusivamente dal territorio dei comuni di Volterra, Pomarance, Montecatini Val di Cecina, Castelnuovo Val di Cecina, Monteverdi, tutti ubicati in provincia di Pisa. Articolo 4. Metodo di ottenimento 4.1. Materia prima e ingredienti La lavorazione del “Pecorino delle Balze Volterrane” prevede l'impiego delle seguenti materie prime, nelle dosi indicate al successivo art. 5.2.2: Latte: ovino, crudo e intero, prodotto da capi di razza sarda allevati con sistema semi-brado nel territorio di cui all’art. 3. Caglio: vegetale ricavato dalle infiorescenze di cardo o carciofo selvatico (Cynara cardunculus). Sale: fino. 4.2 Sistema di allevamento e alimentazione degli animali Il sistema di allevamento è semi-brado. L’alimentazione degli ovini è ricavata per almeno i 2/3 del fabbisogno complessivo dal pascolamento nella zona geografica di origine. Foraggi conservati e cereali contenenti granelle (orzo, avena, favette) sono somministrati in quantità variabili da 100 g/capo/die a 800 g/capo/die a seconda del periodo dell’anno, con i valori maggiori concentrati nei mesi invernali e quelli inferiori nei mesi estivi. Gli ovini non possono essere alimentati con prodotti geneticamente modificati (OGM). 4.3 Tecniche di lavorazione 4.3.1 Produzione Il latte destinato alla trasformazione in “Pecorino delle Balze Volterrane” non deve essere sottoposto ad alcun intervento di termizzazione e deve essere lavorato entro 48 ore dall’effettuazione della prima mungitura. Il latte crudo viene versato in una caldaia di rame o acciaio inox detta “pentola” fino a raggiungere una temperatura compresa tra i 30 – 40°C. Al latte riscaldato è addizionato caglio vegetale (da un minimo di 10 ml ad un massimo di 50 ml per 100 litri di latte). È ammessa l’aggiunta di fermenti termofili e/o mesofili o autofermenti (ottenuti dal siero della lavorazione precedente) in quantità tali da produrre abbassamento di pH a 5,2 +/- 0,2 in tre/otto ore. Il latte è lasciato coagulare per un periodo oscillante tra i 30 ed i 60 minuti. Quando il coagulo ha raggiunto una consistenza solida si procede, con l’ausilio di un attrezzo detto “spino”, alla rottura dello stesso fino a che i grumi caseosi abbiano raggiunto la dimensione di una nocciola per il formaggio «fresco», «semistagionato» e «stagionato», e di una nocciolina o chicco di riso per il formaggio «da asserbo». Per la preparazione del pecorino, la cagliata può essere mantenuta in ambiente caldo (processo di “cottura”) a temperatura compresa tra 20°C e 40°C per un tempo che va da un minimo di 60 minuti ad un massimo di 180 minuti. Terminata la rottura e l’eventuale “cottura”, la cagliata è pressata manualmente in apposite forme cilindriche di materiale idoneo ad usi alimentari e trasferita su tavoli spersori, per favorire l’allontanamento del siero. 4.3.2 Salatura maturazione ed eventuale stagionatura La salatura deve essere effettuata manualmente a secco cospargendo di sale la superficie del formaggio, provvedendo a rivoltare il prodotto. Entro i successivi 10 giorni, in base alla pezzatura, si procede ad asportare dalla superficie del formaggio il sale in eccesso mediante lavaggio con acqua delle forme. Successivamente il formaggio viene posto ad asciugare su assi di legno chiaro, preferibilmente di pioppo ed abete, in locali freschi ad una temperatura compresa tra 6 – 16°C per un periodo corrispondente ai tempi di stagionatura indicati all’art. 2 per ciascuna tipologia di formaggio. Durante la fase di stagionatura le forme di pecorino, con frequenza almeno settimanale, devono essere capovolte, spazzolate e lavate con acqua per eliminare la muffa eventualmente formata. Sono ammessi per il pecorino «da asserbo» trattamenti con olio di oliva o con olio addizionato a sale, cenere di leccio o di pioppo. Per i prodotti con una stagionatura superiore ai 30 giorni, parte del processo di stagionatura può avvenire in grotte di tufo, o in fosse di argilla, o in cantine presenti nel territorio di cui all’art. 3. Articolo 5. Legame con il territorio 5.1 Il territorio Situato agli estremi confini sud-orientali della Provincia di Pisa, il territorio di produzione si estende tra le valli dei fiumi Era (a Nord) e Cecina (a Sud). Per la sua posizione interna ma non troppo lontana dal mare, l’areale presenta un clima sub-litoraneo con mesi autunnali e primaverili piovosi. La geologia, seppur piuttosto semplice, presenta una morfologia estremamente variegata a causa della spinta erosione meteorica unita alla prolungata attività antropica (disboscamento, pastorizia, lavori agricoli) che hanno dato luogo alla formazione di biancane (piccole cupole argillose di aspetto mammellonare), calanchi (serie di ripidissime piccole valli contigue caratterizzate da un profilo planimetrico simile a un ferro di cavallo) e balze (gigantesche voragini originate dall'azione erosiva delle acque meteoriche). In questo ambiente avviene una forte selezione della vegetazione. La morfologia tormentata, la mobilità e la scarsa permeabilità del substrato, lo scarso contenuto di materia organica, la sua ricchezza in sali e i lunghi periodi di aridità selezionano una rada vegetazione erbacea che tollera la salinità ed esprime specifici meccanismi di adattamento. La sommità dei calanchi e i crinali sono occupati da una prateria di graminacee, nelle aree con argilla affiorante domina la sulla, alla base dei calanchi piante che sopportano i ristagni d’acqua. Diffusi anche il timo e le piante che sono oggetto di brucatura, come la ginestra odorosa. Ma soprattutto vi“nasce spontaneamente in gran copia” (G. Amerighi: Il cacio pecorino, 1973) il cardo selvatico. L’allevamento ovino ha rivestito da sempre una notevole importanza nell’economia agraria del territorio volterrano. Le condizioni pedoclimatiche dell’areale, particolarmente idonee, hanno favorito negli anni il trasferimento in loco di intere famiglie di allevatori. Questo ha comportato un progressivo aumento della consistenza del patrimonio ovino locale, dalla cui attitudine alla produzione di latte piuttosto che lana molti storici fanno derivare la rinomata esperienza degli allevatori e lo sviluppo di molte strutture idonee alla caseificazione. La tradizionale trasformazione del latte crudo direttamente in caseifici annessi alle strutture di ricovero degli animali è altresì all’origine del carattere artigianale di tale attività. Grazie all’impiego della mano d’opera locale e all’uso di tecniche costanti, si è riusciti a garantire una continuità della tradizione, con conseguente mantenimento di un’alta specializzazione inevitabilmente legata a risorse umane difficilmente reperibili in altri contesti territoriali. 5.2 Il prodotto Le peculiarità del “Pecorino delle Balze volterrane” nascono dal particolare metodo di produzione basato sull’impiego di caglio ricavato dai fiori della pianta di cardo, presente in abbondanza nel territorio. Questo aspetto e la specificità dei pascoli determinano differenze con gli altri formaggi ottenuti da latte ovino soprattutto sotto il profilo organolettico. In particolare, a parte la dolcezza, che è inusuale in un formaggio pecorino, sono percepibili profumi unici di erbe e fiori, le cui essenze, grazie alle ridotte temperatura di lavorazione (< 40°C), rimangono disciolte e caratterizzano il prodotto finito conferendo al formaggio gusti e profumi tipici dell’areale di produzione. Proprio queste caratteristiche sono state alla base delle lodi che molti, da letterati a studiosi di scienze agrarie, hanno speso sul prodotto e che risalgono fino al XV secolo. Molte sono infatti le segnalazioni sul formaggio locale ottenuto con l’impiego di caglio vegetale ritrovate in documenti che risalgono al XVIII secolo. In particolare è utile menzionare un interessante carteggio, della metà del 1700, intercorso tra Monsignor Mario Guarnacci, erudito cittadino volterrano, ed il suo maestro il filologo Anton Maria Salvini. In alcune missive raccolte in un testo di G. Pilastri del 1926, si leggono espliciti riferimenti al “Pecorino delle Balze volterrane”. Di esso si dice esplicitamente che “è migliore, per qualità, perfino dei rinomati formaggi lombardi”, mentre in un sonetto si dichiara che “Ogni cacio egli cuopre oscura e atterra, E tutti i pregi in se dé caci aduna……”. Ulteriori riferimenti al “Pecorino delle balze volterrane” risalgono al XVIII secolo. In particolare si segnala l’opera del francese M. De La Lande dal titolo “Voyage in Italie” pubblicata a Parigi 1786. Nel capitolo XXIII, intermente dedicato ai formaggi italiani (“Des Fromages d’Italie”), l’autore, giunto in questa parte della Toscana, parla di «un fromage doux……, pour le quel on fait prendre le lait avec une fleur de chardon”.. Nella prima metà dell’Ottocento, il prodotto compare nei libretti di osservazioni agrarie di Ignazio Balenotti, canonico pievano del territorio, pubblicati nel citato volume di G. Amerighi. Secondo il Balenotti in Toscana sono presenti due tipologie di formaggi: “quello detto forte e che pizzica e l’altro dolce”. Il secondo si ottiene “dal fiore di carciofo selvatico detto presame e conosciuto dalla più parte dei nostri contadini col vocabolo di presura”. Appare interessante infine notare che il “Pecorino delle Balze volterrane” ha sempre avuto un riconoscimento anche economico. Come si desume dal “Listino dei prezzi all’ingrosso” pubblicato dal Consiglio e Ufficio provinciale dell’economia di Pisa, nei primi anni ‘30 del secolo scorso questo formaggio riusciva a spuntare prezzi di vendita molto più alti degli altri (1.700 lire/q.le prodotto stagionato; 1.000 lire a q.le prodotto fresco. Il prezzo degli altri formaggi era: Stracchino, 800 L/q.le; Belpaese: 900L/q.le; Gorgonzola prima qualità: 850L/q.le; Parmigiano reggiano scelto: 1650 L/q.le). 5.3 Il legame fra il prodotto e il territorio Il clima e la conformazione geologica del territorio favoriscono lo sviluppo di essenze vegetali locali che rappresentano la principale fonte di sostentamento degli ovini al pascolo e che conferiscono aromi volatili al latte. L’ambiente risulta determinante anche per l’ottenimento del particolare tipo di caglio derivante dal cardo selvatico presente in abbondanza nel territorio. L’imponente fenomeno erosivo inoltre ha portato alla formazione di strutture cavernose di forme e dimensioni diverse utilizzate, nei secoli scorsi, dai contadini e dai pastori locali sia per il ricovero del bestiame che per la stagionatura dei prodotti lattiero-caseari. Qui infatti i livelli di umidità, tendenzialmente costanti, fanno si che la stagionatura del pecorino proceda gradualmente, contribuendo in tal modo a mantenere le peculiarità del prodotto. Nella gastronomia locale il “Pecorino delle Balze Volterrane”, noto per il suo sapore delicato, è estremamente ricercato rientrando in molti piatti della cucina tradizionale pisana. Numerose sono le occasioni di consumo di questo formaggio come antipasto, insieme a salumi e ortaggi sott'olio, grattugiato sui primi piatti conditi con sugo di carne o e infine, a seconda del suo periodo di stagionatura, come formaggio da tavola o da grattugia nella preparazione di minestre e paste ripiene cotte al forno (ad es. nei “ceci in magro”). Articolo 6. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare sono svolti, da una struttura di controllo, conformemente a quanto previsto dal Reg. (CE) 1151/2012. La struttura designata è Agroqualità S.r.l. – Viale Cesare Pavese 305 00144 Roma - tel. 06.54228575 fax 06.54228692 posta elettronica: agroqualita@legalmail.it - agroqualita@agroqualita.it Articolo 7. Confezionamento ed etichettatura Le modalità di confezionamento del prodotto all’atto dell’immissione al consumo prevedono una etichetta informativa posta su una delle due facce del prodotto. L’etichetta reca a caratteri chiari e leggibili, oltre al logo del prodotto, al simbolo grafico comunitario e relativa menzione (in conformità alle prescrizioni della Regolamentazione comunitaria) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti indicazioni: - "Pecorino delle Balze Volterane"; intraducibile, seguito, per esteso o in sigla (DOP), dalla espressione traducibile "Denominazione di Origine Protetta; - la tipologia di stagionatura («fresco», «semistagionato», «stagionato» e «da asserbo») ai sensi dell’art. 2 del presente disciplinare, - il nome, la ragione sociale, l'indirizzo dell'azienda produttrice, stagionatrice e confezionatrice. Il prodotto può essere venduto preincartato, ovvero confezionato sotto vuoto, intero e/o porzionato. Al fine di impedire che nella porzionatura si possa perdere l’identità del prodotto, la dicitura “Pecorino delle Balze Volterrane” deve essere riportata sull’etichetta alternata al logo del prodotto e ripetuta almeno 4 volte (a 90° di distanza l’una dall’altro). È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e che non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. Il logo del prodotto consiste, come da figura riportata, in una immagine di formato circolare nel cui centro compare la figura stilizzata di un carciofo selvatico (cardo) e due segni grafici curvilinei che vanno a delineare la lettera “V”, le foglie del carciofo selvatico e il profilo di due colline che compaiono sullo sfondo sovrastate dal cielo. All’interno del cerchio lungo la parte superiore della circonferenza stessa compare la dicitura “Pecorino delle Balze” nel carattere tipografico Lucida Sans italic, nella parte inferiore destra sempre all’interno della circonferenza compare la dicitura “volterrane” nel carattere tipografico Lucida Sans italic. I riferimenti colorimetrici sono i seguenti: Circonferenza: pantone verde 3282 CVC Paesaggio: cielo - sfumatura radiale di due tonalità di azzurro dal più chiaro all’interno al più scuro all’esterno Azzurro chiaro:pantone 573 CVC Azzurro scuro: pantone 643 CVC colline – sfumatura lineare dal giallo al verde (collina sinistra inclinazione 55°, collina destra inclinazione 125°) Giallo: pantone 110 CVC Verde: pantone 375 CVC Carciofo selvatico (cardo): Fiore rosa: pantone 508 CVC Corpo spinoso verde smeraldo: pantone 3282 CVC Gambo verde smeraldo: pantone 3282 CVC Foglie verde smeraldo: pantone 3282 CVC Testo verde smeraldo: pantone 3282 CVC | D.O.P. | Formaggi | Toscana | Pisa | ||
Pecorino di Filiano Pecorino di Filiano Disciplinare di produzione - Pecorino di Filiano DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta (D.O.P.) Pecorino di Filiano è riservata esclusivamente ai formaggi ottenuti con latte ovino che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Il Pecorino di Filiano è prodotto in provincia di Potenza, nell’area Nord -Occidentale della Basilicata, nella fascia appenninica che dal Monte Vulture arriva al Monte Li Foy fino ad arretrare alla Montagna Grande di Muro Lucano. Il territorio, caratterizzato da terreni vulcanici e da pascoli naturali ricchi di essenze spontanee aromatiche, comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di: ATELLA, AVIGLIANO, BALVANO, BARAGIANO, BARILE, BELLA, CANCELLARA, CASTELGRANDE, FILIANO, FORENZA, GINESTRA, MASCHITO, MELFI, MURO LUCANO, PESCOPAGANO, PICERNO, PIETRAGALLA, PIGNOLA, POTENZA, RAPOLLA, RAPONE, RIONERO IN VULTURE, RIPACANDIDA, RUOTI, RUVO DEL MONTE, SAN FELE, SAVOIA DI LUCANIA, TITO, VAGLIO DI BASILICATA, VIETRI DI POTENZA. Articolo 3. Descrizione del processo produttivo Il Pecorino di Filiano, formaggio a pasta dura, è ottenuto con latte intero di pecore di razza Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci, proveniente da allevamenti ubicati nell’areale di cui al presente disciplinare. Il latte destinato alla produzione del formaggio Pecorino di Filiano deve provenire da una o due mungiture, in genere quella serale e quella del mattino successivo. La lavorazione del latte deve essere eseguita entro 24 ore dall’effettuazione della prima mungitura. E’ consentita la refrigerazione del latte nel rispetto dei valori minimi previsti dalle vigenti disposizioni legislative in materia. Il latte destinato alla trasformazione in Pecorino di Filiano deve derivare da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, foraggi freschi e da fieni di ottima qualità prodotti nell’area descritta. L’integrazione è consentita solo con granella di cereali e leguminose prodotti nella stessa area di cui al presente disciplinare. Nell’alimentazione è vietato l’utilizzo di prodotti derivati di origine animale, di insilati e di piante o parti di piante (semi) di trigonella, tapioca, e manioca. Nel contempo è vietato utilizzare alimenti di origine animale o vegetale di qualsiasi tipo geneticamente modificati. Articolo 4. Caratteristiche del processo produttivo Il Pecorino di Filiano è ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative alla tecnologia di trasformazione, in quanto rispondenti al seguente ciclo produttivo: a) il latte crudo, opportunamente filtrato con appositi setacci e/o filtri (da lavare dopo ogni filtraggio con acqua calda e prodotti consentiti per assicurare una adeguata igiene del latte) in tela quando munto a mano, è riscaldato tradizionalmente in caldaie, fino alla temperatura massima di 40°C, col fuoco a legna o mediante altre forme di energia; quindi alla temperatura di 36-40° C viene aggiunto caglio di capretto o agnello in pasta, prodotto ricavato artigianalmente da animali allevati nell’area di produzione del presente disciplinare; b) il caglio artigianale deve essere preparato con la tecnica di cui all’allegato A del presente disciplinare; c) formatasi la cagliata, deve essere rotta in modo energico, con l’ausilio di un mestolo di legno, detto “scuopolo” o “ruotolo” recante una protuberanza all’apice, fino ad ottenere grumi delle dimensioni di un chicco di riso; d) dopo pochi minuti di riposo sotto siero la cagliata viene estratta e inserita in forma nelle caratteristiche “fuscelle” di giunco dette “fuscedd’” o in altro materiale idoneo per prodotti alimentari con la caratteristica sagomatura tipo giunco; e) la cagliata viene “frugata”, mediante pressatura con le mani, per favorire la fuoriuscita del siero. Le forme ottenute vengono immesse nella scotta a temperatura non superiore a 90°C fino ad un massimo di 15 minuti; f) la salatura viene effettuata sia a secco che in salamoia. Nel primo caso si protrae per diversi giorni, variabili secondo le dimensioni della forma, con aggiunta diretta di sale; nell’altro caso il formaggio permane immerso in salamoia satura per 10-12 ore per Kg della forma; g) il formaggio va messo a maturare nelle caratteristiche grotte in tufo o in idonei locali per la stagionatura dei formaggi ad una temperatura di 12-14°C e un’umidità relativa del 70-85% per almeno 180 giorni. A partire dal 20° giorno di maturazione la crosta dei pecorini può essere curata con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino. Il formaggio “Pecorino di Filiano”si produce tutto l’anno. Articolo 5. Caratteristiche del prodotto finito Il formaggio “Pecorino di Filiano” può essere utilizzato come formaggio da tavola e da grattugia e all’atto del consumo il prodotto deve avere le seguenti caratteristiche: - la forma deve essere cilindrica a facce piane, con scalzo diritto o leggermente convesso; - la dimensione delle forme deve rispettare il diametro delle facce da 15 a 30 cm e l’altezza dello scalzo da 8 a 18 cm; - il peso deve essere compreso da 2,5 a 5 Kg in relazione alle dimensioni della forma; - il colore della crosta recante i caratteristici segni della fuscella si presenta dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate e trattate superficialmente con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino, tramite uno sfregamento superficiale effettuato a mano; - la pasta mostra una struttura di consistenza compatta con presenza di minute occhiature non regolarmente distribuite; - il colore della pasta varia dal bianco nei pecorini giovani al paglierino in quelli più stagionati; - il sapore che inizialmente è dolce e delicato diviene leggermente piccante quando il formaggio ha raggiunto il periodo minimo di stagionatura, diventando più accentuato con il protrarsi della stessa; - il grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%. Alla denominazione di “Pecorino di Filiano” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi extra, superiore, fine, scelto, selezionato e similari. È consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non atti a trarre in inganno il consumatore, purchè di dimensioni significativamente inferiori a quelle utilizzate per il contrassegno della D.O.P. Articolo 6. Etichettatura Il formaggio “Pecorino di Filiano” deve recare apposto, all’atto della sua immissione al consumo, il contrassegno di cui al presente disciplinare costituito da un marchio a fuoco le cui caratteristiche sono riportate nell’allegato B al presente disciplinare, sulle forme idonee e certificate. E’ consentita l’immissione al consumo del prodotto porzionato, corrispondente alla metà o ad un quarto della forma certificata, a condizione che ciascuna porzione rechi il marchio a fuoco sopra indicato. Articolo 7. Elementi che comprovano l’origine L’origine del “Pecorino di Filiano” è legata a molti secoli di storia come riportato in numerosi testi già dal 1600. Del resto il toponimo “Filiano” deriverebbe dall’abbondanza di lana filata dalle donne a testimonianza della presenza di tanti allevamenti di pecore. Con la conquista romana si hanno esempi dell’importanza dell’allevamento ovino con la delimitazione di alcuni assi della viabilità pastorale: la via Appia passava nell’areale delimitato per questo formaggio e costituiva parte dei vecchi tratturi regi utilizzati dai pastori durante la transumanza. In età Sveva e Angioina la Valle di Vitalba,comprensorio che si disloca tra Filiano, Atella, Rionero in Vulture, San Fele e Ruvo del Monte, assume un ruolo produttivo importante nell’economia del Regno di Napoli, soprattutto i prodotti caseari sono oggetto di un florido mercato verso la capitale. I Doria, feudatari della zona del Vulture, organizzano le strutture produttive stabilendo masserie specializzate per gli ovini nel comune di Melfi. Oltre all’allevamento si svilupparono stabilimenti per la trasformazione del latte e della lana. Nei mesi primaverili e estivi veniva, e ancora oggi, viene perpetrato il rito della produzione dei formaggi, in particolare del “Pecorino di Filiano”, di ottima qualità grazie agli eccellenti pascoli con presenza di moltissime essenze pascolive, quali loglio, trifoglio, poa, festuche, dattile, veccia, avena selvatica, sulla spontanea e di erbe officinali, timo, malva, finocchietto selvatico e alla ricchezza di acque che sgorgano cariche di sali minerali dalle falde vulcaniche del Monte Vulture. La caseificazione del latte avveniva in grotte naturali o locali interrati artificiali ancora ben visibili in molte aree della zona di produzione. La stessa stagionatura avviene, come nel passato, in grotte naturali in tufo che conferiscono al prodotto la freschezza e le caratteristiche organolettiche di grande pregio. In “Statistica del Regno di Napoli”, nella parte che riguarda la sussistenza della popolazione del circondario di Avigliano, di cui Filiano era frazione fino al 1952, viene riportato che il cacio era quotato a cent. 88. Nella sezione relativa alla pastorizia si evidenzia che “….si fa uso de’ merinos per rinnovare la qualità buona d’origine. Sono d’indole mansuete, e di mediocre taglia. Per i prodotti della pastorizia il cacio di pecore e capre conta 400 forme, de’ quali 140 consumansi nel paese…”. Al fine di consentire la tracciabilità del prodotto sono istituiti, e costantemente aggiornati, presso l’Organismo di Controllo: a) il registro degli allevatori all’interno del quale vengono registrati i dati sul latte che viene destinato alla produzione del “Pecorino di Filiano”; b) il registro dei produttori; c) il registro degli stagionatori; d) il registro dei porzionatori, se soggetti diversi dagli stagionatori. Articolo 8. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente La consistenza degli allevamenti ovini nell’areale di produzione è di 120.847 capi. La produzione di latte totale stimata è di 114.191q. con una resa del latte in pecorino di Filiano variabile dal 15 al 18% a seconda dei periodi dell’anno. Il 79% degli allevatori ha una classe di ampiezza inferiore a 50 capi, l’11% tra 50 e 100 capi ed il 10% superiore a 100 capi. La forma di conduzione prevalente è quella diretta coltivatrice (99%) con manodopera familiare esclusiva nell’85% dei casi. Il latte prodotto viene trasformato nella quasi totalità dei casi direttamente in azienda in piccoli caseifici artigianali seguendo una tecnologia tramandata da una generazione all’altra. Il “Pecorino di Filiano”, per quanto prodotto nell’intero anno, vede il suo apice produttivo nel periodo primaverile e nella prima parte dell’estate. Ciò per svariate ragioni sia legate alla tradizione che agli aspetti produttivi: i parti delle pecore sono programmati per lo più nel periodo dicembre – gennaio, sia per vendere agevolmente gli agnelli nel periodo della Pasqua sia per consentire alle pecore di alimentarsi degli eccellenti pascoli primaverili delle montagne del comprensorio del Pecorino di Filiano (Monte Vulture, Monte Santa Croce, Monte Ly Foy, ecc.). In tal modo si consente al bestiame di produrre la maggior quantità di latte proprio nel periodo di massima disponibilità di essenze foraggere derivanti dal pascolo naturale quali: loglio, trifoglio, poa, festuche, dattile, veccia, avena selvatica, sulla spontanea e di erbe officinali, timo, malva, finocchietto selvatico. Altra caratteristica del “Pecorino di Filiano” è quella della stagionatura del formaggio nelle grotte naturali o in idonei locali interrati. Ancora oggi gli allevatori e i trasformatori che producono “Pecorino di Filiano” utilizzano questi particolarissimi locali i quali hanno la capacità di caratterizzare il prodotto conferendo allo stesso la freschezza e le caratteristiche organolettiche che gli sono riconosciute. Il caglio utilizzato per la coagulazione del latte si ricava dallo stomaco di capretti e agnelli lattanti degli animali indicati nel presente disciplinare di produzione. Modalità di preparazione: 1) i capretti o gli agnelli vanno allevati in recinti ove non vengono a contatto con alimenti e ricevono solo il latte materno; 2) a 25-40 giorni di età si procede alla mattazione prelevando i caglioli che vanno gonfiati e posti ad asciugare all’aria con eventuale aggiunta di latte intero crudo di capra o pecora; 3) i caglioli asciutti vanno riposti stratificati con sale da cucina in cassette che ne permettono lo sgrondo per circa 15 giorni; 4) dopo la sosta sotto sale i caglioli vanno asciugati per circa 60 giorni; 5) i cagli vanno raccolti, puliti togliendo le parti di grasso e impurità, tagliati a strisce sottili e macinati. Alla pasta ottenuta, ben mescolata, viene aggiunto 150 gr. di sale fino per Kg di pasta. Il tutto si reimpasta e si conserva in barattoli di vetro ben chiusi, in luogo fresco e al riparo dalla luce. | D.O.P. | Formaggi | Basilicata | Potenza | ||
Pecorino di Picinisco Pecorino di Picinisco Proposta di Disciplinare di produzione “Pecorino di Picinisco”Articolo 1. Denominazione 1.1 La denominazione di origine protetta (DOP) “Pecorino di Picinisco” è riservata esclusivamente al formaggio rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto 2.1. All’atto dell’immissione al consumo, il “Pecorino di Picinisco” DOP è un formaggio di forma cilindrica a facce piane, a latte crudo e a pasta cruda, ottenuto da latte ovino delle razze di Sopravissana, Comisana, Massese o incroci con almeno una di queste razze. E’ ammesso l’utilizzo di latte di capra proveniente dalle razze a diffusione limitata quali Capra grigia ciociara, Capra bianca monticellana, Capra capestrina o incroci con almeno una di queste, per una percentuale massima del 25%. Per la produzione del “Pecorino di Picinisco” DOP, è ammesso, esclusivamente, l’utilizzo di latte crudo intero proveniente da una o più mungiture. 2.2. Il formaggio “Pecorino di Picinisco” DOP, immesso al consumo nelle tipologie “Scamosciato” e “Stagionato”, presente le seguenti caratteristiche: o Scamosciato: Stagionatura: da 30 a 60 giorni; Diametro del piatto: da 12 cm a 25 cm; Altezza della scalzo: da 7 cm a 12 cm; Pezzatura: da 0,7 kg a 2,5 kg; Crosta: sottile e rugosa, tendente al giallo paglierino; Pasta: struttura compatta con leggera occhiatura; colore bianco tendente al giallo paglierino; Umidità: inferiore al 45% Grasso sulla sostanza secca: inferiore al 55%; Sapore: dolce con spiccati aromi di pascolo di montagna. Assenza di odore di stalla. Stagionato: o Stagionatura: oltre 90 giorni; o Diametro del piatto: da 12 cm a 25 cm; o Altezza della scalzo: da 7 cm a 12 cm; o Pezzatura: da 0,5 kg a 2 kg; o Crosta: sottile e rugosa, tendente al giallo paglierino; o Pasta: struttura compatta con leggera occhiatura; colore giallo paglierino; o Umidità: inferiore al 35%; o Grasso sulla sostanza secca: inferiore al 55% o Sapore: intenso e corposo che prosegue verso il piccante con la stagionatura, con spiccati aromi di pascolo di montagna. Assenza di odore di stalla. 2.3. Periodo di produzione: tutto l’anno. Articolo 3. Zona di produzione 3.1. L’areale di produzione del formaggio “Pecorino di Picinisco” DOP particolarmente vocato alla pastorizia e alla produzione di formaggi ovi – caprini, ricade nella valle di Comino, un bacino inquadrato nel Lazio meridionale, in provincia di Frosinone, pochi km a Nord di Cassino ed ad Est di Sora, nel settore occidentale della catena montuosa della Meta – Mainarde. Il comprensorio, incluso in parte nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise, è caratterizzato da rilievi calcarei a forte valenza ambientale e da una vasta superficie investita a pascolo, fonte primaria di alimentazione degli ovini e caprini allevati sul territorio. 3.2. I comuni dell’areale DOP ricadenti nella provincia di Frosinone, sono: Acquafondata, Alvito, Atina, Belmonte Castello, Campoli Appennino, Casalattico, Casalvieri, Fontechiari, Gallinaro, Pescosolido, Picinisco, Posta Fibreno, San Biagio Saracinisco, San Donato Val di Comino, Settefrati, Terelle, Vallerotonda, Villa Latina, Vicalvi, Viticuso. Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorato documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, degli allevatori, produttori, stagionatori e confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotto, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte la persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e del relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1 Il latte destinato alla produzione del formaggio Pecorino di Picinisco DOP deve provenire da razze ovi-caprine di cui all’art 2 punto 1, allevate nella zona geografica di cui all’art 3 5.2 Alimentazione degli animali L’alimentazione degli ovi-caprini deve provenire per almeno il 70% dalla zona di produzione. Deve basarsi su pascoli naturali e foraggi freschi ottenuti esclusivamente nell’areale di produzione di cui all’art.3. Il periodo minimo di pascolo è di 8 mesi all’anno E’ consentito, durante tutto l’arco dell’anno, l’integrazione con materie prime quali cereali, proteaginose e sottoprodotti dell’industria molitoria ed olearia, somministrati singolarmente o in miscela aziendale tra loro per un massimo del 30%/capo di tal quale (t.q.) ingerito giornalmente. È inoltre consentito l’utilizzo di fieno di graminacee, di leguminose e di prato naturale, che rappresenta la quota prevalente di foraggio durante il periodo autunno-vernino, mentre durante il periodo primaverile-estivo non deve superare la quota del 15% /capo/giorno di tal quale (t.q.). Per i soli capi non in lattazione è ammesso l’impiego di fieno-silo ed insilati. 5.3. Metodo di produzione Trattamenti del latte Il latte destinato alla produzione del “Pecorino di Picinisco” DOP, deve essere lavorato crudo. Il latte qualora non venga lavorato entro le 2 ore dalla fine della mungitura, può essere raffrescato a una temperatura non superiore a +15°C e lavorato entro le 14 ore dalla fine mungitura oppure essere refrigerato a una temperatura compresa tra +4°C e +6°C e lavorato entro le 48 ore dalla fine mungitura. Coagulazione Deve essere utilizzato caglio in pasta di capretto o di agnello proveniente da animali lattanti allevati nella zona di produzione delimitata. La temperatura di coagulazione è compresa tra +36°C e +38°C. Trattamenti del coagulo A fine coagulazione viene effettuata una rottura della cagliata, alla fine della quale i granuli del coagulo hanno la dimensione di un chicco di riso. In caldaia viene eseguita una leggera pressatura del coagulo; la cagliata viene trasferita nelle forme dove si procede ad una pressatura manuale o mediante sovrapposizione delle forme. Trattamenti successivi È ammessa la scottatura delle forme in scotta bollente per un periodo compreso tra 2 e 5 minuti. Dopo una breve fase di spurgo, le forme vengono sottoposte a salatura a secco per 12-24 ore in funzione della pezzatura. La quantità di sale utilizzata non deve essere inferiore a 20 g/kg di formaggio. Stagionatura La stagionatura che varia da un periodo di 30-60 giorni per la tipologia “Scamosciato” ad un periodo di oltre 90 giorni per lo “Stagionato” può avvenire in ambiente condizionato o in locale naturale. Le forme di formaggio vengono poste a stagionare preferibilmente su assi di legno di abete o faggio. E’ consentito durante la stagionatura di sottoporre le forme a trattamenti a base di olio di oliva ed aceto di vino. Articolo 6. Legame con l’ambiente 6.1 Il “Pecorino di Picinisco” DOP è un formaggio a pasta cruda che si produce esclusivamente da latte crudo, dall’utilizzo di caglio in pasta di agnello o capretto e senza aggiunta di fermenti lattici. Il latte crudo mantiene tutta la componente aromatica e microbiologica apportata dalle essenze pabulari presenti nei pascoli naturali dell’areale che costituiscono la base dell’alimentazione dei capi in lattazione. Il caglio in pasta proveniente da agnelli o capretti, alimentati solo con latte materno e macellati dopo l’allattamento, rafforza ulteriormente la componente aromatica e microbiologica apportata dall’ambiente di allevamento e di trasformazione. Questo tipo di caglio differisce in modo significativo da quello liquido ed in polvere di vitello, per il contenuto di enzimi lipolitici, praticamente assenti negli altri due tipi di caglio. Il mancato inoculo di fermenti lattici è un altro elemento chiave nella lavorazione tradizionale di questo formaggio, in quanto permette la conservazione e la salvaguardia della flora specifica. Tutti questi elementi determinano un particolare sapore dolce ma intenso che raggiunge il limite del piccante nel prodotto stagionato. Le condizioni di allevamento degli ovini e caprini e di trasformazione del formaggio, devono essere quelle tradizionali della zona, e comunque, atte a conferire al latte e al prodotto derivato le sue specifiche caratteristiche. Fattori naturali Le condizioni climatiche dell’area sono prevalentemente di tipo temperato: con una temperatura media annua che assume valori che vanno dai 14° C nel fondovalle, ai 5° C nelle zone più elevate delle catene montuose. Le precipitazioni sono decisamente abbondanti: i valori medi annui, infatti, vanno dai 1460 mm delle stazioni pluviometriche di Atina (520 m s.l.m.) e Picinisco (740 m s.l.m.) fino a oltre 1600 mm sulle vette delle montagne. L’assenza di aridità estiva, che conferma il carattere temperato del clima e lo distingue da quello mediterraneo, permette di utilizzare principalmente, come fonte alimentare per gli ovi-caprini, i prati naturali e prati-pascolo della zona, ricchi di essenze vegetali spontanee tipiche del territorio, come la graminacea Bromus erectus, il palèo comune (Brachypodium pinnatum), la Sesleria tenuifolia, le cyperacee (come la Carex kitaibeliana, Carex pairaei, Carex ovalis, Carex fusca, Carex hallerana, Carex pallescens) e le leguminose (quali l’Anthyllis montana, l’Anthyllis vulneraria e la Vicia hybrida), il Polypodium cambricum, l’Asplenium onopteris, l’Asplenium fissum, il Dryopteris pallida ssp., il Cerastiun cerastioides, il Lychnis flos-cuculi, il Sedum cepaea, l’Aphanes arvensis, il Mespilus germanica, l’Astrantia tenorei il Seseli montanum, la Grafia golaka, l’Ammi visnaga, l’Aster alpinus, il Taraxacum glaciale, il Reichardia picroides, il Juncus compressus, insieme al ginepro nano (Juniperus nana). Tali condizioni ambientali, insieme all’aspetto dell’ alimentazione e a quello della permanenza degli animali al pascolo, influisce in modo univoco e determinante sulla specificità del prodotto. in particolare si ha: - maggiore percentuale di carotenoidi, terpeni, e grassi polinsaturi che conferiscono al prodotto il caratteristico colore giallo paglierino e aromi delle specifiche essenze erbacee presenti. - assenza di odore di stalla. Fattori Umani L’influenza dei fattori umani sul prodotto deriva dall’abilità del casaro durante tutte le fasi di lavorazione. In particolare le procedure specifiche per il “Pecorino di Picinisco” sono riconducibili: -alla lavorazione a latte crudo senza inoculo di fermenti lattici artificiali con ripercussioni positive sul profilo sensoriale/organolettico del prodotto finito dovuto alla presenza /mantenimento della microflora specifica (lattobacilli e streptococchi). - alla rottura della cagliata eseguita senza ulteriore riscaldamento della stessa mediante l’utilizzo di uno spino in legno. Tale procedura determina un minore spurgo con una conseguente maggiore umidità nella pasta che collegata alla mancata pastorizzazione del latte (lavorazione del latte crudo) e all’ impiego del caglio in pasta di capretto e di agnello favorisce il mantenimento e lo sviluppo della specifica microflora. Queste condizioni determinano anche a fine stagionatura una pasta morbida e non gommosa. - alla maturazione/stagionatura durante la quale il formaggio posto a stagionare anche su assi di legno di abete o faggio viene sottoposto a trattamenti superficiali a base di olio di oliva e aceto di vino. Questi trattamenti impediscono lo sviluppo di muffe superficiali che possono alterare il l’aroma/ profumo del formaggio. La pastorizia rappresenta per i paesi dell’areale di produzione un denominatore comune sia sotto il punto di vista storico-culturale che economico, essendo ancora fortemente diffusa. Lo stretto legame con l’ambiente è evidenziato anche dalla presenza di popolazioni ovi-caprine autoctone che sono ancora presenti solo grazie alla vocazionalità ed alla dedizione dei pastori locali. La storicità del prodotto Pecorino di Picinisco è testimoniata dal ritrovamento di una serie di scritti (Castrucci del '600, la Statistica Murattiana del 1811), nonchè dall'abbondante documentazione archivistica conservata presso il Comune di Picinisco: bollette di accompagnamento delle merci, licenze di vendita al minuto e all'ingrosso, bollette di pagamento delle imposte. Il gran numero di capi ovini e caprini dei comuni dell’areale di produzione DOP ed in particolare di Picinisco, riscontrata dai censimenti del bestiame del periodo 1875-2000, conferma il legame del territorio con l'attività pastorale e con la conseguente produzione casearia. Inoltre, è possibile evidenziare un elemento storico-culturale insito nelle radici sociali locali e allo stesso tempo di primaria importanza per le caratteristiche del prodotto: la tradizionale pratica della monticazione, che permette all’animale di sfuggire alla calura estiva e di conseguenza ai possibili stress ambientali e nutrizionali, che soffrirebbe nel fondo valle durante il periodo estivo. Ulteriore conferma del legame fra pastorizia/produzione di formaggi e abitanti dell’areale di produzione del “Pecorino di Picinisco”, è dato dallo studio dei toponimi condotto da Eugenio Maria Beranger, dove consultando le mappe catastali del 1806-1815, è frequente trovare la denominazione di luoghi legati alla produzione di formaggi. Il formaggio Pecorino di Picinisco ha una notevole influenza sulla gastronomia locale, essendo un ingrediente base di molte ricette tradizionali dell’areale. Numerose sono le sagre, le feste campestri e le manifestazioni popolari che si svolgono sulla pastorizia e sul formaggio pecorino, su tutto il territorio di produzione della “Pecorino di Picinisco” DOP. Si citano ad esempio il Premio San Giorgio Bianco – il formaggio del 2012 conferito alla delegazione di Roma e Lazio dell’ accademia di S. Giorgio; la partecipazione al concorso “Alma Ceseus per la sezione formaggi” – Parma e al salone del gusto di Torino con degustazioni specifiche del prodotto. Il “Pecorino di Picinisco” è stato inoltre citato in numerose trasmissioni televisive di emittenti pubbliche e private italiane dedicate all’enogastronomia. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dalla struttura di controllo della Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Frosinone, con sede in viale Roma 03100 Frosinone, conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE 510/06. Articolo 8. Etichettatura Il “Pecorino di Picinisco” DOP è commercializzato intero o porzionato nel rispetto della normativa vigente. 8.2 La forma intera o porzionata, reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori indicazioni: - la designazione “Pecorino di Picinisco” deve essere apposta con caratteri significativamente maggiori, chiari, indelebili, nettamente distinti da ogni altra scritta ed essere seguita dalla menzione Denominazione Origine Protetta o dal suo acronimo D.O.P. Articolo 9. Logotipo Il logo consta di un'area esterna perimetrale in pantone 382, ed una interna in pantone 575 nella quale è posta in alto la scritta di colore bianco e carattere franklin "Pecorino di Picinisco" e nella parte inferiore con medesimi caratteri e medesimo colore la scritta D.O.P. Al lato sx della stessa fascia compaiono 2 piccole strutture grafiche di colore pantone cool gray 3c - pantone 7427 (colori rappresentativi del comune di Picinisco) e la bandiera italiana. Nel corpo centrale del marchio compare una grande e sinuosa "p", che identifica sia l'iniziale di "Pecorino" sia di "Picinisco", diventando questo l'elemento caratterizzante. A lato del gambo della “P” compare una icona rappresentativa del muso di una pecora voltata a sinistra in pantone 575. In basso nel corpo centrale compaiono le forme grafiche a simboleggiare i monti della meta, nei pantone 377 - 378. Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo, rispettando il rapporto 1:1. - il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice. - l’indicazione della tipologia “Scamosciato” o “Stagionato”; - il lotto di produzione. | D.O.P. | Formaggi | Lazio | Frosinone | ||
Pecorino romano Pecorino Romano Disciplinare di produzione - Pecorino Romano DOPArticolo 1. La zona. di. provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio "Pecorino romano" comprende l’intero territorio delle regione della Sardegna, del Lazio e della provincia di Grosseto; Articolo 2. Il formaggio, a pasta dura e cotta, "Pecorino romano" è prodotto esclusivamente con latte fresco di pecora intero, proveniente da allevamenti ubicati nella zona di cui all’art. 1 ed ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative al processo di ottenimento, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente: a) il latte, eventualmente inoculato con colture di fermenti lattici naturali ed autoctoni dell’area di produzione, deve essere coagulato con caglio di agnello in pasta proveniente esclusivamente da animali allevati nella medesima zona di produzione; b) la salatura può essere effettuata a secco e/o in salamoia: Là stagionatura si protrae per almeno cinque mesi per il formaggio da tavola, per almeno otto mesi per il formaggio da utilizzarsi grattugiato. È prevista in alcuni casi la cappatura con protettivi per alimenti di colore neutro o nera; c) forma: cilindrica a facce piane; c) dimensioni: il diametro del piatto e compreso fra 25 cm e 35 cm; e) peso variabile da 20 kg a 35 kg in relazione alle dimensioni della forma. Sono tollerate leggere variazioni delle caratteristiche dimensioni e del peso in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; f) aspetto esterno: crosta sottile di colore avorio o paglierino naturale, talora cappata con appositi protettivi; g) pasta: struttura compatta o leggermente occhiata, al taglio il colore si presenta variabile dal bianco al paglierino più meno intenso, in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; h) sapore: aromatico e lievemente piccante per il formaggio da tavola; piccante, intenso c gradevole a stagionatura avanzata nel formaggio da grattugia. Il formaggio presenta un’aroma caratteristico delle particolari procedure di produzione; i) grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 36%. Il formaggio si produce, secondo gli usi tradizionali legati alle condizioni ambientali, nel periodo compreso da ottobre a luglio Articolo 3. Il formaggio a denominazione di origine "Pecorino romano" deve recare apposto all’atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all’allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative. Articolo 4. La legge 10 marzo 1969, n. 116, e il decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1955, n. 1263, limitatamente alle disposizioni relative al disciplinare di produzioni del formaggio a denominazione di origine "Pecorino romano" sono sostituiti dalle previsioni di cui ai precedenti articoli. È altresì sostituito dai citati articoli il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 agosto 1993 concernente modifiche al disciplinare da produzione del formaggio a denominazione "Pecorino romano". | D.O.P. | Formaggi | Toscana, Lazio, Sardegna | Frosinone, Grosseto, Latina, Roma, Viterbo, Cagliari, Nuoro, Sassari | ||
Pecorino sardo Pecorino Sardo Disciplinare di produzione - Pecorino Sardo DOPArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine del formaggio "Pecorino Sardo" il cui uso è riservato al prodotto avente i requisiti fissati con il presente decreto con riguardo alle caratteristiche organolettiche e merceologiche derivanti dalla zona di produzione delimitata nei successivi articoli. Articolo 2. La denominazione di origine "Pecorino Sardo" è riservata ai formaggi aventi le seguenti caratteristiche, in quanto si intende distinguere la tipologia "dolce" dalla tipologia "matura", ferma restando la medesima zona di produzione e di stagionatura per entrambe le tipologie: Pecorino Sardo dolce: formaggio da tavola a pasta semi-cotta prodotto esclusivamente con latte di pecora intero proveniente dalla zona di produzione, eventualmente inoculato con colture di fermenti lattici naturali e coagulato con caglio di vitella. La rottura del coagulo si protrae fino a che i grumi abbiano raggiunto la dimensione di una nocciola. La salatura si effettua per via umida e/o a secco. La maturazione si compie in 20-60 giorni. Forma: cilindrica a facce piane con scalzo diritto o leggermente convessi. Peso compreso tra 1 e 2,3 kg. Dimensioni: altezza dello scalzo cm 6-10, diametro delle facce cm 15-18. Variazioni in più o in meno delle dimensioni e del peso dipendono dalle condizioni tecniche di produzione e dal periodo di maturazione. Crosta: liscia, sottile di colore bianco o paglierino tenue. Pasta: bianca, morbida, compatta o con rada occhiatura, dal sapore dolce aromatico o leggermente acidulo. Grasso sulla sostanza secca minimo 40%. Pecorino Sardo maturo: formaggio da tavola o da grattugia a pasta semi-cotta prodotto esclusivamente con latte di pecora intero proveniente dalla zona di produzione, eventualmente inoculato con colture di fermenti lattici naturali e coagulato con caglio di vitella. La rottura del coagulo si protrae fino a che i grumi abbiano raggiunto la dimensione di un chicco di mais. La salatura si effettua per via umida e/o a secco. La stagionatura si protrae oltre i due mesi in appositi locali la cui temperatura ed umidità devono essere adeguatamente controllate. Forma: cilindrica a facce piane con scalzo diritto. Peso compreso tra 1,7 e 4 kg. Dimensioni: altezza dello scalzo cm 10-13, diametro delle facce cm 15-20. Variazioni in più o in meno delle dimensioni e del peso dipendono dalle condizioni tecniche di produzione e dal protrarsi della stagionatura. Crosta: liscia, consistente, di colore paglierino tenue nel formaggio giovane, bruno in quello più stagionato. Pasta: bianca, tendente con il progredire della stagionatura al paglierino, compatta o con rada occhiatura, Si presenta tenera, elastica e dal sapore dolce-aromatico nelle forme giovani, dura, talora con qualche granulosità, dal sapore gradevolmente piccante nelle forme più stagionate. Grasso sulla sostanza secca minimo 35% Il Pecorino Sardo maturo può essere sottoposto ad affumicatura con procedimento naturale. Articolo 3. La zona di produzione e di stagionatura del formaggio "Pecorino Sardo" dolce e maturo comprende l'intero territorio amministrativo della regione Sardegna. Articolo 4. Sulle forme di formaggio "Pecorino Sardo" dolce e maturo devono risultare contrassegni specifici della denominazione di origine del formaggio stesso e gli estremi del presente decreto | D.O.P. | Formaggi | Sardegna | Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra, Olbia-Tempio | ||
Pecorino siciliano Pecorino Siciliano Disciplinare di Produzione - Pecorino Siciliano DopDisciplinare di produzione della Denominazione di o Disciplinare di produzione della Denominazione di origine del forma rigine del formaggio "Pecorino Siciliano" DPR 30 ottobre 1955, integrato dal DPR 3 agosto 1993 – GURI n. 295 del 22 dicembre 195 GURI n. 295 del 22 dicembre 195 GURI n. 295 del 22 dicembre 1955 (Iscrizione nel "Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche prot igine protette e delle indicazioni geografiche protette" ai ette" ai sensi del Reg. CE n. 1107/96) sensi del Reg. CE n. 1107/96) Formaggio a pasta dura, crudo, prodotto esclusivamente con latte di pecora intero, fresco e coagulato con caglio di agnello. Si fabbrica nel periodo compreso fra l’ottobre e il giugno. La salatura viene effettuata a secco. Viene stagionato per almeno quattro mesi ed usato da tavola o da grattugia. Il formaggio stagionato presenta le seguenti caratteristiche: - forma cilindrica, a facce piane o leggermente concave; - dimensioni e peso: forma da 4 a 12 kg, altezza da 10 a 18 cm, con variazioni, in più o in meno in rapporto alle condizioni tecniche di produzione; - crosta bianco giallognola, recante impressi i segni del canestro nel quale è stata formata (canestrata), cappata con olio o morchia d’olio; - pasta compatta, bianca o paglierina, con limitata occhiatura; - sapore piccante caratteristico; - grasso sulla sostanza secca: minimo 40%. Zona di produzione: territorio della Regione siciliana. | D.O.P. | Formaggi | Sicilia | Agrigento, Caltanissetta, Catania, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa, Trapani | ||
Pecorino toscano Pecorino Toscano Disciplinare di produzione - Pecorino Toscano DopArticolo 1. La denominazione di origine del formaggio “Pecorino Toscano” è riservata al prodotto avente i requisiti fissati con il presente disciplinare con riguardo ai metodi di lavorazione ed alle caratteristiche organolettiche e merceologiche derivanti dalla zona di produzione delimitata nel successivo art.3. Articolo 2. La denominazione di origine “Pecorino Toscano” è riservata al formaggio avente le seguenti caratteristiche: formaggio a pasta tenera o a pasta semi dura, prodotto esclusivamente con latte di pecora intero proveniente dalla zona di produzione. L’alimentazione base del bestiame ovino deve essere costituita da foraggi verdi o affienati derivati dai pascoli naturali della zona con eventuali integrazioni di fieno e di mangimi semplici concentrati. Il latte deve essere coagulato ad una temperatura compresa tra i 33° e i 38° con aggiunta di caglio di vitello onde ottenere la coagulazione del latte entro 20-25 minuti. Il latte può essere utilizzato crudo o può subire un trattamento termico fino alla pastorizzazione e può essere inoculato con colture di fermenti lattici autoctoni, naturali o selezionati. Presso il Consorzio di tutela incaricato alla vigilanza è conservata la ceppoteca dei fermenti selezionati dal latte ovino della zona delimitata, accompagnata dalle schede della caratterizzazione dei singoli ceppi. Tale ceppoteca potrà essere aggiornata periodicamente attraverso nuove ricerche validate dal Consorzio di tutela e trasmesse al Ministero competente. Il formaggio deve essere prodotto con una tecnologia caratteristica e nella lavorazione si provvede alla rottura della cagliata fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di una nocciola per il formaggio a pasta tenera, e di un chicco di granoturco per quello a pasta semidura. Per la preparazione di quest’ultimo la cagliata potrà altresì essere sottoposta ad un trattamento termico (cottura) a 40-42° per 10-15 minuti. Dopo la rottura e l’eventuale cottura, la cagliata viene messa in apposite forme per lo sgrondo del siero. Lo spurgo o sineresi viene effettuato tramite pressatura manuale oppure con stufatura a vapore. La salatura è effettuata in salamoia al 17-19% di cloruro di sodio, pari a 15-17 gradi Baumé. La permanenza, riferita a kg di peso, è di almeno otto ore per il pecorino a pasta tenera e di almeno 12-14 ore per il pecorino a pasta semidura. La salatura può essere eseguita anche con l’aggiunta diretta di sale. Il tempo di permanenza maggiore è riservato al formaggio a pasta semidura. Il Pecorino Toscano può essere trattato esternamente con un antimuffa e deve essere maturato in idonee celle ad una temperatura di 5-12° C con umidità relativa del 75-90%. Il periodo di maturazione è di almeno 20 giorni per il tipo a pasta tenera e deve essere non inferiore a quattro mesi per il tipo a pasta semidura. E’ usato come formaggio da tavola o da grattugia. Presenta le seguenti caratteristiche: - forma cilindrica a facce piane con scalzo leggermente convesso; - dimensioni: diametro delle facce da 15 a 22 centimetri, altezza dello scalzo da 7 a 11 centimetri con variazioni in più o in meno in entrambe le caratteristiche in rapporto alle condizioni tecniche di produzione, - fermo restando che lo scalzo non deve mai superare la metà del diametro. Gli scalzi più elevati rispetto al diametro, saranno preferiti nelle forme a pasta semidura; - peso: da 0,75 a 3,50 kg; - confezione esterna: crosta di colore giallo con varie tonalità fino al giallo carico nel tipo a pasta tenera; il colore della crosta può eventualmente dipendere dai trattamenti subiti; - colore della pasta: di colore bianco leggermente paglierino per il tipo a pasta tenera, di colore leggermente paglierino o paglierino per il tipo a pasta semidura; - struttura della pasta: pasta a struttura compatta e tenace al taglio per il tipo a pasta semidura, con eventuale minuta occhiatura non regolarmente distribuita; - sapore: fragrante accentuato, caratteristico delle particolari procedure di produzione; - grasso sulla sostanza secca: per il prodotto a pasta semidura non inferiore al 40% e per il prodotto a pasta tenera non inferiore al 45%. Articolo 3. La zona di origine del latte e di produzione, di stagionatura del formaggio di cui sopra comprende l’intero territorio della regione Toscana, l’intero territorio dei comuni di Allerona e Castiglione del Lago ricadenti nella regione Umbria e l’intero territorio dei comuni di Acquapendente, Onano, San Lorenzo Nuovo, Grotte di Castro, Gradoli, Valentano, Farnese, Ischia di Castro, Montefiascone, Bolsena, Capodimonte ricadenti nella regione Lazio. Articolo 4. Il formaggio Pecorino Toscano deve recare apposto all’atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all’art.5, a garanzia della rispondenza del disciplinare. Tale marchio viene apposto sullo scalzo della forma, ad inchiostro sul formaggio a pasta tenera ed a caldo sul formaggio a pasta semidura. Sulle porzioni preconfezionate la marchiatura viene effettuata sulla confezione, purché avvenga in zona di origine. Il Pecorino Toscano porzionato può essere confezionato fuori dalla zona di origine e deve riportare il logo del caseificio o dello stagionatore. I confezionatori devono comunque stipulare una convenzione con il Consorzio di tutela incaricato della vigilanza, il cui testo, proposto dal Consorzio di tutela, viene autorizzato dal Ministero competente. La sigla riportata sotto il logo identifica il produttore/stagionatore/porzionatore il cui prodotto è certificato dall’organismo di controllo che provvede all’immissione in commercio del Pecorino Toscano. Sulle forme o sulle confezioni è presente una etichetta, autorizzata dal Consorzio di tutela incaricato della vigilanza, con le seguenti caratteristiche minime: 1. la scritta Pecorino Toscano D.O.P. o Pecorino Toscano D.O.P. stagionato deve essere quella con maggior rilievo ed evidenza rispetto a tutte le altre riportate in etichetta, sia in termini di dimensioni che di caratteri e di posizione; 2. il marchio a colori, come da art.5, deve essere riportato una o più volte, nelle dimensioni minime di 15 mm. Articolo 5. Marchio da apporre sulle forme o sulle confezioni di porzionato (vedere sopra) La prima cifra indica la tipologia a cui appartiene chi effettua l’immissione in commercio: da 1 a 3 caseifici; da 4 a 6 stagionatori; da 7 a 9 porzionatori residenti in zona. La seconda e terza cifra identificano il numero del caseificio/stagionatore/porzionatore il cui prodotto è controllato dall’organismo di controllo. | D.O.P. | Formaggi | Toscana, Umbria, Lazio | Arezzo, Firenze, Grosseto, Siena, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pistoia, Pisa, Viterbo, Terni | ||
Piacentinu Ennese Piacentinu Ennese Disciplinare di produzione - Piacentinu Ennese DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Formaggi | Sicilia | Enna | ||
Piave Piave Piave DOP - Origini e area di produzioneIl nome di questo prodotto deriva dall’omonimo fiume, la cui sorgente si trova sul monte Peralba in Val Visdende, nel territorio del Comelico, la parte più settentrionale della provincia di Belluno. Nella seconda metà del secolo scorso, precisamente l’08 gennaio 1872, nasce a Canale d’Agordo, su iniziativa del parroco locale don Antonio Della Lucia, la prima latteria sociale cooperativa del neonato Regno d’Italia. Le prime produzioni “codificate” con il nome "Piave DOP” risalgono al 1960, epoca in cui dei cento quintali di latte al giorno, conferiti alla Latteria della Vallata Feltrina, venivano per un terzo destinati alla produzione di Piave e Fior di latte. Il formaggio “Piave DOP", deve essere ottenuto con latte vaccino raccolto nel territorio delimitato dalla provincia di Belluno e sottoposto a caseificazione e stagionatura in stabilimenti ubicati entro la stessa provincia. Sono 204 le aziende della provincia di Belluno che conferiscono il latte all’Associazione proponente, che per il 2008 ha raggiunto una produzione di ben 2356 tonnellate di formaggio, con un fatturato di 13 milioni 821.000 euro. La Denominazione di Origine Protetta è stata riconosciuta nel 2010. Piave DOP - Caratteristiche e fasi di produzioneIl Piave è un formaggio di forma cilindrica, a pasta cotta, duro e stagionato, ottenuto con latte vaccino proveniente esclusivamente dalla provincia di Belluno. È caratterizzato da un sapore inizialmente dolce e lattico, che col procedere della stagionatura assume una maggiore sapidità e diventa progressivamente intenso e corposo fino ad una leggera piccantezza nelle stagionature più avanzate. Al consumo si presenta nelle seguenti tipologie: fresco (20/60 giorni di stagionatura), mezzano (60/180 giorni), vecchio (180-360 giorni), vecchio selezione oro (oltre 1 anno), vecchio riserva (oltre 18 mesi). La crosta è presente, tenera e chiara nella tipologia fresco, mentre aumenta di spessore e consistenza con l’avanzare della stagionatura, diventando dura e di una colorazione tendente al marrone nella tipologia vecchio. La pasta si presenta bianca nella tipologia fresco e diventa color paglierino nelle stagionature più avanzate. L’occhiatura è assente e la consistenza della pasta arriva fino ad una leggera e caratteristica sfogliatura nella tipologia Vecchio. Piave DOP - Gastronomia e vini consigliatiDa consumare al naturale con pane e verdure se fresco, o con composte di frutta se stagionato; la tipologia "Fresco" si abbina a vini bianchi giovani e leggeri, il "Mezzano" a vini bianchi di buon corpo o rossi giovani; i "vecchi" a vini rossi strutturati | D.O.P. | Formaggi | Veneto | Belluno | ||
Provolone del Monaco Provolone del Monaco Riconoscimento UE: Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea - Serie C 140 del 20.6.2009
Origini e zona di produzioneIl Provolone del Monaco Dop è un formaggio semiduro a pasta filata, stagionato, prodotto nella provincia di Napoli esclusivamente con latte crudo. La zona di allevamento delle bovine, di produzione e stagionatura è delimitata dai comuni di Agerola, Casola di Napoli, Castellamare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sorrento, Santa Maria La Carità, Vico Equense. La specificità del Provolone del Monaco è il risultato di un insieme di fattori tipici dell’area dei Monti Lattari – Penisola Sorrentina, in particolare delle caratteristiche organolettiche del latte prodotto esclusivamente da bovini allevati sul territorio, del processo di trasformazione che rispecchia ancora oggi le tradizioni artigiane e del particolare microclima che caratterizza gli ambienti di lavorazione e stagionatura. Fin dall’antichità la tipicità della Dop è strettamente legata all’allevamento della razza bovina autoctona Agerolese. L’allevamento dei bovini nei Monti Lattari – Penisola Sorrentina risale addirittura al 264 a.C, quando i i Picentini, i primi abitanti di questi monti, trasformarono lo spazio sottratto ai boschi in terreno coltivabile e incominciarono l’attività di allevamento di animali domestici, specialmente bovini ad attitudine lattifera. Il tipico nome Provolone del Monaco risale a tempi antichi, ed è strettamente legato al modo in cui in passato questo formaggio veniva trasportato per la vendita al mercato di Napoli. I provoloni venivano caricati su imbarcazioni a remi e qui contadini improvvisati commercianti, per ripararsi dall’umidità del mare e della notte, erano soliti coprirsi con un grande mantello simile al saio indossato dai monaci. Una volta arrivati a Napoli, la gente che lavorava al mercato presso il porto iniziò a chiamare il trasportatore, il Monaco, e il suo formaggio, il Provolone del Monaco. Provolone del Monaco DOP Caratteristiche e fasi di produzioneIl prodotto ammesso a tutela, all'atto dell'immissione al consumo, deve avere le seguenti caratteristiche: a) una stagionatura di almeno centottanta giorni (sei mesi), con una resa massima di 9 kg per ettolitro di latte trasformato; b) una forma di melone leggermente allungato ovvero di pera senza testina con un peso minimo di 2,5 kg ed uno massimo di 8 kg; una crosta sottile di colore giallognolo con toni leggermente scuri, quasi liscia con leggere insenature longitudinali in corrispondenza dei legacci di rafia usati per il sostegno a coppia che suddividono il Provolone in un minimo di 6 facce; c) una pasta, di colore crema con toni giallognoli, elastica, compatta, uniforme e senza sfaldature, morbida e con tipiche occhiature (a «occhio di pernice») di diametro variabile fino a 5 mm, con eventuale presenza di sporadiche occhiature di diametro maggiore, fino a 12 mm, più abbondanti verso il centro della massa; d) un contenuto in grasso sulla sostanza secca non inferiore al 40,5%; e) un sapore dolce e butirroso ed un leggero e piacevole gusto piccante; f) gli ambienti di stagionatura situati in località di cui all'art. 3, inoltre, conferiscono a questo formaggio i sapori esaltati dalla lunghezza della stagionatura. Dopo 7-8 mesi il provolone tenderà ad ingiallire ulteriormente, ispessendo la crosta ed assumendo un sapore via via più piccante ed un aspetto della pasta più consistente, anche se ancora abbastanza morbida e sempre privo di sfaldature. Il latte destinato alla trasformazione deve essere quello prodotto mediante secrezione della ghiandola mammaria e non sottoposto ad una temperatura superiore a 40°C o ad un trattamento avente effetto equivalente, così come descritto dall'art. 2, comma 1, della Direttiva CEE 46/92. La coagulazione del latte deve essere ottenuta per via presamica per circa 40-60 minuti aggiungendo caglio in pasta di capretto o caglio naturale liquido di vitello da soli o in combinazione tra loro, con almeno il 50% di caglio in pasta di capretto, riscaldando a 34-42°C. Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, dopo alcuni minuti, si procede alla rottura fino ad ottenere grumi molto piccoli delle dimensioni dapprima di una nocciola e successivamente di un chicco di mais. Si lascia riposare il tutto per circa 20 minuti. La cagliata deve essere poi riscaldata, così da avere nella massa una temperatura di circa 48-52°C, e lasciata prima riposare fino ad un massimo di 30 minuti, curando che la temperatura non si abbassi al di sotto dei 45°C, successivamente deve essere estratta dal siero e trasferita in teli di canapa o cestelli forati in acciaio per la maturazione. Dopo che le prove di filatura, a mano in acqua calda, hanno dato esito positivo in termini di elasticità e resistenza, si deve procedere al taglio della cagliata in fettucce di dimensioni variabili. Seguono le operazioni, da effettuarsi manualmente, di filatura e modellazione della massa con acqua a 85-95°C in forme dalle pezzature stabilite dal disciplinare. Segue il rassodamento per immersione in acqua fredda e la salatura per immersione in salamoia satura per 8-12 ore/kg di prodotto. I formaggi ottenuti, legati in coppie, appesi su apposite incastellature, devono essere lasciati stagionare per maturazione lattico-proteolitica, prima a temperatura ambiente di asciugamento dai dieci ai venti giorni e quindi in ambiente a temperatura fra gli 8 ed i 15°C per un periodo non inferiore ai sei mesi, sottoposto in questo periodo esclusivamente ad operazioni di lavaggio e pulitura delle muffe ed eventuale oliatura (olio extra vergine di oliva – DOP Penisola Sorrentina). La pezzatura delle forme dovrà essere tale che, a termine stagionatura, abbiano un peso minimo di 2,5 kg ed uno massimo di 8 kg. Gastronomia e vini consigliatiE' consigliato l'abbinamento con a vini rossi molto corposi e invecchiati. Il suo consumo è da sempre destinato alle tavole nobili dove viene apprezzato per il suo sapore rotondo, morbido e ben caratterizzato. | D.O.P. | Formaggi | Campania | Napoli | ||
Provolone Valpadana Provolone Valpadana Disciplinare di produzione - Provolone Valpadana DOPArticolo 1. E’ riconosciuta la denominazione di origine "Provolone Valpadana" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli articoli 3 e 4, nel contempo sono abrogate le disposizioni relative al riconoscimento della denominazione tipica "Provolone", di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 1955, n. 1269. Articolo 2. La zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio "Provolone Valpadana" comprende il territorio amministrativo di seguito specificato: Regione Lombardia: l'intero territorio amministrativo delle province di Cremona e Brescia: i comuni di Torre Pallavicina, Punienengo, Calcio, Romano di Lombardia, Fontanella, Barbata, Antegnate, Martinengo, Covo, Calcinate, Bolgare, Telgate, Cividate al Piano, Mormico al Serio, Polosco, Carobbio degli Angeli, Chiudano, Pagazzano e Calveazano ricadenti nella provincia di Bergamo; i comuni Asola, Acquanegra sul Chiese, Csalmoro, Canneto sull’Oglio, Casalromano, Bozzolo, Rivarolo, Mantovano e Roverbella ricadenti nella provincia di Mantova; i comuni di San Rocco al Porto, Caselle Landi, Castelnuovo Bocca d'Adda, Guardamiglio, Santo Stefano Lodigiano, Corno Giovane, Corno Vecchio, Meleti, Maccastorna, Senna Lodigiana, Somaglia, Fombio, San Fiorano, Malco, Codogno, Cavacurta, Camairago, Castiglione d'Adda, Bertonico, Terranova dei Passerini, Casalpusterlengo, Ospedaletto Lodigiano, Orio Litta, Senna Lodigiana, Livraga, Brembio, Turano Lodigiano, Secugnano, Borghetto Lodigiano, Ossago Lodigiano, Villanova del Sillaro, Mairago, Cavenago d'Adda, San Martino in Strada, Massalengo, Pieve Fissiraga, Conegliano Laudense, Lodi, Corte Palasio, Crespiatica, Abbadia Cerreto, Boffalora d'Adda (Lodigiano) ricadenti nella provincia di Milano. Regione Veneto: l’intero territorio amministrativo delle province di Verona, Vicenza, Rovigo e Padova. Regione Emilia-Romagna: l’intero territorio amministrativo della provincia di Piacenza. Provincia autonoma di Trento: i comuni di Ala, Avio, Besanello, Brentonico, Bieggio Superiore ed Inferiore, Calliano, Folgaria, Isera, Lomaso, Mori, Ronzo Chienis, Rovereto, Trambileno, Vallarsa, Volano, Arco, Dro, Molina di Ledro, Nago, Riva del Garda, Terragnolo, Pomarolo, Villalagarina, Aldeno, Trento, Cimone, Garnica, Terlago, Vezzano, Padergnone, Calavino, Lasino, Cavedine, Drena, Tenno, Fiavè. Grigno, Cinte Tesino, Castello Tesino, Pieve Tesino, Ospedaletto, Ivano Fracena, Strigno, Samone, Bieno, Spera, Scurelle, Carzano, Villagnedo, Castelnuovo, Telve, Telve di Sopra, Torcegno, Ronchi, Borgo, Roncegno, Novaledo, Levico, Vignola Falesina, Frassi-longo, Fierozzo, Palù del Fersina, S. Orsola, Bedollo, Baselga di Pinè, Fornace, Civezzano, Pergine, Tenna, Bosentino, Vigolo Vattaro, Vattaro, Calceranica, Caldo-nazzo, Centa, Lavarone, Luserna. Articolo 3. La denominazione di origine "Provolone Valpadana" è riservata al formaggio semiduro a pasta filata prodotto con latte di vacca intero ad acidità naturale di fermentazione, proveniente da vacche allevate esclusiva-mente nella zona di produzione di cui all'art. 2, ottenuto nel rispetto del processo tecnologico e rispondente allo standard produttivo di seguito elencati: coagulazione ottenuta con caglio di vitello lattante ovvero di capretto e di agnello, questi ultimi utilizzati da soli o congiuntamente; filatura della pasta nel rispetto degli usi leali e costanti effettuata dopo fermentazione naturale lattica in modo continuativo esclusivamente su coagulo ottenuto nello stesso caseificio nel quale é avvenuta la lavorazione del latte; modellatura effettuata manualmente o con l’ausilio di appositi stampi; successivamente la pasta deve essere sottoposta alla salatura in salamoia per un periodo di tempo variante da 12 ore fino a 25 giorni in relazione al peso della forma; stagionatura effettuata secondo l'uso tradizionale, appendendo le forme in ambienti idonei per temperatura ed umidità. Il periodo minimo è di 30 giorni. Il prodotto può essere affumicato; forma: a salame, a melone, troncoconica, a pera anche sormontata da testolina sferica (fiaschetta); la superficie esterna può presentare leggere insenature determinate dal passaggio delle corde di sostegno; peso: da 0,500 kg a 100 kg; più specificatamente da 0,500 kg a 6 kg per il formaggio destinato al consumo dopo una stagionatura di breve periodo: da oltre 6 kg a 100 kg per il formaggio destinato al consumo dopo una stagionatura in genere superiore ai tre mesi; crosta: liscia, sottile, lucida, di colore giallo dorato, talvolta giallo bruno; pasta: compatta, può presentare una leggera e rada occhiatura ed è tollerata una leggera sfogliatura: colore leggermente paglierino; sapore: delicato fino alla stagionatura di tre mesi, pronunciato verso il piccante a stagionatura più avanzata o quando si sia fatto uso di caglio di capretto o agnello, utilizzati da soli o congiuntamente; grasso sulla sostanza secca: 44%. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Provolone Valpadana" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all'allega-to A, che costituisce parte integrante del presente decreto, nel quale risultano individuati la provenienza geografica e gli estremi della decretazione con cui si è riconosciuta la denominazione stessa, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni nominative. | D.O.P. | Formaggi | Prov. Aut. di Trento, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna | Cremona, Brescia, Verona, Vicenza, Rovigo, Padova, Piacenza, Bergamo, Mantova, Milano, Trento | ||
Puzzone di Moena/Spretz Tzaori Puzzone di Moena Proposta di Disciplinare di produzione “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”Articolo 1. Denominazione del prodotto 1. La denominazione di origine protetta “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” è riservata al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 1. Il “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” DOP è un formaggio da tavola, a latte intero o parzialmente scremato, a fermentazione naturale o indotta, con l’aggiunta di latte innesto naturale. 2. Materia prima utilizzata: - latte crudo di vacca. 3. Caratteristiche del prodotto: a) Caratteristiche fisiche: - forma: cilindrica, a scalzo basso, leggermente convesso o piano, con facce piane o leggermente convesse; - dimensioni e peso della forma: diametro da 34 a 42 cm, altezza dello scalzo da 9 a 12 cm; peso da 9 a 13 kg; - crosta: liscia o poco rugosa, untuosa, color giallo ocra, marrone chiaro o rossiccio, più o meno asciutta; - pasta: semicotta, semidura, morbida, elastica, di colore bianco-giallo chiaro, con occhiatura medio piccola, sparsa. Il formaggio ottenuto dal latte di malga presenta una pasta con occhiatura medio grande e un colore giallo più accentuato. b) Caratteristiche chimiche: - grasso sulla sostanza secca: superiore al 45%; - umidità: da un minimo del 34% ad un massimo del 44%, verificata dopo un minimo di 90 giorni di stagionatura. c) Caratteristiche organolettiche: - sapore: robusto, intenso, lievemente e gradevolmente salato e/o piccante, con un appena percettibile retrogusto amarognolo; - odore e aroma: intenso, penetrante, con lieve sentore di ammoniaca. 4. Periodo di produzione: - tutto l’anno. 5. Stagionatura: - minimo 90 giorni. Dopo 150 giorni può definirsi "stagionato”. Articolo 3. Zona di produzione 1. La zona di produzione del “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” DOP, l’area di provenienza del latte, di trasformazione del latte e di trattamento del formaggio, fino al completamento della stagionatura minima di 90 giorni, coincide con l’intero territorio dei seguenti Comuni: Campitello di Fassa, Canal San Bovo, Canazei, Capriana, Carano, Castello Molina di Fiemme, Cavalese, Daiano, Fiera di Primiero, Imer, Mazzin, Mezzano, Moena, Panchià, Pozza di Fassa, Predazzo, Sagron Mis, Siror, Soraga, Tesero, Tonadico, Transacqua, Valfloriana, Varena, Vigo di Fassa, Ziano di Fiemme, in Provincia di Trento; Anterivo e Trodena in Provincia di Bolzano. 2. La sopra specificata delimitazione dell’areale produttivo della DOP “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” è la risultante di una corretta interpretazione dei dati economico – storico - culturali che dimostrano come nelle valli di Fassa, Primiero, Fiemme, e nei comuni di Anterivo e Trodena, questi ultimi in provincia di Bolzano, veniva e viene tuttora prodotto un formaggio con le peculiari ed inconfondibili caratteristiche del “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”. Articolo 4. Elementi che comprovano l’origine 1. Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione, in appositi elenchi gestiti dall’organismo di controllo, degli allevatori, dei produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte dell’organismo di certificazione, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento 1. Provenienza del latte: - Il latte deve provenire da bovine di razza Bruna, Frisona, Pezzata rossa, Grigio Alpina, Rendena, Pinzgau e loro incroci. - Nel processo di ottenimento del formaggio “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” DOP può essere utilizzato il latte di una o più delle predette razze. - È escluso l’utilizzo del latte ottenuto da bovine alimentate con insilati di qualunque tipo e/o con “misceloni” e/o utilizzando la tecnica del “Piatto unico o Unifeed”. - Il latte di malga può essere utilizzato per la produzione di “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”. - Nell’alimentazione delle bovine in lattazione, per la produzione di latte idoneo alla DOP “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”, almeno il 60% del foraggio (fieno di prato stabile e/o erba sfalciata o consumata direttamente al pascolo) deve provenire dall'area di produzione individuata all’articolo 3. - La razione alimentare delle bovine può essere integrata con mangimi semplici o composti in misura tale da garantire un'equilibrata alimentazione delle bovine in funzione della loro produzione di latte. - Nella composizione dei mangimi non devono essere presenti, oltre a quelle non consentite dalla vigente normativa, i seguenti prodotti: - farine di panelli di ravizzone, vinaccioli, semi di agrumi; - sottoprodotti essiccati della lavorazione industriale di ortaggi e frutta; - sottoprodotti dell’industria saccarifera; - sottoprodotti essiccati dell’industria di fermentazione; - ortaggi e frutta essiccati. 2. Raccolta e conferimento del latte al caseificio: - La raccolta e il conferimento del latte al caseificio può essere fatta con bidoni, con autocisterna coibentata, in questo caso il latte viene raffrescato o raffreddato alla stalla, una o due volte al giorno. - La trasformazione del latte deve essere effettuata entro le 36 ore successive alla consegna del latte allo stabilimento e comunque non oltre le 60 ore dalla prima o dalla eventuale seconda munta. 3. Trasformazione del latte: - può avvenire solo in strutture casearie dislocate all’interno della zona di produzione di cui al precedente articolo 3; - il latte utilizzato è esclusivamente quello di vacca, di due munte successive, proveniente da allevamenti ubicati all’interno della zona di produzione di cui al precedente articolo 3; - il latte caldo o raffrescato a 15-20°C o raffreddato ad una temperatura di 8-16°C nel caso di una sola raccolta al giorno, viene stoccato e, alle volte, parzialmente scremato per affioramento naturale in bacinella o altri contenitori in acciaio inox; - deve essere utilizzato latte crudo; la termizzazione è consentita solo per il latte impiegato per la preparazione del latte-innesto naturale prodotto nel caseificio interessato o presso gli altri caseifici della zona di cui al precedente articolo 3. Il latte innesto naturale deriva da una selezione microbica mediante termizzazione di una determinata quantità di latte proveniente da stalle controllate e con successiva incubazione per un tempo definito; - il latte viene riscaldato con fuoco a legna o con vapore, in caldaie o in polivalente, in acciaio inox o in rame; - non è consentito l’uso di alcun additivo; - l’acidità può essere naturale o indotta con latte-innesto naturale; - deve essere usato caglio di origine bovina; - la coagulazione si ottiene alla temperatura di 34 ± 2°C; - il tempo di coagulazione e rassodamento varia da un minimo di 25, ad un massimo di 40 minuti primi; - il taglio della cagliata arriva alle dimensioni di una nocciola; - la semicottura viene fatta alla temperatura di 46°C 2°C; - la durata della semicottura va da un minimo di 15 ad un massimo di 30 minuti primi; durante tale fase la massa viene agitata in continuazione; - la durata della sosta della cagliata sotto siero va da un minimo di 8 ad un massimo di 20 minuti primi; - successivamente alla sosta viene effettuata l’estrazione della cagliata. Questa viene messa sullo spersore, in fascere in legno o di altro materiale idoneo, dentro tele in lino o cotone o di altro tipo idoneo, oppure negli stampi microforati. Le forme così ottenute vengono successivamente disposte nelle fascere marchianti; - nel caso di impiego di caldaia polivalente, finita la semicottura, il siero con la cagliata viene convogliato nella vasca di drenaggio. Viene quindi tolto il siero e si procede alla pressatura della cagliata. Finita tale fase si procede alla porzionatura e successiva estrazione della cagliata che viene messa, sullo spersore, nelle fascere in plastica o di altro materiale idoneo. La cagliata con il siero può anche venir convogliata direttamente negli appositi stampi. - in entrambi i casi le forme, dentro le fascere o negli stampi, vengono messe sotto torchio o presse e rigirate più volte. Si possono usare anche stampi microforati. Le forme sostano quindi sullo spersore e dopo alcune ore vengono poste nelle fascere marchianti fino al giorno successivo quando passano alla salatura. 4. Salatura e stagionatura: - la salatura può essere fatta a secco o in salamoia; - la durata della salatura a secco va da un minimo di 8 ad un massimo di 10 giorni; - la durata della salatura in salamoia varia da un minimo di 2 ad un massimo di 4 giorni; - la salamoia può avere una densità variabile da un minimo di 15 ad un massimo di 20° Baumé; - durante le prime due - tre settimane, come da tradizione consolidata, le forme vengono rivoltate e bagnate due volte alla settimana con acqua tiepida, che può essere leggermente salata. Si può usare anche la salamoia diluita con l'acqua. Successivamente il trattamento viene fatto una volta alla settimana, sempre previo rivoltamento delle forme, fino alla maturazione. Questa pratica porta alla formazione sulla crosta di una patina untuosa e la comparsa, un po' alla volta, del color giallo ocra o marrone chiaro o rossiccio. - la stagionatura del formaggio viene fatta in appositi locali alla temperatura variabile da un minimo di 10°C ad un massimo di 20°C ed umidità superiore all’85%. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente 1. Le particolari sensazioni gusto olfattive del formaggio DOP “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”, sono determinatamente legate all’impiego di latte crudo, al divieto d’uso di insilati e di additivi ed influenzate in modo decisivo dall'alimentazione delle bovine con il fieno e/o l’erba sfalciata della zona o consumata direttamente sui pascoli della zona, ricchi di essenze foraggiere particolari, dalla ricchezza microbiologica del latte e dell’habitat, nonché dalla particolare tecnica di governo e di affinamento del formaggio, consolidata nel tempo, con particolare riferimento alla pratica del lavaggio delle forme che da sempre viene eseguita con cura nella zona di produzione. Il formaggio ottenuto dalla trasformazione del latte di malga risulta più gustoso per l'abbondanza di enzimi e per la maggior concentrazione di aromi nelle essenze botaniche di cui si nutre il bestiame nelle malghe dislocate nel territorio di cui al precedente articolo 3, rivelando però più presto il piccante per via del maggior contenuto in lipidi. 2. Vi sono testimonianze ed elementi atti a dimostrare che un formaggio “nostrano fassano”, caratterizzato soprattutto dalla crosta untuosa e dalla pasta con odore e sapore accentuati, veniva prodotto ancora molti anni fa sulle malghe, nei caseifici turnari, nei masi di montagna, soprattutto in Val di Fassa, ma anche in certe aree della confinante Val di Fiemme e della conca di Primiero, con le denominazioni di “nostrano della Val di Fiemme” o “nostrano di Primiero". Al riguardo si citano documenti quali: a) il parere del Capo dell’Ispettorato Agrario di Trento del 14 giugno del 1963 nel quale si fa esplicito riferimento ad un formaggio “nostrano fassano”; b) la testimonianza del giornalista dott. Sergio Ferrari di Trento il quale attesta che la denominazione “Puzzone di Moena” è stata usata per la prima volta nell’estate del 1974 durante una trasmissione radiofonica domenicale della sede RAI di Trento, con riferimento al formaggio a crosta lavata “nostrano fassano” del Caseificio Sociale di Moena, diventando, con il passare del tempo, sempre più diffusa; c) il verbale di accertamento e parere dell'Assessorato all'Agricoltura e Agriturismo della Provincia Autonoma di Trento sulla domanda di contributo della Latteria Sociale di Moena del 1983, nel quale si afferma che: “Il latte conferito, nel 1982 è stato pari a 4.600 q.li ed è stato trasformato in burro e formaggi, in particolare il tipo nostrano denominato “Puzzone di Moena”. 3. A parte la tecnica del lavaggio della crosta, che lo rende particolare, e l'alimentazione delle bovine, il legame di questo prodotto caseario con l’ambiente della zona delimitata è costituito anche dalle caratteristiche climatico-ambientali, geopedologiche, territoriali e floricole della zona di produzione, tutte condizioni che influiscono direttamente o indirettamente nella formazione dei profumi, del gusto, del sapore e delle proprietà nutrizionali del “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”. La piovosità, la forte differenza climatica delle varie stagioni, l'altitudine dei prati e dei pascoli, che va dai 600 metri s.l.m. agli oltre 2000 m. s.l.m. di talune malghe, la flora particolare dei prati e dei pascoli sono condizioni non imitabili o trasferibili, specifiche, che legano in modo indissolubile questo prodotto al territorio delimitato. Infatti diversi studi hanno confermato che la diffusione dell’alpeggio estivo e la buona qualità e diversità floristiche dei prati di fondovalle hanno un effetto positivo sulle caratteristiche aromatiche delle produzioni lattiero-casearie dell’area delimitata e in particolare del “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”. Tra le specie maggiormente presenti e molto appetite dagli animali si citano: Arrhenatherum elatius (Avena maggiore), Lotus corniculatus (Ginestrino), Plantago lanceolata (Piantaggine lanciuola), Trifolium pratense (Trifoglio comune), Phleum pratense (Codolina comune), Trisetum flavescens (Gramigna bionda) tra le specie di fondovalle e Cynosurus cristatus (Coda di cane crestata), Crepis aurea (Radicchiela aranciata), Leontodon autumnalis (Dente di leone ramoso), Lotus alpinus (Ginestrino alpino), Phleum alpinum (Codolina alpina), Poa alpina (Fienarola delle Alpi), Trifolium badium (Trifoglio bruno), Trifolium alpinum (Trifoglio alpino) tra le specie presenti sui pascoli oltre a particolari specie endemiche. 4. La produzione del “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”, termine con il quale si è imposto negli ultimi decenni, rappresenta per le valli di Fassa e di Fiemme e del territorio del Primiero, nonché per i comuni di Anterivo e Trodena, della confinante provincia di Bolzano, la testimonianza di un’agricoltura antica, radicata nel tessuto della ruralità montana locale. L’alpeggio, con le feste folcloristiche dello smonticamento, il pascolamento del bestiame nei masi di montagna, le forme associative di lavorazione del latte, turnarie prima, cooperative poi, lo sfalcio dei prati in montagna, sono tutte attività agricole che si svolgono da sempre nelle citate vallate. A conferma del plurimo legame storico del formaggio “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì” con la zona delimitata, si constata il fatto che non vi è notizia che testimoni che la sua produzione, nei decenni passati, sia debordata nelle vallate alpine confinanti del Trentino, dell'Alto Adige e del Veneto. Questo sta a dimostrare che in tale area vi sono state e vi sono le condizioni complessive favorevoli a tale particolare produzione casearia, del tipo a crosta lavata, poco diffusa in Italia. 5. Il “Puzzone di Moena” / “Spretz Tzaorì”, secondo la lingua ladina della Val di Fassa, per il suo sapore e odore accentuati, fino al piccante, spesso salato, era particolarmente apprezzato dalla povera gente della ruralità montana perché, anche in piccole quantità, insaporiva le modeste pietanze dei contadini spesso a base di polenta o patate. | D.O.P. | Formaggi | Prov. Aut. di Trento, Prov. Aut. di Bolzano | Trento, Bolzano | ||
Quartirolo Lombardo Quartirolo Lombardo Disciplinare di produzione - Quartirolo Lombardo DOPArticolo 1. È riconosciuta la denominazione di origine "Quartirolo lombardo" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli articoli 3 e 4. Articolo 2. La zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio "Quartirolo lombardo" comprende il territorio amministrativo delle provincie di. Brescia, Bergamo, Como, Cremona, Milano, Pavia e Varese. Articolo 3. Il "Quartirolo lombardo" è un formaggio molle da tavola prodotto con latte vaccino derivante da almeno due mungiture, di cui quella o quelle successive alla prima possono fornire latte intero o parzialmente scremato, proveniente da vacche allevate esclusivamente nella zona di produzione di cui all'art. 2, ottenuto nel rispetto del processo tecnologico in quanto rispondente allo standard produttivo seguente: A) La coagulazione è effettuata con caglio di vitello ad una temperatura compresa fra i 35 e i 40°C onde ottenere la coagulazione entro 25 minuti; è consentita l'aggiunta di latto-innesto derivante da precedenti lavorazioni, effettuate esclusivamente nello stesso caseificio nel quale avviene la lavorazione del latte. La prima rottura della cagliata è seguita da un riposo più o meno lungo in rapporto all'evoluzione dell'acidità del siero di spurgo, quindi si ha una seconda rottura dalla quale i grumi caseari risultano delle dimensioni di una nocciola all'incirca. Dopo la rottura la cagliata mista a siero viene posta in apposite forme dove, nel corso della stufatura a 6-8°C, si struttura a formaggio, la stufatura è protratta da un minimo di 4 ore ad un massimo di 24 ore a temperatura decrescente in rapporto alle caratteristiche di acidificazione e di prosciugamento della pasta. La salatura è effettuata a secco, oppure in salamoia, con durata variabile in relazione al peso, in locali con temperatura da 10 a 14°C. La stagionatura avviene in celle idonee, e ad una temperatura di 2-8°C e ad una umidità relativa dell'85-90%; il periodo di maturazione si protrae da cinque a trenta giorni per il tipo a pasta tenera, dopo trenta giorni il prodotto viene posto in commercio come "Quartirolo lombardo" maturo. Non è consentito alcun trattamento di crosta. B) Forma: parallelepipeda quadrangolare a facce piane con scalzo diritto. C) Dimensioni: lato delle facce da 18 a 22 centimetri, altezza dello scalzo da 4 a 8 centimetri con leggere variazioni in più o in meno in entrambe le caratteristiche in rapporto alle condizioni tecniche di produzione. D) Peso variabile da 1,5 kg a 3,5 kg. E) Crosta sottile e morbida, bianco rosata nei formaggi di prima stagionatura e grigio-verde rossastra in quelli più maturi. F) Pasta: struttura unita, leggermente grumosa eventualmente con piccoli distacchi ed anfrattuosità, friabile (senza corona giallognola sotto la crosta) che diventa più compatta morbida e fusibile con il progredire della stagionatura. Colore da bianco a bianco paglierino che può divenire più intenso per il formaggio maturo. G) Sapore: caratteristico, leggermente acidulo-aromatico nel formaggio in prima stagionatura e più aromatico in quello maturo. H) Grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 30%; per il prodotto ottenuto con latte parzialmente scremato. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Quartirolo lombardo" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo un contrassegno specifico, nel quale risultino individuati la provenienza geografica e gli estremi della decretazione con cui si è riconosciuta la denominazione stessa, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Brescia, Bergamo, Como, Cremona, Milano, Pavia, Varese | ||
Ragusano Ragusano Disciplinare di produzione - Ragusano DOPArticolo 1. É riconosciuta la denominazione di origine "Ragusano" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli articoli 3 e 4. Articolo 2. La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio "Ragusano" comprende l'intero territorio dei comuni di: Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Modica, Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa, S. Croce Camerina, Scicli e Vittoria, in provincia di Ragusa e dei comuni di Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini, in provincia di Siracusa. Articolo 3. Il formaggio "Ragusano" è prodotto esclusivamente con latte di vacca intero, crudo, proveniente da allevamenti ubicati nella zona di cui all'art. 2 ed ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative all'allevamento e al processo di ottenimento, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente: a) l'alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da essenze spontanee ed erbai dell'altopiano Ibleo, eventualmente affienati; b) il latte di una o più mungiture deve essere coagulato alla temperatura di 34 °C, con oscillazione in più o in meno non superiore ai 3 °C, sfruttando lo sviluppo spontaneo della microflora casearia; c) la coagulazione è ottenuta con l'uso di caglio in pasta di agnello o di capretto, sciolto in una soluzione acquosa di cloruro di sodio. La quantità di soluzione impiegata deve essere tale da comportare un tempo di presa e di indurimento da 60 a 80 minuti. La rottura della cagliata avviene quando i granuli, inizialmente delle dimensioni paragonabili a quelle delle lenticchie, a seguito dell'aggiunta di acqua (8 litri per ettolitro di latte) alla temperatura di 80 °C, più o meno 5 °C, assumono dimensioni medie di un chicco di riso. La massa caseosa, ottenuta per sedimentazione e separata dal siero, viene sottoposta a pressatura per favorirne la spurgatura. La pasta, trattata con il liquido risultante dalla lavorazione della ricotta o con acqua a temperatura di circa 80 °C, coperta con un telo allo scopo di evitare bruschi abbassamenti della temperatura, viene lasciata riposare per circa 85 minuti. La fase della asciugatura va condotta lasciando la pasta su degli appositi supporti per un tempo di circa 20 ore. La pasta viene tagliata a fette e, ricoperta con acqua alla temperatura di circa 80 °C, per un tempo di circa 8 minuti, viene quindi lavorata con molta cura, fino ad ottenere una forma sferica con la superficie esterna esente da smagliature e saldata ad un polo. La pasta va successivamente modellata al fine di assumere la caratteristica forma parallelepipeda a sezione quadrata, La salatura; effettuata in salamoia, viene protratta per un tempo variabile in ragione delle dimensioni delle forme e tale da non comportare un contenuto di cloruro di sodio sulla sostanza secca superiore al 6%. La stagionatura avviene in locali ventilati con temperatura ambiente di 14-16 °C, legando le forme a coppia con sottili funi e ponendole a cavallo di appositi sostegni e, comunque, in modo tale da garantire una perfetta aerazione dell'intera superficie della forma. É prevista la cappatura con olio di oliva per i formaggi destinati ad una prolungata stagionatura. Il prodotto può essere affumicato solo con procedimenti naturali e tradizionali in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura "affumicata"; d) forma: parallelepipeda, a sezione quadrata, con angoli smussati. È possibile riscontrare sulla superficie delle leggere insenature dovute al passaggio delle funi di sostegno utilizzate nel processo di stagionatura; e) dimensioni: lati della sezione quadrata da 15 a 18 centimetri; lunghezza del parallelepipedo da 43 a 53 centimetri; f) peso variabile da 10 kg a 16 kg in relazione alle dimensioni della forma; g) aspetto esterno: crosta liscia, sottile, compatta; di colore giallo dorato o paglierino tendente al marrone con il protrarsi della stagionatura per i formaggi da grattugia. Lo spessore massimo è di 4 millimetri. Può essere cappata con olio di oliva; h) pasta: struttura compatta, con eventuali fessurazioni che si riscontrano con il protrarsi della stagionatura, talvolta unite a scarse occhiature; al taglio il colore si presenta bianco tendente al giallo paglierino, più o meno intenso; i) sapore: decisamente gradevole, dolce, delicato, poco piccante nei primi mesi di stagionatura nei formaggi da tavola; tendente ai piccante ed al saporito, a stagionatura avanzata nei formaggi da grattugia. Il formaggio presenta un aroma gradevole, caratteristico delle particolari procedure di produzione; l) grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 40% per i formaggi destinati al consumo da tavola; non inferiore al 38% per i formaggi con stagionatura superiore ai 6 mesi; m) umidità massima: 40% Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Ragusano" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all'allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative. | D.O.P. | Formaggi | Sicilia | Ragusa, Siracusa | ||
Raschera Raschera Disciplinare di produzione - Raschera DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto: La Denominazione di Origine Protetta “Raschera” è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto: Materia prima: latte di vacca proveniente da una o più mungiture con eventuali piccole aggiunte di latte ovino e/o caprino. L’alimentazione base del bestiame deve essere costituita da foraggi verdi od affienati. E’ ammessa l’integrazione della razione con mangimi i cui componenti costitutivi dovranno essere scelti esclusivamente tra quelli indicati appresso: mais, orzo, grassi vegetali, soia, fave, favino, pisello proteico, semola glutinata, girasole, lino, sottoprodotti della lavorazione dello zucchero, sottoprodotti di cereali in grani, integrazione minerale e vitaminica ammessa dalla normativa vigente. Forma, dimensioni e peso: Si presenta in due forme: - rotonda con facce piane del diametro di 30 - 40 cm con scalzo leggermente convesso di 6 - 9 cm con peso da 5 a 8 Kg; - quadrangolare con facce piane con lunghezza di ciascun lato da 28 a 40 cm e scalzo irregolare di 7 -15 cm con peso da 6 ai 9 Kg. Tutti i parametri sono riferiti al formaggio ai minimi di stagionatura obbligatoria in quanto il prodotto, con il protrarsi della stagionatura, è soggetto ad un naturale calo di peso e di dimensioni. Caratteristiche: Crosta: non edibile, sottile grigio rossastra a volte con riflessi giallognoli, elastica, liscia e regolare con eventuali fioriture rossastre, accentuate con la stagionatura. Pasta: bianco o bianco avorio, piuttosto consistente, elastica con piccole occhiature sparse ed irregolari. Sapore: fine, delicato, tipicamente profumato e moderatamente piccante e sapido se stagionato. Percentuale minima di grasso sulla Sostanza Secca: 32 %. Formaggio da tavola, pressato. Si produce per l’intero arco dell’anno. Articolo 3. Area di produzione Il formaggio “Raschera” deve essere prodotto e stagionato nel territorio amministrativo della Provincia di Cuneo con latte della medesima provenienza. Il formaggio Raschera prodotto e stagionato nelle zone di montagna individuate ai sensi di quanto previsto dall’Albo della montagna, utilizzando latte crudo della medesima provenienza, può portare la menzione “prodotto della montagna”. Articolo 4. Tecnica di produzione Non è consentito l’uso di conservanti, pigmenti colorati, aromi particolari ed additivi. a) coagulazione del latte e rottura della cagliata. Il latte destinato alla trasformazione in “Raschera” deve essere crudo o sottoposto a trattamenti igienizzanti e proveniente da una o più mungiture. E’ consentito lo stoccaggio del latte. Il latte può essere decremato per affioramento. E’ consentito l’utilizzo di latte-innesto, siero innesto naturale e/o fermenti lattici, e/o enzimi naturali. Non sono ammessi processi di coagulazione in continuo del latte. Non è consentita l’aggiunta di cloruro di calcio e di derivati del latte. La coagulazione avviene alla temperatura compresa tra 30° e 37°C, in un tempo tra i 20 e i 60 minuti con caglio di origine animale. La rottura della cagliata porta a granuli caseosi della dimensione tra un chicco di mais e una nocciola. b) Estrazione, scarico della cagliata e formatura. La cagliata può essere scaricata sul tavolo spersoio e/o negli appositi stampi e poi avvolta in una tela oppure estratta e messa in una tela ed appoggiata su un tavolo anche in legno per un primo sgrondo del siero. La cagliata viene inserita negli appositi stampi quadrati o rotondi e subisce idonee pressature e rivoltamenti. Nelle fascere viene posizionato il contrassegno di caseina recante il marchio di origine, il bollo CEE e un numero progressivo indicativo della forma. c) Salatura. La salatura deve essere effettuata a secco e/o in salamoia. d) Maturazione. Le forme vengono ripulite dal sale in eccesso e poste in idonei locali su assi di legno o altro materiale idoneo. Il periodo di stagionatura ha la durata minima di quarantacinque giorni per il Raschera prodotto con latte igienizzato, per quello prodotto con latte crudo di almeno sessanta giorni. E’ consentito il massaggio manuale della crosta. E’ consentito l’uso di prodotti naturali per la stagionatura ed il trattamento della crosta. Le forme possono subire raschiature e spazzolature. Sono esclusi trattamenti della crosta con cere e plastica. Articolo 5. Menzione aggiuntiva Il formaggio “Raschera” rotondo o quadrato prodotto e stagionato ad una quota superiore ai 900 m nei comuni di: Frabosa Soprana, Frabosa Sottana, Garessio per quanto attiene la Valcasotto, Magliano Alpi per la parte che confina con il comune di Ormea, Montaldo Mondovì, Ormea, Pamparato, Roburent, Roccaforte Mondovì, Viola e stagionato nei predetti Comuni può portare la menzione “di Alpeggio” a condizione che: - le bovine atte a produrre latte siano appartenenti ai tipi genetici barà-pustertaler, bruna, grigio alpina, pezzata rossa d’Oropa, pezzata rossa italiana, piemontese, valdostana e loro incroci; - il latte proveniente da tali zone sia ottenuto esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo (per almeno 90 giorni) per un periodo massimo compreso tra l’inizio di maggio e la fine di ottobre su pascoli anche aziendali; è ammesso integrare l’alimentazione della vacca in alpeggio; i componenti dei mangimi per l’integrazione alimentare, dovranno essere scelti esclusivamente tra quelli indicati appresso: mais, orzo, grassi vegetali, fave, favino, pisello proteico, semola glutinata, girasole, lino, sottoprodotti della lavorazione dello zucchero, sottoprodotti di cereali in grani, integrazione minerale e vitaminica ammessa dalla normativa vigente; è escluso l’utilizzo di ogni forma di foraggio insilato; - i pascoli devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Organismo di controllo di cui al successivo art. 6. Per tali pascoli sia redatto un “Catasto delle superfici destinate al pascolamento degli animali” con il rilievo della produzione foraggera per unità omogenea di superficie e le quantità di latte producibili per specie animale di cui si terrà conto con l’emissione dell’autorizzazione alla marchiatura, tenendo conto della composizione floristica, del momento di utilizzazione, dalla tipologia e dal carico animale presente; - sia denunciato l’inizio e la fine dell’attività di pascolo all’Organismo di controllo di cui al successivo art. 6; - la caseificazione deve essere effettuata in malga o in strutture aventi analoghe caratteristiche. La produzione di “Raschera di Alpeggio” dovrà attenersi alla metodologia di seguito indicata: a) coagulazione del latte e rottura della cagliata. Il latte destinato alla trasformazione in “Raschera d’Alpeggio” deve essere crudo e proveniente da una o due mungiture consecutive ed eventualmente refrigerato. La coagulazione avviene alla temperatura compresa tra 30° e 37°C, in un tempo tra i 20 e i 60 minuti con caglio liquido di origine animale. La rottura della cagliata porta a granuli caseosi della dimensione tra un chicco di mais e una nocciola. b) Estrazione della cagliata e formatura. La cagliata, depositata sul fondo della caldaia, dopo alcuni minuti di riposo sotto siero è estratta con una tela, subisce una prima pressatura manuale, una seconda sosta di alcuni minuti, reimpastata manualmente, riavvolta nella tela e messa negli stampi detti fascere, quindi subisce una pressatura per almeno 5 ore. Successivamente le forma sono tolte dagli stampi, liberate dalla tela, rimesse negli stampi e ripressate per almeno altre 5 ore. Nelle fascere viene posizionato un contrassegno di caseina recante il marchio di origine riferito al “Raschera di Alpeggio” su cui viene indicato il bollo CEE e un numero progressivo indicativo della forma. La forma quadrangolare si può ottenere mediante l’utilizzo di fascere quadrangolari oppure partendo dalla forma rotonda, durante la salatura, con l’uso della tradizionale “culla”. La culla è costituita da assi di legno la cui distanza varia da trenta a quaranta cm disposti a formare una vera e propria culla ed in cui le forme rotonde si appoggiano dal lato dello scalzo; girando di 90°, ogni 12 - 18 ore i formaggi che stanno ricevendo il sale a secco, gli si fa assume, per pressione del proprio peso, una forma a sezione quadrata irregolare caratteristica. c) Salatura. La salatura deve essere effettuata a secco. d) Maturazione. Il periodo di stagionatura ha la durata minima di sessanta giorni. E’ consentito il massaggio manuale della crosta. Le forme vengono ripulite dal sale in eccesso e poste in locali idonei o nelle caratteristiche “selle” naturali, se in alpeggio, su assi di legno o altro materiale idoneo. Nel solo periodo invernale (novembre - aprile), nei dieci territori comunali su menzionati, si può produrre e stagionare un Raschera con la menzione “di alpe invernale”. Articolo 6. Strutture di controllo I controlli di cui all’art. 10 del Reg. (CEE) n. 2081/92 verranno effettuati dall’Organismo di controllo autorizzato. Articolo 7. Elementi della marchiatura Per il formaggio Raschera dop il marchio di origine è costituito dal contrassegno di caseina recante il logo della dop, il bollo CEE ed un numero progressivo identificativo della forma. Il marchio di conformità è dato dall’apposizione del contrassegno cartaceo. Il marchio a fuoco viene apposto solo dal produttore al momento della commercializzazione oppure appena terminata la salatura, per le forme che vengono vendute agli Stagionatori. Sono esclusi dalla possibilità di marchiare a fuoco gli Stagionatori. Solo a seguito di tale marchiatura ed etichettatura il prodotto potrà essere immesso sul mercato al dettaglio con la Denominazione di Origine Protetta “Raschera”. Per il prodotto recante il marchio di origine, ma che al momento della commercializzazione non risulta conforme al presente disciplinare, si dovrà procedere all’eliminazione dei marchi di origine (smarchiatura) al fine di non introdurre sul mercato prodotti non conformi. I contrassegni devono recare le diciture di legge oltre alla dicitura Denominazione di Origine Protetta Raschera. Per l’applicazione del contrassegno cartaceo è ammesso l’utilizzo di colla alimentare. Articolo 8. Modalità di commercializzazione Il formaggio può essere venduto al consumo sia intero sia al taglio, sia porzionato sia preconfezionato. I prodotti ottenuti dall’elaborazione del formaggio “Raschera” sono immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla denominazione “Raschera” senza l’apposizione del logo Comunitario a condizione che: - il “Raschera” costituisca il componente esclusivo della propria categoria merceologica; - gli utilizzatori del “Raschera” siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della D.O.P. riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un Consorzio di tutela incaricato le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CEE) n. 2081/92. L’utilizzazione non esclusiva della denominazione protetta consente soltanto il suo riferimento, secondo la normativa vigente, tra gli ingredienti del prodotto che lo contiene, o in cui è trasformato o elaborato. Articolo 9. Condizioni da rispettare Le condizioni da rispettare sono relative alle strutture destinate alla produzione del latte ed alla sua lavorazione e stagionatura. Le stalle dove viene prodotto il latte devono essere registrate ai sensi della normativa vigente (DPR n° 54 del 1997) ed i punti di lavorazione devono essere in possesso o del bollo CEE (DPR n° 54 del 1997) oppure, in caso di aziende che effettuano la vendita diretta, di idonea autorizzazione sanitaria rilasciata sulla base della vigente normativa nazionale (Legge n° 283 del 1962 e DPR n° 327 del 1980). | D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Cuneo | ||
Ricotta di bufala Campana Ricotta di Bufala Campana Disciplinare di produzione - Ricotta di Bufala Campana DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta “Ricotta di Bufala Campana” è riservata esclusivamente a quel prodotto lattiero caseario, che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione e caratteristiche del prodotto La DOP “RICOTTA DI BUFALA CAMPANA”, è un prodotto lattiero caseario ottenuto per coagulazione al calore delle proteine, caratterizzato da un elevato contenuto in acqua. All’atto dell’immissione al consumo, la DOP “Ricotta di Bufala Campana” presenta le seguenti caratteristiche: Caratteristiche fisiche - forma: tronco piramidale o tronco conica - peso: fino a 2.000 grammi; - colore: bianco porcellana; - aspetto esterno: assenza di crosta; - consistenza: morbida, granulosa, ma non sabbiosa. Caratteristiche chimiche: - grasso sulla sostanza secca: minimo 45%; - grasso: non inferiore al 12% stq; - umidità: non superiore al 75%; - acido lattico : inferiore o uguale a 0,3%; - contenuto in sodio: inferiore o uguale a 0,3%: Caratteristiche organolettiche: - sapore: caratteristico, fresco e delicatamente dolce; - odore: fragrante di latte e crema. Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione della DOP “Ricotta di Bufala Campana” comprende il territorio amministrativo di seguito specificato: REGIONE CAMPANIA - Provincia di Benevento: l’intero territorio dei comuni di Limatola, Dugenta, Amorosi. - Provincia di Caserta: l’intero territorio. - Provincia di Napoli: l’intero territorio dei comuni di Acerra, Arzano, Cardito, Frattamaggiore, Frattaminore, Giugliano in Campania, Mugnano di Napoli, Pozzuoli, Qualiano, - Provincia di Salerno: l’intero territorio. REGIONE LAZIO - Provincia di Frosinone: l’intero territorio dei comuni di Amaseno, Giuliano di Roma, Villa S. Stefano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceccano, Frosinone, Ferentino, Morolo, Alatri, Castrocielo, Ceprano, Roccasecca. - Provincia di Latina: l’intero territorio dei comuni di Cisterna di Latina, Fondi, Lenola, Latina, Maenza, Minturno, Monte S. Biagio, Pontinia, Priverno, Prossedi, Roccagorga, Roccasecca dei Volsci, Sabaudia, S. Felice Circeo, Sermoneta, Sezze, Sonnino, Sperlonga, Terracina, Aprilia, S. Cosma e Damiano. - Provincia di Roma: l’intero territorio dei comuni di Anzio, Ardea, Nettuno, Pomezia, Roma, Monterotondo. REGIONE PUGLIA - Provincia di Foggia: l’intero territorio dei comuni di Manfredonia, Lesina, Poggio Imperiale e parte del territorio dei comuni che seguono con la corrispondente delimitazione: - Cerignola – La zona confina ad est con il lago Salpi, a sud con la statale n. 544, a nord e ad ovest con il comune di Manfredonia; - Foggia – La zona abbraccia il perimetro della nuova circonvallazione, ad est in direzione del comune di Manfredonia, ad ovest in direzione del comune di Lucera, a nord e a sud confina con la rimanente parte del comune di Foggia; - Lucera – La zona interessata confina ad ovest con il comune di Foggia, a sud con la strada statale n. 546 e con parte del torrente San Lorenzo, a nord con la strada provinciale n. 16 fino a raggiungere il comune di Torremaggiore e ad est con la strada provinciale n. 17 che da Lucera conduce a Foggia; - Torremaggiore – La zona interessata confina a sud con il comune di Lucera, ad est con il comune di San Severo, ad ovest con la strada provinciale n. 17 in direzione Lucera e a nord confina con il comune di Apricena; - Apricena – La zona interessata costeggia a sud il torrente Radicosa, ad est la strada Pederganica ed il comune di Sannicandro Garganico, ad ovest con il comune di Lesina e a nord con il comune di Poggio Imperiale; - Sannicandro Garganico – La zona interessata confina a sud con la strada statale Garganica, a nord con il comune di Lesina, ad ovest con il comune di Apricena, ad est con il comune di Cagnano Varano; - Cagnano Varano – La zona interessata confina a sud con la strada statale Garganica, ad est con il lago Varano, ad ovest con il comune di Sannicandro Garganico e a nord con il mare; - San Giovanni Rotondo - La zona interessata confina a sud con la strada statale n. 89, ad est con il comune di Manfredonia, ad ovest con il comune di San Marco in Lamis e a nord con la strada provinciale n. 58; - San Marco in Lamis – La zona interessata confina a nord con il comune di Foggia, ad est con il comune di San Giovanni Rotondo, ad ovest con il comune di Rignano Garganico e a nord con la restante parte del comune di San Marco in Lamis. REGIONE MOLISE - Provincia di Isernia: l’intero territorio del comune di Venafro. Articolo 4. Prova dell’Origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi gestiti dalla struttura di controllo degli allevatori, dei produttori-confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di Produzione Alimentazione delle bufale Il razionamento delle bufale in lattazione si basa per più della metà sulla somministrazione di foraggi provenienti dal comprensorio DOP. I foraggi possono essere integrati convenientemente con mangimi in grado di bilanciare l’apporto dei diversi nutrienti della dieta. Gli alimenti da somministrare alle bufale il cui latte e relativo siero è destinato anche alla produzione di “Ricotta di Bufala Campana” DOP dovranno essere idonei e qualitativamente sicuri al fine di non compromettere la salute degli animali e di non trasferire sostanze, odori o sapori sgradevoli al latte. Sono ammessi gli insilati di mais e dei foraggi non riportati nella lista degli alimenti vietati. La massa insilata, chiusa ermeticamente, va coperta con idoneo telo evitando teli di colore nero all’esterno e coperture trasparenti. La somministrazione di foraggi insilati deve avvenire non prima di 40 giorni dalla chiusura del silo. Il Ph della massa insilata deve essere intorno a 4,3 od inferiore per le graminacee ed intorno a 4,5 per le leguminose. Alimenti ammessi Possono essere somministrati foraggi freschi, affienati, essiccati, disidratati ed insilati purché non espressamente riportati al paragrafo “Alimenti vietati”. Stesso dicasi per quanto concerne i mangimi aziendali o di produzione industriale e per i prodotti complementari dei foraggi ed i sottoprodotti industriali. Alimenti vietati Nell’alimentazione delle bufale da latte è vietato l’utilizzo di: foraggi riscaldati per fermentazione. È vietato l’impiego delle sotto elencate essenze di origine vegetale: a) colza, ravizzone, senape, fieno greco, foglie di piante da frutto e non, aglio selvatico, coriandolo; b) finocchi, cavolfiore, cavoli, rape ed altre crucifere; c) vinacce, raspi e vinaccioli; d) foglie e colletti di barbabietole, borlande; e) buccette e semi di pomodoro, residui della lavorazione dell’industria conserviera; f) sansa di olive; g) pastazzo di agrumi (fresco ed insilato); h) semi di veccia (comprese le svecciature), di fieno greco, di colza, di ravizzone; i) sottoprodotti della lavorazione del riso: lolla, pula, puletta, farinaccio, gemma e grana verde; j) farine di estrazione, panelli ed expeller di: arachidi, colza, ravizzone, semi di pomodoro, babassu, neuk, cocco, tabacco, sesamo, papavero, palmisto, olive, mandorle e noci; k) amminoacidi ramificati, peptidi, lisati proteici, isoacidi; l) olii di semi di oleaginose. Materie Prime La materia prima per la produzione della “Ricotta di Bufala Campana” DOP è costituita dal “primo siero” (o “siero dolce”) proveniente dalla lavorazione del latte di bufala, ottenuto dalla mungitura manuale e/o meccanica di bufale di Razza Mediterranea Italiana allevate nell’areale di produzione indicato all’articolo 3. Il “primo siero” (o “siero dolce”) deve essere ottenuto dal meccanismo di spurgo dovuto alla rottura della cagliata destinata alla produzione della mozzarella di bufala campana. L'acidità titolabile massima del siero utilizzato per la produzione di “Ricotta di Bufala Campana” DOP è 3,5°SH/50 ml, pertanto il “siero acido” derivante dal completamento della maturazione della cagliata non può essere utilizzato per la produzione di “Ricotta di Bufala Campana” DOP. Qualora la trasformazione immediata del siero non fosse possibile, questo deve essere sottoposto a trattamenti di stabilizzazione (pastorizzazione, termizzazione e/o refrigerazione) con tecniche e tempi tali da evitare comunque la sua acidificazione oltre il valore massimo definito. In ogni caso, il siero è trasformato in DOP “Ricotta di Bufala Campana” entro 24 ore dalla separazione dalla cagliata. E’ ammessa l’aggiunta di latte di bufala crudo, termizzato o pastorizzato, proveniente dalla zona di cui all’art. 3 in misura massima del 6% della massa del “primo siero” (o “siero dolce”). E’ ammessa l’aggiunta di panna fresca di siero di latte di bufala proveniente dalla zona di cui all’art. 3 nella misura massima del 5% della massa del primo siero. Tale procedimento serve per aumentare la consistenza della ricotta e favorirne anche la cavatura o estrazione. E’ ammessa l’aggiunta di sale (NaCl) in misura massima di 1 kg per 100 kg di “primo siero” (o “siero dolce”) o miscela di siero con latte e/o panna fresca. L'addizione di sale direttamente al siero non solo conferisce maggior sapidità al prodotto, ma influenza anche i processi di denaturazione ed aggregazione delle proteine e quindi la consistenza del prodotto. Lavorazione Il “primo siero” (o “siero dolce”) è inviato subito, o dopo trattamento di stabilizzazione e stoccaggio inferiore alle 24 ore, alle apposite caldaie dove avviene la produzione della DOP “Ricotta di Bufala Campana”. Il riscaldamento può avvenire sia per iniezione diretta di vapore che per scambio indiretto di calore. L’eventuale addizione di latte di bufala e/o panna fresca può avvenire sia prima dell’inizio del riscaldamento sia anche a riscaldamento avviato. Dopo aver raggiunto una temperatura media di 82°C, per favorire il processo di coagulazione delle proteine è ammessa l’aggiunta di aliquote variabili di “cizza” (siero innesto naturale derivante da precedenti lavorazioni di mozzarella di bufala campana avvenute nelle aziende ubicate nella zona di produzione indicate all’articolo 3), acido lattico o acido citrico al fine di modificare l’acidità del mezzo e quindi facilitare l’ottenimento della ricotta. Si completa la fase di riscaldamento fino al raggiungimento di una temperatura non superiore a 92°C. Il calore determina la denaturazione delle proteine e la loro aggregazione, dunque la formazione di un coagulo morbido e fine che inizia ad affiorare immediatamente alla superficie grazie alla presenza del grasso. Questa fase si completa in qualche minuto. La separazione della ricotta è effettuata sia manualmente utilizzando un mestolo forato e deponendo gentilmente il coagulo umido direttamente nelle caratteristiche fiscelle di materiale plastico per uso alimentare o nelle tele, sia meccanicamente con l’uso di appositi estrattori. La ricotta posta nelle fiscelle o nelle tele completa quindi la separazione della scotta per assumere la sua consistenza definitiva. La ricotta così sgrondata viene parzialmente raffreddata. Il confezionamento deve avvenire comunque entro le 24 ore dalla produzione e viene effettuato o prima o dopo la procedura di raffreddamento. Qualora la ricotta non venga immediatamente confezionata, il raffreddamento prosegue fino a raggiungere la temperatura di + 4°C in cella frigorifera; qualora invece la ricotta venga confezionata, il raffreddamento prosegue fino a raggiungere la temperatura di + 4°C in cella frigorifera o in bagno di acqua e/o ghiaccio. La durata massima della conservabilità (shelf-life) della “Ricotta di Bufala Campana” “fresca” non potrà essere superiore, dalla data di produzione a 7 giorni. Al fine di ottenere una ricotta con una conservabilità superiore (massimo 21 giorni dalla data di produzione), prima di procedere alla fase di confezionamento è ammesso un trattamento termico della ricotta sgrondata dalla scotta. Successivamente la ricotta viene lisciata od omogeneizzata al fine di conferirle un aspetto più cremoso. Il prodotto così ottenuto è definito “Ricotta di Bufala Campana” “fresca omogeneizzata”. E’ ammesso il confezionamento della ricotta ancora calda, anche con l’ausilio di macchine operatrici, in contenitori di plastica immediatamente chiusi per termosaldatura. La ricotta confezionata è quindi rapidamente raffreddata fino a raggiungere la temperatura di +4 °C in cella frigorifera oppure in bagno di acqua e/o ghiaccio. Le operazioni di produzione di latte, di siero e di panna fresca che concorrono alla produzione della “Ricotta di Bufala Campana” e le operazioni di produzione e confezionamento devono avvenire nel territorio indicato all’articolo 3 al fine di garantire la tracciabilità ed il controllo e per non alterare la qualità del prodotto. Articolo 6. Legame con l’ambiente La storia del rapporto della “Ricotta di Bufala Campana” con il territorio di origine è di fatto la storia del rapporto con il territorio del latte con cui è stato prodotta la Mozzarella di Bufala Campana, dal cui siero origina la “Ricotta di Bufala Campana”. Il rapporto tra “Ricotta di Bufala Campana” e “Mozzarella di Bufala Campana” è quindi strettissimo, come per altro la letteratura del passato testimonia. La tradizione della produzione della “Ricotta di Bufala Campana” racconta di un legame strettissimo con la produzione di Mozzarella di Bufala Campana e quindi con l'arrivo del bufalo nel centro-sud d'Italia che risale quantomeno al 1300. Tra X ed XI secolo si sviluppò nelle aree tra Mondragone ed il Volturno il fenomeno dell'impaludamento (Guadagno G., L'ager Falernus in età romana, in AA. VV., Storia Economia ed Architettura nell'ager Falernus Atti delle giornate di studio Falciano del Massico febbraio-marzo 1986 pag 37 a cura di G. Guadagno, Minturno 1987) ed il bufalo trovò un habitat idoneo ed il latte bufalino sostituì quello vaccino nella preparazione di quel laudatissimum caseum del Campo Cedicio, formaggio già citato da Plinio il Vecchio (Plinio, Naturalis Historia, XI 241). Nel XIII secolo la diffusione del bufalo è documentata in Capitanata (Fiorentino, Montecorvino, Foggia e Lucera), nel Salernitano, Sicilia e plaghe pontine (Cantù M. C., l. c., p. 42; Faraglia M., Storia dei prezzi in Napoli dal 1131 al 1860, (Napoli 1878), p. 73; AA. VV., Insediamenti benedettini in Puglia Catalogo della Mostra a cura di M. S. Calò Mariani, II/l,(Galatina 1981), p.75. Carucci C., Codice diplomatico Salerinitano del Secolo XIV (Salerno 1950) I pp. 72; 436; II 449; 462; 481; 483) oltre che in altre zone d'Italia. Una delle prime citazioni della Ricotta, associata alla Mozzarella ed a altri latticini è fatta in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da Bartolomeo Scappi cuoco della Corte papale ove pervenivano specialità da ogni parte d'Italia e d'Europa che cita "...capo di latte, butiro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte..." (Scappi B., Opera, (Venezia 1570), c. 275r.). I documenti di Archivio risalenti al XVII secolo confermando quanto riferito da Scappi evidenziano che a fianco dei tipici prodotti del caseificio bufalino sul mercato capuano affluiscono provole e mozzarelle affumicate nonché ricotte di vacca e di bufala salate ed affumicate (Biblioteca del Museo Campano di Capua, "Archivio Storico di Capua", fasc. 159: Libro delle Assise della città di Capua, passim.). Notizie più dettagliate e dirette sulla Ricotta di Bufala si ritrovano a partire da metà 1800. Nel 1859 Achille Bruni, Professore della Regia Università di Napoli, nella sua monografia “Del latte e dei suoi derivati” pubblicata nella Nuova Enciclopedia Agraria, descriveva in sintesi come si produceva allora la Ricotta di Bufala: “Munto il latte e versato in tinozza, vi si mette il caglio di capretto; e dopo di essersi rappreso con la spatola di legno si taglia a pezzi grossi. Indi con una cazzuliera di legno si leva il siero che si fa bollire per trarne la ricotta.”. Santojanni nel 1911 nelle sue “Note sul caseificio del latte di bufala” conferma ulteriormente il legame storico e tecnologico tra produzione di Mozzarella e di Ricotta di Bufala specificando inoltre che “la ricotta che si ha col solo riscaldamento del siero si chiama fior di ricotta. Tolta questa, al siero si aggiunge un po’ di siero acido, e si ha dell’altra ricotta meno squisita della precedente perché più povera di grasso”. Il forte legame con il territorio e le sue modificazioni conseguenti alle operazioni di bonifica hanno influenzato negli anni le alterne fortune dell'allevamento bufalino e con esse la produzione del latte e quindi della Mozzarella e della Ricotta di Bufala, anche per la minor attenzione che da sempre la ricotta suscita soprattutto a livello di indagine statistica essendo spesso inglobata genericamente nei prodotti freschi. Savini in un suo studio sulla ricotta nel 1950 cita anche la “Ricotta di Bufala Campana”: “nella campagna romana e casertana, dove esiste caseificio bufalino, il siero residuale serve pure alla preparazione della ricotta. Le poche parole di Savini documentano comunque la scarsa attenzione ad un prodotto allora di scarso peso commerciale, ma comunque ben presente nei consumi delle popolazioni locali. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo CSQA Certificazioni Srl – Via San Gaetano, 74 - 36016 Thiene (VI) – tel. +39-044-531301,1 fax +39-0445-313070 e-mail csqa@csqa.it. Articolo 8. Etichettatura e confezionamento La “Ricotta di Bufala Campana” DOP deve essere confezionata in carta, in contenitori in plastica per uso alimentare termosaldati o in altri avvolgimenti per alimenti. Nel caso in cui il prodotto sia ceduto per essere adoperato come ingrediente di prodotti trasformati sono ammesse confezioni fino a 40 kg. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al logo della denominazione, al simbolo grafico comunitario e le informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: dicitura “fresca” o “fresca omogeneizzata” a secondo di quanto descritto all’art. 5 del presente disciplinare. Le diciture “fresca” o “fresca omogeneizzata” vanno riportate immediatamente al di sotto della Denominazione “Ricotta di Bufala Campana” con caratteri di dimensione pari al 50% di quelli utilizzati per la denominazione “Ricotta di Bufala Campana”. Il logo è rilasciato, dopo la verifica di conformità della produzione al presente disciplinare, dalla Struttura di Controllo incaricata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi altra qualificazione non espressamente prevista dal presente disciplinare ivi compresi aggettivi: fine, scelto, extra, selezionato, superiore, genuino o comunque elogiativi del prodotto, è tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa vigente e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La dicitura “Ricotta di Bufala Campana” deve essere riportata in lingua italiana. Il logo della denominazione riproduce un nastro circolare tricolore dal quale fuoriesce il profilo della testa di una bufala. Intorno a quanto descritto c’è la dicitura RICOTTA DI BUFALA CAMPANA in stampatello, maiuscolo. Il nastro è composto da tre strisce di colore: verde (91% cyan e 83% giallo), rosso (79% Magenta e 91% giallo) e bianco. La testa di bufala è di colore nero. La dicitura RICOTTA DI BUFALA è di colore rosso (79% Magenta e 91% giallo), completata da CAMPANA di colore verde (91% cyan e 83% giallo). | D.O.P | Formaggi | Campania,Lazio,Puglia e Molise | Varie Province | ||
Ricotta romana Ricotta Romana Disciplinare di produzione - Ricotta Romana DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta (D.O.P.) "Ricotta Romana" è riservata esclusivamente a quel prodotto caseario, rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto All'atto dell'immissione al consumo la "Ricotta Romana" presenta le seguenti caratteristiche: prodotto: fresco; pasta: bianca, a struttura grumosa; sapore: dolciastro di latte; pezzatura: fino a 2 Kg; contenuto lipidico: 40% sulla materia secca. Articolo 3. Delimitazione dell'area di produzione Il siero deve essere ottenuto da latte intero di pecora proveniente dal territorio della Regione Lazio. Le operazioni di lavorazione-trasformazione dello, stesso in "Ricotta Romana" devono avvenire nel solo territorio della Regione Lazio, come meglio individuato dalla cartografia allegata. Articolo 4. Elementi comprovanti l'origine del prodotto Gli elementi che comprovano l'origine del prodotto sono costituiti da: 1. Riferimenti storici, che risalgono a tempi antichissimi: M.P. Catone raccolse le norme che regolano l'usufrutto della pastorizia nella Roma repubblicana. Il latte di pecora aveva tre destinazioni: religiosa/sacrificale; alimentare come bevanda; trasformazione in formaggi di pecora freschi e stagionati e l'utilizzo del siero residuo per ottenere la ricotta; Galeno al cap. XVII del libro degli alimenti "Della natura et vertu di cibi" (1572), precisa "ciò che presso Galeno ed i Greci era detto oxygala è ciò che noi, ora chiamiamo ricotta"; Mario Vizzardi, nel suo libro "Formaggi italiani", sostiene che la ricotta sia originaria della agro romano e la sua diffusione si deve a S. Francesco d'Assisi, il quale trovandosi nel 1223 in una località laziale per la realizzazione di un presepio, insegnò ai pastori l'arte di produrre la ricotta; Columella, nel VII capitolo del "De re rustica", descrive le tecniche casearie della ricotta; Ercole Metalli, in "Usi e costumi della campagna romana", anno1903, parlando dei pecorari riporta "... Pongono poi nuovamente la caldaia al fuoco per estrarne la ricotta, ... La ricotta, insieme a poco pane, rappresenta il loro esclusivo alimento..."; Trinchieri in "Vita di pastori nella Campagna Romana", anno 1953, descrive le tecniche di produzione della ricotta romana; Tomasetti nel suo libro "La campagna romana", anno 1910, riporta quanto segue "Quanto allo stato del pecoraio... la sua paga è, fra generi e denaro, di una lira e cinquanta centesimo al giorno, oltre il pane, il sale, la ricotta e la polenta"; R. Marracino, nel suo libro "Tecnica lattiero-casearia" anno- 1962, riferendosi al 1950, nel cap. XXII "la rinomata ricotta in salvietta romana altra non è che la prima affiorata, da un siero ricco di grasso, e che è la più pastosa, la più grassa, la più fiene e saporita". 2. Riferimenti culturali: nella mostra "Migrazione e lavoro" storia visiva della Campagna Romana del 1900, a cura della Cooperativa Pagliaccetto, troviamo numerose fotografie raffiguranti pecorari che mangiano la ricotta contenuta nella fiscella; Tomasetti nel suo libro "La Campagna romana" anno 1910, riporta quanto segue "Ad alcuni Santi si sono attribuite protezione speciali, tuttora riconosciute dai campagnoli; a S. Martino, per esempio, quella delle bestie cornute e della ricotta..."; Ercole Metalli, nel suo libro "Usi e costumi della campagna romana", anno 1903, mette in evidenza, come durante la pratica della transumanza e monticazione, il vergaro all'arrivo della masseria in un luogo di sosta, offra in regalo un pò di "ricotta che durante il viaggio il vergaro facilmente dispensa"; dalla raccolta di usi e di consuetudini vigenti nella provincia di Roma della CCIAA dell'anno 1951, al capitolo X, si mettono in evidenza i modi, le forme di contrattazione, di compra-vendita della ricotta; Trinchieri in "Vita di pastori nella Campagna Romana", anno 1953, descrive il pasto dei pastori "Acqua cotta... ai pastori veniva somministrato per pasto solo pane e ricotta. Il primo nel quantitativo di un chilo a persona, la seconda nella quantità di una cucchiarata colma... Il caciaro aveva l'incarico di somministrare la ricotta"; Romolo Trinchieri in "Vita dei pastori nella Campagna Romana", del 1953, ci descrive la capanna dei pastori: "C'è quindi una capanna principale che sovrasta per altezza e dimensione le altre, nella quale abitano i pastori senza famiglia, dove si fa la cucina collettiva e dove si lavora iI formaggio e la ricotta". 3. Riferimenti statistici: la presenza del prodotto sui mercati dell'intera regione Lazio, è avvalorata dai dati rilevati sui mercuriali delle rispettive CCIAA di Roma dal 1922-1965, di Viterbo dal 1949-1973, di Frosinone dal 1955-1999, di Latina dal 1951-1977; dalla Borsa merci della CCIAA di Roma si nota la variazione di prezzo che tale prodotto ha subito dal 1952 al 1998. 4. Riferimenti sociali ed economici, quali la presenza di produttori che da anni effettuano questo tipo di produzione: la tenuta di Castel di Guido: da una comunicazione del direttore; l'azienda produceva nel 1969 circa 3500 litri di latte di pecora; questo in parte veniva venduto tal quale ed in parte utilizzato per la produzione di ricotta romana, come si evince dalla contabilità di masseria siglata dal vergaro e dal direttore nel 1958, 1960 e nel 1965; la masseria Gasparri, dai cui libri contabili si mette in evidenza il prezzo al chilo e i chilogrammi totali prodotti di ricotta romana nelle stagioni agrarie che vanno dal 1907 (prezzo di 70 centesimi al chilo fino al 15 marzo e a 45 centesimi dopo il 15 marzo, per un totale di 850 kg) al 1924 (produzione totale di 932,5 kg). 5. Riferimenti folkloristici: da circa 30 anni si svolge, nel comune di Barbarano Romano (Viterbo) la festa campestre dell'attozzata (Ricotta di Pecora); dal 1978 si svolge nel comune di Fiamignano (Rieti) la "Mostra Rassegna Ovina" con Sagra della pecora e dei suoi prodotti. 6. Riferimenti gastronomici: la Ricotta Romana, oltre ad essere consumata come pietanza a sé, trova largo uso come ingrediente di piatti tradizionali laziali. L'origine è comprovata, inoltre, dall'iscrizione degli allevatori, dei produttori e confezionatori in appositi elenchi tenuti ed aggiornati dall'organismo di controllo di cui all'art. 7. Articolo 5. Metodo di ottenimento del prodotto Materia prima. La materia prima della "Ricotta Romana" è costituita dal siero di latte intero di pecora delle razze più diffuse nell'area geografica di cui all'art. 3, quali: Sarda e suoi incroci, Comisana e suoi incroci, Sopravvissana e suoi incroci, Massese e suoi incroci. Il siero, componente liquida della coagulazione del latte, deve essere ottenuto dal meccanismo di spurgo, dovuto alla rottura della cagliata destinata alla produzione dei, formaggi pecorini ottenuti da latte di pecore proveniente dal territorio di cui all'art. 3. Il siero risulta essere "dolce", grazie al tipo di alimentazione delle pecore da latte, costituita da foraggi di pascoli naturali, prati pascoli ed erbai caratteristici del territorio della regione Lazio. Il prodotto che ne deriva, la "Ricotta Romana" assume un caratteristico sapore dolciastro che la distingue da ogni altro tipo di ricotta. Il siero di latte intero ovino ha una colorazione giallo pallido e contiene: residuo secco magro: non inferiore al 5,37%; proteine: non inferiore a 1,09%; grasso: non inferiore a 0,35%; lattosio: non inferiore a 3,55%; ceneri: non inferiore a 0,4% Per la produzione della "Ricotta Romana" è consentita, net corso del processo di riscaldamento, del siero, a temperatura tra i 50-600C, l'aggiunta di latte intero di pecora proveniente dalle razze sopra citate e dall'areale di cui all'art. 3, fino al 15% del volume totale del siero. Nel periodo estivo, quando l'animale si trova nello stadio fisiologico di asciutta, è consentita la tradizionale pratica della monticazione. L'alimentazione delle pecore da latte è costituita da pascoli, prati-pascolo ed erbai tipici dell'area geografica di produzione di cui all'art. 3. È ammesso il ricorso all'integrazione con foraggi secchi e con concentrati, escludendo l'utilizzo di sostanze di sintesi e di organismi geneticamente modificati. Le pecore da latte non devono essere soggette a forzature alimentari, a stress ambientali e/o sofisticazioni ormonali, finalizzate ad incrementare la produzione. Metodo di produzione. Il siero, senza aggiunta di correttori di acidità, viene riscaldato a 85-900C e mantenuto in lieve agitazione. Il riscaldamento, che in genere avviene nelle stesse caldaie in cui si è prodotto il formaggio, favorisce la precipitazione e la coagulazione delle sieroproteine e quindi il loro affioramento sottoforma di piccoli fiocchi. Il loro, consolidamento superficiale, in una fioritura, bianca stratificata, avviene sospendendo, per circa cinque minuti, il riscaldamento. L'affioramento viene separato dalla scotta. Successivamente si procede con la raccolta della ricotta che viene posta in fuscelle forate, di forma tronco-conica, per 8-24 ore per favorire ulteriormente lo spurgo della scotta. Il prodotto scolato viene fatto asciugare in locali freschi. La ricotta che ne deriva presenta una struttura molto fine, un colore più marcato di quello vaccino ed un sapore delicato e dolciastro. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente Le condizioni di allevamento degli ovini e di trasformazione del formaggio, devono essere quelle tradizionali della zona, e comunque, atte a conferire al latte e al prodotto derivato le sue specifiche caratteristiche. Gli elementi che comprovano il legame con l'ambiente sono rappresentati da: fattori naturali. L'intero territorio della regione Lazio permette, con le proprie caratteristiche pedo-climatiche, quali: rilievi di varia natura (monti calcarei, vulcanici, colline, pianure alluvionali); temperatura media annuale variabile tra 13-160C; precipitazioni annuali comprese tra valori minimi di 650 mm lungo la fascia litoranea, di 1.000-1.500 mm nelle pianure interne fino ai 1.800-2.000 mm in corrispondenza del Terminillo e dei Simbruini; di sfruttare le condizione migliori per l'allevamento degli ovini, senza provocare stress all'animale. I fattori naturali consentono di utilizzare i prati naturali e prati-pascolo, fonte alimentare per gli ovini, in modo da conferire particolari qualità al latte destinato alla trasformazione casearia, determinando un sinergismo eccezionalmente favorevole oltre che per la qualità anche per l'omogeneità dei suoi caratteri. Questo tipo di alimentazione, abbinato alle favorevoli condizioni ambientali di allevamento, caratterizza il prodotto, in modo tale da distinguere la ricotta romana dal resto delle ricotte. Fattori Umani. È possibile evidenziare due momenti fondamentali per la caratterizzazione qualitativa del prodotto: la rottura della cagliata, dettata dalle capacità operative dei casari, frutto dell'abilità e dell'esperienza tramandata da secoli nell'intera zona interessata dalla D.O.P; la tradizionale pratica della monticazione, che permette all'animale di sfuggire alla calura estiva e di conseguenza ai possibili stress ambientali e nutrizionali, che soffrirebbe in pianura. Le pecore, risentendo positivamente di tali fattori, anche appena riscendono a valle, producono latte di ottima qualità, influenzando direttamente la qualità del formaggio ottenuto dallo stesso. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto, al disciplinare è svolto, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE 2081/1992. Articolo 8. Confezionamento ed etichettatura Il confezionamento del prodotto deve avvenire nell'ambito del territorio di cui all'art. 3. La "Ricotta Romana" viene confezionata in cestelli tronco-conici di vimini, di plastica o di metallo di capacità massima di 2 kg. La facciata superiore del cestello viene ricoperta da un foglio di plastica. Sono consentite altre tipologie di confezionamento: avvolta con carta pergamena; contenitori di plastica e/o sottovuoto. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relative menzioni (in conformità, alle prescrizioni del regolamento CEE 1726/98 e successive modifiche) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge le seguenti ulteriori indicazioni: la designazione "Ricotta Romana" deve essere apposta con caratteri significativamente maggiori, chiari ed indelebili, nettamente distinti da ogni altra scritta ed essere seguita dalla menzione denominazione origine protetta (D.O.P.); il nome, la ragione sociale, l'indirizzo dell'azienda produttrice e confezionatrice; il logo del prodotto è costituito - come da riproduzione riportata in allegato - da un perimetro quadrato formato, da tre linee di colore, a partire dall'esterno, verde, bianco e rosso, contenente all'interno una testa di ovino stilizzata tra le due lettere "R" maiuscole e rispettivamente di colore giallo, quella di sinistra; rosso, quella di destra. Il perimetro del quadrato del logo, è interrotto: lateralmente dalla lettera "R" di color rosso ed in basso dalla sigla, in caratteri maiuscoli di colore rosso, "D.O.P.". La denominazione del prodotto è posta in basso all'interno del perimetro del quadrato ed è costituita dalle parole in caratteri maiuscoli "RICOTTA" di colore giallo e "ROMANA" di colore rosso. È vietata l'aggiunta di qualsiasi altra qualificazione non prevista dal presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi: fine, scelto, selezionato, superiore, genuino o comunque elogiativi del prodotto. È tuttavia ammesso l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell'indicazione del nome dell'azienda dai cui allevamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La designazione "Ricotta Romana" è intraducibile. Articolo 9. Logo (Si omette logo) Il Disciplinare sopra riportato comprende le modifiche approvate nel 2010. | D.O.P. | Formaggi | Lazio | Roma, Frosinone, Viterbo, Latina, Rieti | ||
Robiola di Roccaverano Robiola di Roccaverano Origini e area di produzioneQuesto formaggio conosciuto già nel Medioevo è originario della cittadina di Roccaverano in provincia di Asti. Per la produzione della Robiola di Roccaverano si adopera latte crudo intero di capra delle razze Roccaverano e Camosciata Alpina e loro incroci, di pecora di razza Pecora delle Langhe e di vacca delle razze Piemontese e Bruna Alpina e loro incroci, proveniente esclusivamente dall’area di produzione, con le seguenti percentuali: latte crudo intero di capra in purezza o in rapporto variabile in misura minima del 50 % con latte crudo intero di vacca e/o pecora in misura massima del 50%, proveniente da mungiture consecutive, effettuate in un arco di tempo tra le 24 e le 48 ore. Zona di produzione La zona di provenienza del latte, di trasformazione, di raggiungimento dei termini di maturazione previsti, il confezionamento e la marchiatura comprende il territorio amministrativo dei seguenti comuni: Provincia di Asti: Bubbio, Cessole, Loazzolo, Mombaldone, Monastero Bormida, Olmo Gentile, Roccaverano, San Giorgio Scarampi, Serole e Vesime. Provincia di Alessandria: Castelletto d’Erro, Denice, Malvicino, Merana, Montechiaro d’Acqui, Pareto, Ponti, Spigno ed il territorio del comune di Cartosio ubicato sulla sponda sinistra del torrente Erro. La Denominazione di Origine Protetta è stata riconosciuta il 1 luglio 1996; modifica del Disciplinare di produzione con Decreto ministeriale 13 gennaio 2006, pubblicato sulla G.U. n. 27 del 2 febbraio 2006. Caratteristiche e fasi di produzioneLa DOP “Robiola di Roccaverano” si presenta cilindrica a facce piane leggermente orlate con scalzo leggermente convesso. Il diametro delle facce è compreso tra 10 e 13 cm., con altezza dello scalzo da 2,5 a 4 cm. Il peso di una forma varia dai 250 ai 400 grammi. Questi parametri sono riferiti al termine del periodo minimo di maturazione. La Robiola di Roccaverano si produce per l’intero arco dell’anno, è un formaggio ottenuto con l’impiego della cagliata lattica, fresco sottoposto a maturazione, affinatura o stagionatura. Le caratteristiche sensoriali del formaggio “Robiola di Roccaverano”, in base al grado di maturazione, vengono distinte in: Prodotto fresco - Crosta: può presentarsi sotto forma di una lieve fioritura naturale di muffe o essere inesistente - Aspetto esteriore: bianco latte oppure paglierino - Pasta: di colore bianco latte - Struttura: cremosa, morbida - Sapore e Aroma: delicato, saporito e/o leggermente acidulo - Prodotto affinato o stagionato - Crosta: presenta una fioritura naturale di muffe - Aspetto esteriore: bianco crema, paglierino oppure leggermente rossiccia - Pasta: di colore bianco latte - Struttura: morbida e leggermente compatta con il protrarsi della stagionatura, può essere cremosa nel sottocrosta - Sapore e Aroma: saporito Prodotto secco - Aspetto esteriore: paglierino o rossiccia - Pasta: di colore crema e/o giallo - Struttura: compatta - Sapore e Aroma: fortemente saporito Nella Robiola di Roccaverano gli aromi ed i sapori si presentano decisi fino al piccante in funzione della stagionatura. I parametri di riferimento per la Robiola di Roccaverano relativi al grasso, alle sostanze proteiche e alle ceneri sono: - Grasso: minimo 40% sul secco - Sostanze proteiche minimo 34% sul secco - Ceneri minimo 3% sulla materia secca Fasi di produzione Durante tutte le fasi di lavorazione non è consentito l’uso di pigmenti, coloranti e di aromi particolari. Il latte, eventualmente inoculato con culture di fermenti lattici naturali ed autoctoni dell’area di produzione (lattoinnesti e/o sieroinnesti), è addizionato con caglio di origine animale non prima che sia iniziato il processo di acidificazione e ad una temperatura compresa tra i 18°C e i 24°C e viene lasciato a riposo, alla stessa temperatura, per un tempo di coagulazione da 8 a 36 ore in funzione delle condizioni climatiche ed ambientali di lavorazione. Si procede quindi delicatamente al trasferimento della cagliata acida in appositi stampi forati muniti di fondo. Prima della formatura può essere effettuato uno spurgo del siero per sgocciolamento in tele a trama fine. La sosta negli stampi si protrae fino a 48 ore con rivoltamenti periodici al fine di favorire lo spurgo del siero. La salatura deve essere effettuata a secco sulle due facce del prodotto durante i rivoltamenti oppure al termine del processo di formatura. La maturazione naturale viene effettuata conservando il prodotto fresco in appositi locali per almeno tre giorni dal momento della messa negli stampi. Dal quarto giorno dalla messa negli stampi è consentita la vendita o la prosecuzione della maturazione in azienda e/o a carico degli affinatori (stagionatori). A partire dal quarto giorno dalla messa negli stampi è consentito l’uso di vegetali aromatizzanti. La Robiola di Roccaverano è considerata stagionata a partire dal decimo giorno dalla messa negli stampi. La Robiola di Roccaverano è considerata secca quando ha raggiunto una maturazione di almeno trenta giorni dalla messa negli stampi. All’atto dell’immissione al consumo, al formaggio deve essere applicato, a sigillo della confezione, il logo comunitario adesivo. | D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Asti, Alessandria | ||
Salva Cremasco Salva Cremasco Disciplinare di produzione - Salva Cremasco DopArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta ( DOP ) “SALVA CREMASCO” è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto Il “SALVA CREMASCO” DOP è un formaggio molle da tavola a pasta cruda, prodotto esclusivamente con latte di vacca intero tal quale, a crosta lavata, con stagionatura di oltre 75 giorni. All’atto dell’immissione al consumo il formaggio “SALVA CREMASCO” presenta le seguenti caratteristiche: Caratteristiche fisiche Forma: Parallelepipeda quadrangolare con faccia piana di lato compreso tra 11 e 13 cm. o tra 17 e 19 cm; Scalzo: Diritto da cm 9 a 15 e da 9 a 12 cm; Peso: compreso tra 1,3 a 1,9 kg o da 3 kg a 5 kg. Sono previste variazioni in più od in meno. In ogni caso la variazione non può superare il 10%. Crosta:di spessore sottile, liscia a volte fiorita, consistenza media, presenza di microflora caratteristica. Non è ammesso alcun trattamento della crosta, fatte salve le normali spugnature con acqua e soluzione salina, l’eventuale uso di olio alimentare, ed erbe aromatiche; Pasta: con occhiatura rara distribuita irregolarmente; consistenza tendenzialmente compatta, friabile, più morbida nella parte immediatamente sotto la crosta per effetto della maturazione prettamente centripeta; Caratteristiche organolettiche Colore della pasta: bianco che tende al paglierino con l’aumentare della stagionatura con fenomeni di proteolisi nel sottocrosta. Sapore della pasta : aromatico ed intenso che assume connotazioni più pronunciate con il trascorrere della stagionatura. Caratteristiche chimiche: - grasso sulla sostanza secca min 48 %; - estratto secco min 53 %; - tenore in furosina max 14 mg/100 g proteina. Articolo. 3. Zona di Produzione La zona di produzione della D.O.P. “ SALVA CREMASCO” comprende l’intero territorio delle province di : BERGAMO, BRESCIA, CREMONA, LECCO, LODI, MILANO Articolo. 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo del SALVA CREMASCO deve essere monitorata, documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo degli allevatori conferenti latte, dei produttori, degli stagionatori, dei porzionatori e dei confezionatori nonché attraverso la dichiarazione alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e del relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Per la produzione della DOP “ Salva Cremasco” è utilizzato il latte vaccino intero crudo derivante dalle razze bovine allevate nell’area di interesse, che sono la Frisona italiana, la Bruna Alpina. L’alimentazione delle vacche da latte si basa sull’utilizzazione di alimenti ottenuti dalle coltivazioni aziendali o nell’ambito del territorio di produzione del latte per il Salva Cremasco DOP. Almeno il 60% della sostanza secca dei foraggi della razione giornaliera deve provenire da alimenti prodotti nel territorio di produzione del latte. L’alimentazione base delle bovine da latte è costituita da due grandi categorie: foraggi e mangimi. I foraggi ammessi sono: foraggi freschi - foraggi freschi da prati stabili od artificiali o sfalciati. Le essenze foraggere idonee sono: erbe di prato stabile polifita, di medica, trifoglio; erbai singoli od associati composti da loietto, segale, avena, orzo, granturchino, frumento, sorgo da ricaccio, mais, panico, erba mazzolina, festuca, fleolo, lupinella, pisello, veccia e favino: fieni: ottenuti dall'essiccamento in campo, con tecniche di aeroessiccazione o per disidratazione, delle essenze foraggere utilizzabili come foraggi verdi; paglie: di cereali quali frumento, orzo, avena, segale, triticale; insilati; Mangimi ammessi: facciamo seguire l’elenco delle materie prime per mangimi, raggruppate per categoria, ammesse ad integrazione dei foraggi: Cereali e loro derivati: mais, orzo, frumento, sorgo, avena, segale, triticale: granelle, sfarinati e relativi derivati sia essiccati che insilati, compresi gli schiacciati, i derivati trattati termicamente come fiocchi, gli estrusi, i micronizzati; pastoni di mais: spiga integrale del mais sfarinata in pastone integrale di mais o in pastone di pannocchia; granella umida sfarinata in pastoni di farina umida. Semi oleaginosi loro derivati: soia, cotone, girasole, lino: granelle, sfarinati e relativi derivati, quali farine di estrazione espeller, sottoposti anche a trattamenti termici. Tuberi e radici, loro prodotti: patata e relativi derivati. Foraggi disidratati: essenze foraggere: paglia di cereali, tutolo di mais, pianta integrale di mais, tal quali, trinciati, sfarinati o pellettati. Derivati dell'industria dello zucchero: polpe secche esauste, polpe secche semizuccherine, polpe melassate; melasso e/o derivati: solo come adiuvanti tecnologici ed appetibillizzanti pari ad un valore massimo del 2,5% della sostanza secca della razione giornaliera. Semi di leguminose, carrube: pisello proteico, fave, favine: granelle, sfarinati e relativi derivati; carrube: essiccate e relativi derivati. Grassi: grassi di origine vegetale con numero di iodio non superiore a 70, acidi grassi da oli di origine vegetale con acidi grassi tal quali o salificati. Sono ammessi olii di pesce come supporti per «additivi» e «premiscele». Minerali: sali minerali autorizzati dalla vigente legislazione. Additivi: vitamine, oligoelementi, amminoacidi, aromatizzanti, antiossidanti, autorizzati dalla vigente legislazione, salvo che per antiossidanti ed aromatizzanti sono ammessi solo quelli naturali o natural-identici. Varie: e' ammesso l'utilizzo di lievito di birra inattivato come supporto nelle «premiscele». E’ ammessa la pastorizzazione del latte che deve avvenire a 71,7° per 15 secondi o con trattamento equivalente. Il riscaldamento del latte può avvenire con fuoco di legna, gas o vapore. Il caglio utilizzato deve essere esclusivamente caglio bovino liquido. Si utilizza un innesto naturale o selezionato proveniente e ottenuto da ceppi autoctoni prodotti nell’area indicata dall’art.3 del presente disciplinare di produzione. La coagulazione avviene tra i 32°C ed i 40°C con una durata tra 10 e 20 minuti in rapporto alle condizioni climatiche e della materia prima. Si effettuano due rotture della cagliata. La prima grossolana è seguita da una sosta di 19/15 minuti in modo che il coagulo, iniziando la fase di spurgo, acquisti maggiore consistenza; con la seconda rottura si ottengono glomeruli caseasi della grandezza di una nocciola. La cagliata non viene riscaldata. Nella fase di coagulazione del latte, in alternativa alle attrezzature in acciaio e/o plastica alimentare è ammesso l’utilizzo di caldaie in rame. L’estrazione della cagliata avviene per trasferimento dalle caldaie negli stampi. E’ ammessa l’estrazione con teli in fibre naturali o sintetiche, e per la sosta della cagliata sono ammessi stampi in legno. La stufatura può durare da un minimo di 8 ore ad un massimo di 16 ore con una temperatura compresa tra 21°C e 29°C e umidità tra 80% e 90%. La marchiatura identificativa del prodotto,avviene durante la stufatura, nel corso di uno dei rivoltamenti, dopo la messa in forma della cagliata, prima della salatura, affinché la relativa impronta risulti evidente anche nel formaggio maturo. La matrice è di materiale plastico ad uso alimentare e viene impressa solo su una faccia piana e reca il numero di identificazione del Caseificio, che si rileva mediante l’applicazione delle matrici distribuite dalla Struttura di Controllo o dal Consorzio di Tutela incaricato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Il marchio all’origine della denominazione “SALVA CREMASCO” DOP ha forma quadrata e riporta al proprio interno le seguenti lettere così disposte (vedere logo):: in alto a sinistra la lettera S; in alto a destra la lettera C; in basso a sinistra la lettera C; in basso a destra la lettera S; Al centro della matrice, in mezzo alle lettere, è riportato il numero identificativo del caseificio produttore. La matrice di forma quadrata con lato di 11 x 11 cm o 17 x 17 cm. Al fine di garantire una corretta rintracciabilità ed individuazione del prodotto, che riportando la matrice solo su una faccia piana della forma, per via della tipologia a pasta molle, risulterebbe privo di simboli identificativi nelle singole porzioni, tutte le operazioni di porzionatura di prodotto stagionato devono avvenire esclusivamente in zona di origine, ciò anche al fine di garantirne la qualità. Le operazioni di salatura si effettuano a secco o in salamoia. La stagionatura deve avvenire in ambienti che hanno una umidità naturale o controllata da 80/90% e con una temperatura compresa tra 2°C e 8°C in rapporto alle condizioni di temperatura esterna, su assi di legno. Durante il periodo di stagionatura, che si protrae per un periodo minimo di 75 giorni, la forma viene frequentemente rivoltata. E’ ammesso il trattamento della forma con un panno imbevuto di soluzione salina o spazzolata a secco, al fine di mantenere le caratteristiche della crosta e ridurre le ife, contribuendo a far assumere alla forma la colorazione caratteristica. Non ammesso alcun trattamento della crosta, fatte salve le normali spugnature con acqua e sale, l’eventuale uso di olio alimentare, vinacce ed erbe aromatiche. Le operazioni di produzione del latte, di caseificazione, di stagionatura, di porzionamento devono avvenire nella zona delimitata all’art.3 del presente disciplinare di produzione, al fine di garantire la qualità, la tracciabilità ed il controllo del prodotto. Qualora il prodotto stagionato comporti una porzionatura, anche il confezionamento deve avvenire nella zona di produzione come delimitata all’art.3 del presente disciplinare di produzione, al fine di non compromettere le garanzie di autenticità del prodotto. Articolo 6. Legami con l’ambiente Il formaggio “ Salva Cremasco” DOP si distingue dagli altri prodotti similari per le specifiche caratteristiche fisiche ed organolettiche, come ad esempio la crosta di spessore sottile, liscia a volte fiorita, di consistenza media, con la presenza di microflora caratteristica; il colore bianco della pasta che tende al paglierino con l’aumentare della stagionatura con fenomeni di proteolisi nel sottocrosta e lo specifico sapore aromatico ed intenso che assume connotazioni più pronunciate con il trascorre della stagionatura. Tutte queste caratteristiche sono determinate in particolare dalla lunga stagionatura che avviene in ambienti carichi di muffe contaminanti che fanno parte del corredo microbiologico del prodotto e sono strettamente legate agli ambienti di produzione e stagionatura. E’ esatto affermare che l’ecosistema che determina le predette caratteristiche non è trasferibile e le muffe ne costituiscono un elemento indispensabile e concorrono a definire le caratteristiche intrinseche del prodotto finito. L’area interessata alla produzione di formaggio “SALVA CREMASCO” DOP è caratterizzata da suoli in aree morfologicamente rilevate della pianura alluvionale. L’uso dei suoli, da un punto di vista agricolo, prevede cerealicoltura, foraggicoltura e colture specializzate intensive. Le elevatissime rese delle produzioni agricole non comportano la necessità di supporti energetici molto consistenti. Le aree coltivate coprono buona parte del territorio della zona delimitata e contengono anche aree strappate alle paludi e bonificate con una capillare rete di drenaggio e di irrigazione sviluppata attraverso i secoli. Si tratta della fertile pianura irrigua dove si è sviluppato nel tempo l’allevamento del bestiame in grado di fornire la materia prima pere la lavorazione del formaggio “SALVA CREMASCO”. A ciò si aggiunge il fattore umano depositario della antica cultura casearia che si esprime attraverso strumenti e tecnologie fortemente caratterizzate dai luoghi. Le origini legate alla paziente, limitata e domestica lavorazione del “furmac soc”, sono da ricercarsi nella sapiente capacità contadina, frutto di un’economia del “non spreco”, che ancora oggi dovrebbe essere motivo di attenzione e imitazione. Non a caso l’origine semantica del nome, “Salva Cremasco”, viene attribuita proprio alla funzione del formaggio, cioè alla necessità di “salvare” le eccedenze di latte primaverile. Queste abilità, che sono direttamente discendenti dalle modalità di trasmissione delle conoscenze delle tecnologie produttive e degli atti e gesti necessari alla riuscita del prodotto, si tramandano di generazione in generazione. Si tratta di abilità che ancora permangono fra gli operatori del settore e si evidenziano nella conoscenza e applicazione della grande manualità ancora oggi esistente. Le testimonianze storiche che comprovano lavorazione del latte, tra Adda e Serio, e la produzione di questo formaggio, presente nella tradizione gastronomica dei luoghi, sia una pratica antica sono numerose a partire dopo l’anno mille, come sviluppo urbanistico, quando il locus Cremae divenne castrum, borgo fortificato. Nei resti dell’insediamento di un piccolo villaggio protostorico rinvenuto a Montecchio di Vidolasco, databile intorno al X sec. a. C., sono stati rinvenuti numerosi frammenti di colatoi fittili, recipienti forati a base piatta che testimoniano l’esistenza di una intensa attività relativa alla trasformazione del latte. A riprova del largo consumo infine, appaiono caci di diverse forme, nei numerosi quadri e negli affreschi databili XVII° secolo e XVIII° secolo, dove sono raffigurate tavole imbandite o scene tratte da suntuosi banchetti. Un recente studio ( Gruppo Antropologico Cremasco – Crema a tavola ieri e oggi-2001) ha evidenziato che per esempio nella cena di San Gregorio Magno, ispirata alla leggenda aurea, compare sul desco una piccola formella di Salva Cremasco Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del regolamento CE n.510/2006. Tale struttura è l’organismo di controllo Certiprodop s.r.l. – via del Macello, 26 – 26013 Crema (CR). Tel. 0363-301014; fax 0363- 598799; e-mail certiprodop@virgilio.itIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo . Articolo 8. Etichettatura Il formaggio “SALVA CREMASCO” DOP può essere venduto in forme intere o porzionato. Al momento della sua immissione al consumo, su tutti gli incarti e/o su tutte le confezioni è obbligatoria, in etichetta, la dicitura “SALVA CREMASCO” DOP, unitamente al logo della denominazione di forma quadrata che riporta al proprio interno le seguenti lettere così disposte (vedere logo): in alto a sinistra la lettera S; in alto a destra la lettera C; in basso a sinistra la lettera C; in basso a destra la lettera S. ed al logo comunitario La dicitura “SALVA CREMASCO” DOP dovrà risultare di dimensioni significativamente superiori ad ogni altra scritta presente. E’ vietato riportare qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal presente disciplinare. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento ad aziende, nomi,ragioni sociali, marchi privati a condizione che non abbiano significato laudativo e che siano tali da non trarre in inganno l’acquirente. E’ consentito, altresì,indicare il nome o la ragione sociale delle aziende di stagionatura e/o di confezionamento. Tali indicazioni dovranno risultare di dimensioni significativamente inferiori alle indicazioni prescritte dal presente Disciplinare. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Lodi, Milano | ||
Silter Silter Disciplinare di produzione - SilterArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta (DOP) “Silter” è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2.
2.1 Caratteristiche morfologiche Forma: cilindrica
2.2 Caratteristiche fisico-chimiche Il contenuto di grasso: deve essere dal 27 al 45% della sostanza secca. Il contenuto di umidità non può essere superiore al 40%. 2.3 Caratteristiche microbiologiche Prevalgono i batteri lattici del genere Lactobacillus e Lactococcus, sia quelli appartenenti al gruppo omofermentante sia quelli del gruppo eterofermentante. Questa ricca flora lattica proviene dall’ambiente dove vengono allevate le vacche e trasformato il latte. 2.4 Caratteristiche organolettiche La pasta è dura, mai troppo elastica, a volte con occhiatura piccola-media distribuita in modo uniforme. Il colore varia da bianco a giallo intenso in funzione dell’alimentazione delle bovine e della stagionatura. Prevale il sapore dolce, l’amaro è assente o poco percepito, mentre compaiono note di sapido e/o piccante nei formaggi molto stagionati. L’odore e l’aroma sono persistenti; tra i più percepiti troviamo la frutta secca, il burro e il latte di vacche alimentate con i foraggi della zona geografica, la farina di castagne, i Silter (intesi come locali di stagionatura). Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e stagionatura del formaggio “Silter D.O.P.” comprende l'intero territorio amministrativo dei Comuni appartenenti alla Provincia di Brescia e ricadenti nelle Comunità Montane di Valle Camonica e del Sebino Bresciano. La Valle Camonica ed il Sebino Bresciano rappresentano un’ampia realtà territoriale alpina e prealpina che si estende dal lago d’Iseo al Passo del Tonale e di Gavia. La vastità dell’area, la forte escursione altitudinale e la morfologia delle numerose valli laterali (dalla Val Palot alla Valle delle Messi) soggette a differenti condizioni climatiche sono unite da un’unica tecnologia di produzione del Silter, prodotto dal fondovalle all’orizzonte alpino. L’area di produzione del Silter comprende i Comuni della Provincia di Brescia che sono qui di seguito elencati in ordine alfabetico: Angolo terme, Artogne, Berzo Demo, Berzo inferiore, Bienno, Borno, Braone, Breno, Capo di Ponte, Cedegolo, Cerveno, Ceto, Cevo, Cimbergo, Cividate Camuno, Corteno Golgi, Darfo Boario Terme, Edolo, Esine, Gianico, Incudine, Losine, Lozio, Malegno, Malonno, Monno, Niardo, Ono San Pietro, Ossimo, Paisco Loveno, Paspardo, Piancamuno, Piancogno, Ponte di Legno, Prestine, Saviore dell'Adamello, Sellero, Sonico, Temù, Vezza d'Oglio, Vione, Sulzano, Sale Marasino, Marone, Zone, Pisogne, Monte Isola. Articolo 4.
Articolo 5. Metodo di ottenimento Materia prima Il formaggio Silter è prodotto durante tutto l’anno ed esclusivamente con latte crudo. Le vacche in lattazione, nelle singole aziende, devono appartenere alle razze tipiche di montagna(Bruna, Grigio Alpina e Pezzata Rossa) almeno per l’80%. Le vacche di razza Bruna devono essere almeno il 60% di tutte le vacche in lattazione nelle singole aziende. Le vacche in lattazione devono essere alimentate con erba e/o fieno; non è consentito l’utilizzo di alimenti insilati o fasciati. L’integrazione con concentrati è ammessa in quantità inferiore al 40% della sostanza secca della razione. Il foraggio deve provenire in prevalenza dalla zona di produzione del Silter. La percentuale di foraggio (fieno e/o erba) proveniente dalla zona di produzione è sempre maggiore del 50% della sostanza secca totale somministrata alle vacche in lattazione. Quando le vacche sono in alpeggio, il foraggio deve provenire solo dalla zona di produzione ed il concentrato non superare la quota del 30% della sostanza secca mediamente ingerita. Il rispetto di queste condizioni consente di apporre il nome della malga sullo scalzo. Preparazione Il latte può provenire da una o più munte e deve essere messo ancora caldo in affioramento. Tutto il latte è parzialmente scremato per affioramento naturale della panna. La sosta deve variare da 8 a 48 ore da quando il latte viene versato nelle bacinelle o vasche di affioramento. Il latte parzialmente scremato viene messo in caldaia. Si può aggiungere della flora lattica, con un innesto naturale prodotto con latte o siero delle aziende site nel territorio di produzione oppure con un innesto di fermenti autoctoni selezionati. Non sono ammessi coloranti e conservanti di qualsiasi origine. Dopo il riscaldamento a 36-40 °C, deve essere addizionato il caglio di vitello e, una volta ottenuta la coagulazione, si deve procedere alla rottura del coagulo fino ad ottenere grani di pasta delle dimensioni da un grano di riso ad un chicco di mais. Subito dopo, si deve procedere al riscaldamento della cagliata mantenendola in agitazione, portandola a temperatura di cottura compresa tra 46 °C e 52 °C. La cagliata, deve essere mantenuta in sosta sotto siero per 20-60 minuti, messa in fascera e lasciata spurgare per 12-24 ore sul tavolo di sgocciolamento (denominato nel gergo locale Tavolo Spersore). Il processo di allontanamento del siero dalla cagliata viene aiutato da una pressatura della forma. Nelle prime 12 ore dalla messa in fascera avviene la marchiatura all’origine sullo scalzo con apposita fascetta a rilievo. Salatura Il formaggio “Silter D.O.P.” è salato a mano per aspersione del sale secco di media granulometria o in salamoia. La durata della salatura è compresa, in funzione del peso del formaggio, tra 4 e 12 giorni. Stagionatura La stagionatura avviene nei locali tradizionali (Silter) con la temperatura di 7- 20 °C e l’umidità di 70-90%. I ripiani su cui vengono posti i formaggi durante la stagionatura sono di legno. Queste caratteristiche devono essere mantenute anche quando il formaggio viene stagionato nelle celle con temperatura e umidità controllate. Durante la stagionatura le forme devono periodicamente essere rivoltate sulle assi. Per il “Silter DOP” la stagionatura minima delle forme è di 100 giorni dalla data di produzione. Le forme per poter essere commercializzate con la denominazione, debbono essere impresse con le marchiature a fuoco. Articolo 6. Legame con l’ambiente “Silter” è un termine di derivazione anglosassone e d’origine quasi certamente Celtica, corrisponde all'italiano Casera ed è il nome che, nella zona di produzione, è dato al locale di stagionatura e viene utilizzato anche per contraddistinguere il formaggio in esso conservato e stagionato. Le citazioni storiche del nome Silter sono numerose e presenti nella Relazione Storica. La produzione del formaggio Silter vanta antiche origini, come antica è la tradizione zootecnica della sua zona di produzione. Le prime segnalazioni documentate risalgono alla fine del 1600, come dimostra una relazione stesa dal Cancelliere del Comune di Zone in quel periodo. Tale documento fa riferimento anche ad un luogo specifico, il "monte de el Gölem", oggi monte Guglielmo. La zona, a forte vocazione lattiero - casearia, a causa dell’isolamento geografico e delle croniche difficoltà di comunicazione con il capoluogo, ha sviluppato un patrimonio di prodotti agroalimentari locali. Tra questi, una notevole importanza socio-economica è rivestita dal Silter; prodotto in numerose aziende, anche di piccole dimensioni, che effettuano la trasformazione del proprio latte secondo metodiche arcaiche, tramandate dai casari/allevatori di generazione in generazione. Il Silter è storicamente prodotto in una zona alpina e prealpina che si estende dal lago d’Iseo al Passo del Tonale e di Gavia. La vastità dell’area, la forte escursione altitudinale e la morfologia delle numerose valli laterali (Val Palot, Valle delle Messi, Val Saviore, Crocedomini ecc.) soggette a differenti condizioni climatiche sono unite da un’unica tecnologia di produzione del Silter, prodotto dal fondovalle all’orizzonte alpino. Nei secoli passati, la trasformazione casearia del latte era l'unico mezzo disponibile per la conservazione delle sue preziose caratteristiche nutrizionali ed il formaggio Silter rappresentava una fonte di nutrimento per la gente delle montagne della Valle Camonica e del Sebino-Bresciano. I produttori hanno mantenuto la tecnologia di trasformazione del latte in ambienti di dimensioni contenute e con tempi lunghi perché bisogna aspettare che la flora lattica, non sempre abbondante durante il rigido inverno, possa acidificare le cagliate. E’ anche nel lungo tempo di lavorazione (mai sotto le due ore) che sta la caratteristica di un formaggio che viene prodotto con vari tagli e con adeguate temperature di cottura al fine di ottenere il corretto spurgo del siero. La degustazione del formaggio dopo la stagionatura è la prova della verità: solo un Silter prodotto con i tempi e le temperature corrette che, al fine di mantenere una produzione uniforme variano in funzione dei fattori climatici (dal clima più mite del Lago d’Iseo a quello rigido degli ambienti delle vallate vicine al ghiacciaio dell’Adamello) e stagionali, può esprimere quei sapori ed aromi descritti nelle caratteristiche organolettiche all’art.2. Le pregiate caratteristiche sensoriali del formaggio Silter sono determinate dall'ambiente e dalla razza che caratterizzano il latte crudo, dalla tecnologia di trasformazione che ne esalta quelle volute, rendendo unico un formaggio prodotto su una vasta area. Il latte è crudo: in esso si conserva e si sviluppa la microflora autoctona naturalmente presente che determina l'andamento e l'entità dei fenomeni di maturazione a carico dei suoi costituenti durante la lunga fase di stagionatura. L’ambiente e la flora microbica originano gli aromi del Silter, presenti nella loro pienezza solo nel formaggio a latte crudo e a lungo stagionato nella zona di produzione. La razza Bruna è storicamente allevata sulle montagne dove si produceva e si produce il Silter. La base dell’alimentazione è il foraggio che cresce nei prati permanenti e nei pascoli dell’area di produzione. Nel fondovalle vi sono le praterie mantenute dagli allevatori di vacche da latte; in esse dominano l’Avena altissima, il Bromo spp., il Fleolo, la Dactylis spp., la Festuca spp. e la Poa spp.. Nella parte meridionale dell’orizzonte alpino si trovano substrati calcareo - dolomitici con pascoli a Sesleria calcarea e a Carice. Nella parte più a nord della zona di produzione, nei parchi dell’Adamello e dello Stelvio, troviamo suoli acidi con pascoli a Nardo e Festuca varia. Il legame forte con il territorio c’è anche per la presenza di alcuni aromi dei foraggi che si ritrovano poi nel formaggio soprattutto quando le vacche ingeriscono l’erba ricca di specie aromatiche. La vastità di specie che si ritrovano sui pascoli (Festuca spp., Dactylis spp., Poa spp., Briza media, Phleum spp., Tripholium spp., Lotus corniculatus, Anthillis vulneraria, Ranunculus spp., Horminum pyrenaicum, Achillea millefolium, Poligonum bistorta, Plantago media, Crisantemum spp., Nardus stricta, Centaurea nervosa, Carum carvi, Agrostis tenuis, Cerastium holeostoides, Carex spp., Potentilla spp., Geum montanum, Sesleria varia, Anemone pulsatilla, Luzula spp., Centaurea nervosa, Eufrasia spp., Dechampsia caespitosa, Leontodon spp., Achillea millefolium, Parnassia spp., Horminum pyrenaicum, Euphrasia spp., Hiperycum spp., ecc…) e la presenza di alcune con caratteristiche aromatiche (Anthoxanthum odorathum, Thimus spp., Alchemilla gr. Vulgaris, Gentiana spp., Cardus spp.), contribuiscono a rendere il Silter un formaggio con caratteristiche qualitative che lo rendono nettamente distinguibile da altri e strettamente legato al territorio d’origine. La tecnologia tradizionale impiegata nella zona di produzione, prevede la scrematura del latte per affioramento naturale della panna ed il rispetto di parametri tecnologici che conducono all'ottenimento delle pregiate caratteristiche finali definite. La trasformazione del latte inizia dopo la mungitura, quando questo viene versato nelle bacinelle a maturare senza mai subire trattamenti termici o essere refrigerato. La repentina messa del latte in affioramento favorisce nei locali e nelle attrezzature lo sviluppo dei batteri mesofili della zona che conferiscono il sapore e l’aroma che distinguono il Silter da qualsiasi altro formaggio. La flora microbica è molto eterogenea e caratteristica dell’area di produzione. Le specie più ritrovate durante il processo di caseificazione sono: Lactococcus lactis ss lactis, Streptococcus thermophilus, Lactobacillus fermentum, Leuconostoc lactis, Enterococcus spp.. E’ possibile aggiungere in caldaia del lattoinnesto e del sieroinnesto naturale (ottenuti solo con latte o siero della zona di produzione), al fine di apportare al latte crudo una maggior quota di fermenti rappresentativi della flora microbica locale. È permesso anche l'utilizzo di un innesto di fermenti lattici autoctoni che sono stati selezionati nelle malghe e caseifici della zona di produzione e, di conseguenza, preservano la pregiata componente microbica di questo formaggio. Gli starters sono composti da una miscela di diversi ceppi di: Streptococcus thermophilus, Leuconostoc lactis e Lactococcus lactis. E’ consentito l’uso di attrezzi tipicamente in legno come la rotella per agitare il latte, lo spino e le fascere. Tipiche della zona sono anche le caldaie a legna a fornello fisso o mobile; presenti non solo in caseifici datati ma, anche in nuovi caseifici. Molto caratteristiche e riscoperte nelle costruzioni di nuovi caseifici sono le caldaie a fornello mobile, nelle quali il fuoco a legna rimane nascosto nel pavimento e viene spostato da una caldaia all’altra senza la diffusione di fuliggini nell’ambiente. La stagionatura in alpeggio e/o in fondovalle è un periodo caratterizzante ed estremamente delicato, il suo andamento viene determinato dalle condizioni climatiche ed ambientali caratteristiche dalla zona alpina e prealpina di produzione. I locali di stagionatura (chiamati Silter) e le escursioni termiche influiscono sui cambiamenti fisico-chimici che si riflettono sulle caratteristiche organolettiche. La presenza di microrganismi gasogeni nei periodi primaverili ed estivi può essere molto consistente e deformare leggermente le forme, facendone bombare le facce che tendono a spianarsi nei mesi successivi. Articolo 7. Controlli Il controllo di conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura conforme alle disposizioni del Reg. CE n. 1151/2012. Tale struttura è il CSQA Certificazioni srl, via S. Gaetano n. 74, 30016 Thiene (VI), Tel: + 39 044 5313011, Fax +39 044 5313070, e-mail csqa@csqa.it. Articolo 8.
L’area destinata ai dati di legge (autorizzazioni, numero di lotto, ecc…) è puramente indicativa e modificabile anche in funzione delle variazioni delle normative in materia. Nel Silter prodotto in alpeggio, le pregiate caratteristiche sensoriali sono esaltate da condizioni ambientali molto particolari, derivanti dall’erba ingerita dalle vacche e dalla flora microbica presente nel latte crudo munto in alta quota. Le difficili condizioni lavorative per la gestione della mandria e la caseificazione, oltre ai maggior rischi nella riuscita del prodotto e ai costi elevati dovuti alla collocazione in alta montagna, inducono a valorizzare maggiormente il Silter prodotto in alpeggio. Per un maggior ritorno economico a compensazione dei maggiori costi di produzione e se sono osservate le indicazioni sull’alimentazione di cui all’articolo 5.1, è possibile indicare il nome della malga sullo scalzo senza oscurare o coprire la marchiatura all’origine. Il nome della malga viene impresso a freddo, con fascia marchiante, contestualmente alla marchiatura all’origine. a.2) Il marchio a fuoco è costituito dalla scritta “SILTER” a forma di arco con al centro la scritta “D.O.P.”; da un’incisione rupestre riportante una scena di aratura con davanti e dietro (sotto la “S” e la “R”di Silter) una stella alpina. Il logo identificativo è impresso a fuoco su almeno una faccia del formaggio solo dopo 100 giorni dalla data di produzione. Marchio a fuoco impresso con marchiatura a fuoco sulla faccia del formaggio: b) Sulle confezioni. Su ogni pezzo o confezione è riportata un’etichetta con il logo identificativo con la scritta Silter D.O.P., oltre ai dati di legge. Le porzioni del formaggio preconfezionato devono comprendere una parte dello scalzo e/o della faccia che testimoni l’origine del formaggio. L’etichetta non è richiesta qualora la confezione venga preparata nel punto vendita per il prodotto definito “preincartato”. E’ consentito inoltre anche l’uso d’indicazioni e/o simboli grafici che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi collettivi o d’azienda individuale, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Il logo identificativo sulle confezioni deve rispettare i seguenti parametri: Riportare il marchio completo Lo sfondo del marchio deve essere color giallo ocra (tricromia: R196; G145; B35 – quadricromia C13; M42; Y94; K0.) Mantenere le proporzioni e le forme | D.O.P. Produttori-Silter
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------. | Formaggi | Lombardia | Brescia | ||
Spressa delle Giudicarie Spressa delle Giudicarie Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Spressa delle Giudicarie”
Art. 1
Denominazione del prodotto
La denominazione di origine protetta
“SPRESSA delle GIUDICARIE”
è riservata al formaggio che risponde alle condizioni e dai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione.
Art. 2
Descrizione del prodotto
La “SPRESSA delle GIUDICARIE”
è un formaggio magro da tavola, a fermentazione naturale od indotta, con l’aggiunta di starters naturali.
Materia prima utilizzata: latte crudo di vacca, parzialmente scremato per affioramento
naturale.
Caratteristiche del prodotto
Caratteristiche fisiche
forma: cilindrica,a scalzo basso, leggermente convesso o piano, con facce piane o
leggermente ondulate;
dimensioni e peso della forma:
diametro da 30 a 35 cm, altezza dello scalzo da 8 a11 cm; peso da 7 a 10 kg;
crosta:
irregolare, elastica, color grigio brunato o ocra scuro;
pasta:
semicotta, semidura, compatta ed elastica (caratteristica quest’ultima più accentuata per il prodotto giovane), con occhiatura sparsa di piccola o media
grandezza, di colore bianco o paglierino chiaro.
Caratteristiche chimiche del prodotto:
grasso sulla sostanza secca: da un minimo del
33% ad un massimo del 43 %;
umidità:
da un minimo del 32% ad un massimo del 40% per il prodotto “giovane” e
da un minimo del 28% ad un massimo del 38% per il prodotto “stagionato”.
Caratteristiche organolettiche del prodotto:
sapore: dolce, nel caso di prodotto giovane, saporito, più o meno accentuato per il
prodotto stagionato, con un appena percettibile sapore amarognolo;
odore e aroma:
caratteristici dei formaggi di montagna, più decisi e marcati per il
prodotto stagionato.
Periodo di produzione: dal 10 settembre fino al 30 giugno.
Stagionatura:
minimo 3 mesi per il prodotto “giovane”;
minimo 6 mesi per il prodotto “stagionato”.
Art. 3
Zona di produzione
La zona di produzione della
“SPRESSA delle GIUDICARIE”
è l’area di provenienza e di trasformazione del latte e di trattamento del formaggio, fino al completamento della
stagionatura, è costituita dal territorio delle valli Giudicarie, Chiese, Rendena e Ledro.
Tale area coincide con l’intero territorio dei seguenti Comuni:
Bersone, Bezzecca, Bleggio Inferiore, Bleggio Superiore, Bocenago, Bolbeno, Bondo,
Bondone, Breguzzo, Brione, Caderzone, Carisolo, Castel Condino, Cimego, Concei, Condino,
Daone, Darè, Dorsino, Fiavé, Giustino, Lardaro, Lomaso, Massimeno, Molina di Ledro,
Montagne, Pelugo, Pieve di Bono, Pieve di Ledro, Pinzolo, Praso, Preo
re, Prezzo, Ragoli,
Roncone, San Lorenzo in Banale, Spiazzo, Stenico, Storo, Strembo, Tiarno di Sopra, Tiarno di
Sotto, Tione, Vigo Rendena, Villa Rendena, Zuclo.
Art. 4
Elementi che comprovano l’origine
Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e
gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura
di controllo, degli allevatori, dei produttori e degli stagionatori,nonché attraverso la denuncia
tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del
prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al
controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal dis
ciplinare diproduzione e dal relativo piano di controllo.
I nominativi dei porzionatori sono annotati in un apposito elenco registro.
Art. 5
Metodo di ottenimento
Il metodo di produzione del formaggio
“SPRESSA delle GIUDICARIE”
negli ultimi decenni si è modificato di poco, tranne per i mezzi e le attrezzature utilizzate. La legna per produrre il calore viene ancora impiegata in una struttura privata tradizionale, con i vecchi “pentoloni” o “paioli” in rame, appesi ad una trave e con sotto il fuoco a legna, ma nei caseifici più moderni vengono impiegate le più grandi caldaie a doppio fondo in acciaio inossidabile, riscaldate a vapore, con un corredo di moderni ed igienici attrezzi.
Per l’affioramento vengono utilizzate le bacinelle in acciaio inox, piccole da 1.5 hl, o grandi, con capienza di 5 10 hl, migliori dal punto di vista igienico sanitario.
Al posto dei vecchi magazzini, freddi in inverno e caldi in estate, vi sono i moderni locali climatizzati, che garantiscono sia l’igiene, sia la migliore e più costante maturazione del formaggio.
| D.O.P. | Formaggi | Prov. Aut. di Trento | Trento | ||
Squacquerone di Romagna Squacquerone di Romagna Disciplinare di produzione - Squacquerone di Romagna DOPArticolo 1. DENOMINAZIONE La Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.) Squacquerone di Romagna DOP è riservata al formaggio che risponde alle condizioni e ai requisite stabiliti dal Reg. (CE) 510/2006 al presente disciplinare di produzione. Articolo 2. DESCRIZIONE DEL PRODOTTO Lo Squacquerone di Romagna DOP é un formaggio a pasta molle e a maturazione rapida, prodotto con latte vaccino, proveniente dall’area indicata nell’art. 3. Al momento dell'immissione al consumo il formaggio Squacquerone di Romagna DOP deve possedere le seguenti caratteristiche: Caratteristiche morfologiche: Peso: il peso del formaggio Squacquerone di Romagna DOP varia dal hg a 2 kg Aspetto: il formaggio Squacquerone di Romagna DOP, ha pasta di colore bianco, madreperlaceo, deve presentarsi senza crosta ne buccia. Forma: dipende dal contenitore in cui viene posto, in quanto la sua consistenza molto cremosa, non gli consente di presentarsi compatto. Caratteristiche fisico - chimiche: Grasso su S.S.: compreso tra il 46 e il 55% Umidità: tra il 58 e il 65% Caratteristiche microbiologiche: pH: compreso tra 4,95 e 5,30. Caratteristiche organolettiche: Sapore: gradevole, dolce, con una punta acidula, il salato é presente ma non in modo evidente; Aroma: delicato, tipicamente di latte, con una nota erbacea; Consistenza delta pasta; morbida, cremosa, adesiva, deliquescente, di elevata spalmabilità. Articolo 3. ZONA DI PRODUZIONE La zona di produzione dello Squacquerone di Romagna DOP coinvolge le seguenti province della Regione Emilia-Romagna: - provincia di Ravenna, - provincia di Forli-Cesena, - provincia di Rimini, - provincia di Bologna. - parte del territorio della provincia di Ferrara delimitata a ovest dalla Strada Statale n. 64 (Porrettana) e a nord dal fiume Po. Articolo 4. ORIGINE Ogni fase del processo produttivo viene monitorata, documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, degli allevatori, dei centri di raccolta del latte, dei produttori, dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva, alla struttura di controllo, delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. METODO DI OTTENIMENTO Lo Squacquerone di Romagna DOP si produce durante tutto il periodo dell'anno. II metodo di ottenimento del formaggio Squacquerone di Romagna DOP è il seguente; 5.1 - Materia prima Lo Squacquerone di Romagna DOP e un formaggio a pasta molle ottenuto esclusivamente con latte vaccino intero, proveniente dalla zona tipica designata nell'art. 3. Le razze bovine allevate nell'area di interesse il cui latte interviene nella produzione del formaggio Squacquerone di Romagna DOP sono la Frisona italiana, la Bruna Alpina e la Romagnola. L’alimentazione delle bovine è composta da due grandi categorie: foraggi e insilati per almeno il 60%, integrata da mangimi. I foraggi sono costituiti da specie botaniche coltivate, che in parte o come insieme di fusto, foglie vengono somministrati agli animali. La caratteristica tipica dei foraggi è la ricchezza di fibra. Tra le numerose specie si deve sottolineare l’utilizzo dell’erba medica tra cui le varietà utilizzate sono principalmente la Pomposa, la Classe, la Garisenda, la Delta e la Prosementi. I foraggi utilizzabili, prodotti integralmente nel comprensorio di produzione dello Squacquerone di Romagna DOP, sono: fieni, foraggi disidratati insilati. I mangimi hanno la funzione di concentrare principi nutritivi ad elevato valore energetico e possono essere: - proteici: leguminose in granella quali soia, fave, piselli, girasoli; nonché farine di estrazione di soia e di girasole; - fibrosi quali polpe secche, crusche e buccette di soia; - energetici: granella di mais, orzo, frumento, sorgo, avena, olii vegetali, olio di soia, semi di lino integrale estruso. La maggior parte dell’alimentazione proviene dalla zona d’origine. Per ottenere lo Squacquerone di Romagna DOP con le caratteristiche indicate all’art. 2 del presente disciplinare, occorre che il latte non contenga conservanti. Nell'alimentazione delle bovine da latte destinato alla produzione del formaggio Squacquerone di Romagna DOP e vietato 1'uso di residui della lavorazione di cavoli e la barbabietola da foraggio. II latte impiegato deve presentare un tenore di materia grassa non inferiore al 3,5% peso/volume e un tenore di materia proteica non inferiore al 3 % peso/volume. Il latte deve essere raccolto entro 48 ore dalla prima mungitura. Il latte consegnato allo stabilimento di trasformazione deve avere una temperatura non superiore a 10° C, e viene conservato ad una temperatura non superiore a 6°C. Prima della sua lavorazione il latte crudo viene sottoposto a trattamento di pastorizzazione o termizzazione. Laddove sia registrata una caratteristica ipoacida del latte manifestata da un pH superiore o uguale a 6,60 è consentita la pratica della prematurazione del latte, che consiste nel conservare in stoccaggio il latte ad una temperatura compresa tra gli 8 e i 12°C per 12/24 ore. E' altresì consentito un trattamento termico precedente alla prematurazione del latte. La pastorizzazione del latte per la produzione di un formaggio a brevissima maturazione, come lo Squacquerone di Romagna DOP, avviene secondo il metodo HTST, un trattamento termico in flusso continuo per 15 secondi a temperature di 71,7°C. Può essere inoltre applicato il metodo di pastorizzazione LTLT, o trattamenti termici equivalenti. In alternativa alla pastorizzazione, si può applicare la termizzazione, in tale caso il saggio della fosfatasi darà reazione positiva. 5.2 - Fasi di trasformazione Riscaldamento: il latte pastorizzato o termizzato va portato a una temperature di coagulazione compresa tra 35° e 40°C. Acidificazione: per consentire la produzione e maturazione del formaggio Squacquerone di Romagna DOP si aggiungono, sotto forma di innesti, batteri lattici autoctoni, provenienti e ottenuti nell’area di cui all’art. 3. L'innesto naturale deve avere una acidità non superiore a 16° SH su 50 ml ed essere utilizzato entro 4 giorni dalla sua preparazione. La specie batterica utilizzata e lo Streptococcus thermophilus. Coagulazione: si ottiene utilizzando caglio di vitello liquido con titolo presamico tra 1:10.000; 1:40.000 nella quantità di 30/50 ml per HI di latte in tempi compresi tra 10 e 30 minuti. II caglio di vitello impiegato deve presentare un contenuto minimo pari al 75% di chimosina. A coagulazione avvenuta si procede alla rottura della cagliata fino all'ottenimento di grumi della grossezza di circa una noce. Il coagulo deve essere in grado di incorporare nelle sue maglie una quantità di umidità in modo da conferire la tipica cremosità e spalmabilità. Dopo la rottura, la cagliata viene lasciata riposare per un tempo non inferiore ai 5 minuti, sempre ad una temperatura compresa tra 35°-40°C; successivamente si procederà ad agitazione fino a quando il valore di pH si attesterà tra i 5,9 e i 6,2. Formatura: La fase seguente, denominata "formatura", consiste nello scarico della cagliata all'interno di appositi stampi forati che vengono rivoltati almeno una volta nel corso delle 24 ore al fine favorire la separazione del siero. Gli stampi vengono lasciati a temperatura ambiente per un tempo massimo di 3 ore, dopodiché vengono posti in una cella a temperatura refrigerata non superiore ai 15°C. Salatura: viene effettuata in salamoia al 16-24% di cloruro di sodio. La salamoia, durante il processo di salatura, deve essere mantenuta ad una temperatura inferiore a 20°C. II tempo di permanenza del formaggio in salamoia e compreso tra 10 e 40 minuti per 1 Kg di prodotto. Il processo di salatura è anche ammesso, con l'aggiunta di cloruro di sodio nella misura da 400 a 800 grammi per ogni 100 litri di latte, esclusivamente prima della fase di cagliatura. Maturazione: si compie in un intervallo di tempo compreso tra 1 e 4 giorni in ambienti con temperature di 3-6°C. Confezionamento: Lo Squacquerone di Romagna DOP deve essere confezionato all'interno della zona indicata all'articolo 3. II formaggio Squacquerone di Romagna DOP è confezionato in contenitori di materiale plastico e/o con involucri protettivi di carta. Sulla confezione dove essere riportata la corretta dicitura prevista dal presente disciplinare. Articolo 6. LEGAME CON L'AMBIENTE L'area interessata alla produzione del formaggio Squacquerone di Romagna DOP è caratterizzata da suoli in aree morfologicamente rilevate della pianura alluvionale, ad alterazione biochimica con riorganizzazione interna dei carbonati. L'uso dei suoli, da un punto di vista agricolo, prevede cerealicoltura, foraggicoltura e colture specializzate intensive. Le elevate rese delle produzioni agricole non comportano la necessita di supporti energetici consistenti. I suoli di queste aree sono piuttosto profondi, a tessitura fine e media, con buona disponibilità di ossigeno, calcarei o non calcarei in superficie e calcarei negli orizzonti profondi. Questi suoli si sono formati da sedimenti fluviali a tessitura media, solitamente organizzati in strati o con laminazioni. Rispetto agli stessi suoli originari, questi si sono differenziati per alterazione di tipo biochimico, incipiente o debolmente sviluppata a causa dell'epoca relativamente recente a cui risale la fine della deposizione dei sedimenti. Oltre che per le lavorazioni agricole e per l'incorporamento di sostanze organiche negli orizzonti superficiali, il differenziamento in orizzonti risulta innanzitutto dalla riorganizzazione delle particelle di suolo per l'attività biologica, ad opera di radici e animali scavatori. II clima che caratterizza le zona di produzione dello Squacquerone di Romagna DOP prevede un regime termico temperato subcontinentale. Le temperature medie annuali diminuiscono dalla fascia costiera verso occidente da 14 a 12°C, mentre le precipitazioni tendono ad aumentare variando da 650 a 800 mm, annui. Le piogge sono concentrate nel periodo autunno - primaverile. L'alternarsi di stagioni piovose e di periodi caldi e secchi, favorisce inoltre la solubilizzazione e la mobilizzazione dei sali solubili e la riorganizzazione all'interno del suolo dei precipitati cartonatici, sotto forma di cristalli, concrezioni, concentrazioni soffici. Quell'area fin dai tempi più lontani, vedeva la presenza di aziende agricole dedite soprattutto alle produzioni vegetali e all'allevamento di pochi capi con duplice funzione di produzione di latte e da lavoro. II latte usato per il consumo umano, veniva in parte trasformato in Squacquerone di Romagna per consentirne una maggiore conservabilità nel tempo e aveva la funzione di integrare, attraverso lo scambio di prodotti, il reddito dell'agricoltore. Le caratteristiche del formaggio Squacquerone, in particolare la sua cremosità ed elevata spalmabilità dovuta alla mancanza di nervo, sono una conseguenza del tipo di latte impiegato nella produzione del formaggio, un latte che acquisisce proprietà particolari e risulta essere povero in proteine e grassi in virtù del regime alimentare delle bovine e sul quale ha impatto determinante la indicata zona geografica delimitata. Infatti a precisazione, le qualità specifiche dei foraggi coltivati integralmente nella zona geografica delimitata all’art.3, ricchi in zuccheri e in fibra altamente digeribile, determinano un regime alimentare caratteristico per le bovine, contraddistinto da un basso livello di apporti energetici provenienti da grassi ed amidi, compensato dall’energia apportata da questi foraggi tipici della zona. In tal modo si ottiene un latte povero di proteine e grassi che determina la caratteristica tipica dello Squacquerone ossia la mancanza di nervo. Ne sono conseguenza le proprietà organolettiche descritte all’art.2, tra cui la consistenza morbida e cremosa della pasta, un sapore dolce con una punta acidula ed altresì un aroma delicato con una nota erbacea. Le tecniche di produzione sono rimaste molto simili a quelle del passato e devono prevedere tempi di lavorazione che cambiano con la stagione: maggiori in inverno e più brevi in estate in modo da evitare il più possibile il problema della gessatura del formaggio, ovverosia una compattezza eccessiva della pasta. Grazie alle caratteristiche della materia prima e all’applicazione delle tecniche di produzione tradizionali i produttori di Squacquerone di Romagna riescono ad avere un prodotto con parametri adeguati: un formaggio dal colore bianco madreperla, dalla consistenza cremosogelatinosa, dal gusto e aroma spiccato di latte. Gli studi inerenti il formaggio Squacquerone di Romagna DOP, prodotto nell'area tipica, iniziarono nel 1999 e in particolare vennero approfondite le ricerche inerenti la microflora lattica tipica di questo formaggio, prelevando campioni di latte, cagliata, innesti naturali e formaggio durante la lavorazione. I campioni, raccolti in un arco di tempo di alcuni mesi con l’intento di verificare eventuali differenze stagionali, furono sottoposti a numerose analisi chimico fisiche e batteriologiche, che hanno permesso di definire un quadro abbastanza preciso delle caratteristiche salienti del latte, della tecnologia di lavorazione e soprattutto della composizione quali-quantitativa dei migliori innesti naturali utilizzati. In merito a questo, si è potuto constatare una indubbia uniformità di specie batteriche presenti, dovute al legame con l'ambiente della zona tipica di produzione. Dal punto di vista tassonomico la specie riscontrata in tutti gli innesti naturali studiati e che quindi caratterizza la microflora lattica tipica del formaggio Squacquerone di Romagna DOP è lo Streptococcus thermophilus. I vari biotipi isolati mostrano peculiari caratteristiche fisiologiche e biochimiche non sovrapponibili a quelle dei ceppi selezionati delle collezioni internazionali, evidenziando ancora una volta l'unicità e la tipicità delle collezioni batteriche proprie delle differenti aree geografiche, dove la selezione naturale ha operato e favorendo la colonizzazione di poche e ben definite specie con caratteristiche genotipiche e fenotipiche particolari. I biotipi autoctoni di Streptococcus thermophilus dotati di caratteristiche e attitudini per lo Squacquerone di Romagna DOP sono stati isolati da alcuni campioni di latte crudo prelevati in numerose stalle della zona tipica di produzione del formaggio, sono pertanto di origine autoctona e costituiscono nel loro insieme l'associazione microbica tipica che la selezione naturale e operata dall'uomo, hanno indotto nella particolare nicchia ecologica che caratterizza questi territori. Le prime tracce certe e documentate della produzione di formaggio Squacquerone risalgono al 1800 come dimostra la corrispondenza inviata dal cardinale Bellisomi vescovo di Cesena, al vicario generale della diocesi cesenate (15 febbraio 1800) dove si chiedono informazioni su una partita di Squacquerone proveniente dalla Romagna. Articolo 7. CONTROLLI Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del regolamento CE n.510/2006. Tale struttura è l’organismo di controllo CERMET Sc. Con. A rl,- via Cadriano 23, - 40057 Cadriano Granarolo Emilia (BO) - Tel.39 051 764811; fax 39 051 763382. Articolo 8. ETICHETTATURA L'imballo primario dello Squacquerone di Romagna DOP è costituito da carta per alimenti o appositi contenitori idonei a contenere il prodotto, caratterizzato dalla particolare consistenza molle e cremosa. Il formaggio ottenuto dall'applicazione del presente disciplinare recherà sulla confezione la dicitura "Squacquerone di Romagna - Denorninazione d'Origine Protetta" o "Squacquerone di Romagna -DOP", accompagnata dal logo comunitario. L'etichetta dovrà inoltre riportare il nome, la ragione sociale e 1'indirizzo dell' azienda produttrice/confezionatrice. Il prodotto deve essere conservato ad una temperatura compresa tra 0°C e +6°C, La temperature massima di conservazione deve essere indicata in etichetta. II marchio, che verrà riportato sull'involucro esterno protettivo del formaggio; corrisponderà alla denominazione: Squacquerone di Romagna in caratteri Sari Extra Bold Inclinato Con colori ammessi blu pantone 2747 e bianco di dimensioni proporzionali alla confezione. Sull'involucro e vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. | D.O.P. | Formaggi | Emilia-Romagna | Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Ferrara | ||
Stelvio (formaggio) o Stilfser Stelvio o Stilfser Disciplinare di produzione - Stelvio o Stilfser DOPArticolo 1. Nome del prodotto La denominazione di origine protetta (D.O.P) « Stelvio» o «Stilfser» e' riservata esclusivamente al formaggio da tavola che risponde alle questioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione La zona di produzione della D.O.P formaggio «Stelvio» o«Stilfser» rientra nel territorio delle seguenti comunita' comprensoriali della provincia di Bolzano: 1) Val Venosta; 2) Burgraviato; 3) Salto-Sciliar; 4) Val Pusteria; 5) Val d'Isarco; 6) Territorio del comune di Bolzano. Tale zona, riferita alle relative comunita' comprensoriali, comprende l'intero territorio dei seguenti comuni: (1) Curon Venosta, (2) Malles, (3) Tubre, (4) Glorenza, (5) Sluderno, (6) Prato allo Stelvio, (7) Lasa, (8) Stelvio, (9) Silandro, (10) Senales, (11) Martello, (12) Laces, (13) Castelbello-Ciardes, (14) Moso in Passiria, (15) S. Leonardo in Passiria, (16) S. Martino in Passiria, (17) Ultimo, (18) S. Pancrazio, (19) Proves, (20) Lauregno, (21) Senale - S. Felice, (22) Tesimo, (23) Avelengo, (24) Verano, (25) Aldino, (26) Sarentino, (27) Meltina, (28) S. Genesio, (29) Renon, (30) Castelrotto, (31) Fie', (32) Tires, (33) Cornedo, (34) Nova Levante, (35) Nova Ponente, (36) Ortisei, (37) S. Cristina, (38) Selva Gardena, (39) Chiusa, (40) Villandro, (41) Barbiano, (42) Ponte Gardena, (43) Laion, (44) Vandoies, (45) Selva dei Molini, (46) Terento, (47) Chienes, (48) Falzes, (49) Gais, (50) Valle Aurina, (51) Predoi, (52) Campo Tures, (53) S. Lorenzo di Sebato, (54) Brunico, (55) Perca, (56) Rasun-Anterselva, (57) S. Martino in Badia, (58) Marebbe, (59) Valdaora, (60) Monguelfo, (61) Casies, (62) Villabassa, (63) La Valle, (64) Badia, (65) Corvara, (66) Braies, (67) Dobbiaco, (68) S. Candido, (69) Sesto, (70) Bolzano, (71) Brennero, (72) Racines, (73) Vipiteno, (74) Val di Vizze, (75) Campo di Trens, (76) Rodengo, (77) Fortezza, (78) Naz-Sciaves, (79) Luson, (80) Bressanone, (81) Velturno, (82) Funes, (83) Rio Pusteria, (84) Varna. 2.1. Produzione del latte bovino. Deve essere utilizzato latte bovino prodotto in aziende zootecniche localizzate esclusivamente nel territorio delimitato dal presente disciplinare. 2.2. Strutture di trasformazione: caseifici e locali di trasformazione/stagionatura. Con il termine produzione di formaggio «Stelvio» o «Stilfser» si intende l'intero processo che iniziando dall'ottenimento della materia prima latte e passando attraverso le fasi della caseificazione e della stagionatura, giunge fino all'ottenimento del prodotto finito, maturo ed identificato da apposito contrassegno. La materia prima ottenuta in conformita' al precedente paragrafo 2.1., puo' essere destinata alla produzione del formaggio«Stelvio» o «Stilfser» unicamente in caseifici e in locali di trasformazione/stagionatura ubicati all'interno del territorio delimitato in precedenza. Tali strutture di trasformazione e stagionatura devono necessariamente soddisfare tutti i requisiti imposti dalla normativa nazionale e comunitaria vigente in materia igienico sanitaria. Articolo 3. Descrizione del processo produttivo 3.1. Il latte. Il latte destinato alla produzione del formaggio «Stelvio» o«Stilfser» dev'essere ottenuto da bovine allevate in aziende zootecniche localizzate nel territorio delimitato per la D.O.P. 3.2. Qualita' del latte. Il latte utilizzato per la produzione del formaggio «Stelvio» o«Stilfser» deve avere le seguenti caratteristiche chimiche: grasso: > o = 3,45%; proteine: > o = 3,10%. 3.3. Alimentazione delle bovine. Il latte destinato alla trasformazione in formaggio «Stelvio» o«Stilfser» dev'essere prodotto con una tecnica alimentare delle bovine basata prevalentemente sull'utilizzo di foraggi ottenuti all'interno del territorio delimitato. 3.3.1. Alimentazione delle bovine durante la fase di allevamento in malga. Le vacche, durante la fase di allevamento in malga (se previsto), si alimentano prevalentemente con erba fresca. 3.3.2. Alimentazione delle bovine allevate all'interno delle stalle. La razione base delle bovine da latte, in questo caso, dev'essere fornita da: foraggio affienato ad libitum; insilato d'erba fino ad un massimo di 15 kg/capo (i prodotti contenenti silomais non sono consentiti). Sono inoltre consentiti esclusivamente i seguenti alimenti: foraggi disidratati; paglie dei seguenti cereali: orzo, segale, triticale, frumento e avena; i seguenti cereali, loro prodotti e sottoprodotti: mais, orzo, segale, triticale, frumento e avena; i seguenti semi oleosi, loro prodotti e sottoprodotti: soia geneticamente non modificata, colza, lino, girasole decorticato o parzialmente decorticato; polpe secche di barbabietola; trebbie di birra e marcomele essiccate; barbabietola; patate; lievito di birra; melasso; carrube; prodotti lattiero-caseari in polvere; amminoacidi e proteine nobili non derivati da processi di proteolisi; grassi vegetali. 3.4. Raccolta e trasporto del latte. Relativamente alla fase della raccolta del latte, fatto salvo il doveroso rispetto dei requisiti igienico-sanitari cogenti per quanto riguarda il trattamento della materia prima e la idoneita' degli strumenti e dei mezzi di raccolta, deve essere assicurata la netta separazione tra latte prodotto all'interno della zona delimitata e latte prodotto al di fuori della zona delimitata all'art. 2 e/o latte non idoneo in base al presente disciplinare. Articolo 4. Caratteristiche del processo di trasformazione 4.1. Stoccaggio del latte al caseificio. Parimenti alla raccolta, anche nella eventuale fase di stoccaggio del latte presso il caseificio si deve garantire l'assenza di mescolamento con latte non proveniente dalla zona delimitata dal disciplinare e non idoneo in base al disciplinare per il formaggio«Stelvio» o «Stilfser». Il caseificio si deve dotare di appositi ed identificati contenitori dove conservare il latte destinato a questa trasformazione, secondo quanto necessario. A cura del caseificio devono essere predisposte e mantenute attive procedure per la gestione della eventuale fase di stoccaggio del latte, nonche' adeguata documentazione che consenta di riferire le masse conservate alla loro provenienza. Inoltre, al fine di garantire una buona qualita' casearia per il latte destinato alla trasformazione, e' consentito raffreddare il latte fino alla temperatura di circa 6,0-9,0 °C e di limitare la durata dello stoccaggio a questa temperatura ad un massimo di 25 ore. Complessivamente il latte, deve essere avviato alla caseificazione entro 48 ore dalla mungitura. 4.2. Trasformazione del latte e preparazione del formaggio. Per tutte le fasi rilevanti della trasformazione del latte in formaggio il caseificio deve avere cura di documentare, mediante opportune registrazioni, la rispondenza dei processi e delle metodologie applicate ai requisiti previsti per la denominazione formaggio «Stelvio» o «Stilfser». Il caseificio deve altresi' aver cura di registrare le informazioni sufficienti a consentire il legame con la materia prima utilizzata al fine di garantire una completa identificazione e rintracciabilita' del prodotto, lungo tutta la filiera di produzione. Ogni produttore di formaggio deve inoltre annotare su apposito registro le quantita' di formaggio ottenuto ed identificato con contrassegno. 4.2.1. Riduzione del tenore in grasso. Il latte puo' essere leggermente scremato, in modo tale da regolare il tenore in materia grassa entro valori compresi fra 3,45 e 3,60%. La parziale scrematura del latte viene eseguita mediante l'utilizzo di una scrematrice. 4.2.2. Trattamento termico del latte. Il latte viene sottoposto ad un trattamento termico pari ad una temperatura di 72 °C per un tempo di 2-3 secondi. 4.2.3. Impiego di fermenti. L'addizione di fermenti lattici al latte, nell'eventualita' sia praticata, deve prevedere l'impiego di colture mesofile, fatte moltiplicare secondo buona tecnica su latte di raccolta proveniente dalla zona delimitata per la produzione del formaggio «Stelvio» o«Stilfser». La quantita' di fermento impiegato nella trasformazione, di norma, si attesta a valori prossimi all'1 % della massa del latte in caseificazione. 4.2.4. Impiego di conservanti. Al latte in lavorazione puo' essere aggiunto il conservante lisozima (max. 2 g per 100 litri di latte). Il nitrato di potassio non viene piu' utilizzato. 4.2.5. Caseificazione. Al latte immesso in trasformazione, eventualmente inoculato con fermenti lattici, dopo 50-60 minuti viene addizionato il caglio di vitello ad una temperatura della massa in trasformazione di circa 32-33 °C. L'enzima coagulante impiegato deve essere costituito esclusivamente da caglio, in forma liquida o in polvere. Il caglio viene prodotto in zona seguendo un metodo tradizionale. Ha un'attivita' di 1:15.000 ed e' composto dal 75% di chimosina e dal 25% di pepsina; non contiene altro tipo di coagulanti (come ad es. quelli di origine microbica), non e' geneticamente modificato, ne' contiene enzimi coagulanti geneticamente modificati. Il tempo di coagulazione del latte, all'interno della vasca polifunzionale in acciaio, mediamente necessario per raggiungere una consistenza della cagliata tale da sostenere la rottura, nelle condizioni tipo, varia da 20 a 27 minuti. Dopo tale periodo si procede alla rottura del coagulo caseoso; tale operazione dura per 10-15 minuti, ottenendo come risultato finale dei grani di pasta delle dimensioni di chicco di mais. Una volta raggiunte le dimensioni finali di rottura, si procede con un periodo di agitazione della massa della durata di 8-12 minuti. Si prosegue quindi con lo scarico di parte del siero di lavorazione, pari al 25-35% della massa lavorata, al fine di procedere al successivo riscaldamento della massa in agitazione fino a 36-40 °C. Detto riscaldamento avviene mediante l'addizione di acqua calda (a 50-70 °C di temperatura) per un volume pari a quanto basta per far raggiungere alla massa la temperatura di 36-40 °C. Raggiunta quindi la temperatura voluta si mantiene la massa in agitazione fino ad ottenere un adeguato prosciugamento dei granuli della cagliata. Si provvede quindi alla estrazione della cagliata, mediante scarico su tavolo spersore o vasca, permettendo l'allontanamento del siero in eccesso. La durata della lavorazione, dall'addizione del caglio e fino allo scarico su tavolo o vasca, si aggira mediamente sugli 80-90 minuti. La fase di allontanamento del siero dalla cagliata viene completata mediante una blanda pressatura della massa. Non appena ottenuto un adeguato grado di prosciugamento della cagliata si procede alla formatura della stessa ed alla immissione delle forme ottenute negli stampi cilindrici da avviare alla successiva fase di pressatura. 4.2.6. Pressatura e successivo rassodamento delle forme in acqua. La cagliata cosi' ottenuta dalla caseificazione viene sottoposta a pressatura per un periodo di tempo variabile da 30 minuti a 2 ore. Terminata la pressatura le forme sono lasciate sostare in un locale condizionato fino ad un sufficiente livello di acidificazione della pasta; si ritiene opportuno giungere a valori di pH \leq 5,5. Si puo' procedere eventualmente al raffreddamento e rassodamento delle forme mediante immersione delle stesse in acqua fresca per 1-3 ore. Tale operazione consente di regolare l'andamento fermentativo e l'acidificazione della pasta, evitando dannosi eccessi di acidita' che potrebbero ripercuotersi negativamente sulla qualita' del formaggio maturo. La salatura viene effettuata esclusivamente mediante immersione del formaggio in salamoia. Il trattamento si protrae per 36-48 ore, impiegando soluzioni saline alla concentrazione di 16-22° Be' di cloruro di sodio, ad una temperatura di 12-15 °C. Su ogni singola forma, durante la pressatura deve essere apposto il contrassegno riportante le indicazioni identificative del caseificio produttore del formaggio, nonche' le informazioni sufficienti a permettere l'identificazione e la rintracciabilita' dei lotti di produzione, secondo quanto necessario. 4.2.7. Stagionatura. La stagionatura del formaggio «Stelvio o Stilfser» rappresenta una fase essenziale e caratteristica del processo di produzione, di cui fa parte integrante. Tale fase avviene in locali condizionati con temperatura di 10-14 °C e una umidita' relativa pari all'85-95% e su tavole in legno. Essa prevede il tradizionale trattamento costituito da rivoltamenti e lavaggi superficiali delle forme intere con blanda soluzione salina, che vengono effettuati con una frequenza pari ad almeno 2 volte per settimana. Alla soluzione salina utilizzata per i lavaggi viene aggiunta nelle prime due tre settimane di stagionatura, la tipica microflora autoctona, formata da vari ceppi di batteri aerobi appartenenti ai generi Arthobacterium ssp.e Brevibacterium ssp. I diversi ceppi utilizzati in questa fase caratterizzano la formazione della patina esterna delle forme, di colorazione variabile dal giallo arancio all'arancio marrone, e alcune particolari caratteristiche organolettiche (profumo e sapore) del formaggio «Stelvio o Stilfser». Tale colorazione e' naturale, e viene determinata dalla proliferazione di questi ceppi autoctoni. La composizione di questa cultura mista e' unica ed esclusiva e viene prodotta in caseificio seguendo una procedura definita e particolare. Le colture vengono coltivate su particolari substrati a temperatura ambiente ed in determinate condizioni di luce. La durata puo' essere variabile, dipende dal raggiungimento di un valore prefissato di pH e dal colore della coltura. Il tecnico di laboratorio decide sulla base della propria esperienza e della acquisita sensibilita' quando la coltura e' pronta per l'uso. Affinche' il formaggio «Stelvio o Stilfser» possa considerarsi maturo e pronto al consumo le operazioni di stagionatura si devono protrarre almeno fino al sessantesimo giorno di eta' del prodotto a decorrere dall'ultimazione della fase di salatura. Articolo 5. Caratteristiche del prodotto finito Per essere immesso al consumo il formaggio «Stelvio o Stilfser» deve possedere le seguenti caratteristiche chimiche e di stagionatura: eta': almeno sessanta giorni di stagionatura; umidita': < O = 44 %; grasso sul secco: < o = 50%. La forma cilindrica con facce piane o quasi piane e scalzo diritto o leggermente concavo deve presentare le seguenti caratteristiche dimensionali: diametro: 36-38 cm; altezza: 8-10 cm; peso: 8-10 kg. La crosta deve presentare la tipica colorazione variante dal giallo arancio all'arancio marrone. La pasta, a struttura compatta e di consistenza cedevole ed elastica, presenta colorazione tra giallo chiaro e paglierino, con occhiatura irregolare di piccola e media grandezza. Articolo 6. Elementi che comprovano l'origine 6.1 Riferimenti storici. Gli elementi che comprovano l'origine del formaggio «Stelvio o Stilfser» sono costituiti da precisi riferimenti storici che attestano la tradizione casearia, l'origine e il legame di questa realta' produttiva con il territorio delimitato all'art. 2. Questi riferimenti risalgono a tempi remoti come l'autorevole storico tirolese Hermann Wopfgartner prova nel suo libro sui contadini di montagna (Hermann Wopfgartner, Bergbauernbuch, Universitätsverlag Wagner; Volume I e Volume III). I vari documenti e manoscritti mostrano chiaramente, che tra l'altro, il formaggio e' ben consolidato nelle abitudini alimentari della popolazione contadina e non. La diffusione nel Tirolo delle «Schwaigen» (XIII e XVI secolo, maso in cui i tributi ai proprietari erano pagati sotto forma di formaggio) e' documentata dai libri fondiari di quel tempo. Il formaggio utilizzato come mezzo di scambio dimostra l'importanza di questo prodotto sulla struttura economica e pertanto sociale della popolazione di allora. La produzione del formaggio «Stelvio o Stilfser» storicamente e' identificabile a partire dal 1914, dove in alcuni documenti del caseificio di Stilf (Stelvio) si parla della produzione di questo formaggio. 6.2 Riferimenti sociali ed economici. Il formaggio «Stelvio o Stilfser» ha rappresentato per la prima meta' del XX secolo il nutrimento della povera gente inserita nel contesto agricolo del territorio delimitato all'art. 2, mentre successivamente e fino ai giorni nostri grazie alla costituzione delle cooperative dei produttori e trasformatori di latte e' stato creato un indotto economico e sociale che ha permesso di creare una realta' produttiva significativa sia economicamente che socialmente per il territorio altoatesino. Articolo 7. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente La vocazionalita' del territorio per la produzione del formaggio e nello specifico dello «Stelvio o Stilfser» e' riconducibile alle particolari condizioni climatiche e pedologiche sostanzialmente omogenee dell'arco alpino altoatesino, che influenzano la qualita' dei foraggi destinati all'alimentazione delle vaccine e di conseguenza la qualita' del formaggio «Stelvio o Stilfser». In alcuni testi storici vengono descritte infatti le erbe dell'alpeggio (marbl e madaun) che meglio si adattavano per conferire una migliore qualita' al latte prodotto. Le specifiche condizioni ambientali e climatiche della zona delimitata per la produzione del formaggio in oggetto sono legate all'ambiente montano di questo territorio caratterizzato da aziende zootecniche (masi) posti ad una quota variabile tra 500 e 2000 metri di altitudine; infatti anche le direttive CEE 268/1975 e 273/1975 definiscono il territorio dell'Alto Adige come zona di montagna. Il formaggio «Stelvio o Stilfser» storicamente inoltre e' ottenuto prevalentemente nell'area, delimitata dal presente disciplinare di produzione, che etimologicamente richiama il comprensorio montuoso della Stelvio-Stilfser, che ne e' il centro di maggiore produzione. Il legame con l'ambiente e' comprovato inoltre dai seguenti adempimenti cui si sottopongono i produttori/trasformatori/stagionatori del latte e del formaggio«Stelvio o Stilfser»: iscrizioni ad un apposito registro dei produttori/trasformatori/stagionatori; identificazione dei produttori/trasformatori/stagionatori all'interno della zona di produzione; tenuta di appositi registri di produzione e condizionamento. Articolo 8. Controlli Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione e' svolto da una struttura di controllo conforme a quanto stabilito dall'art. 10 del Reg. CE 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 9. Etichettatura Il prodotto formaggio «Stelvio o Stilfser» e' commercializzato in forma intera e porzionata. Il formaggio «Stelvio o Stilfser» in forma intera e' immesso al consumo munito di: a) apposito contrassegno identificativo della denominazione d'origine, apposto solamente dopo sessanta giorni di stagionatura; b) marcatura indicante lotto, data di produzione e codifica produttore. La forma intera, conforme al presente disciplinare, viene porzionata solamente dopo l'apposizione del contrassegno identificativo della denominazione. Il confezionamento in porzioni del formaggio Stelvio e' permesso anche al di fuori dell'area delimitata per la DOP. Il formaggio «Stelvio o Stilfser» in forma porzionata e' immesso al consumo munito di: contrassegno identificativo della denominazione d'origine, apposto solamente dopo sessanta giorni di stagionatura sulla forma intera; oppure etichetta adesiva apposta sulla confezione dal produttore autorizzato al momento del confezionamento e/o di film prestampato con la denominazione d'origine protetta «Stelvio o Stilfser». Il prodotto e' immesso al consumo munito di apposito contrassegno costitutivo della denominazione di origine. Il logo della denominazione e' costituito da una scritta rossa con la dicitura Stilfser-Stelvio, i cui indici colorimetrici sono di seguito riportati. SCHEDA RIEPILOGATIVA Reg. (CEE) n. 2081/92 del Consiglio «Stelvio» o «Stilfser» n. nazionale del fascicolo: 5/2002 (N.CE: ) DOP (X) - I.G.P. ( ) La presente scheda costituisce una sintesi redatta a scopo informativo. Per un'informazione completa, gli interessati e in particolare i produttori dei prodotti coperti dalla DOP in questione sono invitati a consultare la versione integrale del disciplinare presso i servizi o le associazioni nazionali oppure presso i servizi competenti della Commissione europea. 1. Servizio competente dello Stato membro: nome: Ministero delle politiche agricole e forestali; indirizzo : via XX settembre n. 20 - 00187 Roma; tel. 06/4819968, fax 06/42013126; e-mail: QTC3@politicheagricole.it. 2. Associazione richiedente: 2.1) nome societa' cooperativa a r.l. Milkon Südtirol - Alto Adige; 2.2) indirizzo: via Campiglio, 13/a - 39100 Bolzano; tel. - fax: tel. 0471/451111, fax: 0471/451333; 2.3) composizione: produttori/trasformatori (X) altro ( ). 3. Tipo di prodotto: classe 1.3.: formaggi. 4. Descrizione del disciplinare: (sintesi delle condizioni di cui all'art. 4, par. 2); 4.1) nome: «Stelvio» o «Stilfser» 4.2) Descrizione: All'atto dell'immissione al consumo il formaggio «Stelvio» o «Stilfser», la cui stagionatura non puo' essere inferiore ai sessanta giorni, ha la forma cilindrica con facce piane o quasi piane e scalzo diritto o leggermente concavo e presenta le seguenti caratteristiche dimensionali: il peso varia da 8 a 10 kg, il diametro da 36 a 38 cm e l'altezza da 8 a 10 cm. La percentuale di grasso sulla sostanza secca e' uguale o maggiore al 50% e il tasso di umidita' non supera il 44%. La crosta deve presentare la tipica colorazione variante dal giallo arancio all'arancio marrone. La pasta, a struttura compatta e di consistenza cedevole ed elastica, presenta colorazione tra giallo chiaro e paglierino, con occhiatura irregolare di piccola e media grandezza. 4.3) Zona geografica: la zona di produzione della denominazione d'origine protetta «Stelvio» o «Stilfser», ricade nei comprensori della provincia di Bolzano, individuati nel disciplinare di produzione; 4.4) Prova dell'origine: ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall'organismo di controllo, degli allevatori, dei produttori, degli stagionatori e dei confezionatori, e' garantita la tracciabilita' e la rintracciabilita' (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell'organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Qualora l'organismo di controllo verifichi delle non conformita', anche solo in una fase della filiera produttiva, il prodotto non potra' essere commercializzato con la denominazione d'origine protetta «Stelvio» o «Stilfser»; 4.5) Metodo dell'ottenimento: il disciplinare di produzione prevede tra l'altro che il latte utilizzato per la produzione del formaggio «Stelvio» o «Stiliser» debba essere bovino. L'alimentazione delle bovine e' costituita da erba fresca, per la fase di allevamento in malga, mentre le bovine allevate nelle stalle, devono essere alimentate principalmente con foraggio affienato, insilato d'erba fino ad un massimo di 15 kg per capo. Il latte puo' subire, se necessaria, una leggera scrematura, per regolare il tenore in materia grassa entro i valori compresi fra 3,45 e 3,60%. Al latte immesso in trasformazione viene addizionato il caglio di vitello ad una temperatura della massa in trasformazione e' di 32-33°C. Il tempo di coagulazione del latte varia da 20 a 27 minuti, successivamente si procede alla rottura del coagulo caseoso e raggiunte le dimensioni finali di rottura si procede ad un periodo di agitazione della massa. La cagliata viene sottoposta a pressatura, terminata la quale le forme sono lasciate sostare in un locale condizionato fino ad un sufficiente livello di acidificazione della pasta. La salatura viene effettuata mediante immersione della forma in salamoia e successivamente il formaggio viene sottoposto a stagionatura in idonei locali su tavole in legno. L'allevamento, le operazioni di stoccaggio del latte e successiva trasformazione, di caseificazione, di stagionatura, e di condizionamento devono avvenire nella zona indicata al punto 4.3 al fine di garantire la tracciabilita' ed il controllo e per non alterare la qualita' del prodotto; 4.6) Legame: il formaggio «Stelvio o Stilfser», storicamente ottenuto nell'area delimitata dal disciplinare di produzione, ha mantenuto nel tempo le caratteristiche peculiari dovute all'ambiente alpino costituito dal comprensorio montuoso dello Stelvio-Stilfser che rappresenta il centro di maggiore produzione. Le condizioni climatiche e pedologiche omogenee dell'area alpina altoatesina influenzano la qualita' dei foraggi usati nell'alimentazione delle bovine e del formaggio ottenuto. In alcuni testi storici vengono descritte infatti le erbe dell'alpeggio (marbl e madaun) che meglio si adattavano per conferire una migliore qualita' al latte prodotto. Le specifiche condizioni ambientali e climatiche della zona delimitata per la produzione del formaggio in oggetto sono legate all'ambiente montano di questo territorio caratterizzato da aziende zootecniche (masi) posti ad una quota variabile tra 500 e 2000 metri di altitudine. Questi particolari fattori produttivi contribuiscono a conferire alla denominazione d'origine protetta «Stelvio» o «Stilfser» le caratteristiche peculiari capaci di rendere questa produzione unica nel suo genere. I libri fondiari del XIII secolo documentano che la forma di pagamento per l'uso di un maso («schwaigen») ad indirizzo prevalentemente zootecnico era rappresentata dalla fornitura di trecento forme di formaggio per anno, e questa prassi era cosi' generalizzata che detta quantita' di formaggio rappresentava il parametro di stima dell'idoneita' di una superficie di terreno e di un numero di animali a consentire la sopravvivenza della famiglia coltivatrice insediata nel fondo. Il nome del formaggio «Stelvio» o «Stilfser» viene identificato storicamente a partire dal 1914 nei documenti del caseificio di Stilf (Stelvio) riguardanti la produzione dell'omonimo formaggio. Il formaggio «Stelvio» o «Stilfser» ha rappresentato per la prima meta' del XX secolo il nutrimento della povera gente inserita nel contesto agricolo del territorio delimitato al punto 4.3, mentre successivamente e fino ai giorni nostri grazie alla costituzione delle cooperative dei produttori e trasformatori di latte e' stato creato un indotto economico e sociale che ha permesso di creare una realta' produttiva significativa sia economicamente che socialmente per il territorio altoatesino. 4.7) Struttura di controllo: nome: I.N.E.Q. - Istituto nord Est Qualita'; indirizzo: via Nazionale, 33/35 - 33030 Villanova di San Daniele del Friuli (Udine); 4.8) Etichettatura: il formaggio «Stelvio» o «Stilfser» e' commercializzato in forma intera o porzionata. Il formaggio «Stelvio» o «Stilfser» in forma intera e' immesso al consumo munito di apposito contrassegno identificativo della denominazione d'origine, apposto solamente dopo sessanta giorni di stagionatura e la marcatura indicante lotto, data di produzione e codifica produttore. La forma intera, conforme al presente disciplinare, viene porzionata solamente dopo l'apposizione del contrassegno identificativo della denominazione. Il confezionamento in porzioni del formaggio Stelvio e' permesso anche al di fuori dell'area delimitata per la DOP. Il formaggio «Stelvio» o «Stilfser» in forma porzionata e' immesso al consumo munito di contrassegno identificativo della denominazione d'origine, apposto solamente dopo sessanta giorni di stagionatura sulla forma intera, oppure di etichetta adesiva apposta sulla confezione dal produttore autorizzato al momento del confezionamento e/o di film prestampato con la denominazione d'origine protetta «Stelvio» o «Stilfser». Il prodotto e' immesso al consumo munito di apposito contrassegno costitutivo della denominazione di origine. Il contrassegno della denominazione e' costituito da una scritta rossa con la dicitura StilfserStelvio, le cui specifiche sono indicate nel disciplinare di produzione. | D.O.P. | Formaggi | Prov. Aut. di Bolzano | Bolzano | ||
Strachitunt Strachitund o Strachitunt Disciplinare di produzione - Strachitund o Strachitunt DOPArticolo 1. Denominazione Il nome Strachitund o Strachitunt è riservato esclusivamente al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare. Articolo 2. Zona di produzione Ai fini della concessione del marchio collettivo “Bergamo, città dei Mille… sapori”, la zona di produzione dello Strachitund è rappresentata dal territorio della provincia di Bergamo. Articolo 3. Descrizione del prodotto 3.1. Materie prime La lavorazione tradizionale dello Strachitund prevede l’impiego delle seguenti materie prime: Latte vaccino: intero, sano, genuino, pulito, esente da sostanze inibenti la fermentazione; privo da qualsiasi difetto che ne possa alterare le caratteristiche e nuocere alla qualità della produzione cui è destinato. Le vacche non devono essere alimentate con foraggi o mangimi che possono nuocere alla lavorazione del latte o che contengano additivi o residui di prodotti come fitofarmaci o disinfettanti usati in agricoltura. Il latte non deve comunque contenere sostanze o presentare caratteristiche tali da renderlo, anche solo potenzialmente, nocivo alla salute umana o inidoneo alla lavorazione. Il latte per la produzione dello Strachitund deve provenire esclusivamente da allevamenti situati sul territorio della provincia di Bergamo e le vacche devono essere alimentate con foraggi prodotti per almeno il 50% nel suddetto territorio. Le caratteristiche chimico-fisiche che deve possedere il latte per essere trasformato in formaggio sono le seguenti: • tenore minimo di grasso pari al 3,2% • acidità 3/4 SH/50 ml • temperatura in accettazione: inferiore ai 6°C., salvo il caso in cui il latte sia stato raccolto nelle due ore successive alla mungitura. Caglio: naturale liquido di vitello secondo la seguente dose: 25–35 ml per 100 litri di latte (titolo1:10000); Sale: marino. Innesto: fermenti sviluppati dal produttore o utilizzando colture selezionate. Il prodotto non contiene coloranti o conservanti ed è vietato l’inoculo di muffe. 3.2 Metodo di produzione 3.2.1 Lavorazione Lo Strachitund è un formaggio a due paste che si ottiene mescolando la cagliata fredda con quella calda. Il latte, crudo o pastorizzato, viene versato in una caldaia e viene riscaldato fino a raggiungere una temperatura compresa tra i 37° e i 40°C. Viene quindi aggiunto l’innesto, indi il caglio liquido di vitello. Dopo circa 20 minuti si inizia la lavorazione che permette di ridurre il coagulo ottenuto, con l’utilizzo di spanarole, ad una granulometria pari alle dimensioni di una nocciola. La cagliata ottenuta va messa a spurgare e a raffreddare sopra un caratteristico piano di legno o d’acciaio denominato spersoio, in un ambiente con elevata umidità e temperatura di circa 20°/22°C. La stessa operazione deve essere ripetuta per ottenere la cagliata calda che verrà posto a sgocciolare per circa 15-20 minuti. A questo punto, da ciascuna delle due cagliate si ricavano delle fette di pasta spesse alcuni centimetri, che vengono alternativamente poste nello stampo, prestando attenzione affinché lo strato inferiore e quello superiore siano costituiti dalla cagliata calda, più morbida e quindi in grado di "legare" meglio la forma. Seguono la stufatura e la salatura. 3.2.2 Stufatura e salatura Le forme, il giorno dopo la lavorazione, vengono estratte dagli stampi e sottoposte a salatura che può avvenire a secco o in salamoia. Le operazioni di salatura avvengono in locali con temperatura compresa tra i 18 e i 20°C ed umidità relativa compresa tra l’85 e il 90% per favorire la penetrazione del sale nella forma. 3.2.3 Maturazione del prodotto finale La stagionatura deve avvenire in locali con temperature inizialmente attorno ai 10°C e successivamente di 2- 4°C. A circa 30 giorni dalla produzione, le forme devono essere forate sulle facce e sullo scalzo. Le due cagliate hanno diversa consistenza quindi non si amalgamano perfettamente e lasciano dei piccoli spazi che, in seguito alla foratura, si riempiranno d’aria. In questi spazi le muffe iniziano a sviluppare la loro caratteristica efflorescenza. La maturazione ottimale deve avvenire in un periodo minimo di 75/80 giorni, e può essere protratta anche fino a 150/180 giorni per avere un prodotto molto saporito. 3.3 Caratteristiche chimico-fisiche del prodotto Forma: cilindrica, facce piane Diametro del piatto: da 22 a 25 cm Altezza: da 10 a 14 cm Peso delle forme mature: intorno ai 5 kg Crosta: rugosa, di colore giallognolo, tendente al grigio nel prodotto stagionato Pasta: compatta ma con striature cremose, fondente sotto la crosta; è caratterizzata da diffuse venature di colore verde-bluastro più o meno pronunciate a seconda del periodo dell’anno di produzione Occhiatura: piccola, irregolare, ma non particolarmente fitta Sapore: caratteristico Aroma: di sottobosco autunnale con retrogusto tartufato Grasso sulla sostanza secca: minimo 45% 3.4 Confezionamento e conservazione Lo Strachitund può essere commercializzato intero o porzionato, incartato al momento della vendita in apposita carta per alimenti. Il prodotto può essere conservato in frigorifero ad una temperatura compresa tra 4 e 7°C. Articolo 4. Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori indicazioni: • il nome Strachitund; • il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice; • il logo del marchio collettivo; La designazione Strachitund o Strachitunt è intraducibile. Articolo 5. Elementi che comprovano la tracciabilità del prodotto Gli elementi che comprovano la tracciabilità del prodotto sono costituiti dall’iscrizione dei produttori e trasformatori in apposito elenco tenuto ed aggiornato dall’organismo di controllo di cui all’art. 6. Articolo 6. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto dalla CCIAA di Bergamo o da un organismo conforme alla norma UNI EN 45011 designato dalla CCIAA. RIFERIMENTI STORICI E CULTURALI In numerose località della Valle Brembana come Cusio, Valtorta, Valle Taleggio era consuetudine produrre e stagionare un formaggio stracchino uso Gorgonzola, del quale lo Strachitund rappresenta una variante artigianale di grandissimo pregio. Le condizioni climatiche delle casere di montagna costituivano, infatti, l'ambiente ottimale per la maturazione di numerose varietà di formaggi molli. Lo Strachitund fa parte di quella ormai numerosa famiglia di formaggi che solo la tenacia di certi produttori e la passione di alcuni formaggiai ci consentono ancora oggi di assaporare. Lo Strachitund è un formaggio erborinato appartenente alla famiglia degli stracchini, a pasta cruda prodotto con latte intero di vacca. La denominazione Strachitund o Strachitunt sono due varianti locali dialettali corrispondenti al significato di"Stracchino rotondo". | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Bergamo | ||
Taleggio Taleggio DISCIPLINARE
Questo documento è un estratto della comunicazione ufficiale del
Consorzio inviata a Bruxelles per l’ottenimento della DOP. Gli articoli
riportati contengono gli elementi del disciplinare.
..............omissis..............
ARTICOLO 4 PUNTO 2 LETTERA A)
Il nome del prodotto alimentare che comprende la denominazione di origine è: TALEGGIO .
Il riconoscimento è avvenuto con D.P.R. del 15.09.1988
ARTICOLO 4 PUNTO 2 LETTERA B)
La descrizione del prodotto alimentare è la seguente :
FORMAGGIO MOLLE DA TAVOLA A PASTA CRUDA PRODOTTO
ESCLUSIVAMENTE CON LATTE DI VACCA INTERO.
Le caratteristiche fisiche del formaggio TALEGGIO sono le seguenti :
1) forma : PARALLELEPIPEDA QUADRANGOLARE . CON LATI DA 18 A 20 cm ;
2) scalzo : DIRITTO cm 4 / 7 CON FACCE PIANE e lati di cm 18 / 20 ;
3) peso medio : DA 1.7 A 2.2 KG PER FORMA CON VARIA ZIONE IN PIÙ' ED IN
MENO PER ENTRAMBE LE CARATTERISTICHE IN RAPPORTO ALLE
CONDIZIONI TECNICHE DI LAVORAZIONE. IN OGNI CASO LA VARIAZIONE
NON PUÒ' SUPERARE IL 10 % ;
4) crosta : SPESSORE SOTTILE, CONSISTENZA MORBIDA ,
COLORE ROSATA NATURALE (L77 a/b
0,2 al colorimentro tristimolo), CON PRESENZA DI
MICROFLORA CARATTERISTICA. Non è ammesso alcun trattamento della crosta.
5) pasta : STRUTTURA UNITA; OCCHIATURA ASSENTE CON QUALCHE
PICCOLISSIMO OCCHIO DISTRIBUITO IRREGOLARMENTE; CON SISTENZA
TENDENZIALMENTE COMPATTA PIU'MORBIDA NELLA PARTE
IMMEDIATAMENTE SOTTO LA CROSTA ;
6) colore della pasta : DA BIANCO A PAGLIERINO ;
7) sapore : CARATTERISTICO, LEGGERMENTE AROMATICO
8) caratteristiche chimiche : GRASSO SULLA SOSTANZA
SECCA MINIMO 48 %; ESTRATTO SECCO MINIMO 46 % ; TENORE MASSIMO DI ACQUA 54%, FUROSINA max 14mg/100g proteina.
ARTICOLO 4 PUNTO 2 LETTERA C)
Con riferimento alla delimitazione della zona geografica , si rileva che l'area di
produzione del formaggio TALEGGIO comprende i seguenti territori :
TUTTO IL TERRITORIO DELLE PROVINCE DI BERGAMO, BRESCIA, COMO,
CREMONA, MILANO, PAVIA, NOVARA, TREVISO.
Alla luce di quanto contenuto nel presente punto C) lo scrivente ritiene di indicare, al
fine di fornire maggiori indicazioni , gli elementiche sottolineano il rispetto delle
condizioni di cui all'articolo 2 paragrafo 4 del Regolamento 2081.
In particolare si rileva la esistenza di una zona delimitata per la produzione del latte.
Solo il bestiame delle aziende agricole situate in questa zona delimitata è abilitato a
fornire il latte per la trasformazione in TALEGGIO. In particolare vengono raccolti tutti i dati dei conferenti latte , la cui individuazione avviene attraverso elenchi depositati e vidimati che sono compilati mensilmente. In questo modo si può agevolmente risalire al bestiame che ha prodotto il latte e dalla stalla ove è situato. La materia prima viene regolarmente controllata al fine di
stabilirne la idoneità igienico sanitaria e le caratteristiche di caseificazione .
ARTICOLO 4 PUNTO 2 LETTERA D )
Gli elementi che comprovano che il TALEGGIO è originario della zona geografica i
sensi dell'articolo 2G paragrafo 2 lettera A) ( in quanto si tratta di una denominazione
di origine ) si rilevano , sia , ma non solo , dal fatto che il nome indica una specifica zona geografica , che un paese.
Le qualità del TALEGGIO sono, quindi, dovute essenzialmente all'ambiente
geografico che comprende i fattori umani e naturali ove avviene la produzione,trasformazione ed elaborazione.
Si tratta di fattori che determinano la " tipicità" di un formaggio , riassumibile negli
attributi di " unicità " ed " impossibilità di imitazione”.
Questi fattori hanno nell'ambiente l'elemento predominante , cui vanno però aggiunte
le tecniche di produzione e trasformazione del latte. Quando parliamo di ambiente
intendiamo sia i fattori climatici che agro zootecnici che influiscono sull'origine e
sullo sviluppo della microflora del latte .
Se ai fattori climatici è da far risalire soprattutto l'influenza che l'ambiente esercita sui
processi di maturazione che trasformano la cagliata in TALEGGIO , a quelli agro
zootecnici va riferita la possibilità di avere un latte con idonea attività alla
caseificazione.Per quanto attiene , infine , agli elementi storiciche hanno contribuito alla
individuazione e delimitazione della zona di produzione , possiamo aggiungere che
gli stessi sono ricavabili dalla acclusa RELAZIONE STORICA, alla quale si può fare
riferimento al fine di aggiungere ulteriori elementi a sostegno della nostra tesi
(vedasi allegato n. 1) . ARTICOLO 4 PUNTO 2 LETTERA E )
Per quanto si riferisce alla descrizione del metodo di ottenimento del formaggio
TALEGGIO , possiamo riferire che per quanto attiene ai metodi produttivi e di
lavorazione sono previste una serie di fasi che si possono così riassumere:
PREPARAZIONE DEL LATTOINNESTO COAGULAZIONE DEL LATTE ROTTURA DELLA CAGLIATA
MESSA NEGLI STAMPI STUFATURA RIVOLTAMENTI NEGLI STAMPI SALATURA RIVOLTAMENTI STAGIONATURA
| D.O.P. | Formaggi | Lombardia, Veneto, Piemonte | Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Milano, Pavia, Treviso, Novara | ||
Toma Piemontese Toma Piemontese Disciplinare di produzione - Toma Piemontese DOPArticolo 1. Denominazione del prodotto La Denominazione di Origine Protetta “Toma Piemontese” è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto Materia prima: latte di vacca, così come definito dal D.P.R. 54/97 art. 2 lettera B, intero o parzialmente decremato per affioramento o tramite centrifuga. Forma, dimensioni e peso: Vi sono due tipologie: - a latte intero - semigrasso Si presenta di forma cilindrica a facce piane o quasi piane con scalzo leggermente convesso di diametro da 15 a 35 cm. Lo scalzo varia da 4 a 12 cm. Il peso di una forma varia da 1,8 a 4 Kg per la forma “piccola” e da oltre 4 Kg sino a 10 kg per la forma “grande”. Sono ammesse tolleranze in più o meno del 10%. Tutti i parametri sono riferiti al formaggio ai minimi di stagionatura previsti dal presente disciplinare. Caratteristiche: Crosta: non edibile, elastica (per il prodotto semigrasso) e liscia, di colore paglierino, grigio, rossiccio o bruno a seconda della stagionatura; Pasta: di colore bianco paglierino; Struttura: moderatamente consistente ed elastica, in particolare per il prodotto semigrasso, con occhiatura minuta, diffusa per il prodotto a latte intero. Formaggio semicotto ideale come formaggio da tavola. Grasso: -minimo 40% sul secco per il prodotto a latte intero -minimo 20% sul secco per il prodotto semigrasso Sapore e Aroma: dolce, gradevole e delicato per il tipo a latte intero, intenso e armonico di aroma fragrante che diviene più caratteristico con l’avanzare della stagionatura per il prodotto semigrasso. Si produce per l’intero arco dell’anno. Articolo 3. Area di produzione La zona di provenienza del latte, di trasformazione, stagionatura ed elaborazione del formaggio Toma Piemontese comprende il territorio amministrativo, attualmente in vigore, delle province di: Novara, Vercelli, Biella, Torino, Cuneo, Verbania Cusio Ossola, nonché dei comuni di Acqui Terme, Terzo, Bistagno, Ponti e Denice in provincia di Alessandria e di Monastero Bormida, Roccaverano, Mombaldone, Olmo Gentile e Serole in provincia di Asti. Il formaggio Toma Piemontese DOP può utilizzare la menzione aggiuntiva “prodotto della montagna”, così come previsto dal Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 30/12/2003, quando l’area di produzione (origine del latte, trasformazione/lavorazione del latte e di stagionatura) è classificata come territorio montano. Articolo 4. Tecnica di produzione Non vengono utilizzati conservanti, pigmenti coloranti, aromi particolari e additivi. a) Coagulazione. Il latte intero, o il latte decremato per affioramento o per centrifuga per il prodotto semigrasso, dopo aver subito un trattamento igienizzante è pronto per la trasformazione in Toma Piemontese. Il latte proveniente da una o più munte viene coagulato in un tempo che varia da 20 a 50 minuti, ad una temperatura compresa tra i 32° e i 40° C raggiungendo un’acidità non inferiore a 3,3 SH/50 con caglio animale. Prima della coagulazione è prevista la possibilità di aggiunta di latto innesto, siero innesto e/o fermenti lattici e/o enzimi naturali. Non sono ammessi processi di coagulazione in continuo del latte. b) Rottura della cagliata. Il formaggio deve essere prodotto con la caratteristica tecnologia della doppia rottura della cagliata in caldaia: la prima grossolana permette il rassodamento della massa caseosa con un primo spurgo, la seconda più fine consente l’ulteriore spurgo e indurimento della cagliata. Non è consentito aggiungere acqua in caldaia per diminuire l’acidità della cagliata. E’ consentita una semicottura della cagliata. c) Estrazione e scarico della cagliata. Raggiunta l’opportuna consistenza, la cagliata viene estratta e/o scaricata, favorendo la separazione del siero con l’immissione negli appositi stampi/fascere. E’ permessa una prima pressatura per favorire ulteriormente la sineresi. In questa fase vengono effettuati i necessari rivoltamenti. E’ ammesso anche l’uso di tele, fascere e stampi in legno. d) Salatura. Eseguito lo spurgo il formaggio viene immesso in salamoia o salato a secco utilizzando sale marino per un periodo commisurato alla pezzatura ed alle tecniche di produzione. e) Stagionatura. La stagionatura viene effettuata nella zona di produzione in ambienti idonei per un periodo minimo di 20 giorni per le forme “piccole” e di 45 giorni per le forme “grandi”. E’ consentito l’uso di prodotti naturali per la stagionatura ed il trattamento/lavaggio della crosta. Non sono ammessi trattamenti della crosta con cera o plastica. Articolo 5. Menzione aggiuntiva - Menzione “Prodotto di alpeggio” Il formaggio Toma Piemontese prodotto e stagionato ad una quota superiore ai 900 mt nei territori montani dei comuni previsti dall’area di produzione può portare la menzione “di Alpeggio” a condizione che: - il latte provenga da tali zone e sia ottenuto esclusivamente da vacche, capre e pecore mantenute al pascolo nel periodo compreso tra l’inizio di maggio e la fine di ottobre, su appezzamenti prato-pascolivi di origine naturale. E’ ammesso integrare l’alimentazione del bestiame; i componenti dei mangimi costitutivi l’integrazione alimentare, dovranno essere scelti esclusivamente tra quelli indicati appresso: mais, orzo, grassi vegetali, soia, fave, favino, pisello proteico, semola glutinata, sottoprodotti della lavorazione dello zucchero, sottoprodotti di cereali in grani, minerali, vitamine, additivi ammessi dalla norma vigente. E’ escluso l’utilizzo di foraggi insilati; - gli appezzamenti sui quali sono gestiti gli animali al pascolo devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Organismo di Controllo di cui al successivo art.6. Di tali appezzamenti devono essere stimate le quantità massime di latte producibile per specie animale di cui si terrà conto con l’emissione dell’autorizzazione alla marchiatura. La stima delle potenzialità massime in termini di litri di latte sostenibile dall’area pascolata deve essere realizzata tenendo conto della composizione floristica, del momento di utilizzazione e della tipologia e del carico animale presente. La produzione di Toma Piemontese “di Alpeggio” deve attenersi alla metodologia già indicata in precedenza con le seguenti specifiche: - La trasformazione in Toma Piemontese “di Alpeggio” deve avvenire con lavorazione a latte crudo. - La salatura deve essere effettuata a secco. - La stagionatura minima deve essere di 60 giorni. Articolo 6. Strutture di controllo I controlli di cui all’art. 10 del Reg. (CEE) n. 2081/92 verranno effettuati dall’Organismo di controllo autorizzato. Articolo 7. Elementi di marchiatura Tutte le forme del formaggio Toma Piemontese DOP sono identificate esclusivamente a mezzo un’etichetta (marchio cartaceo), recante al centro il logo della Denominazione d’Origine Protetta Toma Piemontese DOP ovvero Toma Piemontese DOP “Semigrasso” e nella corona circolare esterna di colore verde la scritta Toma Piemontese DOP ovvero Toma Piemontese DOP “Semigrasso”. Tali etichette vengono apposte, non prima della conclusione del ciclo minimo di stagionatura, alle forme ritenute conformi ai requisiti previsti dal presente Disciplinare di Produzione. Il marchio impresso in fase di formazione è un elemento obbligatorio ai fini della rintracciabilità del prodotto, in quanto permette di individuare il produttore tramite il logo e un codice alfanumerico attribuito al caseificio di produzione. Tutti gli elementi utili alla marchiatura, contenenti il logo costitutivo della Denominazione d’Origine Protetta che costituisce parte integrante del presente Disciplinare di Produzione comprensivo della sigla alfanumerica che identifica il casello di produzione, sono detenuti dal Consorzio incaricato e sono dati in uso agli aventi diritto. Solo a seguito dell’applicazione dell’etichetta cartacea il prodotto potrà essere commercializzato/immesso al consumo come Toma Piemontese DOP. Sul prodotto destinato alla vendita al dettaglio al banco taglio o preincartato nel punto vendita dovrà essere mantenuta l’etichetta cartacea o porzione della stessa. Sul prodotto preconfezionato/porzionato è consentito l’utilizzo, in via sostituiva all’etichetta, di idonea indicazione recante tutti gli elementi distintivi del Toma Piemontese DOP ovvero Toma Piemontese DOP “Semigrasso” e il marchio/logo dovrà essere chiaramente visibile con gli estremi dell’autorizzazione alla porzionatura rilasciata dal Consorzio. In caso il prodotto si possa fregiare della menzione aggiuntiva riportata al precedente art. 5, tale menzione dovrà essere indicata in etichetta. Le eventuali norme e dettagli tecnici legati alla marchiatura saranno oggetto di specifica trattazione nell’apposito regolamento di marchiatura. E’ ammesso l’uso di colla alimentare per l’applicazione dell’etichetta. Articolo 8. Modalità di commercializzazione Il formaggio può essere venduto al consumo sia intero, sia al taglio, sia preconfezionato/porzionato. | D.O.P. | Formaggi | Piemonte | Novara, Vercelli, Biella, Torino, Cuneo, Alessandria, Asti | ||
Valle d'Aosta Fromadzo Valle d'Aosta Fromadzo Disciplinare di produzione - Valle d'Aosta Fromadzo DOPArticolo 1. É riconosciuta la denominazione di origine "Valle d'Aosta Fromadzo" o "Vallée d’Aoste Fromadzo" al formaggio prodotto nell'area geografica di cui all'art. 2 ed avente i requisiti fissati agli articoli 3 e 4. Articolo 2. La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio "Valle d'Aosta Fromadzo" o "Vallée d'Aoste Fromadzo" comprende l'intero territorio della regione autonoma Valle d'Aosta. Articolo 3. Il formaggio "Valle d'Aosta Fromadzo" o "Vallée d'Aoste Fromadzo" è prodotto con latte di vacca proveniente da almeno due mungiture, eventualmente addizionato con percentuali minime di latte caprino, derivato da allevamenti ubicati nella zona di cui all'art. 2 ed ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative all'allevamento e al processo di ottenimento, in quanto rispondenti allo standard produttivo seguente che individua due distinte tipologie: a) l'alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da foraggi locali freschi o affienati; b) per il formaggio di tipologia semi-grassa il latte viene rilasciato riposare in relazione alle condizioni ambientali per un periodo variabile da 12 a 24 ore. Per il formaggio di tipologia a basso contenuto di grasso il latte viene lasciato riposare, sempre in relazione alle condizioni ambientali, per un periodo variabile da 24 a 36 ore. Il latte deve essere quindi coagulato ad una temperatura di 34-36°C sfruttando lo sviluppo spontaneo della microflora casearia con l'eventuale inoculo di fermenti lattici naturali ed autoctoni della zona di produzione; c) la coagulazione è ottenuta con l'uso di caglio naturale. Segue la rottura della cagliata con innalzamento della temperatura fino a un massimo di 45°C. La massa caseosa collocata in fuscelle, localmente chiamate "féitchie", può essere sottoposta ad una leggera pressatura cui segue il rivoltamento effettuato 3-4 volte nelle 24 ore. La salatura si attua a secco o in salamoia; la salatura a secco avviene inizialmente a giorni alterni per diradarsi progressivamente nel tempo in un periodo complessivo di 20-30 giorni. La pulitura della forma si effettua per mezzo di un panno imbevuto in una soluzione di acqua e sale. La maturazione avviene in locali appositi ad una temperatura di 8-14°C e con umidità relativa non inferiore al 60%. Il periodo di stagionatura varia da un minimo di 60 giorni fino ad un massimo di 8-10 mesi; il prodotto a breve stagionatura è utilizzato da tavola mentre quello a prolungata stagionatura viene talora consumato previo grattugiamento. Il formaggio può essere aromatizzato mediante l'aggiunta nella lavorazione di semi o parti di piante aromatiche; d) forma cilindrica con facce piane o quasi piane con scalzo diritto o leggermente arrotondato; e) dimensioni: il diametro delle facce è compreso fra 15 e 30 cm mentre l'altezza dello scalzo fra 5 e 20 cm in relazione alle condizioni tecniche di produzione ed al periodo di maturazione; f) peso variabile da 1 a 7 kg in relazione alle dimensioni della forma; g) aspetto esterno: sufficientemente consistente, di colore paglierino tendente con il protrarsi della stagionatura al grigio con eventuali sfumature rossicce; h) pasta: struttura compatta con occhiatura sparsa di piccole e medie dimensioni; al taglio il colore si presenta bianco nel formaggio fresco, paglierino più o mene intenso in quello a prolungata stagionatura; i) sapore: caratteristico, fragrante, semi-dolce, se fresco; più pronunciato, leggermente salato, talvolta con una punta di piccante, se stagionato. Presenta un profumo gradevole di latte, con l'aroma particolare di erbe di montagna specie se prodotto nel periodo estivo; l) grasso sulla sostanza secca: inferiore al 20% nella tipologia a basso contenuto di grasso; compreso fra il 20 e il 35% nella tipologia semi-grassa. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine "Valle d'Aosta Fromadzo" o "Vallée d'Aoste Fromadzo" deve recare apposto all'atto della sua immissione al consumo il contrassegno di cui all'allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative | D.O.P. | Formaggi | Valle d'Aosta | Aosta | ||
Valtellina Casera Valtellina Casera Disciplinare di produzione - Valtellina Casera DOPArticolo 1. La denominazione di origine protetta “Valtellina Casera” è riservata al formaggio prodotto nell’area geografica di cui all’art.2 del presente disciplinare ed avente i requisiti di seguito fissati. Articolo 2. La zona di provenienza del latte destinato alla trasformazione del formaggio “Valtellina Casera”, nonché la zona di trasformazione, di stagionatura e di condizionamento comprende l’intero territorio della provincia di Sondrio. Articolo 3. Il formaggio semigrasso “Valtellina Casera” prodotto esclusivamente con latte vaccino crudo di razze tradizionali nella zona individuata all’art. 2 del presente disciplinare è ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative all’allevamento e al processo di ottenimento, rispondenti allo standard produttivo seguente: a) l’alimentazione delle bovine da cui deriva il latte deve essere costituita prevalentemente da essenze spontanee ed erbai eventualmente affienati dell’area delimitata all’art.2 e del territorio denominato “Pian di Spagna” nei comuni di Gera Lario e Sorico, in provincia di Como, compreso tra il fiume Mera, il fiume Adda e Lago di Como e facente parte della Riserva Naturale Regionale “Pian di Spagna – Lago di Mezzola”. b) Il latte proveniente da due o più mungiture viene parzialmente scremato prima di essere sottoposto a coagulazione sfruttando lo sviluppo spontaneo della microflora casearia. c) La coagulazione è ottenuta con l’uso di caglio di vitello. La cottura della cagliata avviene ad una temperatura compresa fra i 40 e i 45°C e si protrae per circa 30 minuti. La rottura della cagliata avviene fino a quando i grumi hanno la grandezza di chicchi di mais. Una volta estratta, la pasta viene posta in fascere tradizionali recanti il marchio descritto all’art.4 e leggermente pressata in modo progressivo per circa 8 – 12 ore. La salatura avviene a secco o in salamoia. La maturazione si effettua in appositi locali alla temperatura di 6-13 °C e con umidità relativa non inferiore all’80%. La maturazione deve essere protratta per almeno settanta giorni. A decorrere dal 70° giorno dalla data di produzione il Consorzio di Tutela incaricato, dopo il controllo effettuato dall’Organismo di controllo con esito positivo, appone sulle forme il marchio a fuoco descritto all’art.4, punto b. Le caratteristiche della DOP “Valtellina Casera” sono le seguenti: a) Forma: cilindrica regolare, con superfici piane e con uno scalzo diritto. b) Dimensioni: il diametro delle facce è di 30 – 45 cm; l’altezza dello scalzo è di 8 – 10 cm. c) Peso variabile da 7 kg a 12 kg in relazione alle dimensioni della forma. La forma, le dimensioni ed il peso possono subire delle leggere variazioni in relazione alle condizioni tecniche di produzione e al periodo di maturazione. d) Aspetto esterno: crosta compatta, di colore giallo paglierino più intenso con la stagionatura, di spessore compreso fra 2 e 4 millimetri. e) Pasta: struttura di media consistenza, elastica con occhiatura sparsa e tendenzialmente fine; al taglio il colore si presenta variabile dal bianco al giallo paglierino, a seconda del periodo di produzione e di stagionatura. f) Sapore: dolce, caratteristico, con particolare aroma, più intenso con il procedere della stagionatura. g) Grasso sulla sostanza secca: non inferiore al 34%. h) Umidità media a 70 giorni: 41%. Il prodotto può essere utilizzato anche grattugiato come condimento. Articolo 4. Il formaggio a denominazione di origine protetta “Valtellina Casera” deve recare apposti sullo scalzo, all’atto della sua immissione al consumo, i seguenti contrassegni, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni normative: a) il marchio di origine, che costituisce parte integrante del presente disciplinare; tale marchio viene impresso al momento della produzione con fascera marchiante rilasciata dal Consorzio per la Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto e riportante, oltre al marchio suddetto, il bollo CEE del caseificio e numerazioni per l’identificazione del produttore e della data di produzione. Tale marchio rappresenta la scritta Valtellina Casera preceduta da una forma di formaggio stilizzata, mancante di uno spicchio in cui è inserito il profilo di una montagna. b) il marchio a fuoco, di seguito rappresentato, e che si appone dopo il 70° giorno dalla data di produzione, è costituito, nella parte inferiore, da un semicerchio caratterizzato da un bordo a similuna interrotto da una “V” aperta molto morbida, all’interno della quale è posizionato un terzo elemento grafico raffigurante un triangolo equilatero, capovolto, dai lati obliqui concavi. Un’illustrazione che figurativamente rappresenta una forma di formaggio stilizzata, dove l’elemento della “V” aperta interrompe la continuità del cerchio, separandone uno spicchio che simbolicamente rappresenta la caratteristica fetta di formaggio. Tale marchio fa parte integrante del presente disciplinare ed è riservato alle forme prodotte da non meno di settanta giorni e che presentino i requisiti fissati dal presente disciplinare. | D.O.P. | Formaggi | Lombardia | Sondrio | ||
Vastedda della Valle del Belice Vastedda della Valle del Belice Disciplinare di produzione - Vastedda della Valle del Belice DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta Vastedda della valle del Belìce è riservata esclusivamente al formaggio che risponde alle condizioni e ai requisiti disposti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto La DOP Vastedda della valle del Belìce è un formaggio di pecora a pasta filata che va consumato fresco ed all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche: - forma: tipica di una focaccia con facce lievemente convesse; - dimensione: il diametro del piatto deve essere compreso tra 15 e 17 cm e l’altezza dello scalzo tra 3 e 4 cm; - peso: compreso tra 500 e 700 gr. in relazione alle dimensioni della forma; - superficie: priva di crosta, di colore bianco avorio, liscia compatta senza vaiolature e piegature; è ammessa la presenza di una patina di colore paglierino chiaro; - pasta: di colore bianco omogeneo, liscia, non granulosa, con eventuali accenni di striature dovute alla filatura artigianale; l’occhiatura deve essere assente o molto scarsa, così come la trasudazione; - aroma: caratteristico del latte fresco di pecora; - sapore: dolce, fresco e gradevole, con venature lievemente acidule; - percentuale di grasso: non inferiore al 35% sulla sostanza secca; - percentuale di cloruro di sodio (sale): non superiore al 5 % sulla sostanza secca. Articolo 3. Zona di produzione La zona geografica di allevamento degli ovini, di produzione del latte, di trasformazione e di condizionamento del formaggio Vastedda della valle del Belìce DOP, è compresa nell’ambito dei territori amministrativi dei seguenti comuni: a) in provincia di Agrigento: Caltabellotta, Menfi, Montevago, Sambuca di Sicilia, Santa Margherita di Belìce e Sciacca; b) in provincia di Trapani: Calatafimi, Campobello di Mazara, Castelvetrano, Gibellina, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Ninfa e Vita; c) in provincia di Palermo: Contessa Entellina e Bisacquino limitatamente alla frazione denominata “San Biagio”. Articolo 4. Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori/stagionatori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento Il formaggio Vastedda della valle del Belìce DOP è ottenuto con latte ovino intero, crudo, ad acidità naturale di fermentazione, di pecore di razza Valle del Belìce, provenienti da allevamenti ubicati nella zona di produzione di cui all’Art. 3 del presente disciplinare. Il sistema di alimentazione degli ovini è costituito dal pascolo naturale e/o coltivato, da foraggi freschi, da fieni e paglia ottenuti nella zona di produzione come individuata all’art. 3 del presente disciplinare, dalle ristoppie di grano e dai sottoprodotti vegetativi (l’erba cresciuta lungo i filari dei vigneti, frasche di ulivo della potatura invernale, cladodi di ficodindia, foglie di vite dopo la vendemmia). E’ consentita l’integrazione con granella di cereali, con leguminose e concentrati semplici o complessi NO OGM. Nell’alimentazione è vietato l’utilizzo di prodotti derivati di origine animale e di piante o parti di piante (semi) di trigonella, tapioca e manioca. Il latte deve provenire da una o due mungiture, quella serale e quella del mattino successivo; la lavorazione deve essere eseguita entro 48 ore dall’effettuazione della prima mungitura. E’ consentita pertanto la refrigerazione del latte nel pieno rispetto dei valori minimi previsti dalle vigenti disposizioni legislative in materia. Il latte opportunamente filtrato con appositi setacci e/o filtri in tela, è riscaldato tradizionalmente in caldaie di rame stagnato, fino alla temperatura massima di 40° C con fuoco diretto di legna o gas; quindi alla temperatura di 36- 40° C viene aggiunto caglio in pasta di agnello. Il caglio utilizzato per la coagulazione essenzialmente presamica del latte si ricava dall’abomaso di agnelli lattanti degli animali indicati nel presente disciplinare di produzione. Gli agnelli vanno allevati in recinti ove non vengono a contatto con alimenti e ricevono solamente il latte materno; all’età di 25-35 giorni si procede alla mattazione prelevando l’abomaso, che si deve presentare di colore bianco opaco; si libererà dal resto dei visceri, procedendo quindi alla sua legatura con un filo di rafia o nylon; dopo averlo lavato con acqua tiepida si adagia su un graticciato per permetterne lo sgrondo e posto in un locale aerato. Trascorse tre-quattro ore e comunque quando l’abomaso si presenterà esternamente asciutto, si provvederà a cospargerlo con sale da cucina, avendo l’avvertenza, per 2 settimane, di rimuoverlo giornalmente affinché il sale possa interessare tutta la superficie. Nel mese successivo, i caglioli così trattati si presenteranno pressoché essiccati, assumendo consistenza più o meno pastosa. I caglioli, costituiti dalle pelli dell’abomaso e dalla pasta in essi contenuti, vengono prima ridotti in fettuccine o triturati e quindi impastati con sale da cucina molto fine, nella proporzione (in peso) di cinque parti di pasta ed una di sale, frantumando i grumi. La pasta ottenuta si passerà attraverso un setaccio, ottenendo una sostanza cremosa. La sua conservazione si effettuerà in vasi di terracotta o barattoli di vetro di colore scuro da porre in locali freschi e al riparo dalla luce. Il caglio in pasta, prima dell’uso, viene sciolto in acqua tiepida e quindi filtrato. La quantità impiegata, si aggira fra i 60-100 grammi per 100 litri di latte, con un tempo di coagulazione che varia da 40 a 50 minuti e comunque fin tanto che la rotula immersa nella tina in legno rimane in posizione verticale. Formata la cagliata, questa deve essere rotta in grumi molto piccoli, con l’ausilio di un mestolo, detto rotula, recante una protuberanza all’apice, necessaria per una rottura omogenea della cagliata, fino ad ottenere grumi delle dimensioni di un chicco di riso; la sineresi spontanea è favorita dall’acqua calda aggiunta durante la rottura della cagliata. I grumi di cagliata depositati sul fondo del recipiente, vengono lasciati riposare per cinque minuti, affinché avvenga la coesione fra essi, quindi la massa caseosa viene prelevata dalla tina e depositata in fuscelle di giunco senza operare nessuna pressatura della pasta. La cagliata viene quindi lasciata all’interno delle fuscelle in giunco a temperatura ambiente per la maturazione (fermentazione naturale della pasta). Il tempo necessario per la maturazione cambia con il variare della temperatura dell’ambiente (più fresco è il locale maggior tempo è richiesto). Dopo 24 ore, ma nella stagione fredda anche dopo 48 ore, valutato il grado di acidificazione della pasta con pH-metro portatile (pH compreso fra 4,7 e 5,5) e/o mediante prove di filatura della pasta, la cagliata è tagliata a fette, posta in un recipiente in legno, detto “piddiaturi” e ricoperta di scotta o acqua calda alla temperatura di 80-90° C. Il tutto si rimuove blandamente con la paletta in legno, onde favorire la fusione in un unico blocco. Si procede quindi alla filatura della cagliata dopo un tempo di immersione della pasta di 3-7 minuti. Successivamente si inizia la fase di lavorazione della pasta fuori dalla scotta o dall’acqua calda, formando dei cordoni che vengono ripiegati in due ed amalgamati a modo di trecce. Quando la pasta avrà assunto una superficie bianco-lucida si distaccano dalla massa delle porzioni a forma di sfera che vengono lavorate manualmente e richiuse nel punto di distacco. La saldatura avviene stringendo speditamente tra il pollice e l’indice le labbra della sfera, che inizialmente si presentavano sfaldate. Si pongono poi con la chiusura in basso in piatti fondi in ceramica, ove, dopo essere stati rivoltati, assumeranno la forma caratteristica della Vastedda. La pasta è molto spurgata e, quindi, rassoda rapidamente. Successivamente, quando le forme raffreddano e prendono consistenza (dopo 6-12 ore dalla filatura) si procede alla salatura; questa viene condotta ponendo le forme di formaggio in salamoia satura di sale da cucina a temperatura ambiente, per un tempo compreso tra 30 minuti e 2 ore. Segue poi l’asciugatura in locali freschi e moderatamente ventilati e dopo 12-48 ore, possono essere consumate. Le operazioni di produzione del latte, di caseificazione e di confezionamento devono avvenire nella zona delimitata all’art. 3 del presente disciplinare di produzione, al fine di garantire la qualità, la tracciabilità ed il controllo del prodotto ed in particolar modo per salvaguardare l’aspetto microbiologico del formaggio, che essendo un prodotto “vivo”, ricco di microrganismi in continua evoluzione, deve evitare di subire sbalzi termici drastici, che potrebbero avvenire nel caso in cui il confezionamento non fosse effettuato nella zona di origine. Articolo 6. Legame con l'ambiente La Vastedda della valle del Belìce si caratterizza per essere un formaggio ovino a pasta filata. La qualità e le caratteristiche organolettiche del latte utilizzato per la produzione del formaggio Vastedda della valle del Belìce assumono carattere peculiare e non ripetibile altrove. Molteplici sono, infatti, gli studi scientifici che hanno dimostrato come il pascolo e la sua composizione botanica costituita da leguminose, graminacee e crucifere, influenzano le produzioni casearie modificandone la loro composizione chimica ed aromatica. Inoltre la modalità di preparazione del caglio trasferisce al formaggio un patrimonio enzimatico che sviluppa aromi e sapori che non si riscontrano in altre paste filate. Una tecnologia di produzione antica ma sapiente, legata all’uso di strumenti della tradizione, conferisce inoltre quella particolarità che fa del formaggio Vastedda della valle del Belìce un prodotto unico. Il territorio vocato alla produzione del formaggio Vastedda della valle del Belìce è caratterizzato da suoli bruni calcarei, litosuoli, regosuoli e vertisuoli e da pascoli, naturali e coltivati ricchi di essenze spontanee e di ecotipi locali, che caratterizzano la qualità e composizione del latte conferendo al prodotto finito il suo particolare sapore dolce fresco con venature lievemente acidule. I fattori climatici dell’area di produzione della Vastedda della valle del Belìce, in considerazione della latitudine e della particolare orografia, sono diversi rispetto ad altre aree della Sicilia, infatti la temperatura media annua è di circa 16°C, con una minima di 9°C (in alcune annate si sono registrate temperature vicine allo 0 °C) ed una massima di 35°C; gli ultimi rilevamenti, riferiti ad eventi stagionali più recenti e senza dubbio meno costanti ed usuali, fanno registrare andamenti medi stagionali più elevati in estate e più bassi nei mesi più freddi (gennaio-febbraio), accentuando in tal modo le peculiarità dell’ambiente. La piovosità media annua risulta di 770 mm., con massima media in inverno di 302 mm. e minima media in estate di 22 mm. di pioggia. L’ovinicoltura e l’attività casearia, nell’area di produzione del formaggio Vastedda della valle del Belìce, hanno un’antichissima tradizione; ancora oggi l’allevamento è di tipo tradizionale e viene praticato in ovili in grado di offrire un ricovero adatto alle esigenze degli ovini e al loro benessere, con positivi riflessi sulla qualità del latte prodotto che conferisce alla Vastedda della valle del Belìce le sue peculiarità. La Vastedda della valle del Belìce è legata in maniera indissolubile al particolare ambiente edifico della zona, alle essenze pabulari locali, a caratteristiche tecnologie di lavorazione, oltre alla particolare razza ovina locale Valle del Belìce ed all’ambiente di trasformazione in cui sono presenti specifici ceppi della microflora che sono in grado di rendere la Vastedda della valle del Belìce un formaggio unico nel suo genere. Il nome Vastedda deriva dalla forma che il formaggio acquisisce dopo la filatura quando viene immessa in piatti fondi di ceramica, “Vastedde”, onde conferirgli la forma di pagnotta. L’origine è quella di un formaggio che si produceva anche in passato dal latte della popolazione ovina della valle del Belìce da tempo conosciuta per la sua alta produttività e la resistenza alle avversità climatiche tipiche del suo habitat. La produzione costituisce oltre che un indiscusso ed esclusivo patrimonio storico-culturale e produttivo della valle del Belìce, una solida realtà commerciale in continua crescita. Articolo 7. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare, è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli artt. 10 e 11 del Reg. CE 510/2006. Articolo 8. Etichettatura All’atto dell’immissione al consumo il formaggio Vastedda della valle del Belìce deve recare apposto sull’involucro esterno delle forme idonee e certificate, realizzato in polietilene, il contrassegno di cui al presente disciplinare costituito dal logo, le cui caratteristiche sono di seguito riportate. Il marchio deve essere riportato sull’involucro esterno protettivo del formaggio, costituito da materiale conforme alle disposizioni di legge relative all’imballaggio dei prodotti alimentari. Il marchio può essere usato nelle pubblicazioni e nei materiali promozionali. L’uso dell’imballaggio, riportante il contrassegno e la scritta come descritti, è obbligatorio. Alla denominazione “Vastedda della valle del Belìce” è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi extra, superiore, fine, scelto, selezionato e similari. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi non aventi significato laudativo e non atti a trarre in inganno il consumatore, purché di dimensioni significativamente inferiori a quelle utilizzate per il contrassegno della D.O.P. Il formaggio “Vastedda della valle del Belìce” viene identificato mediante un logo di forma circolare così costruito: 1. Nella parte esterna, lungo il perimetro della circonferenza, con direzione da sinistra verso destra, è riportata la dicitura “Vastedda della valle del Belìce”, su un rigo e di colore verde scuro; il testo è composto con il carattere Times New Roman corpo 12.; all’interno, in basso, con direzione da sinistra a destra, è riportata la dicitura “Denominazione d’Origine Protetta” su un rigo e di colore bianco; il testo è composto con il carattere Zurich Xblkbt corpo 10. 2. All’interno del logo, nella parte superiore del cerchio, è raffigurato il sole stilizzato, dai contorni ben definiti e di colore giallo chiaro, dall’apice del quale si distacca una porzione a forma di lettera “V” quasi fosse una fetta; dal sole si dipartono inoltre n° 11 raggi di colore giallo, a mo’ di spicchi; il tutto su uno sfondo di cielo di colore azzurro. 3. Inferiormente, nella parte centrale del logo, due colline di colore verde si intersecano dando origine ad una lettera “V “ resa più evidente dal richiamo a strisce di colore verde chiaro che le sormonta; 4. Sulla destra vi è la raffigurazione parziale, stilizzata mediante strisce di colore giallo, di un tempio dorico, su due gradini e con quattro colonne che recano ognuna un capitello superiore; sui capitelli poggia l’architrave e quindi il tetto spiovente. Le specifiche tecniche del logo sono: (omissis) Articolo 9. Prodotti trasformati I prodotti per la cui preparazione è utilizzata la DOP Vastedda della valle del Belìce, anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, possono essere immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla detta denominazione senza l’apposizione del logo comunitario, a condizione che: 1. il prodotto a denominazione protetta, certificato come tale, costituisca il componente esclusivo della categoria merceologica; 2. gli utilizzatori del prodotto a denominazione protetta siano autorizzati dai titolari del diritto di proprietà intellettuale conferito dalla registrazione della DOP riuniti in Consorzio incaricato alla tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri ed a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta. In assenza di un consorzio di tutela incaricato, le predette funzioni saranno svolte dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in quanto autorità nazionale preposta all’attuazione del Reg. (CE) 510/2006. | D.O.P. | Formaggi | Sicilia | Agrigento, Trapani, Palermo | ||
Vezzena Vezzena Disciplinare di produzione - Vezzena DOPDomanda di registrazione (presentata il 26 maggio 2005) della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P.) per il formaggio “VEZZENA” Reg.(C.E.E) 2081/92. Articolo 1. Denominazione del prodotto 1.1 La Denominazione di Origine Protetta “VEZZENA” è riservata al formaggio che risponde alle condizioni ed ai requisiti definiti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto 2.1 Il “VEZZENA” è un formaggio a fermentazione naturale o indotta con l’aggiunta di starters naturali. 2.2 Materia prima utilizzata: latte crudo di vacca, di due munte consecutive, parzialmente scremato per affioramento naturale. 2.3 Caratteristiche del prodotto 2.3.1.Caratteristiche fisiche - forma: cilindrica, a scalzo basso, leggermente convesso o piano, con facce piane o leggermente ondulate; - dimensioni e peso della forma: diametro da 30 a 40 cm, altezza dello scalzo da 9 a 12 cm; peso da 8 a 12 kg per prodotto di 4 – 8 mesi; - crosta: irregolare, elastica, color grigio brunato o ocra scuro; - pasta: compatta, elastica, semidura, granulosa, caratteristica, questa ultima, più accentuata per il prodotto “vecchio” o “stravecchio”, con occhiatura sparsa, di piccola o media grandezza, di colore paglierino chiaro o giallo paglierino , che nel caso del prodotto ”VEZZENA MALGA” è più accentuato. 2.3.2.Caratteristiche chimiche: - grasso sulla sostanza secca: superiore al 34 %; - umidità: da un minimo del 30 % ad un massimo del 38 %, misurata nell’età del prodotto compresa fra i 4 e gli 8 mesi. 2.3.3 Caratteristiche organolettiche: - sapore: intenso, gustoso e sapido, che diventa più accentuato, tendente al piccante nel prodotto “vecchio” e ancor più nello “stravecchio” Nella tipologia “VEZZENA MALGA” il gusto e il sapore sono esaltati e riconoscibili nei profumi delle specie erbacee dei pascoli e dei prati montani della zona; - odore e aroma: inconfondibili e caratteristici, influenzati dai foraggi polifiti della montagna, più decisi e marcati per il prodotto “vecchio” e “stravecchio”. Il prodotto della tipologia “VEZZENA MALGA” si segnala per l’accentuazione dei caratteri aromatici e olfattivi. 2.4 Periodo di produzione: - tutto l’anno. 2.5 Stagionatura: - minimo 4 mesi per il prodotto “mezzano”; - minimo 8 mesi per il prodotto “vecchio”; - minimo 18 mesi per il prodotto “stravecchio”. Articolo 3. Zona di produzione 3.1. La zona di produzione del “VEZZENA”, l’area di provenienza e di trasformazione del latte, di trattamento, di stagionatura e di porzionatura-confezionamento del formaggio, coincide con il territorio dei seguenti Comuni: , Ala, Aldeno, Avio, Baselga di Pinè, Bedollo, Besenello, Bieno, Borgo Valsugana, Bosentino, Brentonico, Calceranica, Caldonazzo, Calliano, Carzano, Castelnuovo, Castello Tesino, Centa S.Nicolò, Cimone, Cinte Tesino, Civezzano, Fierozzo, Folgaria, Fornace, Frassilongo, Garniga, Grigno, Isera, Ivano Fracena, Lavarone, Levico Terme, Luserna, Mori, Nogaredo, Nomi, Novaledo, Ospedaletto, Palù del Fersina, Pergine, Pieve Tesino, Pomarolo, Ronchi, Roncegno, Ronzo Chienes, Rovereto, Samone, Sant’ Orsola Terme, Scurelle, Spera, Strigno, Tenna, Telve, Telve di Sopra, Torcegno, Terragnolo, Trambileno, Trento, Vallarsa, Vattaro, Vignola Falesina, Vigolo Vattaro, Villalagarina, Villagnedo, Volano, della provincia di Trento e del Comune di Enego della provincia di Vicenza. 3.2 Il latte deve provenire da allevamenti ubicati ad un’altitudine superiore ai 700 m. s.l.m. e nel caso della tipologia “VEZZENA MALGA” al di sopra dei 900 m. s.l.m.. Articolo 4. Elementi che comprovano l’origine 4.1 Riferimenti storici Sull’Almanacco Agrario del 1940, si afferma che: ”Da tempi remoti sugli altipiani di Vezzena, di Lavarone, di Folgaria e Luserna che da un’altitudine di 1000 metri arrivano a quella di 1600, si produce un ottimo formaggio cotto, a pasta dura, che acquistò rinomanza sotto il nome di Vezzena. Il Vezzena viene prodotto sostanzialmente sulle 52 malghe dei detti altipiani, ma lo si confeziona pure nei caseifici della zona.” Per iniziativa della scuola di caseificio dell’Istituto Agrario di S.Michele all’Adige (Trento) la sua produzione fu sempre materia di studi teorico-pratici durante i corsi di preparazione dei casari, con la conseguenza che la sua produzione in piccola parte si è diffusa anche sulle malghe e nei piccoli caseifici delle vicine zone della Valsugana e della Vallagarina, talvolta anche con i termini di “nostrano tipo Vezzena”o “Uso Vezzena”. L ’Almanacco Agrario del 1891 dichiara: “Abbiamo p.e. potuto assaggiare del formaggio confezionato sulle malghe di Folgaria e Vallarsa, il quale non era niente affatto inferiore a quello confezionato sulle Vezzene e così pure fu imitato molto bene un tal tipo di formaggio su di una malga nelle vicinanze di Trento e su una della Val di Non, il che vuol dire che si può ottenere in altre malghe purché si segua lo stesso metodo di confezione che usasi sulle Vezzene....” Anche le dichiarazioni sottoscritte da casari ed allevatori anziani testimoniano, ad esempio, che tale formaggio è stato prodotto, in tempi più recenti, sulle malghe di Brentonico in Vallagarina. Prima della guerra del 1915-18 nel Trentino, allora denominato Tirolo Italiano, il Vezzena era pressoché l’unico formaggio da condimento, tanto che trovava un facile smercio, sul mercato locale, ma anche nel Veneto e perfino a Vienna, dove era apprezzato anche presso la corte degli Asburgo. Sulla rivista “Agricoltura Trentina”, del 1953, si affermava: “I tipi di lavorazione sono stati scelti ponderatamente pensando che l’ ”Uso Vezzena” è prodotto in gran parte dai Caseifici del Trentino”. Tale produzione casearia sopravvive nella zona sopra descritta, sia in malga, sia nei caseifici durante tutto l’anno, come risulta dalla testimonianza del Cav. Mario Osele, per venti anni Sindaco di Lavarone e Consigliere del caseificio Sociale di Cappella di Lavarone. 4.2 Riferimenti culturali Nelle zone di produzione del ”VEZZENA”, esistono numerose testimonianze scritte che attestano l’origine assai antica di tale formaggio confermata anche dalla forte influenza assunta nella tradizione gastronomica e alimentare locale. Il Vezzena, la cui origine risale a due-tre secoli fa, all’inizio del secolo scorso, per molti decenni è stato considerato il prodotto caseario trentino di maggiore qualità e prestigio, in grado di alimentare una buona corrente di esportazione verso i mercati extra provinciali.. Il suo nome è legato anche ai sanguinosi combattimenti nelle trincee e sui forti degli altipiani, durante la prima guerra mondiale, perché le aree di Lavarone, Luserna e delle Vezzene sono state a lungo zone di prima linea. 4.3 Riferimenti sociali ed economici La produzione del Vezzena, come più volte descritto, risale a tanto tempo fa e come tale è compenetrata nel tessuto socio-culturale-economico della zona di produzione, con importanza e peso diverso nel tempo. E’ stata e lo è tuttora, una fonte di occupazione primaria per gli allevatori, ma anche secondaria per i pastori, i malgari, i casari e gli addetti alla fase della commercializzazione. La salvaguardia e il rilancio di tale preziosa produzione casearia però risulta importante anche per la tutela dell’ambiente, attraverso la permanenza dell’attività dell’uomo in montagna e quale supporto diretto ed indiretto dell’attività turistica. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1 Provenienza del latte 5.1.1 Il latte deve provenire da bovine di razza Bruna, Frisona Italiana, Pezzata Rossa Italiana, Grigio Alpina e Rendena (autoctona) e loro incroci, alimentate prevalentemente con erba e/o con fieno di prato stabile, prodotto all’interno della zona di produzione di cui all’art. 3 al di sopra dei 700 metri sul livello del mare. Per la tipologia “VEZZENA MALGA”, il latte utilizzato deve provenire da allevamenti in alpeggio, nel periodo dal 20 di maggio al 30 di settembre, collocati ad un’altitudine minima di 900 m.s.l.m. 5.1.2 Nel processo di ottenimento del formaggio “VEZZENA” può essere utilizzato il latte di una o più delle predette razze. 5.1.3 E’ consentito l’impiego di latte in deroga alle normative sanitarie vigenti. 5.1.4 E’ escluso l’utilizzo del latte ottenuto da bovine alimentate con insilati di qualunque tipo. 5.1.5 La razione alimentare delle bovine può essere integrata con mangimi semplici o composti in misura non superiore al 50%. 5.2 Raccolta e conferimento del latte al caseificio La raccolta ed il conferimento del latte possono essere effettuati con bidoni, con autocisterna coibentata (in questo caso il latte viene prima raffreddato alla stalla), una o due volte al giorno. 5.3 Trasformazione del latte - la trasformazione del latte può avvenire solo in strutture casearie dislocate all’interno della zona di produzione, di cui all’art. 3. - il latte caldo, o raffrescato a 17- 22°C, o raffreddato ad una temperatura di 10 – 16 °C, nel caso di una sola raccolta al giorno, viene stoccato e parzialmente scremato per affioramento naturale, in bacinella o altri contenitori in acciaio inox; - viene utilizzato solo latte crudo; la termizzazione è consentita solo per la parte del latte impiegato per la preparazione del latte-innesto naturale; - è consentita l’aggiunta al latte crudo di starters ottenuti dalla selezione di batteri lattici autoctoni della zona di produzione del “VEZZENA”; - il latte viene riscaldato in caldaia con fuoco a legna o con vapore, in caldaie di acciaio-inox o di rame o in polivalente; - non è consentito l’uso di alcun additivo; - l’acidità può essere naturale o indotta con latte-innesto o con gli starters sopra citati; - viene usato caglio di origine bovina; - la coagulazione si ottiene alla temperatura di 35°C ±2°C; - tempo di coagulazione: minimo 10, massimo 20 minuti primi; - il taglio della cagliata, effettuato con lo spino, arriva alle dimensioni di un chicco di mais cinquantino; - la semicottura viene fatta alla temperatura di 46°C ± 2°C; - durata della semicottura: minimo 10, massimo 20 minuti primi; durante tale fase la massa viene agitata in continuazione; - durata della sosta della cagliata sotto siero: minimo 10, massimo 40 minuti primi; - successivamente alla sosta viene effettuata l’estrazione della cagliata e la messa in fascera; 5.5 Salatura e stagionatura - la sosta nel locale o zona di pre-salatura dura da un minimo di 2 ad un massimo di 4 giorni; - la salatura può essere fatta a secco o in salamoia; - la durata della salatura a secco va da un minimo di 8 ad un massimo di 10 giorni; - la durata della salatura in salamoia varia da un minimo di 4 ad un massimo di 6 giorni e la salamoia può avere una densità variabile da un minimo di 16 ad un massimo di 20° Baumé; - la stagionatura del formaggio viene effettuata in appositi locali alla temperatura variabile da un minimo di 10°C ad un massimo di 20°C. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente L’area primitiva di produzione presenta delle caratteristiche proprie sia come altitudine, sia come orografia (grandi praterie ondulate, spesso sassose, raramente molto ripide), sia come zona storica di collegamento e di scambio culturale e commerciale con la provincia di Vicenza. Tale zona di produzione, in epoca successiva, con modalità, entità e tempi diversi, si è estesa, con fasi alterne, alle zone limitrofe della Valsugana, della Vallagarina e del Monte Bondone, ricche di allevamenti, malghe, pascoli e alpeggi. La zona, individuata come area di produzione del “VEZZENA”, presenta delle proprie omogenee visibili particolarità, sia per la conformazione montuosa, sia per la geologia (prevalenza di zone con rocce carbonatiche ,calcari, dolomie ed in parte metamorfiche e vulcaniche), sia per la significatività delle specie endemiche delle Alpi riscontrabili nella flora dei prati e pascoli della zona, sia per il clima (caratterizzato da inverni freddi ed asciutti e primavere ed estati relativamente fresche e piovose), sia per le tradizioni, gli usi e i costumi. Il legame di tale produzione casearia con l’ambiente sotteso è molto forte e deriva principalmente dal fatto che la sua storia è legata alla pratica antica dell’alpeggio e dell’allevamento dei bovini da latte, in zone montane ad altitudine che và dai 700 ai 1800 metri sul livello del mare, ma anche alla raffinata e peculiare qualità del formaggio prodotto. Una qualità che deriva principalmente dalle caratteristiche organolettiche e casearie del latte utilizzato, ma anche da un’arte casearia tramandata nei secoli. Il “VEZZENA” viene associato nella memoria della gente al formaggio di montagna, di malga, ad un modo di produrre montano, tradizionale e genuino. Il legame con l’ambiente della zona delimitata trova ulteriore conferma attraverso specifici adempimenti ai quali si sottopongono obbligatoriamente i vari soggetti della filiera produttiva come di seguito descritto. Presso l’Organismo di controllo è tenuto un apposito elenco-registro degli allevatori il cui latte viene destinato alla produzione del “VEZZENA”, mentre in un apposito altro elenco-registro sono inseriti i produttori, gli stagionatori ed i porzionatori-confezionatori dello stesso formaggio. L’Organismo di controllo infine predispone gli appositi registri che devono compilare giornalmente i produttori, gli stagionatori ed i confezionatori del “VEZZENA”. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente Disciplinare di Produzione è svolto da un’Autorità Pubblica designata o da un Organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Regolamento CEE n. 2081 dd. 14 luglio 1992. Articolo 8. Etichettatura Tutte le forme di formaggio “VEZZENA”, al momento della produzione, verranno inserite in apposite “fascère marchianti” che imprimeranno più volte sullo scalzo la dicitura D.O.P. “VEZZENA”, che dovrà presentare dimensioni maggiori di qualunque altra eventuale scritta sul prodotto. Inoltre un apposito contrassegno indicherà il numero o codice di riferimento del Caseificio, il lotto e la provincia di produzione. Le forme di “VEZZENA” prodotte con latte di malga potranno venir contraddistinte con l’inserimento nelle fascere marchianti, una sola volta, delle scritta “VEZZENA MALGA”. Il formaggio può essere venduto a forma intera o porzionato; in ogni caso, all’emissione al consumo le confezioni, nelle varie tipologie, dovranno riportare la dicitura D.O.P. “VEZZENA”, il numero o codice di riferimento del Caseificio produttore, il lotto di produzione e l’eventuale indicazione “VEZZENA MALGA”, e la tipologia “mezzano” ,“vecchio”, o “stravecchio”. Nella designazione è vietata l’aggiunta di qualsiasi indicazione di origine non espressamente prevista dal presente disciplinare o indicazioni complementari che potrebbero trarre in inganno il consumatore. | D.O.P | Formaggi | Trentino alto Adige | Trento |