Disciplinare di produzione - Miele della Lunigiana DOP
Articolo 1. Nome del Prodotto
La denominazione di origine protetta "Miele della Lunigiana" è riservata alle due tipologie: Miele di Acacia e Miele di Castagno, che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.
Articolo 2. Descrizione del prodotto
2.1 Si definisce "Miele della Lunigiana" di Acacia, il Miele prodotto su fioritura di Robinia pseudoacacia L.
Si definisce "Miele della Lunigiana" di Castagno, il Miele prodotto su fioritura di Castanea sativa M.
2.2 Caratteristiche del prodotto
2.2.1 "Miele della Lunigiana" di Acacia
2.2.1.1 Caratteristiche organolettiche
Il "Miele della Lunigiana" di Acacia presenta le seguenti caratteristiche:
- si mantiene a lungo liquido e limpido; può tuttavia presentare, nella parte finale del periodo di commercializzazione, una parziale formazione di cristalli, senza comunque arrivare ad una cristallizzazione completa;
- consistenza: sempre viscosa, in funzione del contenuto d'acqua;
- colore: molto chiaro, da pressoché incolore a giallo paglierino;
- odore: leggero, poco persistente, fruttato, confettato, simile a quello dei fiori;
- sapore: decisamente dolce, con leggerissima acidità e privo di amarezza. L'aroma è molto delicato, tipicamente vanigliato, poco persistente e privo di retrogusto.
2.2.1.2 Caratteristiche chimico - fisiche e microscopiche
Oltre ai requisiti previsti dalla normativa vigente, il "Miele della Lunigiana" di Acacia deve presentare le seguenti caratteristiche:
- contenuto in acqua: non superiore a 18 %;
- contenuto in idrossimetilfurfìirale (HMF): non superiore a 10 mg/ kg al momento delľinvasettamento.
2.2.1.3 Caratteristiche melissopalinologiche
Il sedimento del miele si presenta in genere povero di polline, con un numero di granuli di polline di acacia inferiore a 20.000/ 10 g di miele.
2.2.2 "Miele della Lunigiana" di Castagno
2.2.2.1 Caratteristiche organolettiche
Il "Miele della Lunigiana" di Castagno presenta le seguenti caratteristiche:
- si mantiene per lungo tempo allo stato liquido; può tuttavia presentare, nella parte finale del periodo di commercializzazione, una parziale ed irregolare cristallizzazione;
- colore: ambra scuro, spesso con tonalità rossastra;
- odore: abbastanza forte e penetrante;
- sapore: persistente, con componente amara più o meno accentuata.
2.2.2.2 Caratteristiche chimico - fisiche e microscopiche
Oltre ai requisiti previsti dalla normativa vigente, il "Miele della Lunigiana" di Castagno deve presentare le seguenti caratteristiche:
- contenuto in acqua: non superiore a 18%;
- contenuto in idrossimetilfurfìirale (HMF): non superiore a 10mg/kg al momento delľinvasettamento.
2.2.2.3 Caratteristiche melissopalinologiche
Il sedimento del miele si presenta ricco di polline, con un numero di granuli pollinici di castagno superiore a 100.000/1 Og di miele.
Articolo 3. Zona di produzione
La zona di produzione, trasformazione, elaborazione e condizionamento del "Miele della Lunigiana" di Acacia e di Castagno è costituita dalla parte di territorio della provincia di Massa Carrara individuato come segue (intero territorio comunale): Comune di Pontremoli, Zeri, Mulazzo, Tresana, Podenzana, Aulla, Fosdinovo, Filattiera, Bagnone, Villafranca in Lunigiana, Licciana Nardi, Cornano, Fivizzano, Casóla in Lunigiana.
Tale areale, in un unico corpo, si estende per circa ha. 97.000, così come da cartografia allegata.
Articolo 4. Elementi che comprovano l'origine
Gli elementi che comprovano l'origine del prodotto sono costituiti da:
- riferimenti storici che attestano l'origine ed il legame nel tempo con il territorio, quali il forte radicamento, il grande peso e la specializzazione dell'apicoltura in Lunigiana; utilizzo da secoli del miele in ricette tipiche e tradizionali della gastronomia locale; utilizzo di altri prodotti derivati dall'apicoltura come medicinali e per la fabbricazione locale delle candele;
riferimenti culturali quali i numerosi successi riscossi dai mieli lunigianesi in importanti concorsi a carattere nazionale ed intemazionale;
riferimenti sociali ed economici quali la presenza nella zona da innumerevoli anni di produttori di miele; ai produttori residenti, da moltissimi anni si sono affiancati produttori provenienti da altre zone e regioni italiane, richiamati dalla possibilità di ottenere miele di elevata qualità.
Articolo 5. Metodo di ottenimento
5.1 Alveari e postazioni
Gli alveari di produzione possono essere "stanziali", cioè permanere per l'intero arco dell'anno nella stessa postazione, o "nomadi", ma con spostamenti entro il territorio sopra descritto per tutto il periodo delle fioriture interessate; le postazioni devono essere comunque localizzate nell'ambito del territorio sopra individuato. In ogni caso all'inizio del raccolto i melari utilizzati devono essere rigorosamente vuoti.
5.2 Produzione
Gli alveari destinati alla produzione sono condotti secondo le seguenti indicazioni:
- le famiglie devono essere contenute in amie razionali, cioè a favi mobili e a sviluppo verticale;
- gli alveari devono essere sottoposti alle misure profilattiche e agli interventi terapeutici necessari al preventivo contenimento delle malattie secondo le disposizioni del Servizio Sanitario Nazionale;
- l'eventuale nutrizione artificiale deve essere sospesa prima della posa dei melari e comunque deve essere effettuata solo con zucchero e acqua;
- i favi dei melari devono essere vuoti e puliti al momento dell'immissione nell'alveare e non devono avere mai contenuto covata; al momento dell'immissione dei melari bisogna utilizzare l'escludi regina o altro idoneo strumento per evitare l'ovideposizione nel melario;
- il prelievo dei melari avverrà dopo che le api saranno state allontanate dagli stessi con un metodo che preservi la qualità del prodotto (ad es. con apiscampo o soffiatore); è vietato l'uso di sostanze repellenti.
5.3 Estrazione e lavorazione
Per beneficiare della Denominazione di Origine Protetta il miele deve essere estratto e lavorato con le seguenti modalità:
i locali destinati alla smielatura, lavorazione e conservazione del miele devono ricadere nell'ambito territoriale di produzione e rispondere alle norme legislative vigenti;
tutta l'attrezzatura utilizzata per la smielatura, conservazione, lavorazione del Miele deve essere fatta di materiale per uso alimentare e previsto dalla vigente normativa comunitaria e nazionale;
- l'estrazione deve essere fatta con smielatori centrifughi; la filtrazione deve essere fatta con filtro permeabile agli elementi figurati del Miele; successivamente alla filtrazione il Miele deve essere posto in recipienti per la decantazione;
- ove si renda necessario riscaldare il Miele a fini tecnologici (trasferimento, invasettamento, ecc.) il trattamento termico deve essere limitato al tempo effettivamente necessario per le operazioni suddette e la temperatura del prodotto non deve mai superare i 40° C;
5.4 Confezionamento
Sono consentite esclusivamente confezioni in vetro con chiusura twist-off nei seguenti formati: da 30 g a 1000 g.
Il confezionamento del prodotto deve avvenire nell'ambito della zona di cui all'art. 3. Detto condizionamento nella zona geografica delimitata, al pari delle altre fasi del processo produttivo, costituisce una pratica tradizionalmente in uso nella stessa area ed è giustificata dai seguenti motivi:
a) per salvaguardare la qualità del prodotto, in quanto con il confezionamento in zona delimitata vengono evitati tutti i rischi di alterazione delle caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche che potrebbero verificarsi spostando il miele in altre aree, con gli inevitabili spostamenti e variazioni di condizioni fisiche ed ambientali;
b) per garantire il controllo e la rintracciabilità del prodotto, in modo da rendere efficace l'attività di controllo esercitata dall'Organismo autorizzato in tutte le fasi del processo produttivo, prevista obbligatoriamente all'art. 7 del presente disciplinare (ai sensi dell'art.
10 del reg. n. 2081/1992).
Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente
Il "Miele della Lunigiana" presenta un profondo legame con l'ambiente in tutte le fasi della sua produzione.
L'areale della zona di produzione è costituito da un unico corpo e corrisponde interamente al territorio dell'attuale Comunità Montana della Lunigiana i cui confini geografici coincidono quasi interamente con quelli naturali, costituiti dagli spartiacque montani che delimitano la Lunigiana dalle altre valli limitrofe.
Il "Miele della Lunigiana" è prodotto in un territorio complessivamente omogeneo caratterizzato da un ambiente naturale sostanzialmente intatto.
Il territorio lunigianese presenta un'ampia diffusione sul territorio di essenze arboree spontanee e coltivate di Castagno e di Acacia che garantiscono, come si evince da studi scientifici, produzioni costanti e uniformi e fioriture tali da consentire importanti produzioni sicuramente monofloreali e competitive per le caratteristiche organolettiche.
La predetta connessione con l'ambiente determina un prodotto peculiare, le cui particolari caratteristiche distinguono tuttora il Miele di Castagno e di Acacia prodotti in Lunigiana rispetto ai mieli analoghi di altre zone.
Il legame con l'ambiente è comprovato dai seguenti adempimenti cui si sottopongono i produttori e/o confezionatori:
- iscrizione ad un apposito elenco tenuto dall'organismo di controllo di cui al successivo Art.7;
- denuncia all'organismo di controllo del numero di amie possedute e della produzione annuale di miele; tenuta degli appositi registri di produzione e confezionamento.
Articolo 7. Controlli
Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del Regolamento CEE η. 2081 del 14/07/1992.
Articolo 8. Etichettatura
Le indicazioni relative alla designazione e presentazione del prodotto confezionato sono quelle previste dalla legislazione vigente. Oltre a quelle previste, in etichetta devono comparire le seguenti indicazioni:
1) "Miele della Lunigiana" di Acacia o di Castagno;
2) D.O.P. - Denominazione di origine protetta;
3) logo della DOP, ai sensi del Reg. CEE 1726/98: tale logo può essere inserito o nell'etichetta o nel sigillo da apporre alla confezione;
4) il termine minimo di conservazione di cui agli art. 3 e 9 della direttiva 2000/13/CE deve essere indicato con la seguente dicitura "da consumarsi preferibilmente entro fine ..." , corredata dall'indicazione del mese e dell'anno; in ogni caso tale data non deve superare il periodo di due anni a decorrere dal confezionamento.
Possono altresì figurare in etichetta altre indicazioni facoltative a garanzia del consumatore e/o informazioni di carattere nutrizionale.
Articolo 1. Denominazione del prodotto
La denominazione di origine protetta «Miele delle Dolomiti Bellunesi», e' riservata al miele che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal Regolamento (CE) n. 510/06 ed indicati nel presente disciplinare di produzione.
Articolo 2. Descrizione del prodotto
Il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» viene prodotto dall'«Apis mellifera» a partire dal nettare dei fiori del territorio bellunese, tutto situato in territorio montano, e presenta caratteristiche qualitative peculiari.
Le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche e melisso-palinologiche infatti, sono strettamente legate alla flora tipica degli ambienti montani, anche di alta quota e, in funzione delle differenti specie botaniche che fioriscono scalarmente durante il periodo di produzione e della conseguente origine floreale, si distinguono le seguenti tipologie di «Miele delle Dolomiti Bellunesi»:
Articolo 3. Zona di produzione, lavorazione e confezionamento
La zona geografica di produzione del «Miele delle Dolomiti Bellunesi» interessa l'intero territorio della provincia di Belluno, tutto situato in zona svantaggiata di montagna i cui confini amministrativi sono limitati da catene montuose che separano detta provincia a nord dall'Austria, ad est dalla Regione Friuli Venezia Giulia e ad ovest dalla Regione Trentino Alto Adige.
Il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» che viene prodotto, trasformato e lavorato al di sopra dei 600 metri di altitudine, può fregiarsi della menzione aggiuntiva «Prodotto della Montagna».
Articolo 4. Prova dell'origine
Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna, gli input e gli output. In questo modo e attraverso l'iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle arnie, dei produttori e dei confezionatori, la tenuta di registri di produzione e di confezionamento nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, e' garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
Articolo 5. Metodo di ottenimento del prodotto
Produzione: il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» e' prodotto da un ecotipo locale di Apis mellifera che deriva da incroci tra diverse razze apistiche, prevalentemente tra l'Apis ligustica e la carnica, che raccolgono il nettare presente nelle fioriture locali, tipiche di questo territorio montano, quali, prevalentemente, l'acacia, il tiglio, tarassaco, il castagno, il
rododendro e varie labiacee nonché da infinite altre varietà di specie erbacee, arboree ed arbustive presenti in forma spontanea.
Per un'eventuale nutrizione proteica alle famiglie di api e' vietato l'impiego di prodotti contenenti polline d'origine diversa da quella strettamente locale.
Il miele, si ottiene da arnie stanziali o che vengono periodicamente spostate solamente all'interno del territorio bellunese previsto all'art. 3; tale miele deve venir estratto direttamente dai favi dei melari mediante centrifugazione. Sono vietate altre manipolazioni o trattamenti aggiunti.
Raccolta. All'inizio delle fioriture nel territorio si provvede alla posa dei melari interponendo tassativamente un «escludi regina» tra il nido e il primo melario allo scopo di evitare che la regina possa estendere la deposizione delle uova anche nei melari. La raccolta del prodotto deve avvenire a completata opercolatura del miele depositato nei favi da melario, in funzione del giusto grado d'umidità del prodotto. Al momento del prelevamento dei melari le api possono venire allontanate con metodi che non devono alterare la qualità del prodotto, quali l'api-scampo o il soffiatore, evitando tassativamente l'impiego di affumicatori o sostanze repellenti che potrebbero trasferire al miele odori e sapori estranei.
La raccolta del miele avviene sempre per fasi successive, in concomitanza delle diverse fioriture, al fine di ottenere un prodotto monofloreale differenziato. Eventuali trattamenti sanitari, da eseguire alle api solo ed esclusivamente al termine di ogni fioritura e dopo il prelievo di tutti i melari, devono rispettare, in modo rigoroso, il Piano Regionale di profilassi che, annualmente, viene predisposto dal Centro Regionale di Apicoltura del Veneto, e devono essere praticati con totale rispetto delle modalità e dei tempi programmati, con principi attivi naturali che garantiscano l'assenza di residui nel prodotto.
Lavorazione. Tutto il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» DOP, prodotto nel territorio di cui all'art. 3, deve essere lavorato e preparato per la vendita in appositi laboratori di smielatura, autorizzati e controllati dal Servizio Veterinario competente per territorio.
Dopo la raccolta dei melari entro un massimo di cinque giorni, si deve procedere all'estrazione del prodotto dai favi di melario, operazione da eseguire tassativamente ed esclusivamente con la centrifugazione. Non sono consentiti altri metodi d'estrazione. Il miele così ottenuto viene collocato in appositi recipienti inox, detti maturatori, previa una filtrazione che consenta il passaggio di tutti i granuli di polline presenti nel prodotto per poterne verificare l'origine botanica.
La permanenza del miele nei maturatori deve prolungarsi per almeno 10-15 giorni, allo scopo di favorire e completare l'affioramento di schiuma o eventuali piccoli residui di cera, che saranno totalmente asportati prima del confezionamento. Dopo l'estrazione e la purificazione, sono consentite esclusivamente le operazioni tecnologiche che non alterino le caratteristiche tipiche del prodotto quali la cristallizzazione guidata e il riscaldamento per la fluidificazione del prodotto che, rigorosamente, non deve mai superare i 40°C. Tutto il ciclo di lavorazione del prodotto deve avvenire in ambienti asciutti, mettendo in atto ogni precauzione di ordine igienico-sanitario, necessaria per evitare qualsiasi contaminazione con sostanze estranee, sporcizia, insetti o altri animali.
Conservazione. La conservazione deve garantire il mantenimento delle caratteristiche del prodotto; in particolare i vasetti confezionati e pronti per la vendita vanno tenuti in ambiente asciutto, privo di odori estranei, in ambiente fresco e al riparo della luce.
Il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» DOP che utilizza anche la menzione "prodotto della montagna" deve essere prodotto in arnie stanziali o nomadi, in territorio montano bellunese, al di sopra dei 600 metri per tutto il periodo di produzione e deve essere lavorato e preparato per la vendita in appositi locali ubicati al di sopra dei 600 metri di altitudine.
Articolo 6. Legame con l'ambiente geografico
Fattori storici ed umani.
La pratica apistica e l'uso del miele in questi territori e' molto documentata e riguarda l'intero territorio bellunese. In un documento dei prezzi del 1712, si legge e si catalogano tre diversi tipi di miele commercializzato: «miele di fiori d'alta alpe», «miele di brugo»,«miele de' bosco misto».
Esiste una vasta documentazione della tradizionale cultura culinaria locale, sull'uso del miele «Miele delle Dolomiti Bellunesi», che proviene da documenti apocrifi con ricette databili attorno al 1580 e altre, più numerose, dal seicento in avanti, con indicazioni particolari per la produzione di dolci.
Non mancano riferimenti anche alla medicina popolare dove emerge un forte uso del miele«Miele delle Dolomiti Bellunesi» nei preparati usati, unitamente alle droghe vegetali, per la cura di sindromi respiratorie. L'utilizzo del miele in medicina popolare e' ricavato, anche, da riferimenti tramandati in forma scritta e verbale, raccolti soprattutto in due zone del bellunese, il Comelico e lo Zoldano, dove viene consigliato per svariati utilizzi: come conservante, integratore alimentare, fluidificatore del sangue, ricostituente, ecc.).
In alcuni musei etnografici locali, che raccolgono vecchie attrezzature agricole, sono presenti soprattutto arnie villiche che risalgono ai primi anni del secolo scorso, molte delle quali ricavate da tronchi cavi opportunamente modellati.
Lo strettissimo legame dell'apicoltura, fra gli antichi abitatori delle dolomiti, forse unico in Italia e in Europa, si ricava addirittura da reperti che testimoniano chiaramente l'importanza dell'ape nella vita di queste popolazioni, fin dalla notte dei tempi.
I riferimenti riguardano la scoperta, nel giugno del 1987, in località Mondeval de Sora, a 2.150 metri di quota nelle Dolomiti, tra Selva e S. Vito di Cadore di un cacciatore mesolitico datata 7.300 anni e, ad un anno di distanza, in Val Rosna in comune di Sovramonte nelle Dolomiti Feltrine, veniva alla luce la sepoltura di un giovane, di 25 anni circa, datata 12.000 anni. In entrambi i casi, fra gli oggetti di corredo erano presenti due blocchi semisferici che all'analisi risultavano essere uno di propoli e l'altro di resina quasi pura di pino silvestre e abete rosso, solo parzialmente impastata di propoli, come descritto in testi degli anni '80.
In questo territorio, l'apicoltura, unitamente ad altre piccole attività, ha da sempre contribuito ad integrare il modesto reddito agricolo della povera gente di montagna.
Il «Miele delle Dolomiti Bellunesi», ha avuto modo d'essere presente presso lo stand di «Apidolomiti» a numerose fiere e manifestazioni agricole locali quali «Agrimont» di Longarone e la Mostra Mercato dei Prodotti Agricoli di Sedico, sin dal 1980.
Fattori ambientali.
La zona di produzione del «Miele delle Dolomiti Bellunesi» e' un territorio montano, tra vallate ed alte quote, che presenta caratteristiche pedoclimatiche particolari, ricco di boschi e pascoli, contraddistinto da una bassa concentrazione demografica.
Infatti, in tale zona di produzione, caratterizzata da particolari condizioni ambientali e socio economiche, non sono presenti grossi insediamenti industriali, ne' attività agricole intensive e nemmeno grandi vie di comunicazione, potenziali fonti d'inquinamento anche per i prodotti dell'apicoltura.
Le Dolomiti caratterizzano il territorio e le stesse condizioni climatico-ambientali del bellunese, temperatura e piovosità media, misurate storicamente dagli enti regionali, risultano fortemente differenti dalle altre zone limitrofe e dalle medie regionali. Le mappe relative alle precipitazioni ed alle temperature medie dell'aria, calcolate a partire dai dati giornalieri rilevati dalle centraline dislocate nella Regione Veneto nel decennio 1996 - 2005, mettono in evidenza come la zona individuata per la produzione del «Miele delle Dolomiti Bellunesi»sia caratterizzata da una piovosità che si aggira intorno ai 1.400 - 1.800 mm e da una temperatura dell'aria che nella stagione invernale varia da 6 a -10°C.
Il distretto della Provincia di Belluno, in gran parte all'interno del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, dispone di un vasto territorio che rappresenta il 56% della superficie boschiva della Regione Veneto ed e' considerato di eccezionale rilevanza per la conservazione degli ecosistemi naturali, con ricca presenza di specie botaniche fortemente nettarifere. Le Dolomiti Bellunesi, infatti, definiscono un'area omogenea e lineare; tale ambito e' caratterizzato dalla quasi integrale assenza di insediamenti industriali e da peculiari risorse geomorfologiche ed ecosistemi di elevato pregio floro-faunistico e geologico. Ciò e' il risultato dell'alternarsi delle glaciazioni del Quaternario che provocarono una curiosa ed irripetibile composizione di specie tipiche dei climi più freddi con altre provenienti dai climi più caldi e secchi.
Lo sviluppo di una flora alpina tipica del territorio bellunese e la larga diffusione di piante arboree ed erbacee di interesse apistico, rendono questo territorio una zona adatta a conferire al «Miele delle Dolomiti Bellunesi» le tipiche caratteristiche organolettiche che lo distinguono da altri mieli.
Il Miele delle Dolomiti Bellunesi si contraddistingue anche grazie all'attività dell'ecotipo locale di Apis mellifera, da decenni allevata nel bellunese e che nel corso del tempo si e' particolarmente adattata alle peculiarità dell'ambiente montano bellunese.
Proprio grazie al suo adattamento non si sono mai riscontrati particolari problemi legati alle temperature: se ben correttamente invernata, sopporta bene le basse temperature anche per lunghi periodi; così come le alte temperature non sono mai tali da creare inconvenienti a questo tipo di allevamento.
Articolo 7. Riferimenti relativi alle strutture di controllo
Il controllo sulla conformita' del prodotto al disciplinare, e' svolto da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Regolamento CE n. 510/2006.
Articolo 8. Etichettatura
Per il confezionamento, del "Miele delle Dolomiti Bellunesi" sono utilizzati contenitori di vetro da 250, da 500 o da 1000 grammi, chiusi con tappo metallico e sigillati con l'etichetta distribuita ai produttori che hanno dichiarato di accettare integralmente il presente disciplinare e che si sottopongono ai controlli previsti nel precedente articolo 7.
Nell'etichetta, che ha anche la funzione di sigillo, sono riportate, le seguenti indicazioni:
- la denominazione del prodotto, «Miele delle Dolomiti Bellunesi»;
- l'acronimo DOP o Denominazione di Origine Protetta
- il peso netto;
- il nome e/o la ragione sociale del produttore;
- la sede del produttore e il luogo di lavorazione del prodotto;
- il numero del lotto di produzione;
- la data di scadenza del prodotto.
Qualunque altra scritta o marchio deve aver dimensioni inferiori al logo della denominazione.
E' inoltre possibile il confezionamento del miele in bustine, vaschette o vasetti di materiale idoneo, in formato monodose, riportanti le suddette informazioni.
Per il «Miele delle Dolomiti Bellunesi» che possiede anche i requisiti per fregiarsi del riconoscimento aggiuntivo «prodotto della montagna», l'etichetta può essere integrata con l'apposizione della suddetta menzione, ma i caratteri di scrittura non possono superare quelli della denominazione. Solo a questi fini, sono identificate, come territorio montano, le zone della Provincia di Belluno situate ad un'altitudine superiore ai 600 metri.
Articolo 9. Trasformazione e/o elaborazione del prodotto
I prodotti per la cui preparazione e' utilizzata la DOP «Miele delle Dolomiti Bellunesi» anche a seguito di processi di elaborazione e di trasformazione, sono immessi al consumo in confezioni recanti il riferimento alla predetta denominazione, senza l'apposizione del logo comunitario, a condizione che: il suddetto riferimento sia fatto in modo tale che non possa sussistere dubbio per il consumatore circa il fatto che la protezione DOP concerne esclusivamente l'ingrediente e non il prodotto elaborato o trasformato; gli utilizzatori della DOP «Miele delle Dolomiti Bellunesi» siano autorizzati dal Consorzio incaricato della Tutela dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Lo stesso Consorzio incaricato provvederà anche ad iscriverli in appositi registri e a vigilare sul corretto uso della denominazione protetta.
Articolo 1. Denominazione del prodotto La Denominazione di Origine Protetta “Miele Varesino” è riservata al miele conforme ai requisiti ed alle prescrizioni stabilite nel presente disciplinare, della tipologia monoflorale:
MIELE VARESINO monoflorale di ACACIA.
Articolo 2. Zona di produzione
La zona geografica di produzione, sia per la fase di raccolta in campo che per quella di estrazione e preparazione per il consumo è delimitata dai confini del territorio della Provincia di Varese.
La Provincia di Varese (“Provincia Verde” e dei “Laghi”) è delimitata ad ovest dal Lago Maggiore (Verbano) e dal corso del fiume Ticino; a nord e, parzialmentea est, dal confine italo-svizzero, e nelle restanti direzioni dai confini con le province di Como e di Milano.
La zona prealpina si sviluppa tra il Lago Maggiore e il Lago di Lugano (Ceresio) in una intricata serie di brevi solchi vallivi, le cosidette valli varesine, separate da rilievi che mediamente superano poco i 1000 metri.
La zona contigua al capoluogo è un’area di transizione verso la pianura, modellata da bassi rilievi morenici e caraterizzata dalle piccole conche glaciali dei laghi di Biandronno,Varese, Monate e Comabbio.
Ancora più a sud i rilievi morenici degradano e, da Gallarate fino al confine con la provincia di Milano, il paesaggio è quello dell’alta pianura padana, con suoli ciottolosi di deposito alluvionale e ripiani inclinati verso sud ed intagliati dalla rete idrografica del fiume Olona, Bozzente, Lura, Arno e del “fiume azzurro” il Ticino.
Gli apiari per la produzione del miele monoflorale di “acacia”, al momento della raccolta del nettare sono ubicati in pianura, in collina ed sulle montagne varesine ad una altezza che non deve superare i 600 m. sul livello del mare.
Articolo 3. Caratteristiche del prodotto Per “MIELE VARESINO” si intende il miele prodotto da alveari localizzati, nel periodo di bottinatura del nettare, all’interno del territorio della Provincia di Varese che deve essere estratto da favi e preparato per la commercializzazione all’interno dello stesso territorio.
Il “MIELE VARESINO” di acacia, dizione utilizzata per il miele monoflorale di Robinia Pseudoacacia L., viene così definito in quanto proviene da un’unica origine floreale e ne possiede le caratteristiche organolettiche, chimico-fisiche e microscopiche definite di seguito.
3.1 Caratteristiche chimico fisico generali.
Il contenuto di acqua del “MIELE VARESINO” non deve essere superiore al 17.50%.
Indice HMF idrossimetilfulfurale inferiore a 15 mg/kg.
3.2 Caratteristiche organolettiche
Le caratteristiche organolettiche dipendono dall’origine floreale e sono di conseguenza lievemente diverse in rapporto alle diverse componenti nettarifere e dalle zone di produzione:
Colore: trasparente, da quasi incolore a giallo paglierino.
Odore: generico di miele, leggero e delicato, privo di odori marcati.
Sapore: molto dolce, delicato, confettato e vanigliato.
Stato fisico: tipicamente liquido, cristallizzazione rara e comunque molto ritardata.
3.3.Caratteristiche melissopalinologiche
Classe di rappresentatività: PK/10g inferiore a 20.000 (media 9.500).
Il polline di Robinia si trova in modo ricorrente associato a quello di specie non nettarifere, la maggior parte delle quali presenti diffusamente allo stato spontaneo nei robinieti della zona di produzione, come Graminaceae, Fraxinus, Quercus robur gr., Rumex, Sambucus nigra, Chelidonium e Luzula. Tra le specie spontanee di tipo nettarifero si riscontrano Acer, Prunus f., Salix, Trifolium repens e Castanea sativa, quest’ultima sempre rappresentata negli spettri pollinici.
Tra le piante coltivate o perlopiù presenti in modo prevalente in impianti forestali artificiali, giardini e parchi, troviamo ben rappresentate sia specie non nettarifere (Actinidia, Pinaceae) che nettarifere (Aesculus, Gleditsia, Liriodendron).
Nella parte centro-settentrionale della zona di produzione lo spettro risulta ancor più caratteristico per la presenza di pollini appartenenti a specie di piante sempreverdi (laurofille), tra cui spiccano Ilex aquifolium e la palma Trachycarpus fortunei (una volta chiamata Chamarops excelsa), quest’ultima specie ricorrentemente rappresentata negli spettri pollinici.
Occorre infine rimarcare l’assenza di polline di Loranthus europaeus e di leguminose foraggere, quali Onobrychis, Hedysarum coronarim tutte specie mancanti nella zona di produzione.
Il Polline di Robinia è il principale polline del miele di acacia con percentuali molto variabili (generalmente superiori a 25%), campo di variazioni 15-70% rispetto allo spettro pollinico complessivo.
Articolo 4. Prova dell’origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli imput e gli output. In questo modo e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, delle arnie, dei produttori e dei confezionatori, la tenuta di registri di produzione e di confezionamento nonché attraverso l’immediata dichiarazione alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto.
Tutte le persone fisiche o giuridiche iscritte nei relativi elenchi sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.
Articolo 5. Descrizione del metodo di ottenimento del prodotto 5.1 Conduzione degli alveari
Gli alveari di produzione possono essere:
“stanziali”, cioè permanere nella stessa postazione per l’intero arco dell’anno di produzione.
“nomadi” con spostamenti entro il territorio sopra descritto per tutto il periodo della fioritura interessata e provenienti da postazioni esterne dal territorio ma devono giungervi privi di melario o con melario vuoto.
Sono utilizzate arnie razionali (a favo mobile) a sviluppo verticale e, al momento del raccolto produttivo delle api, verranno impiegati melari vuoti e puliti.
E’ assolutamente vietato utilizzare per la nutrizione proteica, pollini di origine diversa da quella strettamente di produzione locale.
Durante l’ispezione degli alveari, il fumo necessario deve essere prodotto con materiali vegetali di natura cellulosica che non devono trasferire al miele odori estranei o residui di combustione.
5.2 Prelievo, Estrazione e Preparazione al consumo
E’ fatto divieto di usare sostanze repellenti.
Per l’utilizzo della denominazione di origine protetta “MIELE VARESINO”, il miele deve essere estratto e preparato per il consumo attraverso le seguenti fasi:
l’estrazione deve essere effettuata esclusivamente da favi di melario privo di covata;
i locali destinati alla smielatura, lavorazione conservazione del miele devono essere ubicati nell’ambito territoriale della zona di produzione;
l’estrazione è condotta esclusivamente con smielatori centrifughi. La filtrazione deve essere eseguita per gravità con filtri permeabili agli elementi figurati del miele (pollini). Successivamente alla filtrazione il miele deve essere posto in recipienti provvisti di coperchio, al fine della decantazione.
La qualità del prodotto viene assicurata con l’osservanza, da parte degli operatori, di tecniche di buone prassi apistiche riguardanti l’allevamento delle famiglie, la produzione, il prelievo dei melari, l’estrazione del miele, la preparazione al consumo del raccolto e la conservazione dello stesso.
Nel caso il miele, ancora contenuto nei melari, presenti un contenuto di acqua superiore a 17.50% è consentito un trattamento dei favi con corrente di aria calda e secca e/o con deumidificatore al fine di portare l’umidità ad un valore inferiore a 17.50%.
E’ fatto assoluto divieto trattare il prodotto con temperature superiori a 40 gradi.
5.3 Conservazione
Il miele prodotto può essere conservato, confezionato ed etichettato entro 24 mesi dalla data di estrazione.
I locali dove viene conservato il miele devono essere asciutti, areati e, se necessario, ad umidità controllata.
Articolo 6. Legame con l’ambiente geografico Fattori storici ed umani
Nella provincia di Varese l’apicoltura ha sempre avuto un ruolo di primaria importanza nell’economia rurale di questo territorio.
Tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento due eventi importanti diedero un notevole impulso all’apicoltura varesina.
Innanzitutto con la costruzione della rete ferroviaria italiana realizzata dall’unità d’Italia in poi, la Robinia pseudoacacia fu utilizzata per consolidare i pendii delle scarpate e delle trincee che grazie alle sue ramificate radici superficiali assicurava un ottimo consolidamento dei terreni.
La specie, originaria del Nord America, si diffuse in Italia verso la fine del XVIII secolo quale pianta da giardino e dimostratasi subito vigorosa e di facile adattamento a diversissime condizioni pedoclimatiche passò ad usi forestali. La specie, trovò nella provincia di Varese un habitat ideale per l’indice di piovosità, per il tipo di terreno e per le temperature. La diffusione che ebbe al di fuori della rete ferroviaria fu enorme, e tutti quei terreni abbandonati dall’agricoltura in conseguenza alla forte industrializzazione di quegli anni insieme ai boschi incolti/trascurati, furono colonizzati dalla Robinia. Le piante iniziarono a produrre il prelibato nettare che avrebbe dato luogo al famoso miele di Acacia (così battezzato dai francesi in tutto il mondo).
Contestualmente l’apicoltura cosiddetta Villica si stava trasformando in apicoltura Razionale che permetteva di prelevare il miele senza dover ricorrere all’apicidio e di ottenere dei mieli monoflorali, impossibili da produrre con il sistema villico.
“Le prime arnie razionali comparvero a Cassano presso il dott. Dubini e … a Golasecca e Coarezza … dai soci, geometra Giacomo Guazzoni e Fresca, nel 1882 acquistando bugni villici che travasavano nell’arnia ideata dal Guazzoni stesso, a fondo mobile e a soffitta mezza mobile. Nel 1887 il Guazzoni costruì lo stampo per fogli cerei, il primo con metallo da caratteri da stampa, in seguito di alluminio e ne diffuse un po’ da tutte le parti, ed uno anche in Siberia. I due soci concorsero in diverse esposizioni guadagnandosi diplomi e medaglie. … l’arnia Guazzoni … poteva essere tenuta chiusa in apiario: … le operazioni si eseguivano più facilmente, perché apribile anche nella parte superiore”. Questi eventi consentirono di produrre mieli monoflorali, oltre al tradizionale castagno, già a far data dai primi anni del novecento: poteva essere ottenuto il miele di acacia, grande novità per quei tempi, determinando quindi un notevole incremento dell’apicoltura nella provincia di Varese nei successivi anni. Tale attività costituiva la principale fonte di reddito per gli apicoltori.
I boschi di robinia del territorio varesino fin da subito sono diventati meta di apicoltori provenienti da altri territori; tuttora il patrimonio boschivo offre nettare oltre che ai 12.000 alveari “Varesini” ad altrettanti alveari “Forestieri”. Negli ultimi anni l’apicoltura in provincia di Varese ha fatto passi da gigante infatti sempre più si dedicano a questa attività, quale fonte di reddito, apicoltori professionisti, senza tener conto dei semiprofessionisti ed hobbisti che, vista la forte presenza di boschi, si dedica a questa passione anche quale fonte di reddito alternativa.
A testimonianza di ciò si ricorda che fin dal 1934 esiste un Consorzio provinciale Obbligatorio fra Apicoltori convertito nel 1983 in Associazione Produttori Apistici della Provincia di Varese e affiancato nel 1989 dal Consorzio Qualità Miele Varesino.
Si evidenzia che da tantissimi anni durante la fioritura della Robinia Pseudoacacia, sul territorio della provincia di Varese la presenza degli alveari si raddoppia passando da 12.000 a oltre 20.000 arnie. La motivazione di questo notevole incremento è da ricondursi al fatto che a differenza da altre zone in cui si produce il miele d’acacia, nel territorio varesino non ci sono colture agrarie o essenze spontanee che influenzano con la loro fioritura la qualità del prodotto che risulta così più puro e pienamente rispondente alla migliore tipicità del miele di acacia.
Fattori ambientali
Da sud a nord la provincia di Varese può essere ripartita per il 22% a pianura (alta pianura), il 46% a collina ed infine il 32% a montagna. L’alta pianura è formata da depositi alluvionali terrazzati di origine fluvioglaciale, in particolare da sedimenti grossolani, costituiti da ghiaie e ciottoli. La zona collinare è prevalentemente costituita da depositi morenici intervallati a piane. I rilievi montuosi, confinati nella zona settentrionale, presentano litologie di natura carbonatica (marne e soprattutto dolomie e calcari) oppure silicatica (rocce metamorfiche, come gneiss e micascisti, e ignee, come granofiri e porfiriti).
Il clima di tipo temperato suboceanico è caratterizzato da precipitazioni copiose, più o meno regolarmente distribuite durante l’anno, e da escursioni termiche piuttosto contenute. Le temperature medie annuali oscillano tra gli 8 °C sui rilievi montuosi sino ai 13°C in pianura, mentre le precipitazioni medie annuali aumentano da sud a nord, passando da valori di 1100 mm a 2100 mm.
I numerosi specchi lacustri contribuiscono all’eterogeneità del territorio, anche sotto il profilo microclimatico.
Nella parte planiziale l’uso del suolo è per la maggior parte rappresentato da insediamenti residenziali e produttivi oltre che da seminativi. Procedendo verso nord, aumentano progressivamente gli ambienti a maggior naturalità (boschi, prati, aree umide, ecc.), tanto che le zone montuose sono ammantate da boschi di latifoglie, come querceti, acero-frassineti, castagneti e faggete.
Complessivamente i boschi della provincia di Varese ricoprono una superficie di circa 541 km2, pari al 45% dell’intera superficie provinciale. L’acacia o robinia (Robinia pseudoacacia) costituisce boschi monospecifici (robinieti puri) oppure consorzi con altre specie forestali (robinieti misti). Nell'insieme i robinieti ricoprono una superficie di circa 163 km2, corrispondente al 30% della superficie forestale provinciale. I robinieti sono in particolar modo diffusi nella parte centro-meridionale (pianura e collina), dove rappresentano spesso l’unica tipologia forestale presente nella zona planiziale, mentre nella parte settentrionale (montagna) sono presenti soltanto a bassa quota; i robinieti, infatti, superano di rado i 600 m. di altitudine.
Nei boschi Robinia pseudoacacia si presenta associata ad Acer pseudoplatanus e A. campestre, Castanea sativa Corylus avellana, Crataegus monogyna, Fraxinus excelsior, Prunus avium e P. serotina, Robinia viscosa, Sambucus nigra e Quercus robur. Su alberi e arbusti si abbarbicano spesso liane, come Clematis vitalba, Hedera helix, Lonicera japonica, Parthenocissus quinquefolia e Rosa multiflora. Lo strato erbaceo è piuttosto variabile in relazione alle caratteristiche del suolo ed è normalmente ricco di specie della famiglia delle Graminaceae (soprattutto Brachypodium sylvaticum, Holcus mollis, Molinia arundinacea, Poa nemoralis e P. sylvicola) e dei generi Luzula (L. multiflora, L. nivea e L. pilosa) e Carex (C. brizioides, C. digitata, C. muricata agg. e C. sylvatica), oltre che di Alliaria petiolata, Anemone nemorosa, Chelidonium majus, Circaea lutetiana, Duchesnea indica, Galeopsis pubescens, Galium aparine, Geum urbanum, Polygonatum multiflorum, Primula vulgaris, Rubus fruticosus, Vinca minor e Viola odorata. Nella parte centro-settentrionale della provincia i robinieti si arricchiscono di specie arboree e arbustive sempreverdi (Elaeagnus pungens, Laurus nobilis, Ilex aquifolium, Ligustrum lucidum, Prunus laurocerasus Taxus baccata e la palma Trachycarpus fortunei), molte delle quali termicamente esigenti e originarie di climi tropicali caldo-umidi. Gli esemplari naturalizzati di queste particolari specie, collettivamente chiamate laurofille, sono il risultato di un processo di spontaneizzazione che parte dai numerosi centri di dispersione (parchi e giardini) presenti storicamente sul territorio, soprattutto nelle zone circostanti i principali laghi dove trovano accoglimento ville settecentesche e ottocentesche. I parchi e i giardini ospitano, in generale, una ricca diversità di specie, in particolare di dendroflora, tra cui spiccano Aesculus hippocastanum, Gleditsia triacanthos, Liriodendron tulipifera, Prunus cerasifera e numerose specie di conifere appartenenti alla famiglia delle Pinaceae (Cedrus atlantica e C. deodara, Chamaecyparis lawsoniana, Picea abies e Pinus strobus).
Nel periodo di fioritura di Robinia pseudoacacia non si manifestano comunque altre fioriture di specie nettarifere così ugualmente importanti da un punto di vista quantitativo, che possano andare ad inficiare la monofloralità del miele prodotto.
Fattori produttivi
L’attività apistica è diffusa e sviluppata su tutto il territorio provinciale ed è caratterizzata da aziende produttive che operano con grande passione in regime di professionismo, semi-professionismo e hobbysti, considerando questa attività un’importante punto di forza della economia della produzione agricola nella provincia di Varese.
Tradizionalmente l’attività si compone di apiari stanziali ed anche nomadisti che vanno dalla pianura alla collina ed alla montagna seguendo le varie fasi di fioritura.
La provenienza del “MIELE VARESINO” è verificabile mediante l’analisi melissopallallinologica.
6.1 Identificazione del prodotto
Il “MIELE VARESINO” in ogni sua fase di produzione deve assicurare la tracciabilità del prodotto.
Articolo 7. Controlli La verifica sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto da una struttura di controllo, in conformità a quanto stabilito dagli art. 10 e 11 del Reg. (CEE) n. 510/2006.
L’Organismo di controllo è: I.M.C. S.r.l. - Via Pisacane, 32 - 60019 Senigallia (AN) - tel. +039. 071 7930179 fax +039 071 7910043, e-mail: imcert@imcert.it
Articolo 8. Etichettatura Le indicazioni relative alla designazione e presentazione del prodotto confezionato sono quelle prevista dalla vigente legislazione.
Oltre a quelle previste, in etichetta devono esserci le seguenti indicazioni:
la denominazione “MIELE VARESINO” come descritto nell’art.1 del presente disciplinare;
l’acronimo “DOP” o per esteso “Denominazione d’Origine Protetta”;
il logo comunitario di identificazione dei produttori a Denominazione di Origine Protetta;
la data di produzione corrispondente al mese ed anno di estrazione, preceduta dalla parola “Produzione” (esempio Produzione maggio 2011)
le modalità di conservazione: “da conservarsi in luogo fresco e asciutto e al riparo dalla luce”;
da consumarsi entro; mese ed anno” corrispondenti a non più di 36 mesi dalla data di estrazione”.
Possono inoltre comparire sull’etichetta:
indicazioni nutrizionali
consigli per l’uso.
Articolo 9.
Utilizzo del marchio L’utilizzo del marchio “MIELE VARESINO” è riservato agli apicoltori che risiedono, producono ed hanno il laboratorio nella zona di produzione da almeno tre anni.