Prodotto | Valutazione | Categoria | Regione | Città | ||||||||||||||||||||||||||||
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Bresaola della Valtellina Bresaola della Valtellina " IGP Disciplinare di produzione "Bresaola della Valtellina " IGPArticolo 1. Denominazione L'Indicazione geografica protetta "Bresaola della Valtellina" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione La "Bresaola della Valtellina" viene elaborata nella tradizionale zona di produzione che comprende l'intero territorio della provincia di Sondrio. Articolo 3. Materie prime La "Bresaola della Valtellina" è prodotta esclusivamente con carne ricavata dalle cosce di bovino dell'età compresa fra i 18 mesi e i quattro anni. Le masse muscolari della coscia di bovino, private di ossa, dalle quali si ricava la bresaola, sono le seguenti: - a.fesa, che corrisponde alla porzione posteromediale della muscolatura della coscia e comprende il muscolo retto interno, il muscolo adduttore, e il muscolo semimembranoso; - b.punta d'anca, che, corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore; - c.sottofesa, che corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente il muscolo lungo vasto; - d.magatello, che corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente il muscolo semitendinoso; - e.sottosso, che corrisponde alla fascia anteriore della coscia ed è composta dal muscolo retto anteriore e dal muscolo vasto interno ed intermedio. Articolo 4. Metodo di elaborazione Le masse muscolari utilizzate per la produzione vengono opportunamente rifilate con asportazione del grasso esterno e delle parti tendinose esterne curando di non inciderle, perché esse formano, integralmente e singolarmente, i pezzi da salare ed essiccare. La salagione è effettuata con metodo detto «a secco». Alla carne bovina vengono aggiunti cloruro di sodio e aromi naturali. Possono essere inoltre impiegati vino, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio, nitrato di sodio e/o potassio, nitrito di sodio e/o potassio, nella dose max di 195 p.p.m. quale limite della quantità introdotta o comunque assorbita, acido ascorbico e/o suo sale sodico. La soluzione salina si forma con il succo della carne. La salagione ha una durata complessiva media da 10-15 giorni secondo il peso dei pezzi. L'insaccamento viene effettuato mediante l'immissione di ogni singolo pezzo in budello naturale. E' consentito anche l'eventuale impiego di budello artificiale. L'asciugamento ha la durata media di una settimana e deve con sentire una rapida disidratazione nei primi giorni di trattamento. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura deve essere effettuata in condizioni climatiche ideali per consentire una lenta e graduale riduzione di umidità. Viene condotta in locali appositamente climatizzati dove sia assicurato un ottimale ricambio d’aria, ad una temperatura media tra i 12 ed i 18°C. Il tempo di stagionatura, che comprende anche il tempo di asciugamento, varia da 4 a 8 settimane in funzione della pezzatura del prodotto e delle richieste di mercato. Per il prodotto commercializzato allo stato sfuso, non sottovuoto, il tempo di stagionatura può essere ridotto a 3 settimane. Sia per l’asciugamento che per la stagionatura non possono essere adottate tecniche che prevedano una disidratazione accelerata. E' consentita la ventilazione e l’esposizione all’umidità naturale tenuto conto dei fattori climatici presenti nella zona di produzione. Articolo 6. Caratteristiche La "Bresaola della Valtellina" all'atto della immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche organolettiche, chimiche e chimico-fisiche e merceologiche: Caratteristiche organolettiche: - consistenza: il prodotto deve avere consistenza soda, elastica; - aspetto al taglio: compatto e assente da fenditure; - colore: rosso uniforme con bordo scuro appena accennato per la parte magra; colore bianco per la parte grassa; - profumo: delicato e leggermente aromatico; - gusto: gradevole, moderatamente saporito, mai acido. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche: - 1.umidità t.q.: a.bresaola di punta d’anca confezionata allo stato sfuso: umidità max 63%; b.bresaola di punta d’anca confezionata sottovuoto: umidità max 62%; c.bresaola di magatello confezionata sottovuoto: umidità max 60%; d.bresaola preaffettata e confezionata sottovuoto o in atmosfera protettiva: max 60%. e.per tutte le altre tipologie di taglio e/o di confezionamento: max 65%. - 2.grasso: max 7%; - 3.ceneri: min 4%; - 4.cloruro di sodio: max 5%; - 5.proteine: a.bresaola preaffettata e confezionata sottovuoto o in atmosfera protettiva: min 33%. b.per tutte le altre tipologie di confezionamento: min 30%. Caratteristiche merceologiche: La "Bresaola della Valtellina" si presenta di forma vagamente cilindrica, anche se in alcuni casi per esigenze specifiche, i tagli possono essere pressati assumendo forma di mattonella. Il peso minimo della "Bresaola della Valtellina" è il seguente: - 1.bresaola di fesa: non inferiore a kg 3,500; - 2.bresaola di punta d'anca: a.destinata alla commercializzazione intera o in tranci: non inferiore a kg 2,500; b.destinata al preconfezionamento per l’affettamento sottovuoto o in atmosfera protettiva: non inferiore a kg 2,00; - 3.bresaola di sottofesa: non inferiore a kg 1,800; - 4.bresaola di magatello: non inferiore a kg 1,000; - 5.bresaola di sottosso: non inferiore a kg 0,800. Articolo 7. Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (U.S.L.) dello stabilimento, il quale ai sensi dei capitolo IV "controllo della produzione" del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 537, accerta e, mediante un'ispezione adeguata, controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti dal produttore e, in particolare, che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell'etichetta essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al capitolo V, punto 4 del sopracitato decreto legislativo (la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l'autorizza), la vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio della "Bresaola della Valtellina" di un consorzio costituito dai produttori conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 dei regolamento n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La Bresaola della Valtellina dovrà portare in etichetta le seguenti indicazioni: - “Bresaola della Valtellina”, che è intraducibile e deve essere apposta sull’etichetta in caratteri chiari, indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta ed essere immediatamente seguita in caratteri di stampa delle medesime dimensioni dalla sigla IGP e dal simbolo EU, che devono essere prodotti nella lingua in cui il prodotto viene commercializzato e nella forma ammessa dalla CE; È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E' tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente. La "Bresaola della Valtellina" può essere commercializzata intera, allo stato sfuso o sottovuoto, a pezzi, in tranci o affettata confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata. Le operazioni di confezionamento affettamento e porzionamento devono avvenire, sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 7, esclusiva mente nella zona di produzione indicata all'art. 2. Nota: Novembre 2010 - La Commissione europea ha accolto le modifiche al disciplinare di produzione della IGP “Bresaola della Valtellina”. Le modifiche riguardano, la descrizione del prodotto, il metodo di ottenimento, l’etichettatura e le materie prime. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Lombardia | Sondrio | ||||||||||||||||||||||||||||
Capocollo di Calabria Capocolo di Calabria DOP Disciplinare di produzione del Capocolo di Calabria DOPArticolo. 1 Denominazione La denominazione di origine protetta "Capocollo di Calabria" è riservata ai prodotti di salumeria aventi i requisiti fissati nel presente disciplinare di produzione. Articolo. 2 Zona di produzione L’elaborazione del Capocollo di Calabria deve avvenire nella tradizionale zona di produzione sita nel territorio della regione Calabria. Articolo. 3 Materie prime Il Capocollo di Calabria deve essere ottenuto dalla lavorazione di carni di suini nati nel territorio delle regioni Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia e Campania e allevati nel territorio della regione Calabria dall’età massima di quattro mesi. Le fasi di macellazione e lavorazione devono aver luogo nel territorio calabrese. Dalla lavorazione sono escluse le carni di verri e scrofe. I suini, al momento della macellazione, debbono essere di peso non inferiore a kg. 140, di età non inferiore ad otto mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano, ottenuto impiegando razze tradizionali di taglia grande quali: - Calabrese; - Large White e Landrace Italiana così come migliorate dal libro genealogico italiano o figli di verri di quelle razze; - suini figli di verri della razza Duroc, così come migliorate dal libro genealogico italiano; - suini figli di verri di altre razze o di verri ibridi purché detti verri – siano essi nati in Italia o all’estero - provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante. Per contro, sono espressamente esclusi: suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS); animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain e Spot. I suini debbono inoltre presentare il marchio di qualità "suino allevato in Calabria" e rispettare le prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e tecniche di allevamento. I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura non inferiore al 50% del contenuto. Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso sapori ed odori indesiderati. Per avere carni più compatte per l’ingrasso è vietata l’alimentazione a brodo. Per la confezione del Capocollo di Calabria è ammesso l’uso di soli ingredienti naturali quali sale (cloruro di sodio), pepe nero in grani ed in polvere, pepe rosso piccante, pepe rosso dolce, aceto di vino. Possono inoltre essere impiegati: caseinato, acido ascorbico e/o sale sodico, lattato di sodio, nitrato di sodio e/o di potassio, nitrito di sodio e/o di potassio. Il loro utilizzo è limitato a quanto consentito e fintanto che sia previsto dalle vigenti disposizioni di legge. Articolo. 4 Metodi di elaborazione Il "Capocollo di Calabria" è preparato utilizzando le carni della parte superiore del lombo dei suini, disossato e quindi salato a secco, con sale da cucina macinato. Il peso del capocollo, allo stato fresco, deve essere compreso tra i 3,5 ed i 4,5 chilogrammi. Il taglio di carne selezionato dal lombo, per la confezione del capocollo, deve presentare uno strato di grasso di circa 3-4 mm per mantenerlo morbido durante le fasi della stagionatura e migliorarne le caratteristiche organolettiche. La salatura dura da quattro ad otto giorni, dopo di che il capocollo viene lavato con acqua, bagnato con aceto di vino e sottoposto alla operazione di "massaggio" e "pressatura", aggiunto di pepe nero a grani e quindi avvolto in diaframma parietale suino.Infine si procede alla tradizionale legatura, in senso avvolgente, con spago naturale ed alla foratura dell’involucro. In seguito si appende a sgocciolare in locali ben ventilati nei quali si controlla l’umidità relativa e la temperatura. La stagionatura deve avvenire in locali a temperatura e umidità controllate, tali da limitare lo sviluppo della flora microbica e favorire invece la lenta maturazione. La maturazione avviene in non meno di cento giorni dalla data dell’avvenuta salatura. Articolo. 5 Stagionatura La stagionatura del Capocollo di Calabria deve essere fatta allo stato naturale in apposito ambiente, igienicamente sano, per cento giorni. Articolo. 6 Caratteristiche Il "Capocollo di Calabria" all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche. Di forma cilindrica, avvolto in pellicola naturale, legato a mano in forma avvolgente con spago naturale. Alla vista presenta un colore roseo o rosso più o meno intenso per la presenza di pepe nero o di peperoncino rosso macinato. Al taglio si presenta di colore roseo vivo con striature di grasso proprie del lombo suino. Il sapore è delicato che si affina con la maturazione; il profumo è caratteristico e di giusta intensità. Articolo. 7 Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo. 8 Designazione e presentazione La designazione della denominazione d’origine protetta Capocollo di Calabria deve essere realizzata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare nell’etichetta o cartellino allegato al prodotto o indicazione sulla confezione del prodotto porzionato, ed essere immediatamente seguite dalla menzione "Denominazione d’origine protetta". Le suddette diciture e menzioni sono intraducibili. Può inoltre comparire la sigla DOP in altra parte dell’etichetta nel medesimo campo visivo. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "Denominazione d'origine protetta" nella lingua del paese di destinazione. Tali indicazioni sono abbinate inscindibilmente al marchio della denominazione del Capocollo di Calabria che deve essere applicato nella relativa etichetta seguendo le indicazioni descritte nel manuale di presentazione allegato. Nella parte retrostante del cartellino o sulla confezione del prodotto porzionato, devono essere riportati i dati essenziali di composizione del Capocollo di Calabria ed i componenti organolettici. Devono, inoltre, essere indicati il nome ed il cognome del produttore, o la ragione sociale, la zona di produzione e la sede dello stabilimento di produzione. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non prevista dal disciplinare. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente, nonché l’eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti deriva il prodotto. Il Capocollo di Calabria può essere immesso al consumo in pezzi singoli, così come descritto all’art. 6, ovvero confezionato sottovuoto o in atmosfera modificata, intero, in tranci o affettato. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all’art. CapocolloÈ il nome che viene dato nelle regioni del centro e del sud Italia alla coppa, derivando infatti dallo stesso taglio. All'aspetto risulta di colore vivace, con profumi pronunciati e gusto ricco, molto persistente. Ne esistono differenti versioni. In Puglia si usa dapprima ricoprirlo di sale, dove resta per circa due settimane, poi lavarlo con una mistura di vino cotto e spezie. Insaccato nel budello di maiale, dopo un po' di riposo subisce una lieve affumicatura, prima di iniziare la stagionatura che arriva ai tre mesi. In Umbria lo si aromatizza con pepe, aglio, coriandolo e semi di finocchio; quindi, dopo l'insaccamento, inizia una stagionatura che può variare dai quattro mesi a un anno. In Basilicata invece si usa cospargere il capocollo di peperoncino tritato, dopo averlo insaporito con sale e pepe; la stagionatura in passato avveniva avvolgendo la carne con tela grezza. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia | ||||||||||||||||||||||||||||
Ciauscolo CIAUSCOLO Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Caratteristiche fisiche
Caratteristiche chimiche
Caratteristiche organolettiche
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Marche | Ancona, Macerata, Ascoli Piceno | ||||||||||||||||||||||||||||
Coppa di Parma Coppa di Parma IGP Disciplinare di produzione - Coppa di Parma IGPArticolo 1. Nome del prodotto L'indicazione geografica protetta «Coppa di Parma» é riservata al prodotto che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione, elaborato ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92. Articolo 2. Zona di trasformazione La zona di trasformazione del prodotto é l'area geografica identificata dai confini amministrativi delle province di seguito indicate: regione Piemonte: province di Alessandria, Asti, Novara, Torino, Vercelli; regione Lombardia: province di Brescia, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Milano, Varese; regione Emilia-Romagna: province di Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Reggio Emilia. Articolo 3. Zona di provenienza della materia prima La materia prima é costituita dalla carne dei suini nati in Italia ed allevati e macellati nel territorio riconosciuto per I prodotti a D.O.P. «Prosciutto di Parma» e «Prosciutto San Daniele», ottenuta da allevamenti e da suini aventi le caratteristiche di quelli inseriti nella filiera produttiva delle predette denominazioni. Articolo 4. Metodo di ottenimento Le fasi tipiche per l'ottenimento e l'elaborazione del prodotto, così come tramandate dalla tradizione dei produttori della zona, sono le seguenti: preparazione delle materie prime: rifilatura: dopo l'isolamento della massa muscolare si procede alla rifilatura che consiste nell'eliminazione delle parti grasse esuberanti, di aponeurosi ed eventuali frastagliature di carni, conferendo al pezzo una conformazione regolare di cilindro leggermente più sottile alle estremità, di lunghezza oscillante tra 25-40 cm circa e di peso non inferiore a kg 2. La rifilatura, particolarmente accurata ha, in particolare, lo scopo di eliminare eventuali tagli presenti nella massa muscolare ed eventuali eccedenze di parti grasse o muscolari così da eliminare il rischio di sovrapposizioni di parti carnee o di infiltrazioni anomale di muffe incompatibili con le caratteristiche del prodotto tipico «Coppa di Parma»; ingredienti: gli ingredienti impiegati per la preparazione della «Coppa di Parma» sono: sale, aromi. Possono essere inoltre impiegati: vino, destrosio, fruttosio, colture starter, nitrito di sodio/potassio, acido ascorbico e il suo sale sodico; salagione: la distribuzione del sale e degli altri ingredienti può venire effettuata sia manualmente che meccanicamente mediante zangolatura. Detta operazione può essere effettuata in momenti successivi durante i quali il prodotto viene conservato in celle frigorifere con temperature che variano da circa 0,5 °C a circa 4 °C e umidità relative controllate in modo da favorire i processi di osmosi e di disidratazione, la durata di questo periodo varia da 6/7 a 10 giorni; riposo: finita la fase di salagione, la Coppa di Parma viene sottoposta ad un massaggio e messa a riposo in celle frigorifere con temperature da circa 0,5 °C a circa 5 °C, per un periodo minimo di cinque giorni. In queste condizioni ambientali avviene ulteriore assorbimento del sale che si distribuisce uniformemente nella carne, per via osmotica, con relativa cessione di acqua; rivestitura - legatura: il prodotto passa attraverso una formatrice-insaccatrice che serve a rendere più regolare la forma e a spingere la Coppa di Parma nel budello. La rivestitura viene realizzata con colon, dritto o bondiana di bovino oppure con peritoneo parietale di suino (sunzen). La legatura consiste in una prima azione con spago non a rete in senso longitudinale con otto o più briglie terminanti con lo stesso capo di unico spago (imbrigliatura), quindi una legatura orizzontale a spirale che parte dall'estremità più grossa, passa sopra le briglie senza fissarvisi ed arriva a due dita traverse prima dell'altra estremità. Con il capo finale della legatura a spirale con apposito attrezzo (passetto), si vanno a fissare i passi alla imbrigliatura dal basso all'alto e viceversa, in modo discontinuo con la funzione di impedire che i passi cadano verso il basso per allentamento dello spago in seguito a contrazione, per stagionatura; stufatura: fase che consiste nel portare la Coppa di Parma da bassa temperatura a circa 18 °C nel tempo 8-10 ore; asciugamento: la prima fase dell'asciugamento del prodotto con temperature che partono da circa 22-23 °C il primo giorno arriva progressivamente a 18 °C il terzo giorno, con U.R. % da 55-75. La fase successiva, della durata di circa 15 giorni porta all'abbassamento della temperatura fino a circa 14-15 °C con U.R. % attorno a 60-80. Le fasi di stufatura e asciugamento avvengono negli stessi locali allo scopo appositamente attrezzati; stagionatura: la stagionatura avviene in condizioni climatiche di temperature da circa 12 °C a circa 16 °C e con umidità relative di 70-87% fino al completamento della stagionatura. In queste condizioni si ha una lenta e graduale riduzione dell'umidità e si sviluppano fenomeni biochimici atti a garantire al prodotto caratteristiche organolettiche tipiche ben definite. Il periodo totale di stagionatura é, di un minimo di 60 giorni dall'inizio della lavorazione per le coppe da kg 2 a kg 2,6 e di 90 giorni dall'inizio della lavorazione per le coppe di peso superiore ai kg 2,6. Articolo 5. Caratteristiche del prodotto La «Coppa di Parma» é costituita da un pezzo intero rappresentato anatomicamente dalla porzione muscolare del collo, aderente alle vertebre cervicali e parte delle toraciche (massa muscolare compresa nella doccia formata dalle apofisi spinose, dai corpi vertebrali e dalle apofisi traverse), sezionato da carni suine nazionali che non hanno subito processi di congelamento. Dopo opportuna rifilatura, in modo da conferire una forma caratteristica cilindrica, viene sottoposta a un trattamento tecnologico tipico, atto a conferire al prodotto caratteristiche organolettiche ben definite così come descritto nel presente articolo. Il prodotto deve avere i seguenti requisiti: - caratteristiche chimiche e fisiche: sale < 5%; proteine totali min. 22%; rapporto acqua/proteine max 2; pH > 5,7; - parametri microbiologici: enterobatteri tortali u.f.c./g < 10; E.coli u.f.c./g < 10; Stafilococcus Aureus u.f.c./g < 100; - caratteristiche organolettiche dei prodotto finito: aspetto: la forma cilindrica non deve presentarsi schiacciata. La consistenza al tatto deve essere media. Il distacco del budello deve avvenire facilmente. La Coppa di Parma non deve presentare untuosità o patina superficiale. La parte magra del prodotto affettato deve avere un colore rosso-scuro uniforme senza macchie. Non devono essere presenti muffe all'interno. Al taglio la fetta non deve presentare parti grasse di colore giallo o molle, indici di cattiva maturazione. Il sapore deve essere tipico di un prodotto carneo con sufficiente degradazione proteolitica sulla parte magra e lipolitica nella parte grassa, dovute ad una buona stagionatura, senza presentare sapori estranei di acido fenico, farina di pesce o altro, ed avere un giusto grado di sapidità; altri parametri sensoriali: odore: l'odore e il profumo di una gradevole fragranza caratteristica del prodotto, sono rilevati mediante steccatura con osso di cavallo sulle parti grasse e non su quelle magre, vicino alla vena principale; consistenza: il grado di consistenza al tatto e al taglio deve presentarsi tendenzialmente omogeneo fra le parti interne ed esterne, indice dell'avvenuta graduale disidratazione e stagionatura della Coppa di Parma; colore: il colore della fetta non deve presentare macchie e deve essere uniforme; di colore rosso nella parte magra e tendenzialmente roseo nella parte grassa. Articolo 6. Condizionamento e commercializzazione La «Coppa di Parma» può essere commercializzata dai produttori intera, allo stato sfuso, in trancio o in atmosfera protettiva, o affettata sottovuoto o in atmosfera protettiva. Le operazioni di affettamento e confezionamento sottovuoto o in atmosfera protettiva devono avvenire sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 8, esclusivamente nella zona di produzione indicata all'art. 2. Articolo 7. Etichettatura La «Coppa di Parma» viene immessa al consumo nel rispetto delle norme vigenti in materia di etichettatura. L'etichetta apposta per la vendita al consumo reca in particolare, oltre al marchio aziendale, il logo comunitario della I.G.P. e la denominazione «Coppa di Parma» Indicazione Geografica Protetta o il suo acronimo I.G.P. La denominazione predetta deve risultare di dimensioni maggiori di qualunque altra scritta apposta sulla confezione. Articolo 8. Struttura di controllo Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione é svolto da un organismo di controllo autorizzato conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento (CEE) n. 2081/92 del 14 luglio 1992. Articolo 9. Elementi che comprovano l'origine Il prodotto viene realizzato secondo le tradizioni storiche. Infatti nell'ambito del territorio indicato all'art. 2 si é sviluppata una cultura di trasformazione di prodotti derivanti da carni suine in tempi molto antichi. Già alla fine del secolo XVII si trovano riferimenti alla «coppa o bondiola» di Parma, quale «salame investito», ovvero insaccato. All'inizio del 1700 la «Coppa di Parma» viene citata nelle memorie dei viaggiatori, quale prodotto tipico del luogo. In un inventario, redatto nel 1723 si enuncia che per poter entrare a far parte della corporazione dei «lardaroli» é necessario possedere un certo numero di salami e bondiole. Alla «bondiola» fa riferimento anche una stima degli ufficiali dell'arte dei lardaroli (1750) nonché una grida del 21 aprile 1764. Allo stesso periodo risalgono i contratti registrati dagli amministratori della Real Casa per la somministrazione dei generi alimentari delle Cucine Reali. Si hanno notizie certe sull'ammontare dei consumi di coppe e bondiole alla corte del Duca Don Ferdinando Borbone. Dal 1800 si hanno notizie delle quantità di coppe vendute nei mercati della zona: nel 1940, ad esempio, l'esportazione di coppe dalla provincia di Parma ammontava a circa 200 pezzi. Molti prodotti salumieri nel corso di lunghissimi tempi, valutabili in secoli e talora millenni, hanno assunto qualità o caratteristiche peculiari, in stretto rapporto con l'ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani, dai quali ed in diversi casi deriva una meritata e particolare reputazione. Una condizione quest'ultima facilmente riconoscibile anche nella «Coppa di Parma». La «Coppa di Parma» deve le sue peculiari caratteristiche ad una serie di ben precisi collegamenti con l'ambiente, inteso in senso lato e comprensivo di fattori geografici naturali ed umani, che riguardano il maiale, la tecnologia di preparazione, gli ambienti di stagionatura e soprattutto il loro interagire. La «Coppa di Parma» viene prodotta con carni di maiale «pesante», meglio definibile come maiale maturo: é lo stesso tipo di maiale che per genetica, alimentazione e condizioni di allevamento, ma soprattutto per l'età di macellazione, fornisce carni di alta qualità per la produzione del Prosciutto di Parma e del Prosciutto San Daniele. Sulla base delle notizie archeologiche, storiche, linguistiche, delle tradizioni e della iconografia esistente, nonché delle conoscenze scientifiche di biologia, allevamento del maiale e tecnologiche sulla trasformazione degli alimenti, in particolare ervazione delle carni tramite la salagione, é possibile riconoscere quanto segue. Da un punto di vista sociale e culturale, ma soprattutto delle tecnologie di produzione sviluppate e conservate dalla tradizione, l'area costituisce una unità anche per quanto riguarda l'allevamento del maiale e soprattutto la lavorazione delle sue carni (da ricordare ad esempio anche la coscia, dalla quale si origina il prosciutto). Nell'ambito padano si é originato un modello di addomesticamento e allevamento del maiale e di produzione di prodotti salumieri. Questo modello nel tempo si é successivamente differenziato dando origine a molte modulazioni, una delle quali, é senza dubbio la «Coppa di Parma». In tempi protostorici vi é stata una semidomesticazione del maiale, soprattutto in ambito della cultura prima etrusco-romana e successivamente longobarda. La zona indicata all'art. 3 é compresa nella vasta area di cultura longobarda del maiale. Nonostante taluni cambiamenti avvenuti nei millenni nella alimentazione e nelle popolazioni di maiali allevati, sono rimaste assolutamente costanti alcune caratteristiche indispensabili per la produzione di carni e quindi di salumi di alta qualità. Una chiara linea unisce la produzione di «Coppa di Parma» dalle sue origine fino ad oggi: - aree di stagionatura: pre-collinare, collinare e di pianura; - trattamento con limitata quantità di sale, in conseguenza della maturità delle carni del maiale; - assenza di altri trattamenti conservativi e soprattutto del fumo. L'industrializzazione della produzione di «Coppa di Parma» é passata attraverso una fase di artigianato che ha mantenuto sostanzialmente inalterate le caratteristiche tradizionali del prodotto. Ogni azienda produttrice cura e predispone un registro sul quale annota i dati relativi alle materie prime in ingresso e, nel caso delle componenti carnee, il corrispondente numero di bolla, data di arrivo, fornitore e tipo di carnee. Nel registro é evidenziata l'associazione tra materia prima, secondo le disposizioni e i requisiti di tracciabilità disposti dagli organismi preposti ai controlli di filiera del circuito tutelato. Tutte le operazioni costituiscono oggetto di rigorosa verifica da parte della struttura di controllo indicata all'art. 8. Articolo 10. Elementi che comprovano il legame con l'ambiente Dalla metà del Novecento la prassi produttiva ha confermato che nel territorio indicato all'art. 2 molti imprenditori, industriali e artigianali, mantenendo e perfezionando particolari caratteristiche qualitative e di gusto del salume tradizionalmente denominato «Coppa di Parma» hanno usato ed usano questa denominazione per etichettare i loro prodotti che vengono realizzati nel rispetto del presente disciplinare. Il clima come le caratteristiche dell'aria (temperature e umidità) sono quelli tipici della zona dove si é formato storicamente il prodotto «Coppa di Parma». L'area di provenienza della materia prima e di elaborazione é delimitata da quella effettivamente delineatasi e mantenutasi nel corso del tempo nel rispetto delle tradizioni che hanno determinato la fama così come descritto nell'art. 9. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna, Lombardia | Parma, Modena, Reggio Emilia, Mantova, Pavia, Lodi, Milano, Cremona | ||||||||||||||||||||||||||||
Coppa Piacentina Coppa Piacentina DOP Disciplinare di produzione - Coppa Piacentina DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione d'origine protetta "Coppa Piacentina" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione della Coppa Piacentina debbono essere situati nel territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni debbono essere conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione d'origine di Parma e San Daniele. Gli allevamenti devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso di 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del regolamento CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il documento del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. La zona di elaborazione della Coppa Piacentina comprende l'intero territorio della provincia di Piacenza. Articolo 3. Materie prime La Coppa Piacentina è ricavata dai muscoli cervicali perfettamente dissanguati della regione superiore dei suini. L'isolamento del muscolo cervicale del suino deve essere effettuato "a caldo", immediatamente dopo la macellazione, con apposito coltello che distacca tutta la massa muscolare compresa nella doccia formata dalle apofisi spinose, dei corpi vertebrati e dalle apofisi trasverse, per un peso non inferiore a 2,5 kg. Il trasporto delle masse muscolari allo stabilimento di trasformazione deve avvenire entro le 72 ore successive con mezzi refrigeranti. Successivamente sono sottoposte alla rituale toelettatura che comprende la rifilatura e la spremitura dei vasi sanguigni. Articolo 4. Metodo di elaborazione Il processo di elaborazione inizia con la salagione a secco che consiste nel mettere a contatto le carni, con la seguente miscela di sali ed aromi naturali: dosi per 100 kg di carne fresca cloruro di sodio min. 1,5 kg - max 3,5 kg; nitrato di sodio e/o potassio max gr 15; pepe nero e/o bianco intero e/o spezzato min. 15 gr max 30 gr. Spezie composte: cannella max 15 gr; chiodi di garofano max 25 gr; alloro max 10 gr; noce moscata max 10 gr. È vietata la salagione in salamoia. Le coppe sono salate e massaggiate, quindi sostano in frigorifero per almeno sette giorni, e successivamente sono rivestite con diaframma parietale suino. Infine si procede alla tradizionale legatura con spago ed alla foratura dell'involucro. La successiva fase di asciugamento avviene in appositi essiccatoi, con condizioni climatiche controllate con temperatura oscillante tra 15 °C e 25 °C, una umidità del 40-90%, in ambiente ventilato, per un periodo minimo di sette giorni e, comunque, fino alla comparsa della caratteristica "fioritura" che determina il viraggio al tipico colore rosato. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura delle coppe avviene in ambienti aventi una temperatura compresa tra 10 e 20 °C ed una umidità relativa tra il 70 e il 90%. Durante la stagionatura è consentita la ventilazione, l'esposizione alla luce ed alla umidità naturale, tenuto conto dei fattori climatici presenti nelle valli piacentine. La stagionatura si protrae per un periodo minimo di sei mesi dalla data della avvenuta salatura. L'intera fase di stagionatura può comprendere anche determinati periodi in locali seminterrati (cantine) purché controllati. Durante il processo di stagionatura la carica microbica della coppa viene naturalmente limitata per il naturale effetto della lenta maturazione. Articolo 6. Caratteristiche La Coppa Piacentina, all'atto dell'immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche: Caratteristiche organolettiche - Aspetto esterno: forma cilindrica, leggermente più sottile all'estremità ottenuta con rifilatura ed asportazione del grasso e di qualche sottile pezzo di carne. - Peso: non inferiore a kg 1,5. - Consistenza: compatta, non elastica. - Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, di colore rosso inframmezzato di bianco rosato delle parti marezzate. - Odore: profumo dolce e caratteristico. - Sapore: gusto dolce e delicato che si affina con il procedere della maturazione. Caratteristiche chimico-fisiche Umidità (%) Min 27 - Max 43 Proteine (%) Min 19 Max 34 Grassi (%) Min 19 Max 43 Ceneri (%) Min 4 Max 7,5 pH Min 5,5 Max 6,5 La Coppa Piacentina può essere commercializzata sfusa ovvero confezionata sotto vuoto o in atmosfera modificata, intera, in tranci od affettata. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 7, esclusivamente nella zona di trasformazione indicata all'art. 2. Articolo 7. Controlli Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione della "Coppa Piacentina" deve essere indicata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta, che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Denominazione di origine protetta". Tali indicazioni possono essere abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Piacenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Cotechino Modena Cotechino Modena Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, | Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Rovigo | ||||||||||||||||||||||||||||
Crudo di Cuneo Crudo di Cuneo Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
PARAMETRO
2.6 Caratteristiche del prodotto
Parametri
La proteolisi si misurerà come percentuale d’azoto non proteico estraibile rispetto al tenore d’azoto totale.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
AVVIAMENTO: fino a 30 kg peso vivo
5.2 Alimenti ammessi durante la fase di AVVIAMENTO:
Grassi con Punto di Fusione superiore a 36°C: fino al 2% della s.s. della razione/giorno
5.4 Alimenti ammessi durante la fase di INGRASSO:
Mais: fino al 55% della sostanza secca della razione/giorno
E’ fatto divieto di impiego delle materie prime sotto riportate:
E’ ammessa l’integrazione minerale e vitaminica della razione nei limiti definiti dalla vigente legislazione di ordine generale.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
Articolo 9.
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Piemonte | Cuneo, Asti, Torino | ||||||||||||||||||||||||||||
Culatello di Zibello Culatello di Zibello Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Caratteristiche organolettiche
Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche
Caratteristiche microbiologiche
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Parma | ||||||||||||||||||||||||||||
Finocchiona Finocchiona IGP Disciplinare di produzione - Finocchiona IGPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
La «Finocchiona» I.G.P. può essere immessa al consumo sfusa oppure confezionata.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Toscana | Arezzo, Firenze, Grosseto Livorno, Lucca, Massa-Carrara, Pisa, Pistoia, Prato e Siena | ||||||||||||||||||||||||||||
Lardo di Colonnata Lardo di Colonnata IGP Lardo di Colonnata IGPLardo di Colonnata IGPRiconoscimento IGP: Reg. CE 2004 Zona di produzione: Colonnata (frazione del comune di Carrara) nelle Alpi Apuane (Provincia Massa-Carrara - Toscana). Disciplinare diproduzione del Lardo di Colonnata IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione geografica protetta «Lardo di Colonnata» è riservata esclusivamente al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione La zona di produzione del «Lardo di Colonnata» è rappresentata esclusivamente da Colonnata, frazione montano collinare del comune di Carrara, provincia di Massa Carrara, come meglio individuata dalla cartografia allegata. Articolo 3. Descrizione del prodotto 3.1. Materia prima e ingredienti. Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del «Lardo di Colonnata» debbono essere situati nel territorio delle seguenti regioni: Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, Lazio e Molise. Il «Lardo di Colonnata» è ottenuto dai tagli di carne corrispondenti allo strato adiposo (ripulito dalla parte sugnosa) che ricopre il dorso dalla regione occipitale fino alle natiche e che lateralmente arriva fino alla pancetta. Lo spessore deve essere superiore ai 3 cm. Gli ingredienti per la lavorazione e la stagionatura del prodotto sono: sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio sbucciato e spezzettato grossolanamente. Detti ingredienti sono tassativi, restando in ogni caso alla discrezione del produttore la determinazione delle quantità degli stessi. Il produttore potrà, inoltre, utilizzare altre spezie, intere o macinate, in particolare cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata e chiodi di garofano ed altre erbe aromatiche, in particolare salvia e origano. Sono esclusi le sostanze liofilizzate, gli aromi naturali, naturidentici ed artificiali, conservanti, additivi e starters. 3.2. Metodo di produzione. Le caratteristiche microclimatiche presenti nella zona di elaborazione sono determinanti nella dinamica del ciclo produttivo. La lavorazione è stagionale e si svolge da settembre a maggio, compresi, di ogni anno. Il lardo deve essere lavorato fresco. Entro e non oltre 72 ore dalla macellazione deve essere rifilato, massaggiato con sale e collocato nelle apposite vasche di marmo, localmente denominate conche, preventivamente strofinate con aglio, alternando strati di lardo con gli altri ingredienti fino al riempimento del recipiente. Al termine dell’operazione, sulla conca verrà apposto il coperchio. Le conche sono contenitori di marmo bianco a forma di vasca, realizzate con materiale proveniente dall’agro marmifero dei «Canaloni» del bacino di Colonnata, che presenta peculiarità di composizione e struttura indispensabili all’ottimale stagionatura e maturazione del prodotto. Le conche possono essere ricavate dallo svuotamento di un unico blocco di marmo oppure da lastre di spessore non inferiore ai 2 cm opportunamente assemblate. Per quanto attiene al coperchio delle conche, questo sarà di marmo o altro materiale idoneo. Il lardo dovrà riposare all’interno delle conche per un periodo di stagionatura non inferiore ai sei mesi. La stagionatura deve avvenire in locali poco areati e privi di qualsiasi condizionamento forzato, in modo da non compromettere la naturale umidità dell’ambiente. Durante la stagionatura il produttore dovrà verificare la consistenza della c.d. «salamora», che è il liquido rilasciato dal lardo a seguito del prolungato contatto con il sale. Qualora il lardo non formasse «salamora» in quantità sufficiente, il produttore potrà integrare il quantitativo della stessa con una soluzione fredda di acqua satura di cloruro di sodio, ottenuta dallo scioglimento di sale marino, nella misura occorrente all’ottimale conservazione del prodotto. 3.3. Caratteristiche del prodotto. All’atto dell’immissione al consumo il «Lardo di Colonnata» presenta le seguenti caratteristiche. Caratteristiche fisiche: - forma: variabile, indicativamente rettangolare; spessore non inferiore ai 3 cm; Aspetto esterno: la parte inferiore conserva la cotenna mentre quella superiore è ricoperta dal sale di stagionatura reso scuro dalle piante aromatiche e dalle spezie; può essere presente una striscia di magro. Nel complesso il prodotto appare umido, di consistenza omogenea e morbida, di colore bianco, leggermente rosato o vagamente brunito. Caratteristiche organolettiche: - profumo: fragrante e ricco di aromi; - sapore: gusto delicato e fresco, quasi dolce, finemente sapido se proveniente dalla zona delle natiche, arricchito dalle erbe aromatiche e le spezie usate nella lavorazione. 3.4. Confezionamento. Il prodotto viene posto in commercio in tranci di peso variabile, da 250 a 5000 grammi, confezionati sottovuoto in imballaggio plastico o di altro materiale idoneo ovvero in altre forme tali da garantire il mantenimento delle sue caratteristiche organolettiche. Il lardo potrà essere commercializzato anche affettato ovvero macinato e opportunamente confezionato. Le operazioni di preaffettatura e macinatura con successivo confezionamento potranno avvenire esclusivamente nella zona di produzione e non dovranno pregiudicare le caratteristiche organolettiche del prodotto. Il rivenditore finale potrà procedere all’affettatura sul banco, avendo cura di salvaguardare lo speciale sigillo non riutilizzabile di cui all’art. 4. Articolo 4. Etichettatura La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario e relative menzioni (in conformità alte prescrizioni del regolamento CE 1726/98 e successive modificazioni) e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti indicazioni: «Lardo di Colonnata» seguita dalla dicitura Indicazione geografica protetta ovvero dalla sua sigla IGP in caratteri maggiori rispetto a qualunque altra dicitura riportata in etichetta; il nome, la ragione sociale, l’indirizzo dell’azienda produttrice e confezionatrice; il logo del prodotto, consistente - come da riproduzione sotto riportata - in una figura romboidale formata da una superficie a bordi frastagliati con all’interno la figura in profilo di un maiale con sopra delle creste montane di dimensioni mm 73x73 con nello spazio sottostante centralmente la scritta «IGP», sovrastata dalla scritta «Lardo di Colonnata» in due righe occupanti uno spazio misurato in linea orizzontale di mm 73. Le zone delimitanti le figure sono di colore verde e rosa, mentre le scritte, ottenute con il carattere tipografico Galliard sono di colore nero. Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo. Il produttore avrà cura, prima del confezionamento, di apporre anche sulla cotenna del lardo, in corrispondenza di uno dei lati minori del trancio, lo speciale sigillo non riutilizzabile che riproduce, o reca un cartellino che riproduce, il predetto logo del prodotto. Nell’ipotesi di preaffettatura o macinatura con relativo idoneo confezionamento, qualora non sia possibile apporre o conservare sul prodotto lo speciale sigillo di cui sopra, il logo dovrà essere apposto unicamente sulla confezione. I riferimenti del colore espressi in pantone sono i seguenti: È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia ammesso l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a marchi privati, purché questi non abbiano significato laudativo o siano tali da trarre in inganno il consumatore, dell’indicazione del nome dell’azienda suinicola dai cui allevamenti il prodotto deriva, nonché di altri riferimenti veritieri e documentabili che siano consentiti dalla normativa comunitaria, nazionale o regionale e non siano in contrasto con le finalità e i contenuti del presente disciplinare. La designazione «Lardo di Colonnata» è intraducibile. Articolo 5. Elementi che comprovano l’origine del prodotto Gli elementi che comprovano l’origine del prodotto sono costituiti da: riferimenti storici, quali le molteplici testimonianze attestanti nel tempo il legame esclusivo con il territorio della particolare forma di lavorazione e conservazione del lardo, l’attribuzione della fama del Paese a tale attività, la presenza in loco di conche di marmo risalenti ai secoli XVII, XVIII e XIX; riferimenti religiosi, quali il culto locale di S. Antonio Abate, considerato nei secoli ispiratore delle guarigioni del «fuoco sacro» attraverso applicazioni di lardo sulla pelle, nonché la dedica della chiesa parrocchiale a S. Bartolomeo, patrono dei macellai; riferimenti culturali, come lo svolgimento di una tradizionale sagra del lardo in coincidenza con la festa di S. Bartolomeo; riferimenti gastronomici, quali le numerose attestazioni nel tempo sulla bontà del prodotto unite alle informazioni sulla provenienza esclusiva del prodotto da Colonnata; riferimenti sociali ed economici, quali la presenza di produttori che da anni effettuano questo tipo di produzione con metodi leali e costanti. La tracciabilità del prodotto è comprovata, inoltre, dall’iscrizione degli allevatori, dei macellatori, dei produttori e confezionatori in apposito elenco tenuto dalla struttura di controllo di cui all’art. 7. Articolo 6. Elementi che comprovano il legame con l’ambiente Gli elementi che comprovano il legame con l’ambiente sono rappresentati da: fattori geografici e climatici, consistenti nell’altitudine abbastanza elevata, nella accentuata umidità dell’ambiente, nelle temperature estive non eccessive e nelle limitate escursioni termiche giornaliere e annuali, che nell’insieme generano un microclima esclusivo particolarmente adatto alla lavorazione e conservazione del prodotto in maniera naturale; fattori economici e sociali, consistenti nel forte radicamento dell’attività di produzione nella vita dei cavatori di marmo di Colonnata, i quali hanno potuto disporre di un alimento fortemente calorico, necessario per sopportare le proibitive condizioni di lavoro nelle cave; fattori produttivi, consistenti nella facile reperibilità in loco della materia prima, degli ingredienti di base e dello speciale marmo (proveniente dalla località dei «Canaloni») necessario per la conservazione del prodotto, nella permanenza del prodotto nella particolare atmosfera delle «cantine» di Colonnata, nonché nell’utilizzo di metodiche di lavorazione e conservazione consolidate nel tempo in forme leali e costanti. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla I.G.P. «Lardo di Colonnata» è svolto da una struttura di controllo conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE 2081/92. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Toscana | Massa Carrara | ||||||||||||||||||||||||||||
Mortadella Bologna Mortadella Bologna Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Marche, Lazio, Prov. Aut. di Trento, Toscana | Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza, Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro-Urbino, Roma, Frosinone, Viterbo, Latina, Rieti,Trento, Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia, Siena, Ferrara, Forlì - Cesena | ||||||||||||||||||||||||||||
Mortadella di Prato Mortadella di Prato Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta "Mortadella di Prato” è riservata esclusivamente al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione del prodotto La "Mortadella di Prato" è un prodotto di salumeria costituito da un impasto di carni suine, sale marino, aglio, spezie e alchermes o alkermes (in quantità compresa fra lo 0,3 e lo 0,6 %), insaccato e sottoposto a trattamento termico. Il prodotto deve presentare al momento della immissione al consumo le seguenti caratteristiche: 2.1. Caratteristiche fisiche: peso: compreso tra 0,5 e 10 kg. forma: cilindrica o vagamente ellittica. lunghezza: compresa tra 8 e 70 cm. diametro: compreso tra 6 e 35 cm. 2.2. Caratteristiche organolettiche : aspetto esterno: liscio o grinzoso a seconda del budello utilizzato; consistenza dell’impasto: soda e compatta, morbida al palato per la fine macinatura; colore esterno: rosato e tendente all’opaco; colore interno: rosa scuro, grazie all’azione colorante dell’alchermes, con macchie di bianco dovute ai cubetti di grasso; profumo: penetrante e speziato con nota di alchermes fin dal primo impatto; Sapore: tipico del prodotto per il contrasto fra la nota calda e pungente delle spezie, dell’aglio e del sale marino e quella dolce e delicata dell’alchermes. 2.3. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche : rapporto lipidi/proteine: max 1,5; Articolo 3. Zona di produzione La zona di produzione e confezionamento della "Mortadella di Prato" comprende l'intero territorio del comune di Prato e dei comuni di Agliana, Quarrata e Montale in provincia di Pistoia. Articolo 4. Origine del prodotto Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei produttori e dei confezionatori è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1. Materia prima e ingredienti La "Mortadella di Prato" è costituita esclusivamente dai seguenti tagli di carne, nelle percentuali in peso indicate: - spalla: da 40 a 50% - lardo: da 9 a 15% - rifilatura prosciutto: da 10 a 20% - capocollo: da 5 a 15% - guanciale: da 5 a 15% - pancetta: da 5 a 10% Gli ingredienti obbligatori sono in peso: - alchermes: da 0,3 a 0,6% - pepe macinato: da 0,1 a 0,3% - pepe in grani: da 0,1 a 0,2% - sale marino: da 2,0 a 3,0% - spezie macinate (coriandolo, cannella, noce moscata, macis e chiodi di garofano): da 0,1 a 0,25% - aglio: da 0,08 a 0,2% - è vietata l’aggiunta di glutammato di sodio. 5.2 Tecniche di lavorazione 5.2.1 Rifilatura, macinatura ed impastatura I tagli, lavorati manualmente con l’ausilio di un coltello, per consentire un’accurata rifilatura della carne e la completa asportazione delle parti tendinose esterne, e successivamente sezionati in cubetti, vengono fatti riposare per almeno 24 ore in celle frigorifere ad una temperatura compresa tra 0 e 2°C. Trascorso tale periodo di tempo, i vari componenti carnei, escluso il lardo, vengono macinati nel tritacarne avente stampi di 4-8 mm di diametro e, di seguito, miscelati per 3-10 minuti con i cubetti di lardo, il sale marino, l’aglio, il pepe in grano e macinato e le spezie macinate. Sull’impasto si versa quindi l’alchermes e si amalgama il composto. 5.2.2 Insaccatura e legatura Si procede con l’insaccatura, per la quale viene utilizzato il budello naturale o sintetico. Nel caso si tratti di budello naturale questo deve preventivamente essere lavato con acqua corrente e aceto per almeno 2 ore o, in alternativa, immerso in acqua e aceto per 2 ore. L’insaccatura nel budello avviene con una dose di macinato di peso variabile tra i 0,5 e i 10 kg. Seguono le operazioni di legatura tramite l’impiego di spago di canapa o rete elastica di cotone. 5.2.3 Stufatura e cottura Il processo produttivo prosegue con la “stufatura”: il prodotto, per un periodo di tempo compreso tra 1 e 3 giorni a seconda della pezzatura, viene appeso in appositi locali che assicurino una temperatura progressivamente decrescente da un valore iniziale compreso tra 25°C e 23°C fino ad un valore finale compreso fra 20°C e 18°C e una umidità relativa gradualmente crescente da un valore iniziale compreso tra 60% e 65% fino a raggiungere un valore finale compreso tra 73% e 78%. Ultimata la stufatura, il prodotto viene sottoposto, in alternativa, ad uno dei seguenti trattamenti termici: cottura in forno a vapore per un tempo compreso tra 9 e 13 ore fino a far raggiungere al cuore del prodotto una temperatura compresa fra 70°C e 72°C; cottura in caldaia, immergendo il prodotto in acqua a temperatura ambiente; raggiunta la temperatura fra 90°C e 100°C, questa deve essere abbassata ad una temperatura compresa tra i 75°C e gli 80° C e mantenuta a tale livello per un intervallo di tempo compreso tra 150 e 200 minuti. 5.3.4 Risciacquo, raffreddamento e confezionamento Ultimata la cottura, il prodotto viene risciacquato con acqua a temperatura ambiente, quindi raffreddato in cella frigo o abbattitore fino a raggiungere una temperatura fra 0°C e +2° C al cuore del prodotto per un periodo di tempo pari ad un minimo di 24 fino ad un massimo di 48 ore, al termine del quale si procede all’asciugatura e al confezionamento sotto vuoto. Il confezionamento deve essere effettuato entro un tempo non superiore ai 20 minuti dall’asciugatura, in modo che la “Mortadella di Prato” non subisca sbalzi di temperatura ed umidità, i quali, oltre a causare il rischio di proliferazione microbica, avrebbero l’effetto di rompere irrimediabilmente il delicato equilibrio organolettico del prodotto, compromettendone l’aroma e alterandone il caratteristico colore rosato. Articolo 6. Legame con il territorio La "Mortadella di Prato" è un prodotto di chiaro stampo medievale, che si caratterizza principalmente per le sue caratteristiche organolettiche, frutto dell’originale connubio dell’alchermes (liquore color porpora ricavato un tempo dalla cocciniglia, la celeberrima “grana del tintore”, e utilizzato come colorante e aromatizzante), con una abbondante speziatura, (considerata utile a fini batteriostatici e conservativi del prodotto). La sua specificità è inoltre rafforzata dalla scelta dei tagli di carne utilizzati, dalla lavorazione tradizionale e consolidata e dalla particolarità degli ingredienti, caratteristiche che la rendono un unicum nel panorama gastronomico italiano e che si possono così riassumere: i tagli di carne sono quelli ritenuti più idonei al trattamento di cottura che avviene a termine della stufatura; l’impasto è reso particolarmente coeso grazie al gel proteico ottenuto dalla combinazione delle proteine dei tessuti connettivi, disciolte per azione del sale, con gli zuccheri contenuti nel liquore alchermes; l’impiego del sale marino nell’impasto svolge la duplice funzione di migliorare l’appetibilità del prodotto e di esplicare un’azione batteriostatica necessaria ad una più lunga conservazione; le spezie macinate, (coriandolo, cannella, noce moscata, macis e chiodi di garofano), il pepe nero macinato e in grani e l’aglio, oltre ad agire sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finale, esplicano un’azione batteriostatica ed antiossidante, proteggendo in tal modo i grassi dall’irrancidimento. Un altro aspetto peculiare è dato dalla circostanza che la cottura è preceduta dalla stufatura, che deve avvenire in locali dedicati, tali da assicurare condizioni di temperatura progressivamente decrescente ed umidità crescente, in modo da garantire una asciugatura prolungata e graduale del prodotto. La reputazione del prodotto e il suo legame con il territorio sono dimostrati dai seguenti fattori: 6.1 Fattori naturali Prato fu caratterizzata, fin dall’antichità, da un uso precoce e razionale delle acque del fiume che la attraversa, il Bisenzio, il quale ha un regime idrico di natura torrenziale, con grandi variazioni di portata al variare delle stagioni. La necessità di bonificare la vasta e fertile pianura alluvionale, attraversata, oltre che dal Bisenzio, anche da vari torrenti (Ombrone, Calice, Bardena, Brana, per citare i principali), e l’intuizione di poterne sfruttare le acque vivaci a fini energetici, per il funzionamento sia dei mulini che delle macchine tessili, portò alla costruzione delle c. d. “gore”, una vasta rete di canali artificiali che percorrono la piana di Prato e si gettano in ultimo nel torrente Ombrone, che a sua volta tocca i comuni confinanti di Agliana, Quarrata e Montale, ricadenti nella provincia di Pistoia. Le gore e i torrenti, oltre alla fornitura di energia, permisero in particolare lo sviluppo fin dall’epoca medievale dell’Arte dei Beccai (l’antico nome dei macellai), un’attività che, per motivi di igiene, richiedeva, come il mestiere di tintore, abbondanza di acqua corrente. Fu allora che, grazie a talentuosi norcini, si affermò la lavorazione e l’uso di carne suina; che non solo godeva di particolare reputazione, ma costituiva, già all’epoca, una voce importante per l’economia. Nell’alto Medioevo essa rappresentava il consumo principale nei mesi fra Novembre e Gennaio, e superava il 30% nel corso dell’anno. Ogni famiglia contadina allevava il proprio maiale ed i cittadini abbienti ricorrevano all’uso della soccida, con la quale si affidavano alle ville di campagna animali da ingrassare, col patto di far “a mezzo di ciò che Dio ne fa”. Anche nell’età comunale il consumo di carne suina è stimato nella misura del 32,1%. Almeno fin dalla metà del Cinquecento, a Prato, era concessa, per l’importante Fiera di Settembre, la macellazione di cento maiali, in deroga alle restrittive norme del secolo. Ancora sussistono, per la stessa epoca, testimonianze sui “salsicciari” pratesi, categoria di gran fama e sottoposta ad un dazio particolare a causa dell’imponenza del giro d’affari rappresentato già allora dagli insaccati. Ecco dunque che, grazie ad un irripetibile connubio fra fattori naturali, culturali e umani, la perizia dei norcini di quegli anni si è trasmessa attraverso i secoli, fino a sfociare in una ricetta di chiaro stampo medievale, sia per la presenza di abbondante speziatura, (al fine di garantire una più lunga conservazione del prodotto); sia per l’utilizzo dell’alchermes, (liquore color porpora tinto dalla cocciniglia, la celeberrima “grana del tintore”), che richiama la secolare vicinanza, mediata dall’utilizzo comune della rete dei canali, fra gli antichi mestieri di tintore e beccaio. 6.1 Fattori storici I primi documenti certi sulla “Mortadella di Prato” come prodotto originario della città di Prato risalgono al 1733, in occasione della beatificazione di suor Caterina de’ Ricci, quando le monache dei monasteri domenicani di Prato allestiscono per gli ospiti un pranzo dove essa figura come specialità locale. Ritroviamo la “Mortadella di Prato” menzionata con questo nome nel 1854 nel carteggio Guasti-Pierallini, in articoli del giornale “Lo Zenzero” del 1862 e, lungo tutto il corso dell’800, in volumi di economia (L’Italia economica del 1868, l’Italia all’opera del 1869), in relazioni redatte in lingua italiana, inglese e francese per le Esposizioni internazionali di Londra e Parigi (in particolare del 1867) e in una nota di un commissario francese di polizia, che ci ragguaglia sull’esportazione del prodotto in Francia (1867) a conferma della sua conquistata reputazione. Nella relazione di un commissario per l’Esposizione internazionale di Londra, in particolare, si dice che “Le Mortadelle di Prato e di Bologna fuori (cioè all’estero) dan nome al genere intero”. Anche durante il Novecento sono numerosi i riferimenti documentati alla “Mortadella di Prato”, che valicano l’ambito dei ricettari locali per investire l’editoria, la stampa quotidiana nazionale e il mondo della gastronomia nazionale e internazionale, evidenziando in tal modo una crescita importante della sua rinomanza. 6.2 Fattori economici e sociali La presenza dell’alchermes come ingrediente caratterizzante della “Mortadella di Prato” è un sicuro marcatore dell’origine e dell’esclusività pratese del prodotto. L’alchermes è infatti un liquore di colore rosso vivo ottenuto un tempo esclusivamente dalla cocciniglia, un insetto parassita essiccato e polverizzato, che per secoli è stato adoperato nella tintura dei tessuti, vale a dire in quella che è sempre stata l’attività economica principale della città. La grande dimestichezza pratese con la cocciniglia ha generato fino all’Ottocento una grande versatilità negli usi del colorante, che ha investito tanto il settore tessile quanto quello medicinale. Di questa tradizione è rimasto vivo l’utilizzo gastronomico dell’alchermes, in forme peculiari che continuano a improntare la tipicità del territorio, dalla pasticceria (“pesche di Prato”) alla salumeria (“Mortadella di Prato”). Sul piano economico è inoltre da notare che le aziende pratesi hanno conservato la specificità dei metodi produttivi tradizionali rinsaldando in tal modo un know how proprio del luogo di origine. 6.3 Fattori gastronomici e culturali La peculiarità della “Mortadella di Prato” ha fatto sì che il prodotto fosse presente in molti libri di cucina e guide gastronomiche locali, nazionali e internazionali, fin dalla prima edizione della “Guida gastronomica d’Italia” del Touring Club Italiano (1931). La sua fama è anche legata alla predilezione dimostrata da grandi chef e personaggi della cultura e della gastronomia internazionali, come il grande scrittore spagnolo Manuel Vasquez Montalban. E’ stata inoltre valorizzata come espressione genuina della tradizione gastronomica di Prato da associazioni come l’Accademia Italiana della Cucina (1987) e Slow Food, che nel 2000 ha istituito un Presidio del prodotto. Fin dal ‘700 si usa gustare localmente la “Mortadella di Prato” con i fichi oppure nella cucina tradizionale come ingrediente di molti piatti tipici, tra i quali i “sedani alla pratese”. Il prodotto viene abitualmente proposto in fiere anche di carattere internazionale, oltre che nella locale manifestazione “Divini profumi. Tra bere e sapere, cultura e sapori della provincia di Prato”. Articolo 7. Controlli I controlli sulla conformità del prodotto al disciplinare sono svolti, da una struttura di controllo, conformemente a quanto previsto dal Reg. (UE) 1151/2012. La struttura designata è Agroqualità S.r.l. – Viale Cesare Pavese 305 00144 Roma – tel. 06.54228575 fax 06.54228692 posta elettronica: agroqualita@legalmail.it - agroqualita@agroqualita.it Articolo 8. Commercializzazione ed etichettatura La “Mortadella di Prato” può essere commercializzata intera, in tranci o a fette. La confezione reca obbligatoriamente in etichetta, a caratteri chiari e leggibili, la denominazione “Mortadella di Prato”, seguita dall’acronimo “IGP” o dall’espressione “Indicazione Geografica Protetta”, tradotta nella lingua del paese in cui il prodotto viene commercializzato, il simbolo europeo dell’IGP e il logo, come da riproduzione sotto riportata, formato da una immagine ellittica intersecata nella parte inferiore dal perimetro di un riquadro in forma rettangolare, che modifica la sagoma dell’ovale, fondendosi con esso in un’unica figura. Il bordo è di colore blu - pantone 7463c (96%C 58%M 29%Y 16%K). All’interno, lo sfondo presenta una sfumatura di tipo lineare, verticale dall’alto verso il basso, con inizio (in alto) di colore blu - pantone 7463c (96%C 58%M 29%Y 16%K) - e fine (in basso) di colore bianco. All’interno del riquadro rettangolare, centrata e disposta su un’unica riga, è riportata la dicitura “MORTADELLA DI PRATO” di colore nero (0%C 0%M 0%Y 100%K) con carattere font “Trajan Pro Bold”, dove la preposizione “DI” è ridotta in scala al 77% rispetto a “MORTADELLA” e “PRATO”. Nella parte dell’ellisse immediatamente superiore al citato riquadro, v’è il disegno di un salume, che rappresenta la Mortadella di Prato; l’area dell’involucro esterno ha il colore pantone 500c (16%C 50%M 38%Y 4%K), mentre l’area del “taglio”, che rappresenta l’interno del salume, ha il colore pantone 7419c (20%C 70%M 35%Y 10%K); sovrapposto, ma leggermente sfalsato rispetto a tale immagine, v’è il profilo stilizzato in colore bianco dei contorni del salume medesimo e della sua tipica macchiettatura interna. Il salume è sormontato dal profilo stilizzato, tracciato in colore bianco, del “Castello dell’Imperatore”, monumento rappresentativo della città di Prato, a sottolineare l’appartenenza del prodotto alla tradizione gastronomica cittadina. Al di sopra di quest’ultimo, disposte su una curva che idealmente riproduce quella del bordo dell’ovale, vi sono tre stelle di colore giallo pantone 3945c (0%C 0%M 100%Y 0%K). Tutti gli elementi rappresentati sono collocati in posizione centrata. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Toscana | Prato, Pistoia | ||||||||||||||||||||||||||||
Pancetta di Calabria Pancetta di Calabria Disciplinare di produzione Supplemento ordinario n. 118 alla GURI n. 111 del 15 maggio 2001, rettifica sulla GURI 261/2001Articolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta "Pancetta di Calabria" è riservata ai prodotti di salumeria aventi i requisiti fissati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione L’elaborazione della Pancetta di Calabria deve avvenire nella tradizionale zona di produzione sita nel territorio della regione Calabria. Articolo 3. Materie prime La Pancetta di Calabria deve essere ottenuta dalla lavorazione di carni di suini nati nel territorio delle regioni Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia e Campania e allevati nel territorio della regione Calabria dall’età massima di quattro mesi. Le fasi di macellazione e lavorazione devono aver luogo nel territorio calabrese. Dalla lavorazione sono escluse le carni di verri e scrofe. I suini, al momento della macellazione, debbono essere di peso non inferiore a kg. 140, di età non inferiore ad otto mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano, ottenuto impiegando razze tradizionali di taglia grande quali: - Calabrese; - Large White e Landrace Italiana così come migliorate dal libro genealogico italiano o figli di verri di quelle razze; - suini figli di verri della razza Duroc, così come migliorate dal libro genealogico italiano; - suini figli di verri di altre razze o di verri ibridi purché detti verri – siano essi nati in Italia o all’estero- provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante. Per contro, sono espressamente esclusi: - suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS); - animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain e Spot. I suini debbono inoltre presentare il marchio di qualità "suino allevato in Calabria" e rispettare le prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e tecniche di allevamento. I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura non inferiore al 50% del contenuto. Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso sapori ed odori indesiderati. Per avere carni più compatte per l’ingrasso è vietata l’alimentazione a brodo. Per la confezione della Pancetta di Calabria è ammesso l’uso di soli ingredienti naturali quali sale (cloruro di sodio), pepe nero in grani ed in polvere, pepe rosso piccante, pepe rosso dolce, crema di peperoni, aceto di vino. Possono inoltre essere impiegati: caseinato, acido ascorbico e/o sale sodico, lattato di sodio, nitrato di sodio e/o di potassio, nitrito di sodio e/o di potassio. Il loro utilizzo è limitato a quanto consentito e fintanto che sia previsto dalle vigenti disposizioni di legge. Articolo 4. Metodi di elaborazione La "Pancetta di Calabria" è ricavata dalla parte anatomica specifica dei suini (sottocostato inferiore). La pancetta con cotenna, del peso variabile dai 3 ai 4 chili, deve essere tagliata a forma rettangolare e deve avere uno spessore compreso tra 3 e 4 centimetri. Dopo la preparazione viene sottoposta a salatura, per un periodo da quattro ad otto giorni. Successivamente la pancetta viene lavata con acqua e bagnata con aceto di vino. La parte superficiale può essere ricoperta con polvere di peperoncino. Segue quindi un periodo di stagionatura di almeno trenta giorni, in locali con umidità relativa e temperatura controllate. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura della Pancetta di Calabria deve essere fatta allo stato naturale in apposito ambiente, igienicamente sano, per trenta giorni. Articolo 6. Caratteristiche La "Pancetta di Calabria" all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche. Forma rettangolare con uno spessore variabile tra 3 e 4 cm. Colore della parte esterna rosso, marcato dalla presenza di polvere di peperoncino. Aspetto al taglio roseo, con striature sottili alternate di magro e di grasso. Il sapore è intenso naturale. Buona la sapidità. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione della denominazione d’origine protetta Pancetta di Calabria deve essere realizzata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare nell’etichetta o cartellino allegato al prodotto o indicazione sulla confezione del prodotto porzionato, ed essere immediatamente seguite dalla menzione "Denominazione d’Origine Protetta". Le suddette diciture e menzioni sono intraducibili. Può inoltre comparire la sigla DOP in altra parte dell’etichetta nel medesimo campo visivo. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "Denominazione d'Origine Protetta" nella lingua del paese di destinazione. Tali indicazioni sono abbinate inscindibilmente al marchio della denominazione della Pancetta di Calabria che deve essere applicato nella relativa etichetta seguendo le indicazioni descritte nel manuale di presentazione allegato. Nella parte retrostante del cartellino o sulla confezione del prodotto porzionato, devono essere riportati i dati essenziali di composizione della Pancetta di Calabria ed i componenti organolettici. Devono, inoltre, essere indicati il nome ed il cognome del produttore, o la ragione sociale, la zona di produzione e la sede dello stabilimento di produzione. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non prevista dal disciplinare. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente, nonché l’eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti deriva il prodotto. La Pancetta di Calabria può essere immessa al consumo sfusa ovvero confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata, intera, in tranci o affettata. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all’art. 2. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia | ||||||||||||||||||||||||||||
Pancetta Piacentina Pancetta Piacentina Disciplinare di produzione - Comunicato MiPAF – GURI n. 119 del 24 maggio 2001Articolo 1. Denominazione La denominazione d'origine protetta "Pancetta Piacentina" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione della Pancetta Piacentina debbono essere situati del territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni debbono essere conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione d'origine di Parma e San Daniele. Gli allevamenti devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso di 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il documento del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. La zona di elaborazione della Pancetta Piacentina comprende l'intero territorio della provincia di Piacenza. Articolo 3. Materie prime La Pancetta Piacentina è derivata da suini che corrispondono alle caratteristiche dell'art. 2. Per la produzione della Pancetta Piacentina si utilizza la parte centrale del grasso di copertura della mezzena che va dalla regione retrosternale a quella inguinale, comprendendo la sola parte laterale delle mammelle. La pancetta rappresenta uno dei tagli adiposi del suino che si ottiene isolando con apposita sezionatura dapprima il cosiddetto "pancettone" che comprende varie parti e da cui si ottiene la pancetta vera e propria. Dopo la sezionatura il pezzo viene squadrato e rifilato. Il trasferimento delle pancette allo stabilimento di trasformazione, deve avvenire entro le 72 ore successive con mezzi refrigerati. Le pancette squadrate e rifilate devono sostare in cella frigorifera fino al momento della salatura. Articolo 4. Metodo di elaborazione Il processo di elaborazione inizia con la salagione a secco che consiste nel mettere a contatto con le carni una miscela composta da: - dosi per 100 kg di carne fresca: cloruro di sodio: min 1,5 kg, max 3,5 kg; nitrato di sodio e/o potassio: max 15 gr; pepe nero e/o bianco in grani e/o spezzato: min 30; max 50 gr; chiodi di garofano: max 40 gr; zuccheri: max 1,5 kg; sodio L-ascorbato (E301): max 200 gr. L'operazione di salagione è effettuata a mano. È vietata la salagione in salamoia. Le pancette salate sono poi accatastate su appositi piani in celle frigorifere con temperatura di 3-5 °C ed umidità relativa del 70-90% per un periodo non inferiore a dieci giorni. Dopo tale periodo si procede alla raschiatura al fine di togliere eventuali residui della lavorazione e l'eccesso di sali e spezie. Dopo la salagione e la raschiatura, le pancette vengono arrotolate con eventuale aggiunta di carne magra proveniente da suini con i requisiti descritti all'art. 2. Infine alle estremità non coperte dalla cotenna sono applicabili lembi di vescica di suino, diaframma parietale suino o altro tipo di budello naturale di suino. Sulla cucitura laterale invece è applicabile diaframma parietale suino, budello naturale suino o carta vegetale, allo scopo di ottenere una protezione naturale durante la stagionatura. Successivamente le pancette sono legate. Dopo aver effettuato la foratura in modo omogeneo su tutta la superficie, le pancette sostano in locali con temperatura da 0 °C a 5 °C per alcune ore. Successivamente le pancette passano alla fase di asciugamento che avviene per un periodo non superiore a sette giorni, ad una temperatura compresa tra 15 e 25 °C durante questa fase si constata il caratteristico accentuarsi della colorazione della cotenna, indice del processo di maturazione. Articolo 5. Stagionatura La fase di stagionatura deve protrarsi per un periodo non inferiore a tre mesi dalla data di salatura. La stagionatura avviene in ambienti aventi temperatura compresa tra i 10 e 14 °C ed umidità relativa del 70-90%. Durante tale fase è consentita la ventilazione, l'esposizione alla luce ed all'umidità naturale, tenuto conto dei fattori climatici presenti nelle vallate piacentine. Articolo 6. Caratteristiche La Pancetta Piacentina, all'atto della immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche; Caratteristiche organolettiche: - aspetto esterno: forma cilindrica; - peso: da 4 a 8 kg; - colore: rosso vivo inframmezzato del bianco delle parti grasse; - aroma e sapore: carne di profumo gradevole, dolce dal sapore sapido. Caratteristiche chimico-fisiche: Umidità (%) Min 25 Max 41 Proteine (%) Min 9 Max 16,5 Grassi (%) Min 38 Max 63 Ceneri Ceneri (%) Min 2 Max 5,5 pH Min 5 Max 6 La Pancetta Piacentina può essere commercializzata sfusa ovvero confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata, intera, in tranci od affettata. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 7, esclusivamente nella zona di trasformazione indicata all'art. 2. Articolo 7. Controlli Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione "Pancetta Piacentina" deve essere indicata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta, che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Denominazione di origine protetta". Tali indicazioni possono essere abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Piacenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Pitina Pitina Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
DIPARTIMENTO DELLE POLITICHE COMPETITIVE DELLA QUALITA’ AGROALIMENTARE IPPICHE E DELLA PESCA DIREZIONE GENERALE PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITA’ AGROALIMENTARE E DELL’ IPPICA PQAI IV DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELL'INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA «PITINA» Articolo 1 Denominazione del prodotto L’Indicazione Geografica Protetta – I.G.P. – a denominazione «Pitina» è riservata al prodotto che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare. Articolo 2 Descrizione del prodotto 1. La «Pitina» è ottenuta da un impasto costituito da: - una frazione prevalentemente magra di carne di una delle seguenti specie animali: ovino, caprino, capriolo, daino, cervo, camoscio; - una frazione prevalentemente grassa di pancetta o spallotto di suino. La «Pitina» viene preparata, affumicata e stagionata nel territorio indicato all’Art. 3. 2. La «Pitina» esternamente si presenta di forma semisferica, di colore compreso tra il giallo dorato ed il giallo bruno; il colore interno al taglio è compreso tra il rosso vivace ed il bordeaux carico con la parte più esterna più scura. Al taglio l’impasto si presenta magro con grana molto fine. Il sapore è complesso e sapido con un caratteristico aroma di fumo. 3. La «Pitina» ha peso compreso tra i 100 e i 300 grammi. Viene commercializzata intera, confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata. 4. La «Pitina» al momento dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche chimico- fisiche: Umidità < 55% Sale < 3,5% Proteine < 28% Nitrati < 100 mg/kg Nitriti < 25 mg/kg Articolo 3 Zona di produzione 1. La «Pitina» è ottenuta esclusivamente nel territorio comunale dei Comuni di Andreis, Barcis, Cavasso Nuovo, Cimolais, Claut, Erto Casso, Frisanco, Maniago, Meduno, Montereale Valcellina, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto. 2. Tutta la zona di produzione rientra nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, provincia di Pordenone. Articolo 4 Prova dell'origine Il processo produttivo deve essere monitorato documentando per ognuna delle fasi gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei macellatori e/o sezionatori, dei trasformatori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, sia fisiche che giuridiche, iscritte nei rispettivi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5 Metodi di ottenimento §.1 Materia prima La materia prima per la lavorazione della «Pitina» è costituita da carne di ovino o di caprino o di selvaggina ungulata limitatamente alle specie capriolo, daino, cervo, camoscio per la frazione prevalentemente magra e da pancetta e/o spallotto di suino per la frazione prevalentemente grassa. La materia prima è approvvigionata dai macelli o da laboratori di sezionamento ed è consegnata ai trasformatori allo stato fresco, in condizioni di refrigerazione, con temperatura compresa tra -1 e +7°C misurata al cuore della massa; non è ammessa carne separata meccanicamente. La materia prima presenta i seguenti requisiti: a) colore e caratteristiche della carne: colore rosso del magro, assenza di grasso di copertura e di microemorragie o di ematomi; b) colore e caratteristiche della pancetta e/o spallotto di suino: colore rosso-rosato del magro e bianco candido del grasso. §.2 Fasi e metodi di lavorazione 1. Le fasi attraverso le quali è eseguita la lavorazione della «Pitina» sono le seguenti: * mondatura * macinazione * impastatura * affumicatura * asciugatura * stagionatura 2. Per la fase di mondatura le carni vengono disossate, sgrassate e private dei tendini. La pancetta e/o spallotto di suino deve essere mondata della cotenna e privata di eventuali sfilacci di grasso non compatto. 3. Le carni così ottenute vengono tritate in attrezzature idonee al fine di ottenere un impasto omogeneo. La tritatura deve essere effettuata con piastre aventi il diametro dei fori compreso tra 4,5 e 7 millimetri. La materia prima carnea deve osservare le seguenti percentuali di composizione: Minimo Massimo Componente magra 70% 90% Componente grassa 10% 30% 4. La componente magra deve essere costituita con carni di un’unica specie animale compresa tra quelle indicate al punto 1 del § 1 5. Il trito così ottenuto viene impastato con la concia. Quest’ultima è costituita in una miscela di sale marino o di salgemma ovvero da una miscela tra i medesimi, associata a pepe, aglio, vino ed erbe aromatiche con l’uso di nitriti e nitrati. Le erbe aromatiche ammesse sono: ginepro, kümmel o finocchio selvatico, semi di finocchio, achillea muscata. La concia osserva inoltre la composizione in grammi per chilogrammo di impasto carneo riportata nella tabella che segue: Componente Minimo Massimo Sale 15,0 32,0 Pepe 1,5 3,0 Aglio 1,0 3,0 Vino rosso secco 10,0 30,0 Dall’impasto così ottenuto si elaborano singoli agglomerati a forma semisferica del peso variabile tra i 150g e i 400g. La superficie esterna degli agglomerati viene cosparsa di farina di mais fino ad ottenere una impanatura omogenea. 6. Gli agglomerati così ottenuti sono collocati in appositi ambienti dove ha luogo l’affumicatura. Il fumo è prodotto dalla combustione di legno o segatura di legno di faggio, carpine o alberi da frutto. L’operazione di affumicatura ha una durata variabile tra le 4 e le 48 ore, nel corso delle quali viene alimentata la combustione per un periodo complessivo di durata compresa tra 3 e 12 ore. L’ambiente di affumicatura è mantenuto a temperature comprese tra 18 e 30°C. L’affumicatura deve essere effettuata prima della stagionatura. 7. In seguito il prodotto subisce un processo di asciugatura al fine di favorirne l'essiccamento e la diffusione della concia nella massa carnosa. Tale fase ha durata compresa tra 2 e 8 giorni computati a partire dalle ore 24 del giorno di inizio asciugatura, nel corso dei quali il prodotto viene mantenuto in ambienti a temperatura compresa tra 10 e 18°C e umidità variabili tra 50 e 85%. 8. Al termine delle operazioni di asciugatura il prodotto è riposto nei locali dove ha luogo la stagionatura. La stagionatura avviene in ambienti muniti di aperture verso l’esterno per consentire sia la ventilazione che il ricambio dell’aria, in condizioni di temperatura comprese tra i 3 e i 18°C e di umidità variabile tra il 60 ed il 90%. Tali locali devono essere muniti di attrezzature idonee a mantenere il giusto equilibrio e le caratteristiche termo-igrometriche prescritte anche in funzione dei fattori climatici presenti nell’area di elaborazione. 9. La “Pitina” può essere messa in commercio non prima che siano trascorsi 30 giorni dall'inizio della lavorazione, intesa come data di impasto. §.3 Confezionamento del prodotto 1. Al termine della fase di stagionatura la «Pitina» può essere confezionata per la commercializzazione nelle tipologie descritte all’art. 2. 2. Le operazioni di confezionamento della «Pitina» possono essere effettuate esclusivamente in laboratori situati nel territorio descritto all’Art.2 e nel medesimo contesto della lavorazione. Limitare il confezionamento al contesto di lavorazione della «Pitina» è necessario al fine di garantire il mantenimento della specificità del prodotto. A differenza di altri prodotti stagionati, la «Pitina» non prevede una fase di insacco in budello dell'impasto. L'unico agente “avvolgente” e protettivo è costituito dalla farina di mais presente sulla superficie dell'impasto agglomerato a forma semisferica. Pertanto, confezionare il prodotto nel medesimo contesto della lavorazione evita sia la perdita della forma della «Pitina», sia un indurimento eccessivo del prodotto dovuto alla permanenza del prodotto in ambienti con condizioni di umidità e temperatura non controllati. Articolo 6 Elementi che comprovano il legame con il territorio 1. Il territorio di produzione della “«Pitina»” sotto il profilo geografico si identifica in tre valli denominate Valcellina, Val Colvera e Val Tramontina, inserite nel comprensorio montuoso soprastante l'alta pianura friulana occidentale, racchiuso tra il corso dei fiumi Tagliamento e Piave. Parte del territorio ricade nel comprensorio del Parco Naturale Dolomiti Friulane. 2. Si tratta di un territorio storicamente contrassegnato da povertà, emigrazione e da un’economia di sopravvivenza, nella quale la carne era un bene prezioso e dove erano rarissime le tracce dell’allevamento del maiale, lusso che in queste valli non ci si poteva permettere; la provvista di proteine animali derivava dalle carni di pecore e capre macellate per raggiunti limiti di età o perché ferite o cadute in un dirupo ovvero, saltuariamente, da carni di selvaggina ungulata frutto di caccia esercitata quasi sempre di frodo. 3. La necessità di conservare il più a lungo possibile soprattutto per i mesi invernali la poca carne disponibile ha fatto evolvere tecniche di conservazione, del resto comuni a tutto l’arco alpino e all’area del nord Europa, tra le quali l’affumicatura e la stabilizzazione con l’aggiunta del grasso di suino. 4. Nel caso della «Pitina», le carni che non venivano consumate subito e, più in generale, le parti meno pregiate, venivano sgrossate, ripulite dalle componenti adipose e dai tendini, sminuzzate su un tagliere chiamato “pestadoria” con un pesante coltello chiamato “manarin” e quindi ricomposte in polpettine con l’aggiunta di sale, spezie (talvolta messe a macerare nel vino), finocchio selvatico. Le polpettine (“pitine”) venivano poi passate nella farina di mais e quindi messe ad asciugare al fumo del camino (“fogher” o “fogolar”). 5. Il nome “Pitina” si è originariamente diffuso nella Val Tramontina. I primi produttori dei quali è rimasta traccia (i proponenti hanno raccolto originali testimonianze della tradizione orale, intervistando anziani emigrati negli Stati Uniti, che permettono di risalire all'inizio dell'800) sono stati gli abitanti delle frazioni di Inglagna e Frasaneit, nel comune di Tramonti di Sopra. In questo Comune fin dal 1969 la Pro Loco ha recuperato la tradizione locale organizzando la Festa della Pitina che da allora si ripete ogni anno in luglio. Ed è stato proprio un macellaio di Tramonti di Sopra, Mattia Trivelli, a presentare in data 4 aprile 1989 la domanda di registrazione del marchio “Pitina” all'Ufficio Italiano Brevetti. 6. Una serie di testimonianze orali, raccolte da studiosi locali a partire dal 1978 (“La cultura popolare di Andreis e la sua valle” – tesi di laurea di Renata Vettorelli – Università degli studi di Urbino – anno accademico 1981-82) permettono di affermare con certezza che la preparazione ed il consumo della «Pitina» erano largamente diffusi all’inizio dell’800 in Val Tramontina e nelle vallate limitrofe. 7. La scarsità di documentazione scritta riguardante la «Pitina» viene spiegata dai ricercatori (come l’arch. Moreno Baccichet, docente universitario di Treviso) con il fatto che trattasi di un prodotto originariamente non utilizzato come merce di scambio: “La carne in argomento non veniva commerciata e quindi non era oggetto di nessuna scrittura contabile quale la registrazione di incassi o baratti di merce. Inoltre la pitina era considerata una carne “povera” riservata al popolo e quindi non veniva offerta ne tantomeno consumata dai nobili e dai benestanti”.… a maggior ragione, non usciva dalla stretta cerchia familiare la «Pitina» preparata talora con la selvaggina cacciata abusivamente…. 8. In ogni caso, vista la carenza di documentazione scritta, appare importante la citazione della «Pitina» nel volume “La valle del Colvera” (Mazzoli, Maniago, 1973): “… La pitina veniva preparata con carne di ovini e caprini…” ed appare significativa la dettagliata descrizione presente nel volume “Civiltà contadina del Friuli – architettura spontanea e lavoro a Navarons” edito nel 1979: “Pitina – E’ una polpetta schiacciata (otto centimetri di diametro e tre di spessore) di carne di pecora o di montone, di capra o di becco o di camoscio. La carne è disossata, ripulita dal grasso, macinata a macchina o tritata a mano, salata e pepata e con l’aggiunta di aglio e di una percentuale di lardo. Il composto è ben amalgamato e passato nella farina di polenta. Le porzioni vengono affumicate su braci di legno di ginepro. Le “pitini” si possono conservare in luogo asciutto anche per oltre un anno”. (“pitini” costituisce un maldestro tentativo di rappresentare al plurale la denominazione …) 9. La tradizione della «Pitina» in val Tramontina è citata nella “Guida turistica” della V Comunità Montana edita nel 1989. “… un particolare cenno merita la “pitina” … di Mattia Trivelli… a base di carne di montone affumicata con rare erbe aromatiche e dosata sapientemente con spezie secondo una antica ricetta di famiglia gelosamente custodita”. 10. Tra il 1997 ed il 2000 la «Pitina» viene inserita da Arcigola Slow Food nel primo elenco dei prodotti da salvare, contestualmente alla redazione di un video (Pieffe immagini, Maniago, 1999) ed alla fondazione di un apposito “presidio”, per salvaguardarne tradizione e ricetta. 11. Quasi contemporaneamente il prodotto viene inserito nel primo elenco del registro dei prodotti tradizionali redatto dalla Regione Friuli Venezia Giulia ai sensi del DM 350/99. 12. La stessa opzionabilità della materia prima carnea (alternativamente di origine ovina o caprina ovvero di selvaggina) inquadra la specificità di un connotato assolutamente “local”, impraticabile nei normali contesti industrializzati, quantomeno per la fragilità dell’elaborato e della assoluta prevalenza del savoir-faire rispetto al know-how per la lavorazione di un prodotto che stagiona ma non si essicca, grazie anche alla irripetibile condizione eco-ambientale della zona. 13. Le caratteristiche inquadrate dall’Osservatorio meteorologico regionale (OSMER, 2011) definiscono infatti per l’area in questione il profilo meteo-climatico autonomo di una enclave prealpina segnata da medie annue di precipitazioni autenticamente da record, con frequente rimescolamento delle masse d’aria aggiunte alla specificità del contesto orografico che ospita il “più basso nevaio permanente delle Alpi” (mt 1200 sldm), proprio al centro geo-economico dell’areale delimitato. 14. La «Pitina» è il frutto di questa singolare ed irripetibile condizione, dando vita ad un prodotto di carne stagionata ma contemporaneamente non essiccata, grazie alle modalità di composizione, di impasto e di lavorazione della materia prima impiegata ma anche grazie all’assenza di umidità stagnante seppure in una delle zone più piovose del nord Italia: l’effetto dell’enclave pesa anche sul tipo di carne impiegata, che ignora – per ragioni storiche e socio-economiche - bovini e suini, viceversa prevalenti nella macro-regione e nelle stesse aree immediatamente contermini, aggiungendole in modo assolutamente originale all’uso dell’affumicatura in assenza di budello e/o di cotenna e/o di un autentico involgente protettivo (diverso da un velo di farina di mais …); non a caso, quindi, il medesimo “effetto enclave” trova conferma nella inesistenza di esperienze produttive similari o comparabili in vastissime porzioni di territorio italiano ed europeo. Articolo7 Controlli 1. La verifica del rispetto del presente disciplinare è svolta conformemente a quanto stabilito dall’art. 37 del Reg. (UE) 1151/2012. L'organismo di controllo a ciò preposto è l'INEQ – Istituto Nord Est Qualità, via Rodeano, 71 – San Daniele del Friuli (UD), tel. 0432 940349, fax 0432 943357. Articolo 8 Etichettatura 1. Ogni confezione deve recare il logo del prodotto e il simbolo dell'Unione Europea. 2. La designazione dell’indicazione geografica protetta «Pitina» è intraducibile e deve essere apposta sull’etichetta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta; essa deve essere immediatamente seguita dalla menzione “Indicazione geografica protetta” e/o dalla sigla I.G.P.. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno il consumatore. 3. Il logo del prodotto è costituito dall’insieme grafico di simboli e parole di seguito raffigurato: 4. Il logo del prodotto è costituito da un quadrifoglio composto da quattro lettere “P” stilizzate, (tre delle quali bordate ed una completamente colorata), ruotate di 45, 135, 225 e 315 gradi rispetto all'asse verticale. Accanto al quadrifoglio compare la dicitura “Pitina” secondo le forme rappresentate, con l'iniziale “P” stilizzata tal quale quelle che compongono il quadrifoglio, le lettere seguenti utilizzando il font Swiss 721 Black Rounded. Il quadrifoglio e la dicitura sono contornati nella parte inferiore da una semi ellisse assottigliata agli estremi. Il logo del prodotto può essere riprodotto in qualsiasi colore, ma rimanendo rigorosamente monocromatico; non sono ammessi retini, né nelle parti in colore, né nelle parti vuote delle “P” bordate. Il logo va riprodotto esclusivamente in positivo, su fondo bianco o comunque chiaro, senza fondini o riquadri. La dimensione minima in lunghezza non dev'essere inferiore a 25 millimetri, con una risoluzione non inferiore a 300 dpi. 5. Il logo del prodotto è obbligatoriamente riprodotto su etichette, confezioni e vesti grafiche in genere per tutti i prodotti confezionati, con la prescrizione che il relativo ingombro – calcolato rapportando alla superficie di un rettangolo corrispondente all’altezza ed alla lunghezza complessive del marchio – non sia inferiore al 10% e superiore al 25% della superficie totale della etichetta o della veste grafica. | I.G.P | Prodotti a base di carne | Friuli Venezia Giulia | Udine | ||||||||||||||||||||||||||||
Porchetta di Ariccia Porchetta di Ariccia" IGP Disciplinare di produzione della "Porchetta di Ariccia" IGPArticolo 1. - Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) “Porchetta di Ariccia” è riservata esclusivamente al prodotto di carne suina le cui fasi di lavorazione sono rispondenti alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. - Caratteristiche del prodotto Materia prima La materia prima destinata alla produzione della “Porchetta di Ariccia” I.G.P. proviene da suini di sesso femminile, iscritti ai libri genealogici delle razze Landrace, Large White, Pietrain e relativi ibridi. Le carcasse che giungono allo stabilimento devono rispondere alle classi S, E, U secondo quanto previsto dalla vigente normativa comunitaria. La denominazione “Porchetta di Ariccia” I.G.P. è ammessa per la tipologia porchetta intera e per il tronchetto corrispondente alla porzione della mezzena di suino, compreso fra la 3° vertebra dorsale e l’ultima vertebra lombare. Per la porchetta intera, il peso delle carcasse eviscerate, al momento del conferimento, va da un minimo di 60 Kg. ad un massimo di 90 Kg.. Le carcasse della porchetta intera devono avere gli arti anteriori e posteriori e/o la testa. Per la produzione del tronchetto, il peso della porzione di mezzena, al momento del conferimento, va da un minimo di 14 Kg. ad un massimo di 25 Kg. Caratteristiche del prodotto: La “Porchetta di Ariccia” I.G.P. all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche: Peso della porchetta intera: il peso è compreso tra i 27 Kg. e i 45 Kg., al momento dell’etichettatura di cui all’art.8; Peso del tronchetto: il peso è compreso tra i 7 Kg. e i 13 Kg., al momento dell’etichettatura di cui all’art.8; Le caratteristiche di seguito definite, della crosta e del gusto, sono riferite sia per la porchetta intera che per il tronchetto. La crosta: nella parte superiore deve avere consistenza croccante, colore marrone e gusto sapido; nella parte inferiore, ossia nella zona sottopancia, la crosta può presentare consistenza morbida. Gusto: deve essere di carne suina aromatizzata al rosmarino, aglio e pepe nero. Il prodotto al momento dell’immissione al consumo deve avere le seguenti caratteristiche chimico-fisiche, riferite al tal quale: - (acqua libera) Aw: < 0.98 - Umidità relativa: < 57% - Grasso: < 33% - Proteine: > 20% Articolo 3. - Zona di Produzione La zona di produzione e confezionamento della “Porchetta di Ariccia” I.G.P. è il territorio del Comune di Ariccia. Articolo 4. - Prova dell'origine Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, dei produttori e dei confezionatori, nonché attraverso la denuncia alla struttura di controllo dei quantitativi prodotti, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. - Metodo di ottenimento Metodo di produzione. Le carcasse di suino, di sesso femminile, destinate alla produzione della “Porchetta di Ariccia” I.G.P. giungono negli stabilimenti di lavorazione ad una temperatura compresa fra 0°/ + 4°C. e stoccate in cella frigorifera a temperatura compresa fra 0°/+ 4°C. La carcassa viene sottoposta, nel laboratorio di preparazione, a disossamento manuale che prevede: l’asportazione di tutte le parti ossee, ad eccezione della tibia e del perone degli arti posteriori e delle parti ossee della testa, quando è presente; la recisione degli arti posteriori e anteriori e l’asportazione della carne in eccesso a livello dei prosciutti, della spalla, del collo e del filetto, al fine di garantire una adeguata cottura della porchetta. Gli arti posteriori vengono recisi a livello dell’articolazione tarsale, mentre gli arti anteriori vengono recisi al livello dell’articolazione fra l’ulna e radio. Segue la fase della salatura con sale fino marino nella proporzione di 15-30 grammi di sale per chilogrammo di materia prima e successivamente la fase di riposo, con una durata da 5 minuti a 1 ora, dall’inizio dell’operazione, necessaria affinché il sale venga assorbito adeguatamente dalla carcassa o dal tronchetto. Dopo il riposo, si effettua un massaggio manuale in tutte le parti della carcassa o tronchetto in cui è stato distribuito il sale per un tempo da 30 secondi a 5 minuti con il quale si elimina il sale in eccesso. Si procede con la speziatura con una miscela di pepe nero, in polvere o macinato grossolanamente, rosmarino ed aglio, nella quantità da 150 a 250 gr. per 100 Kg. di materia prima. Ogni singolo ingrediente non può rappresentare in peso meno del 20% della miscela. La distribuzione della miscela avviene manualmente. La fase della legatura, che costituisce un elemento significativo nella preparazione della“Porchetta di Ariccia” I.G.P., è una operazione manuale che deve garantire, sia durante che dopo la cottura, il mantenimento della compattezza della porchetta intera e del tronchetto. Essa viene eseguita secondo un processo tradizionale tramandato di generazione in generazione. La carcassa disossata e condita, destinata alla produzione della porchetta intera, viene legata e cucita attorno ad un tubo di alluminio alimentare o acciaio inox, con lo scopo di favorire internamente un’omogenea trasmissione e diffusione del calore durante la cottura; inoltre possono essere inseriti da 4 a 8 tubi/ferri di alluminio alimentare e/o acciaio inox a livello del collo, delle spalle e delle cosce. Alla carcassa intubata viene praticata la legatura con ago e spago di fibra naturale secondo una procedura che prevede i seguenti passaggi: la parte rimanente degli arti posteriori, le cui basi ossee sono tibia e perone, viene sollevata e legata con filo di acciaio sopra il tubo successivamente, mediante doppio passaggio di spago; lo spago viene passato sul collo e tirato al fine sia di ridurre la lunghezza della porchetta intera sia di compattarla. Per la legatura del tronco toracico, lo spago viene fatto passare sia all’interno che all’esterno della carcassa, con andamento circolare, interessando ora la parte ventrale ora la parte dorsale. Tale sistema di legatura ha lo scopo di conferire alla porchetta intera la forma originaria della carcassa, che deve rimanere dopo la cottura e dopo l’asportazione di tutti i tubi. La carcassa disossata e condita, destinata alla produzione del tronchetto, viene arrotolata e cucita con ago e spago di fibra naturale nel senso della sua lunghezza. Successivamente il tronchetto viene accorciato e compattato, passando lo spago per tutta la sua lunghezza e incrociandolo. In ultimo, vengono eseguite da 6 a 8 legature lungo la circonferenza, atte sia a contenere la legatura a croce, sia a mantenere compatta la carne durante la cottura. La “Porchetta di Ariccia” IGP, così preparata viene introdotta nel forno solo quando, in questo, è stata raggiunta la temperatura interna di almeno 200°C. La cottura della porchetta avviene ad una temperatura compresa fra 160 e 280°C per un tempo compreso dalle 3 alle 5 ore dall’immissione, in modo da ottenere la formazione di una crosta croccante. La cottura del tronchetto deve avvenire ad una temperatura compresa tra 160 e 280°C per un tempo compreso dalle 3 alle 6 ore dall’immissione. La porchetta ed il tronchetto, una volta sfornati, vengono posti nella sala di raffreddamento ad una temperatura compresa fra 10°C e 30°C e per un tempo compreso dalle 5 alle 15 ore dall’immissione, al fine di favorire lo scolo di grasso e liquidi residui. Il raffreddamento, che avviene in modo graduale, toglie altra umidità al prodotto favorendo, la crosta croccante , il colore omogeneo della carne e la conservabilità anche nei giorni successivi alla preparazione. Al fine di salvaguardare la fragranza del prodotto, la croccantezza della crosta ed il colore uniforme della carne, il confezionamento della porchetta e del tronchetto devono avvenire nella zona di produzione come indicato all’art.3. Una volta confezionato, il prodotto può essere conservato in cella frigorifera a temperature comprese fra +2° e +6° C. Articolo 6. - Legame con l’ambiente La reputazione della “Porchetta di Ariccia” risale al 1950 quando i porchettari di Ariccia guidati dal proprio sindaco allestirono la prima “Sagra della Porchetta di Ariccia”, con lo scopo di celebrare questo prodotto tanto gustoso quanto all’epoca già noto. Da allora ogni anno ad Ariccia si svolge questa manifestazione suggestiva e caratteristica dove viene offerta la porchetta su banchi addobbati a festa da venditori vestiti con gli abiti tradizionali ariccini. Testimonianza di ciò è l’“Estratto dal Registro degli atti della Giunta Comunale, del 14 settembre 1962, relativo al contributo per la festa della Patrona S. Apollonia e della Sagra della Porchetta”, trovato negli archivi del Comune di Ariccia a dimostrazione dell’importanza pluridecennale che la Porchetta di Ariccia I.G.P. ha nelle tradizioni popolari locali. A proposito della sagra, Vincenzo Misserville, nel 1958, nella rivista “I castelli Romani – Vicende, Uomini, Folclore” scrive: “Tra le numerose sagre dei Castelli Romani, quella ariccina “della Porchetta e del Pane casareccio” è forse l’unica che, per il suo carattere di semplicità paesana, giustifica il suo appellativo: persino nella denominazione essa ha un sapore schiettamente casalingo”. L’utilizzo del nome “porchetta” deriva dal fatto che vengono lavorate solo le carcasse di animali di sesso femminile la cui carne è notoriamente più magra e saporita. Nel 1974, Giulio Cesare Gerlini, nel libro “Ariccia Storia-Arte-Folclore”, scrive, a proposito della Porchetta di Ariccia, che: “l’arte di preparare i porcellini destinati a diventare“porchetta”, si può dire che è una esclusività di poche famiglie ariccine i cui componenti si tramandano di padre in figlio.” Ed ancora, “l’idea della Sagra venne perché si desiderava far conoscere che il prodotto ariccino si era affermato a tal punto che persino all’estero viene spedita ad imbandire tavoli di conosciuti ristoranti e locali alla moda”. Infatti, i produttori della “Porchetta di Ariccia” I.G.P. hanno mantenuto invariata negli anni la tradizione artigiana della preparazione della porchetta, tramandando di generazione in generazione l’arte di condire, aromatizzare, legare e predisporre la porchetta alla cottura al forno. Particolare importanza riveste la professionalità e l’esperienza dei “porchettari” ariccini che si adoperano quotidianamente a produrre la “Porchetta di Ariccia”. Molte sono le“storiche famiglie”, come i Leoni, gli Azzocchi, gli Argentati, i Leopardi ed i Cioli, che da anni lavorano con sistemi tradizionali la “Porchetta di Ariccia”. I figli o nipoti di questi"porchettari" mantengono viva la produzione nel paese di Ariccia e lo stesso termine viene ancora oggi usato per apostrofare gli appartenenti alle famiglie dei produttori di porchetta. Nel 1957, lo scrittore Carlo Emilio Gadda, nel suo romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”, riporta una puntuale descrizione di come veniva venduta la porchetta di Ariccia a Roma e illustra chiaramente la già nota reputazione del prodotto. Un venditore di porchetta, infatti, esclama: “La porca, la porca! Ciavemo la porchetta signori! La bella porca de l’Ariccia co un bosco de rosmarino in de la panza! Co le patatine de staggione!………… Carne fina e delicata, pe li signori proprio! Assaggiatela e proverete, v’oo dico io, sore spose: carne fina e saporita!....... Porchetta arrosto cor rosmarino! e co le patate de stagione………”. Da sempre la Porchetta di Ariccia è conosciuta per la sua carne sapida e di colore fra il bianco e il rosa, il cui sapore e profumo sono arricchiti dall’uso sapiente del rosmarino, del pepe e dell’aglio nella preparazione della carcassa; per la croccantezza della crosta che rappresenta la sua caratteristica indiscussa, ottenuta attraverso un’adeguata cottura, e che rimane inalterata anche dopo svariati giorni dalla cottura. Il connubio fra la fragranza della carne e la croccantezza della crosta dipende dalla perizia tradizionale dei porchettari che sanno insaporire, legare, cuocere la carne mantenendo intatta la forma dell’animale per garantire un prodotto estremamente gustoso, croccante e altamente digeribile. Accanto alla sua indiscussa reputazione ed al sapiente e determinante lavoro dell’uomo, altri fattori concorrono a far sì che questo prodotto raggiunga tali valori speciali. Tali fattori sono quelli climatici della zona di produzione. Il clima di tipo temperato-marittimo con influssi mediterranei tipico di questo territorio, costituito da un gruppo di alture, coperte da una fitta vegetazione costituita principalmente da castagno, leccio, roverella, cerro, carpino nero, bagolaro, pioppo nero, salice bianco, che si elevano dalla campagna romana ed i cui terreni sono in prevalenza depositi di un antichissimo vulcano quaternario, l’aria silvo-marina associata all’azione dei venti infatti, concorrono positivamente sulla lavorazione: in particolare, nell’ambito della fase di raffreddamento, l’azione di venti garantisce una graduale e uniforme riduzione del contenuto di umidità determinando il mantenimento della crosta croccante e favorendo il caratteristico colore roseo della carne. Grazie quindi a tutti questi aspetti ben combinati tra loro che la “Porchetta di Ariccia” è conosciuto ed apprezzato. Nel linguaggio comune ormai il consumatore associa il nome della “Porchetta di Ariccia” ad un prodotto di qualità ed è disposto a pagare per esso un prezzo più alto rispetto ad altri prodotti simili presenti in commercio. Articolo 7. - Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. (CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo Agroqualita’ – Piazza Marconi, 25, 000144 Roma – tel. 06- 54228675 fax 06-54228692 e-mail agroqualita@agroqualita.it Articolo 8. - Etichettatura Confezionamento La “Porchetta di Ariccia” IGP sia nella tipologia intera che in quella in tronchetto, può essere confezionata intera, in tranci o affettata. Le confezioni possono essere realizzate con carta e/o plastica per alimenti. Sono usate anche confezioni sottovuoto e/o in atmosfera modificata. La confezione reca obbligatoriamente sulla etichetta, il logo come sotto descritto e a fianco il logo comunitario, in conformità alle prescrizioni del Reg. CE n.1898/2006 e successive modifiche. La denominazione è traducibile nella lingua del paese di esportazione. Il logo della denominazione “Porchetta di Ariccia” IGP, come riportato di seguito, è costituito da: - una forma ellittica avente sfondo di colore giallo di quadricromia C 0% M 0% Y 20% K 0%, delimitato esternamente da tre linee rispettivamente di colore rosso di quadricromia C 0% M 100% Y 100 K 0%, bianco di quadricromia C 0% M 0% Y 0% K 0%, e verde di quadricromia C 100% M 0% Y 100% K 0%. La diagonale maggiore dell'ellisse è il doppio della minore e non può essere inferiore a 1 centimetro; - all’interno dell’ellisse c’è un secondo contorno di quadricromia C 0% M 100% Y 100% K 70%; - in alto, è riportata la scritta PORCHETTA DI ARICCIA avente carattere Times New Roman di quadricromia C 0% M 100% Y 100% K 70%; - sotto la scritta Porchetta di Ariccia ed al centro dell’ellisse è riportata l’immagine classica della porchetta dopo la cottura al forno; - a livello della testa e delle cosce sono raffigurati due rami con foglie di colore verde di quadricromia C 100% M 0% Y 100% K 100% - sotto l’immagine della porchetta è riportata la scritta I.G.P. avente carattere Times New Roman e di quadricromia C 0% M 100% Y 100% K 70%. Il logo si potrà adattare proporzionalmente alle varie declinazioni di utilizzo. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Lazio | Roma | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto Amatriciano Prosciutto Amatriciano IGP Caratteristiche del Prosciutto Amatriciano IGPIl Prosciutto Amatriciano IGP presenta una consistenza elastica e compatta con ottima tenuta della fetta. E’ caratterizzato da un colore rosso/roseo inframmezzato dal bianco puro del grasso di marezzatura e presenta un profumo gradevole, dolce ma intenso. Il sapore è sapido, ma non salato; profumo gradevole, dolce ma intenso. Il peso minimo non inferiore a 8 kg alla conclusione del periodo minimo di stagionatura; minimo 12 mesi di stagionatura dalla data di prima salatura. Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione. L’Indicazione Geografica Protetta Prosciutto Amatriciano I.G.P. è riservata esclusivamente al prosciutto, rispondente alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto. Il Prosciutto Amatriciano I.G.P., all’atto dell’immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche: - chimico-fisiche: - Percentuale di umidità: non superiore al 60% su tal quale; - Contenuto di proteine: minimo 25% sulla sostanza secca - organolettiche e qualitative: - Forma: a pera con esclusione dello zampo; - Faccia frontale: caratterizzata da una ampia parte scoperta che si estende in senso verticale fino ad oltre la metà della altezza della coscia (rifilatura alta); - Peso minimo: non inferiore a 8 kg alla conclusione del periodo minimo di stagionatura; - Stagionatura: minimo 12 mesi dalla data di I salatura; - Colore: rosso/roseo inframmezzato dal bianco puro del grasso di marezzatura; - Sapore: sapido ma non salato; - Aroma: profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove all’ago; - Consistenza: elastica e compatta con ottima tenuta della fetta. Articolo3. Zona di produzione. L’area di produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. è rappresentata dai seguenti Comuni della provincia di Rieti, con il limite altimetrico non superiore a 1.200 m s.l.m.: Amatrice, Accumoli, Antrodoco, Borgo Velino, Cantalice, Castel Sant’Angelo, Cittaducale, Cittareale, Configni, Contigliano, Colli sul Velino, Cottanello, Greccio, Labro, Leonessa, Micigliano, Morro Reatino, Petrella Salto, Poggio Bustone, Posta, Rieti e Rivodutri. Articolo 4. Prova dell’origine. Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata documentando per ognuna delle fasi gli input (prodotti in entrata) e gli output (prodotti in uscita). In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, dei macellatori, sezionatori, trasformatori, confezionatori e affettatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte, è garantita la tracciabilità del prodotto. Tutte le persone, sia fisiche che giuridiche, iscritte nei rispettivi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Metodo di ottenimento. 5.1. La materia prima destinata alla produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. è rappresentata esclusivamente dalla coscia fresca di: - Suini delle razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, così come migliorate dal Libro Genealogico Italiano, o figli di verri delle stesse razze; - Suini figli di verri di razza Duroc Italiana, così come migliorata dal Libro Genealogico Italiano; - Suini figli di verri di altre razze ovvero di verri ibridi, purché provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano per la produzione del suino pesante; Non sono in ogni caso ammessi: - Verri e scrofe, carcasse non perfettamente dissanguate, ovvero caratterizzate dalla presenza di miopatie conclamate [PSE (Pale, Soft, Exsudative – pallida, soffice, essudativa) e DFD (Dark, Firm, Dry – scura, rigida, secca)] o di postumi evidenti di processi flogistici e traumatici; - Suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento al gene responsabile della sensibilità agli stress [PSS (Porcine Stress Sindrome – sindrome dello stress suino)]; - Animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spotted Poland. Ai sensi del presente disciplinare le tecniche di allevamento, gli alimenti consentiti, le loro quantità e modalità di impiego sono finalizzate ad ottenere un suino pesante tradizionale, obiettivo che deve essere perseguito nel tempo attraverso moderati accrescimenti giornalieri ed un’alimentazione conforme alla disciplina generale in vigore. I suini sono avviati alla macellazione non prima che sia trascorso il 9° mese e non dopo che sia trascorso il 15° mese dalla nascita. Il loro stato sanitario deve essere ottimo e come tale attestato dalla competente Autorità sanitaria. Le mezzene devono essere classificate commercialmente secondo il metodo SEUROP ad appartenere alle classi E, U, R, O e P. Inoltre: - la coscia fresca deve avere cotenna bianca e base ossea costituita da una parte del coxale (anchetta), dal femore, dalla tibia, dalla rotula e dalla prima fila delle ossa tarsiche; - le cosce dei suini impiegati per la produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. devono avere un peso compreso tra 12,50 16,00 kg; - lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore (sottonoce), con la coscia e la relativa faccia esterna poste su un piano orizzontale, deve essere compreso tra i 15 ed i 30 millimetri, cotenna compresa, in funzione della pezzatura; - la coscia deve presentare un tatuaggio indelebile ed inamovibile apposto prima dello svezzamento ed indicante il codice di tracciabilità della coscia nelle fasi precedenti la trasformazione; - dopo la macellazione le cosce suine non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa la congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura delle carni variabile tra 0 C° e + 4 C°; - non è ammessa la lavorazione di cosce suine che risultino ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da più di 120 ore che decorrono dal giorno di macellazione. 5.2 Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche è illustrato di seguito mediante l’elenco delle diverse fasi del processo produttivo. La lavorazione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. prevede 9 fasi. 1. Ricevimento e Rifilatura 2. Selezione e Raffreddamento 3. Salagione 4. Dissalatura 5. Toelettatura e Riposo 6. Lavaggio 7. Asciugatura 8. Pre-Stagionatura e Sugnatura 9. Stagionatura e Marchiatura 5.2.1 RICEVIMENTO E RIFILATURA Dopo la macellazione si provvede al sezionamento della coscia ed al suo invio presso lo stabilimento di produzione, secondo quanto previsto al punto 5.1. La fase di rifilatura consiste nell’asportare grasso e cotenna in modo da conferire al prosciutto la classica forma tondeggiante “a pera”, con la parte interna della coscia ampiamente “scoperta”. Dalla fase di accettazione della materia prima in stabilimento, le cosce impiegate per la produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. non devono subire alcun trattamento ad esclusione della refrigerazione. 5.2.2 SELEZIONE E RAFFREDDAMENTO Le cosce fresche vengono sottoposte a selezione allo scopo di suddividere i singoli lotti in due classi di peso: la I tra 12,50 e 14,00 kg, la II tra 14,01 e 16,00 kg. Le cosce selezionate vengono sistemate in apposita cella dove vi rimangono fino al raggiungimento di una temperatura delle carni compresa tra 0 e +4 C°. Successivamente si prosegue con la fase di salagione. 5.2.3 SALAGIONE Il processo di salagione si suddivide in I salatura e II salatura (o ripasso). Alla I salatura le cosce vengono: massaggiate allo scopo di eliminare i residui di sangue; sfregate manualmente o meccanicamente con sale marino sulla cotenna; salate mediante aspersione con cloruro di sodio; è consentito l’uso di saccarosio e nitrato di potassio secondo le quantità consentite dalla normativa vigente. La rifinitura avviene sempre manualmente avendo cura di ricoprire con il sale la zona del pallino. Le cosce salate vengono trasferite su un piano orizzontale e riposte in una apposita cella a temperatura non superiore ai 6°C dove rimangono per un periodo variabile tra 4 e 6 giorni. Trascorso tale periodo le cosce sono sottoposte alla fase di ripasso (II salatura); vengono prelevate dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie e successivamente vengono ripetuti il massaggio, la sfregatura e l’aspersione del sale, con le stesse modalità della I salatura. Nuovamente riposte in cella a temperatura non superiore ai 6°C, le cosce vi permangono per un periodo variabile tra 8 - 10 giorni per la I classe di peso e tra 11 - 14 giorni per la II classe di peso, a decorrere dall’inizio della seconda salatura. 5.2.4 DISSALATURA Al termine del periodo necessario alla salagione si asporta il sale dalla superficie esterna delle cosce, viene ripetuto il massaggio e, legati con dello spago ai gambi, si appendono i prosciutti in posizione verticale. Al termine di questa fase le cosce hanno subito un calo peso, riferito al peso delle cosce fresche di cui al punto 5.2.2., superiore al 2%. 5.2.5 TOELETTATURA E RIPOSO Terminata la fase di dissalatura le cosce vengono riposte in celle di riposo a temperatura compresa tra 0 e +6°C. Durante la permanenza in tali celle, esse vengono ulteriormente rifinite (“toelettate”) al fine di eliminare le imperfezioni e le piccole sporgenze che si possono trovare attorno all'osso. Nel corso della fase di riposo il sale assorbito penetra con graduale omogeneità all’interno della massa muscolare distribuendosi in modo uniforme. 5.2.6 LAVAGGIO Ultimato il riposo le classi di cosce vengono sottoposte a lavaggio definitivo mediante l’applicazione di getti d’acqua. 5.2.7 ASCIUGATURA Le cosce poste all’interno di celle sono sottoposte a ventilazione con aria calda ad una temperatura compresa tra 16 e 24°C. E’ vietato qualsiasi processo di affumicatura. 5.2.8 PRE-STAGIONATURA e SUGNATURA In questa fase prosegue il processo di rinvenimento / acclimatamento delle carni a temperatura minima di 10 °C. Alla fine di questa fase i singoli lotti di prosciutto subiscono un trattamento di sugnatura che consiste nella distribuzione sulla superficie esposta della coscia non protetta da cotenna e grasso, di una pasta composta da: sugna e/o lardo e/o strutto finemente triturati con sale marino, spezie (pepe nero e/o pepe bianco e/o aglio) e farina di cereali e/o crema di riso. La composizione della pasta deve rispettare le seguenti percentuali: 40-60% di sugna e/o lardo e/o strutto e 40-60% di farina di cereali o farina o crema di riso. 5.2.9 STAGIONATURA e MARCHIATURA A questo punto inizia la stagionatura vera e propria, fase in cui i singoli lotti di prosciutto sostano almeno fino al 12° mese dalla data della prima salatura in celle a temperatura minima di 10°C e comunque fino al raggiungimento di un calo peso del 30% rispetto al peso di cui al comma 5.2.2.. Durante questa fase deve avvenire, entro il 12° mese da quello della fase di I salatura, la marchiatura a fuoco, descritta nell’art 8, sulla cotenna della parte alta della faccia interna della coscia. E’ consentito effettuare una seconda fase di sugnatura secondo le metodiche descritte nel punto 5.2.8. Articolo 6. Legame con l’ambiente 6.1. Il Prosciutto Amatriciano I.G.P. vanta una qualità specifica che deriva dalla tradizionale tecnica di rifilatura particolarmente alta della coscia fresca effettuata in tutto l’areale di produzione nella fase di ricevimento della materia prima. Tale operazione, che caratterizza questo prodotto contraddistinguendolo dagli altri prosciutti stagionati meno scoperti, è dovuta alla secolare esperienza maturata dai produttori della zona specifica; essa consiste nell’asportare grasso e cotenna con un deciso taglio semi-circolare che arriva fino ad oltre la metà dell’altezza della coscia in modo da conferire al prosciutto la classica forma tondeggiante “a pera”, facendo in modo che la faccia frontale risulti caratterizzata da una ampia parte scoperta che si estende in senso verticale fino ad oltre la metà della altezza della coscia. Oltre all’aspetto visivo esteriore, grazie a questa operazione viene aumentata la superficie esposta non protetta da cotenna e grasso utile dapprima all’assorbimento della concia salina e successivamente all’azione di asciugamento dell’aria; si ottiene così un prodotto finito contraddistinto, rispetto agli altri prodotti meno scoperti, da un più basso contenuto di umidità ed un più elevato tenore in proteine che sono indice di qualità del prodotto; tali caratteristiche sono in accordo con le buone caratteristiche olfattive e di consistenza del prodotto, connotato da una significativa compattezza al tatto e da un intenso aroma di stagionatura. L’apprezzamento verso questa preparazione alimentare viene confermato dalla reputazione che il Prosciutto Amatriciano si è costruito a partire già dall’inizio del novecento, quando si comincia ad identificare il prodotto proprio con Amatrice. Questa località infatti può considerarsi il centro di un territorio che corre lungo le alte valli del Velino e del Tronto caratterizzato da un'antica produzione di prosciutti. Prova ne è il testo riguardante la"civiltà amatriciana", datato 1932 in cui Cesare De Berardinis qualifica la preparazione dei"prelibati prosciutti" attribuendola "alle mani" e "alle cure" delle instancabili donne di Amatrice. Nello specifico si dice: “L’economia tutta della famiglia è nelle loro mani (le donne) e sono esse che debbono provvedere … alla tenuta…di tutti gli animali da cortile, tra i quali sono compresi i maiali …d’inverno le provviste per l’estate, e d’estate per l’inverno. Son loro che attendono alla preparazione delle carni salate di maiale e dalle loro mani e dalle loro cure, escono i prelibati prosciutti..”. Dagli anni ’80 ad oggi, inoltre, la denominazione passa nei circuiti commerciali, tanto che le fatture dei salumifici della zona si riferiscono al prodotto come "prosciutto amatriciano". La notorietà e distinzione del Prosciutto Amatriciano ha, però, radici che si perdono nel tempo. Un’importante produzione di prosciutti si attesta, in modo certo nella zona di cui all’art 3, dal pieno medioevo. Dai documenti esaminati si evince come, per l'alto valore attribuitogli, fossero usati prosciutti come merce di scambio, come se avessero già un valore commerciale: nel 1327 60 paia di prosciutti l’anno costituiscono il prezzo che gli abitanti di Capradosso (comune di Petrella Salto compreso nell’areale di produzione individuato) sono disposti a pagare a chi li aiuti ad appropriarsi di possedimenti, adiacenti ai loro territori ma ricadenti sotto la signoria dell’abbazia benedettina di S. Salvatore Maggiore. In altri documenti, inoltre, i prosciutti sono considerati una tassa da pagare ai feudatari: negli Statuti del Cicolano (territorio in cui ricade la maggior parte dei comuni compresi nell’areale di produzione del Prosciutto Amatriciano) è attestata, alla fine del XIV secolo, la consuetudine signorile di prelevare dai vassalli prosciutti. Per passare a tempi più recenti, di notevole importanza è la Statistica del Regno di Napoli, fatta stilare da Gioacchino Murat nel 1811 in cui si fa riferimento già ad un'"industria" di prodotti suini “nel Cicolano, in Amatrice e in qualche altro punto della provincia" e si parla, nello specifico di "prosciutti...” e altri prodotti esportati "nelle vicine province, ed in Napoli ancora". Esalta, inoltre, il prodotto dicendo che "la loro bontà dipende più che altro dalla buona qualità delle carni e dalla purezza dell'aere". Anche nell’Inchiesta Jacini, redatta tra il 1877 – 1885, il professor Piccinini, incaricato di redigere la “Monografia sul Circondario di Cittaducale”, comprendente gran parte dei comuni compresi nell'areale di produzione, parla di produzione di prosciutti: al capitolo Razze suine così si esprime: “... la maggior parte dei maiali si alleva presso le famiglie ... infatti tutte le famiglie (dei Comuni del Circondario) allevano uno o più animali suini ad esclusivo uso dei bisogni propri.... Dei porci si utilizza tutto e la conservazione avviene tanto allo stato fresco che salato. Se ne fanno prosciutti.....”. Questa attenzione, pertanto, mostra in modo paradigmatico ed inequivocabile come proprio la conca amatriciana sia stata e continui ad essere il luogo di maggior produzione e di trasformazione di prosciutti. 6.2. Accanto alla sua indiscussa reputazione, il prosciutto amatriciano vanta particolari caratteristiche legate sia ai fattori pedoclimatici sia alla secolare esperienza maturata dai produttori della zona specifica. La zona di produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. presenta particolari caratteristiche geografiche e morfologiche. Il comprensorio dei 22 comuni facenti parte della zona di produzione, come indicato all’art 3 del presente disciplinare, è essenzialmente montano con una scarsa presenza di aree di pianura. L’orografia e la natura geofisica presentano, nelle diverse aree incluse in questo comprensorio, aspetti di grande similitudine, che hanno consentito la nascita e lo sviluppo di attività antropiche e di tradizioni che pur nella loro peculiarità presentano grandi analogie. La zona di produzione del Prosciutto Amatriciano I.G.P. è caratterizzata da una situazione pedoclimatica piuttosto favorevole alla buona riuscita di tale preparazione alimentare. Oltre alla tecnica di lavorazione, al tipo ed ai tempi di stagionatura, le altitudini fino a 1200 metri s.l.m., il clima rigido nelle aree d’alta montagna e relativamente rigido nelle aree basse e vallive della zona montana, l’aria fresca e pulita che si respira in tutto il comprensorio interessato dalla produzione e soprattutto l’umidità relativa generalmente inferiore al 70%, agiscono in modo positivo durante tutte le fasi di lavorazione ed in modo particolare nella lunga ed accurata stagionatura, consentendo al prodotto finito di avere quel particolare aroma dal profumo gradevole, dolce ma intenso, che lo contraddistingue. Articolo 7. Controlli Il controllo sulla conformità del prodotto al disciplinare è svolto, da una struttura di controllo, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg.(CE) n. 510/2006. Tale struttura è l’Organismo di controllo 3 A PTA – Parco Tecnologico agroalimentare dell’Umbria - s.c.r.l., Fraz. Pantalla – Todi (PG) 06050, Tel: +39- 0758957224, Fax: +39-0758957257, Email: certificazione@parco3a.org Articolo 8. Etichettatura 8.1. Il Prosciutto Amatriciano I.G.P. è destinato alla vendita: - con osso: dopo l’apposizione del collarino; - disossato: è ottenuto a partire dal prosciutto stagionato con osso; il disosso avviene al completamento del periodo mimino di stagionatura; è indispensabile il confezionamento sottovuoto con buste per alimenti nel rispetto della normativa vigente. Il Prosciutto Amatriciano I.G.P. disossato deve avere un peso superiore ai 6 Kg. e presentare sulla cotenna della faccia interna della coscia il marchio a fuoco;. - affettato: il confezionamento deve essere effettuato in sottovuoto o in atmosfera modificata in contenitori, rispondenti alla normativa vigente. Il Prosciutto Amatriciano I.G.P., dovrà recare obbligatoriamente sul collarino, sulle etichette o sulle buste utilizzate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, oltre al simbolo grafico comunitario identificativo delle produzioni I.G.P., alle relative menzioni, e alle informazioni corrispondenti ai requisiti di legge, le seguenti ulteriori informazioni: - “Prosciutto Amatriciano” seguita dalla sigla I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta); - Il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda produttrice; - Il logo del prodotto. La designazione “Prosciutto Amatriciano” è intraducibile. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Lazio | Rieti | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di Carpegna Prosciutto di Carpegna Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La denominazione d'origine protetta "Prosciutto di Carpegna" è riservata al prosciutto crudo stagionato che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del "Prosciutto di Carpegna" debbono essere situati nel territorio delle regioni Lombardia, Emilia Romagna e Marche. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti di Parma e S. Daniele. Gli allevamenti devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso non inferiore ai 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai dieci mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del Reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il peso delle cosce fresche rifilate (taglio corto) non deve essere inferiore a 12 kg. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dalla struttura di controllo indicata nel successivo art. 7. L'elaborazione del "Prosciutto di Carpegna" deve avvenire nella zona tradizionalmente vocata del Comune di Carpegna (provincia di Pesaro-Urbino, regione Marche). Il regime climatico dell'area di elaborazione del "Prosciutto di Carpegna" è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente collegato all'andamento meteorologico caratteristico ed alle particolari condizioni ambientali. Articolo 3. Materie prime Il "Prosciutto di Carpegna" è derivato dalle cosce dei suini pesanti corrispondenti alle caratteristiche dell'art.2. Nel procedimento di salatura si impiega cloruro di sodio marino macinato a secco. Articolo 4. Metodo di elaborazione Subito dopo la macellazione le cosce isolate della carcassa sono sottoposte a refrigerazione per almeno 24 ore fino al raggiungimento di una temperatura interna fra 0 e 1°C, successivamente si procede alla rifilatura con "Taglio corto classico". Le cosce così preparate sono consegnate, entro 96 ore dalla macellazione, allo stabilimento di elaborazione, avendo cura che il prodotto, se non viene lavorato entro le 24 ore dalla consegna, sia riposto in un ambiente a temperatura compresa tra –1° C e +4° C. Entro le 24 ore dall'arrivo delle cosce fresche nello stabilimento di elaborazione, le stesse vengono sottoposte ad apposito massaggio con spremitura dei grandi vasi sanguigni e quindi al successivo primo procedimento di salagione con impiego di cloruro di sodio marino macinato a secco. Le cosce così preparate sono tenute fino a sette giorni in locali con condizioni di temperatura non inferiore a 0° C e di umidità elevata. Dopo di che si procede alla rimozione del sale residuo in superficie ed all'ulteriore massaggio con spremitura dei vasi sanguigni. Successivamente si passa alla seconda salagione, effettuata in locali ad atmosfera controllata, che si protrae per non oltre 11 giorni. Dopo l'eliminazione del sale in eccesso mediante battitura e spazzolatura segue una fase di maturazione in ambienti con temperatura e umidità controllate, per circa due mesi. Successivamente si ha una fase di prelavaggio, lavaggio ed asciugatura. Infine si effettua la pre-stagionatura sempre in condizioni ambientali controllate tali da favorire una lenta riduzione del tenore di umidità delle cosce. Caratteristica di questa fase è la tradizionale legatura, mediante corda passata “a strozzo” nella parte superiore del gambo ovvero attraverso la foratura della cotenna in corrispondenza dell’osso dello stinco. In seguito i prosciutti sono battuti, toelettati e stuccati utilizzando esclusivamente metodi tradizionali e manuali. In tutte le fasi di lavorazione è vietato l'utilizzo di additivi chimici. Articolo 5. Stagionatura Dopo le stuccature il prodotto viene trasferito in appositi ambienti di stagionatura caratterizzati da temperature comprese tra 15°C e 20°C ed umidità relativa del 65-80%. Durante la stagionatura è consentita la ventilazione, l'esposizione alla luce ed all'umidità naturale, tenuto conto dei fattori climatici presenti nel Comune di Carpegna. Il periodo di stagionatura, dalla salagione alla commercializzazione, non dura meno di 13 mesi. Articolo 6. Caratteristiche All'atto della immissione al consumo il "Prosciutto di Carpegna" presenta le seguenti caratteristiche fisiche, organolettiche, chimiche e chimico-fisiche: Caratteristiche fisiche: - Forma: tondeggiante, non globosa, tendente al piatto, con sufficiente strato di grasso nella parte opposta all'anca; - Peso: non inferiore a 8 kg; - Aspetto al taglio: colore tendenzialmente rosa salmonato, con adeguata quantità di grasso solido, di colore bianco rosato all'esterno. Caratteristiche organolettiche: - Profumo: delicato e penetrante di carne stagionata; - Gusto: delicato e fragrante; - Consistenza: tenera ed elastica delle carni; Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche: - Umidità percentuale compresa nell’intervallo tra 57 e 63% - Rapporto sale/umidità (quoziente del rapporto tra la composizione percentuale in cloruro di sodio e la percentuale di umidità) : compreso tra 7,8 ed 11,2; - Rapporto umidità/proteine (quoziente del rapporto tra la percentuale di umidità e la percentuale di proteine totali) : compreso nell’intervallo tra 1,9 e 2,5 - Indice di proteolisi (composizione percentuale delle frazioni azotate solubili in acido tricoloroacetico – TCA – riferite al contenuto in azoto totale) non inferiore a 24 e non superiore a 31-. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato o da un’autorità pubblica designata, conformemente a quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 del Reg. CE n. 510/2006. Articolo 8. Designazione e presentazione Il "Prosciutto di Carpegna" è immesso al consumo provvisto di apposito contrassegno che identifica il prodotto. Il contrassegno è costituito dal simbolo che segue nella Figura 1, recante la dicitura "Prosciutto di Carpegna" apposto con marchiatura a fuoco. Il prodotto viene commercializzato anche come "disossato pressato" o "disossato all'addobbo" previa asportazione totale dello stucco e dei grassi esterni superflui. È consentito il confezionamento del prodotto, anche affettato, sottovuoto o in atmosfera modificata, utilizzando prosciutti stagionati di almeno 14 mesi. La designazione della denominazione di origine protetta "Prosciutto di Carpegna" deve essere fatta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Denominazione di Origine Protetta". Tali indicazioni sono abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Marche | Pesaro-Urbino | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di Modena Prosciutto di Modena Disciplinare di produzioneProvvedimento 25 gennaio 1999 e modifiche – GURI n. 33 del 10 febbraio 1999 A Nome del prodotto che comprende la denominazione d'origine A.1 Il nome del prodotto è "Prosciutto di Modena". A.2 La denominazione d'origine "Prosciutto di Modena" è giuridicamente protetta a livello azionale dalla legge della Repubblica Italiana 12 gennaio 1990 n. 11 "Tutela di denominazione d'origine del prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto", attualmente in vigore. B Descrizione del prodotto mediante indicazione delle materie prime e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche ed organolettiche B.1 La denominazione di origine del "Prosciutto di Modena" è riservata esclusivamente al prosciutto le cui fasi di produzione, dalla salagione alla stagionatura completa, hanno luogo nella zona tipica di produzione e viene attestata dal contrassegno previsto dalla legge gennaio 1990, n. 11, atto a garantire l'origine, 1’identificazione e l'osservanza di disposizioni produttive contenute nel presente disciplinare. B.2 Il prosciutto di Modena è ottenuto esclusivamente dalla coscia fresca di suini nati, levati e macellati nelle seguenti regioni: Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia, secondo le prescrizioni produttive contenute presente disciplinare. B.2.1 I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e dissanguati secondo le migliori tecniche di produzione, non prima del nono mese dalla nascita. B 2.2 È esclusa l'utilizzazione di verri e scrofe. B.2.3 La coscia fresca deve avere per base ossea il femore, la tibia, la rotula e la prima fila elle ossa tarsiche. B.2.4 Le cosce dei suini impiegate per la preparazione del Prosciutto di Modena devono essere di peso sufficiente a far conseguire un peso, a fine stagionatura, non inferiore ai sette chilogrammi. B.2.5 Lo spessore del grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza della testa del femore (sottonoce), con la coscia e la relativa faccia esterna poste sul piano orizzontale, non deve essere inferiore a 15 millimetri, cotenna compresa funzione della pezzatura. B.2.6 La giusta consistenza del grasso è stimata attraverso la determinazione del numero di odio e/o del contenuto di acido linoleico, da effettuarsi sul grasso interno ed esterno del pannicolo adiposo sottocutanea della coscia. Per ogni singola coscia il numero di jodio non deve superare 70 ed il contenuto di acido linoleico non deve essere superiore al 15%. B.2.7 Sono escluse le cosce provenienti da suini con miopatie conclamate (PSE, DFD, costumi evidenti di pregressi processi flogistici e traumatici, ecc.), accertate obiettivamente e certificate, al macello, da un medico veterinario. B.2.8 Dopo la macellazione, le cosce suine non devono subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione, ivi compresa ha congelazione. Per refrigerazione si intende che le cosce suine devono essere conservate, nelle fasi di deposito e trasporto, ad una temperatura interna variabile tra - 1 grado C° e + 4 gradi C°. B.2.9 Non è ammessa la lavorazione di cosce suine che risultino ricavate da suini macellati a meno di 24 o da oltre 120 ore. B.3 Il prosciutto di Modena, al termine della stagionatura presenta particolari caratteristiche organolettiche e qualitative, che si concretizzano in una oggettiva caratterizzazione e nella ricorrenza di determinati parametri; questi ultimi sono l'inequivocabile risultato della correlazione, confermata nel tempo fra caratteristiche organolettiche e parametri chimici in funzione delle metodiche produttive. B.3.1 Le particolari caratteristiche organolettiche e qualitative del prosciutto di Modena rispondono ai seguenti requisiti. a) forma a pera, con esclusione del piedino ottenuta con l'eliminazione dell'eccesso di grasso mediante rifilatura ed asportazione di parte delle cotenne e del grasso di copertura; b) peso minimo non inferiore a chilogrammi sette; di norma ricompreso tra gli otto e dieci chilogrammi, c) colore rosso vivo del taglio; d) sapore sapido ma non salato; e) aroma di profumo gradevole, dolce ma intenso anche nelle prove dell'ago; f) consistenza caratteristica della carne dell’animale di provenienza. B.3.2 Per quanto. riguarda l'osservanza di determinati parametri, il prosciutto di Modena è altresì caratterizzato dall'osservanza di requisiti, verificati mediante l'analisi chimica e riferiti alla composizione centesimale di una frazione del muscolo bicipite femorale, rilevati prima dell'apposizione del contrassegno di cui al punto B. 1 del presente disciplinare. B.3.3 L’umidità percentuale non deve essere inferiore al 50%, né superiore al 61%. B.3.4 I1 cloruro di sodio in percentuale non deve essere inferire al 4,5% né superiore al 6,7%. B.3.5 Il quoziente del rapporto tra la composizione percentuale di cloruro di sodio e l’umidità percentuale (espresso in valori numerici moltiplicati per 100) non deve essere inferiore a 7,4 né superiore a 13,5. B.3.6 L’indice di proteolisi (composizione percentuale delle frazioni azotate solubili in acido tricloroacetico – TCA - riferite al contenuto in azoto totale) non deve essere inferiore al 21%, né superiore al 31%. B.3.7 Il peso del prosciutto di Modena intero è di norma ricompreso tra di otto e i dieci chilogrammi, e comunque mai inferiore a sette chilogrammi. B.4 Il prosciutto di Modena è commercializzato anche frazionato; in tal caso su ogni mezzo o porzione viene apposto il contrassegno di cui al punto B.1. Qualora non sia possibile conservare sul prodotto il contrassegno, questo dovrà essere apposto in modo indelebile ed inamovibile sulla confezione, sotto il controllo dell'organismo abilitato. C Delimitazione della zona geografica e rispetto delle condizioni di cui all’art. 2, par. 4 C.1 La zona tipica di produzione del prosciutto di Modena, cosi come individuata e eliminata dalla Legge 12 gennaio 1990, n. 11 corrisponde alla particolare zona collinare insistente sul bacino oroidrografico del fiume Panaro e sulle valli confluenti, e che, Partendo dalla fascia pedemontana, non supera i 900 metri di altitudine comprendendo i territori dei seguenti Comuni: Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Spilarnberto, San Cesario sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola, Marano, Guiglia, Zocca, Montese, Maranello, Serramazzoni, Pavullo nel Frignano, Lama Mocogrio, Pievepelago, Riolunato, Montecreto, Fanano, Sestola, Gaggio Montanto, Monteveglio, Savigno, Monte San Pietro, Sasso Marconi, Castello di Serravalle, Castel d'Aiano, Bazzano, Zola Predosa, Bibbiano, San Polo d'Enza, Quattro Castella, Canossa (già Ciano d'Enza), Viano, Castelnuovo Monti. C.2 Nella zona di cui al punto C. 1 devono essere ubicati gli stabilimenti di produzione (prosciuttifici) e devono quindi svolgersi tutte le fasi di trasformazione della materia prima, previste dalla presente disciplinare fino alla stagionatura completa. I laboratori di confezionamento e affettamento del prosciutto di Modena devono essere ubicati nel territorio delle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna, nelle quali sono ricompresi i comuni di cui al punto C.1. C.3 La materia prima (crf. Punto B.2.) proviene da un'area geograficamente più ampia della zona di trasformazione, che comprende il territorio amministrativo delle regioni Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio, Friuli Venezia Giulia. C.4 Nella suddetta zona di provenienza della materia prima hanno sede tutti gli allevamenti dei suini le cui cosce sono destinate alla produzione del prosciutto di Modena e gli stabilimenti di macellazione abilitati alla relativa preparazione, nonché i laboratori di sezionamento eventualmente ricompresi nel circuito della produzione tutelata. C.5 Tale zona di provenienza della materia prima è rispondente a quanto richiesto dalla legge 12.01.1990 n. 11 così come modificata dall'articolo 60 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e sue eventuali e successive modifiche ed integrazioni. C.6 Ai sensi dell'art. 2, paragrafo 5, del Reg. CEE n. 2081/92, la produzione delle materie prime deve soddisfare le seguenti prescrizioni e condizioni particolari. C.6.1 Le razze, l'allevamento e l'alimentazione dei suini devono essere idonei a garantire le tradizionali qualità del prodotto in esito a precise prescrizioni produttive, originate da peculiari tecniche d'allevamento praticate nella zona considerata, puntualmente codificate e pertanto riconosciute e generalmente adottate all'interno del circuito della produzione tutelata. C.6.2 Sono pertanto ammessi gli animali in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace, cosi come migliorate dal Libro Genealogico Italiano. Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, cosi come migliorati dal Libro Genealogico Italiano. C.6.3 Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci e ibridi, purché provengano da schemi di selezione od incrocio con finalità compatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano, per la produzione dei suino pesante. C.6.4 In osservanza alla tradizione, sono comunque esclusi i portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS) che oggi sono rilevati obiettivamente anche sugli animali "post mortem" e sui prosciutti stagionati. C.6.5 Sono in ogni caso esclusi gli animali che non producono cosce conformi al presente disciplinare, con riferimento alle prescrizioni di cui alla scheda B. C.6.6 Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spot Poland. C.6.7 I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze, e comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di 160 chilogrammi (più o meno 10%). C.6.8 Gli alimenti consentiti, le quantità, e le modalità di impiego devono essere quelli riportati nelle tavole prescritte, che seguono al successivo punto C.13. C.6.9 L'alimento dovrà essere preferibilmente presentato in forma liquida (broda o pastone) e, per tradizione, con siero di latte. C.6.10 Rispetto alle quantità indicate nel presente disciplinare sono ammesse tolleranze massime del 10%. C.6.11 Ai fini di ottenere un grasso di copertura di buona qualità nell'alimento è consentita una presenza massima di acido linoleico pari al 2% della sostanza secca della dieta. C.6.12 Siero di latte (sottoprodotto di cagliate) e latticello (sottoprodotto della lavorazione del burro) insieme non devono superare i 15 litri capo/giorno. C.6.13 Se associato a boriando il contenuto totale di azoto deve essere inferiore al 2 %. C.6.14 Patata disidratata e manioca insieme non devono superare il 15% della sostanza secca della razione, C.7 I fattori di caratterizzazione della coscia suina fresca sono prescritti nelle condizioni indicate nella precedente scheda B. C.8 Le fasi di allevamento dei suini destinati alla produzione del prosciutto di Modena sono cosi definite: - allattamento: da 0 a 30 giorni sotto scrofa - svezzamento: da 30 a 80 giorni - magronaggio: da 30 a 80 chilogrammi di peso - ingrasso: da 80 a 160 chilogrammi e oltre C.8.1 Le tecniche di allevamento sono finalizzate ad ottenere un suino pesante, obiettivo che deve essere perseguito assicurando moderati accrescimenti giornalieri, nonché la produzione di carcasse incluse nelle classi centrali della Classificazione CEE. C.8.2 Le strutture e le attrezzature dell'allevamento devono garantire agli animali condizioni i benessere. C.8.3 I ricoveri devono risultare ben coibentati e ben aerati, in modo da garantire la giusta temperatura, il ricambio ottimale dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi. C.8.4 I pavimenti devono essere caratterizzati da una bassa incidenza di fessurazioni e realizzati con materiali idrorepellenti, termici ed antisdrucciolevoli. C.8.5 In relazione alla tipologia dell'alimentazione, tutte le strutture ed attrezzature devono esentare adeguati requisiti di resistenza alla corrosione. C.9 L'unicità del suino pesante italiano è stata riconosciuta direttamente dalla Comunità. infatti in sede di applicazione del Reg. CEE n. 3220/84 - concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine - ha riconosciuto unicamente all'Italia la presenza sul territorio della due popolazioni suine: - il suino leggero, macellato a pesi conformi alle medie europee e destinato al consumo di carni fresche - il suino pesante, macellato a pesi superiori ai 150/160 chilogrammi, le cui carni sono destinate all'industria salumiera. Questo ha portato a distinguere le carcasse in "leggere" e "pesanti" alla applicazione di due formule nettamente diverse nella valutazione commerciale (Decisione Commissione 21712/88). C.9.bis In particolare onde garantire l'osservanza delle condizioni indicate nel presente disciplinare, gli allevamenti si assoggettano al seguente regime di controllo. È instaurato un regime di controllo atto a garantire l'osservanza di particolari condizioni produttive delle materie prime, nonché degli obiettivi posti a carico di tutti i soggetti ricompresi nel circuito della produzione tutelata del Prosciutto di Modena (allevatori, macellatori, sezionatori, produttori). C.9.1 Per essere compresi nel "circuito della produzione tutelata" gli allevatori devono essere preventivamente riconosciuti e codificati dall'organismo abilitato. C.9.2 A tal fine, gli allevatori presentano all'organismo abilitato apposita richiesta; questi, effettuati gli accertamenti del caso, assegna ad ogni singolo allevatore un codice di identificazione su base alfanumerica, e gli fornisce gli appositi supporti cartacei, prenumerati e precodificati, indispensabili per il rilascio della dichiarazione di cui in appresso. C.9.3 L'allevatore riconosciuto nelle forme previste dal punto C 9.1 appone sulle cosce posteriori di ogni suino, entro il trentesimo giorno dalla nascita, un timbro indelebile. C.9.4 L'apposizione di tale timbro è effettuata mediante applicazione, con apposito strumento a compressione, di un tatuaggio indelebile ed inamovibile anche "Post mortem" sulla porzione laterale di entrambe le cosce del suinetto posta appena sotto una linea orizzontale che parte dalla rotula ed in corrispondenza della parte inferiore del bicipite femorale. C.9.5 La timbratura riproduce il codice d'identificazione di cui al punto C.9.1 ed una ulteriore lettera alfabetica, utilizzata in funzione variabile in relazione al mese di nascita dell'animale. La timbratura è apposta sotto la responsabilità dell'allevatore. C.9.6 Nelle ipotesi in cui il suino timbrato venga trasferito ad altro allevamento, quest'ultimo deve essere stato preventivamente riconosciuto dall'organismo abilitato e deve apporre un nuovo timbro recante il proprio codice di identificazione su entrambe le cosce dei suini, in modo da risultare indelebile ed inamovibile anche "post mortem". C.9.7 I1 timbro di cui al punto precedente è apposto sulla porzione laterale della coscia con una superficie di ingombro non superiore a 45 millimetri per 85 millimetri, evitando la sovrapposizione con il timbro di cui al punto C.9.3 e, preferibilmente, non oltre l'ottavo mese di vita. C.9.8 I1 timbro di cui al punto C.9.6 deve comunque essere apposto prima dell'invio del suino alla macellazione. C.9.9 L’allevatore è obbligato a rilasciare, per i suini avviati alla macellazione, una dichiarazione attestante la conformità alle prescrizioni ed alle condizioni particolari previste dal presente disciplinare. C.9.10 A tal fine, all'atto della spedizione dei suini presso un macello riconosciuto, l’allevatore deve compilare, in triplice copia, un esemplare della dichiarazione i cui supporti cartacei gli sono stati preventivamente forniti dall'organismo abilitato. C.9.11 La dichiarazione identificativa dell'allevatore, prenumerata, e precodificata e da questi datata e sottoscritta attesta l'osservanza delle prescrizioni produttive disposte dal presente disciplinare e, inoltre, è integrata dalla indicazione sintetica dei genotipi utilizzati, del numero dei capi e della relativa destinazione. I criteri e le metodologie di compilazione, gestione, utilizzazione e circolazione delle dichiarazioni sono disciplinate con direttiva dell'organismo abilitato. C.9.12 Una copia della dichiarazione viene rilasciata al macello, una viene trasmessa all'organismo abilitato, secondo modalità stabilite da quest'ultimo e la terza viene conservata agli atti. C.9.13 Gli allevatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo volta ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi loro derivanti dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneità dei locali e degli impianti e l'osservanza delle prescrizioni produttive. C.9.14 L'organismo abilitato svolge i propri compiti di vigilanza e di controllo con particolare riferimento alla osservanza delle prescrizioni produttive ed alla regolare apposizione dei timbri, avvalendosi di proprio personale dipendente o di altri soggetti preventivamente incaricati e qualificati professionalmente, come indicato nella successiva scheda G. C.9.15 L'organismo abilitato può avvalersi degli atti di ufficio eventualmente messi a disposizione dal veterinario ufficiale competente per territorio, per attuare il controllo del regolare svolgimento delle operazioni previste dal presente disciplinare.C.10 Onde garantire l'osservanza delle condizioni indicate nel presente disciplinare, i macelli si assoggettano al seguente regime di controllo. C.10.1 I macelli che intendono fornire le cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto di Modena devono inoltrare all'organismo abilitato domanda per attenere un apposito riconoscimento. C.10.2 La domanda è corredata dalla documentazione attestante il possesso dell'autorizzazione sanitaria, nonché dei requisiti igienico sanitari richiesti dalle norme vigenti. C.10.3 L'organismo abilitato, effettuati i necessari accertamenti, provvede all'attribuzione di un codice d’identificazione del macello e fornisce uno o più timbri destinati alla relativa apposizione sulle cosce suine fresche destinate alla produzione del prosciutto di Modena. C.10.4 Sulle cosce suine fresche munite del timbro o dei timbri apposti dall'allevatore e pervenutigli con copia delle dichiarazioni di cui al punto C.9.10, accertatane la corrispondenza ai requisiti indicati nella precedente scheda B, il macellatore è tenuto ad apporre un timbro indelebile impresso a fuoco. C.10.5 I1 timbro di cui al punto precedente riproduce il codice di identificazione del macello presso il quale è avvenuta la macellazione ed è impresso sulla cotenna. C.10.6 I1 macellatore è tenuto ad accompagnare ogni singola partita di cosce fresche sulle quali ha apposto il timbro di cui al punto C.10.4, con un esemplare o una copia dalla dichiarazione ottenuta nelle forme previste al punto C.9.10. C.10.7 Qualora la dichiarazione originariamente rilasciata dall'allevatore si riferisca a suini le cui cosce vengono destinate a diversi "prosciuttifici" e, comunque, a separate forniture, il macellatore è tenuto ad accompagnare ogni singola consegna di cosce fresche con copia della dichiarazione stessa, allegata ad un documento riepilogativo di sintesi od altri documenti comunque richiesti dall'organismo abilitato. C.10.8 I laboratori di sezionamento eventualmente riconosciuti soggiacciono agli stessi obblighi del macello disposti dal presente disciplinare ed integrano la documentazione prevista con fotocopia dei documenti che, ai sensi della vigente normativa amministrativa e sanitaria, hanno accompagnato il trasferimento delle mezzerie o degli altri tagli da un altro dei macelli comunque riconosciuti. C.10.9 I macellatori sono tenuti a consentire ogni forma di controllo intesa ad accertare l'esatto adempimento degli obblighi posti a loro carico dal presente disciplinare, ivi comprese le ispezioni necessarie a verificare l'idoneità dei locali e degli impianti nonché l'osservanza delle prescrizioni produttive. C.10.10 Valgono, relativamente allo sviluppo della attività di controllo dell'organismo abilitato le indicazioni di cui al punto C.9.14. C.10.11 Valgono anche in questo caso le indicazioni di cui al punto C.9.15. C.11 I soggetti ,allevatori e macellatori, nei confronti dei quali siano accertate inadempienze od illegittimità, ivi comprese false dichiarazioni o falsificazioni, sono puniti nelle forme previste dalla Legge della Repubblica italiana 12 gennaio 1990 n. 11. C.11.1 All'accertamento delle circostanze di cui al punto precedente provvedono l'organismo abilitato ed altri organi di vigilanza e di controllo nelle forme meglio indicate nella successiva scheda G. C.12 L'organismo abilitato provvede inoltre direttamente al controllo ed al sistematico riscontro degli obblighi di timbratura e di dichiarazione da parte di allevatori e macellatori nell'ambito delle procedure di controllo. C.13 Alimentazione dei suini destinati alla produzione di Prosciutto di Modena Alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo (tutti quelli utilizzabili nel periodo d'ingrasso, in idonea concentrazione, nonché quelli sottoelencati. La presenza di sostanza secca da cereali non dovrà essere inferiore al 45% di quella totale): Semola glutinata di mais e/o corn gluten feed s.s: fino al 5% della s.s. della razione Carrube denocciolate s.s: fino al 3% della s.s. della razione Farina di carne (solo se di buona qualità) s.s: fino al 2% della s.s. della razione Farina di pesce s.s: fino all'1% della s.s della razione Farina di estrazione di soia s.s: fino ad un massimo del 20% Distillers s.s: fino al 3% della s.s. della razione Latticello* s.s: fino ad un massimo di 61 capo/giorno Lipidi con punto di fusione superiore a 36 gradi centigradi s.s: fino al 2% della s.s. della razione Lisati proteici s.s: fino all'1% della s.s. della razione Silomais s.s: fino al 10% della s.s. della razione s.s.= sostanza secca Alimenti ammessi nella fase di ingrasso (la presenza di sostanza secca da cereali nella fase di ingrasso non dovrà essere inferiore al 55% di quella totale): Mais s.s: fino al 55% della s.s. della razione Pastone di granella e/o pannocchia s.s: fino al 55% della s.s. della razione Sorgo s.s: fino al 40% della s.s. della razione Orzo s.s: fino al 40% della s.s. della razione Frumento s.s: fino al 25% della s.s. della razione Triticale s.s: fino al 25% della s.s. della razione Avena s.s: fino al 25% della s.s. della razione Cereali minori s.s: fino al 25% della s.s. della razione Cruscami e altri prodotti della lavorazione del frumento s.s: fino al 20% della s.s. della razione Patata disidratata*** s.s: fino al 15% della s.s. della razione Manioca*** s.s: fino al 5% della s.s. della razione Polpe di bietola surpressate ed insilate s.s: fino al 15% della s.s. della razione Expeller di lino s.s: fino al 2% della s.s. della razione Polpe secche esauste di bietola s.s: fino al 4% della s.s. della razione Marco mele e pere; boccette d'uva o di pomodori quali veicoli d'integratori s.s: fino al 2% della s.s. della razione Siero di latte* s.s: fino ad un massimo di 151 capo/giorno Latticello* s.s: fino ad un apporto massimo di 250 gr. capo/giorno di s.s. Farina disidratata di medica s.s: fino al 2% della s.s. della razione Melasso** s.s: fino al 5% della s.s della razione Farina di estrazione di soja Farina di estrazione di girasole s.s: fino al 15% della s.s. della razione s.s: fino all'8% della s.s. della razione Farina di estrazione di sesamo s.s: fino al 3% della s.s. della razione Farina di estrazione di cocco s.s: fino al 5% della s.s. della razione Farina di estrazione di germe di mais s.s: fino al 5% della s.s. della razione Pisello e/o altri semi di leguminose s.s: fino al 5% della s.s. della razione Lievito di birra e/o di torula s.s: fino al 2% della s.s. della razione Lipidi con punto di fusione superiore a 40 gradi centigradi s.s: fino al 2% della razione D Elementi comprovanti l'originarietà del prodotto nella zona geografica D.1 L'indicazione degli elementi che comprovano che il prodotto è originario della zona geografica richiamata dalla denominazione che lo designa, deve considerare necessariamente l'articolazione della delimitazione fissata con la precedente scheda C. D.2 Gli elementi comprovanti l'originarià di un prodotto con riferimento ad una zona geografica (scheda D) e gli elementi comprovanti il legame con l'ambiente geografico (scheda F) non sono suscettibili di autonoma trattazione data la loro strettissima interconnessione. La produzione dell'attuale Prosciutto di Modena infatti, nasce e si afferma nell'arco del tempo nella zona pedecollinare sia per la ricorrenza di determinate situazioni microclimatiche, sia perché la conservazione della carne, con l'impiego di sale, tempo e aria, è assolutamente legata al diffuso allevamento del suino ulteriormente tipico di una determinata zona geografica, a sua volta caratterizzata da peculiari tecniche di produzione agraria. La stretta connessione tra le zone di approvvigionamento della materia prima e della zona di stagionatura, consentono infatti di sostenere e provare che: D.2.1 il prosciutto di Modena è sicuramente originario della zona geografica indicata al precedente punto C 1 e le relative caratteristiche, sono essenzialmente dovute all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali e umani; inoltre la relativa trasformazione avviene esclusivamente nell'area geografica delimitata; D.2.2 Nel contempo, la stessa materia prima utilizzata per la preparazione del prosciutto di Modena è del pari originaria della zona geografica delimitata nelle forme indicate al precedente punto C.3 dove ne viene esclusivamente sviluppata la produzione, e le relative caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente, comprensivo dei fattori naturali ed umani. D.3 Per i fini di cui al paragrafo 4 dell'art. 2 del Reg. CEE N. 2081/9, si osserva che: D.3.1 la denominazione "prosciutto di Modena", in quanto designa un prodotto originario di una determinata zona geografica e caratterizzato dall'apporto essenziale dell'ambiente geografico (insieme di fattori naturali ed umani), è già riconosciuta dallo Stato Italiano come denominazione di origine a livello nazionale; D.3.2 i requisiti pregiudiziali indicati nel succitato paragrafo 4 sono stati argomentati e risultano soddisfatti nella precedente scheda C del presente disciplinare. D.4 Le considerazioni svolte al punto D.2, circa l'originalità del suino e del prosciutto da esso derivato, sono tutte riprovate da riscontri di carattere giuridico, storico, socio-economico. D.4.1 Sotto il profilo giuridico, si richiama la legge della Repubblica Italiana 12 gennaio 1990, n.11, avente per oggetto esplicito ed esclusivo la "tutela della denominazione di origine del Prosciutto di Modena, delimitazione della zona di produzione e caratteristiche del prodotto". D.4.2 Sotto il profilo storico, è attendibile ritenere che la produzione di prosciutti, nella zona tipica individuata dal precedente punto C 1, abbia le sue radici nell'epoca del bronzo. D.4.2.1 Infatti, pur riconoscendo che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l'Italia settentrionale e che risulta difficile collocare l'inizio di questa pratica in un preciso periodo di tempo, pare inconfutabile che sulle sponde del Panaro, zona geografica in cui ricorrono tutte le caratteristiche ambientali e morfologiche della più ampia "Padania", l'allevamento del maiale, come animale domestico, sia cominciato in tempi veramente remoti, addirittura prima che in ogni altra zona dell'Emilia Romagna. D.4.2.2 Grazie alla fertilità dei terreni da destinare alle prime pratiche agrarie per la preistorica coltivazione dei cereali e alle ampie zone boccate righe di animali, le popolazioni della valle del Panaro avevano trovato le condizioni favorevoli allo sviluppo della loro civiltà, tanto da poter essere considerati appunto i primi nella regione a praticare l'allevamento; si sa, dunque, che nel neolitico e nell'eneolitico gli antichi abitatori della valle del Panaro erano agricoltori ed allevatori, D.4.2.3 Appurato che i nostri antenati erano allevatori, e che il suino era uno degli animali domestici più rappresentativi, bisogna arrivare all'età del bronzo per conoscere qualcosa relativamente ai metodi di macellazione ed alle tecniche di conservazione delle carni. Gli insediamenti originati dalla cultura terramaricola, hanno consentito il consolidamento dell'allevamento degli animali domestici e scoperto l'utilizzo del sale (cloruro di sodio). Si può quindi presumere che inizi da questo momento la produzione di carne conservata tramite la salagione. D.4.2.4 Era, invece, il 150 a.C. quanto Polibio, attraversando la Pianura Padana, rimase colpito dalla "…terra straordinariamente fertile e ricca" e più tardi della Cispadania scriverà che ".... l'abbondanza delle ghiande nei querceti allignati ad intervalli nella pianura, è attestata da quanto dirò: la maggior parte dei suini macellati in Italia per i bisogni dell'alimentazione privata e degli eserciti si ricava dalla Pianura Padana". D.4.2.5 Ulteriore impulso all'allevamento dei suini ed alla trasformazione delle loro carni si ha con l'amento dei ceffi e dei romani. "Questo allevamento comportava anche piccole industrie di trasformazione spesso connesse con la stessa villa (che nella terminologia latina significa azienda agricola). Infatti le carni che dovevano essere inviate per il consumo il altre regioni, andavano salate o affumicata per la conservazione, oppure trasformate in salumi". D.4.2.6 La carne di maiale divenne ben presto cibo ambito sia dalle classi nobili che dalla popolazione contadina, rispettivamente per la bontà e per l'elevata capacità nutrizionale "La salagione aveva come oggetto dunque, innanzitutto le carni, a cominciare da quella di maiale, che per lungo tempo rappresentò la carne per eccellenza nella dieta quotidiana di larghi strati di popolazione. Soprattutto di maiale salato erano costituite le scorte di carne delle famiglie contadine, che non di rado erano tenute a corrispondere al proprietario della terra un tributo annuo in spalle e prosciutti. Soprattutto di maiale erano costituite le scorte delle grandi aziende rurali, come quella di Migliarina (Carpi), dipendente dal Monastero di Santa Giulia". D.4.2.7 Alla pratica diffusa dell'allevamento (nel 1540 a Modena si contava una popolazione di 17.000 suini) si affiancava sempre di più la pratica della "pcaria", che utilizzava la carne del maiale per la fabbricazione degli insaccati, raggiungendo sin d'allora livelli qualitativi e quantitativi particolarmente apprezzabili. Nel 1547, infatti, sempre a Modena, i "lardaroli e salsicciai" che sino ad allora erano assimilati ai "beccari" si costituirono in corporazione autonoma; la loro arte era riconosciuta anche oltre i confini della città e Modena, in questo campo, era un vero e proprio punto di riferimento. D.4.2.8 Del prosciutto in particolare, si cibavano anche i componenti delle fastose corti rinascimentali, tra le quali una delle più rappresentative era quella del Duca di Modena; il prosciutto non consumato direttamente, a conferma del suo pregio, non veniva scartato ma riutilizzato con ricette tramandate fino a noi come i famosi "tortellini". Della preparazione del prosciutto ne riferisce Padre Giuseppe Falcone nel suo trattato di agricoltura "Nuova Villa", allorquando cita che in Emilia esiste "l'antica specializzazione sull'allevamento dei maiali e nella lavorazione delle carni suine", precisando che " .... Non può star bene una villa senza porci, animali si utili, e di molta cavata .... i prosciutti nostrani si tengono tre settimane sotto sale in tre settimane le mezene restano salate, e si possono levar di sale,lavandoli con acqua di fiume". D.4.2.9 Tra il '600 e l'800 la lavorazione della carne di maiale si consolida e numerosissime sono le testimonianze scritte di tale arte. Una volta macellati i maiali venivano commercializzati a Modena come " ... salsizza rossa, salame nuovo, salame vecchio, pancetta, prosciutto, distrutto, lardo songia, cotteghino fino crudo, cotteghino fino cotto ..." come scrive il Malvasia. Nel 1670 nelle carte della Camera ducale estense, in un lungo elenco di rifornimenti della cucina del cardinale Rinaldo, compare la raffinata distinzione fra prosciutti "di montagna" e prosciutti "nostrani" con particolare predilezione per la qualità dei primi. Anche il Belloi (1704) nella sua cronaca "Del più moderno Stato di Vignola" esalta la qualità delle carni suine della zona pedemontana e collinare e l'industria della macellazione della carne suina, tanto che nel 1885 Arsenio Crespellani, nella sua cicalata "Passeggiata in tramway a vapore Bologna-Bazzano-Vignola" scrisse, proprio avvicinandosi a quest'ultima tappa " .. fertili sono i terreni della collina e dell'altopiano, producendo in copia cereali, frutta e foraggi; fertilissime le basse. che oltre ai suddetti prodotti danno foglia da gelso in abbondanza, e bella saporita ortaglia .... Le industrie principali sono la manipolazione delle carni porcine, specialmente il rinomato prosciutto ...". D.4.2.10 L'importanza del suino e della lavorazione delle sue carni è poi cresciuta, nella nostra provincia, con il nostro secolo. Riporta la relazione sull'andamento economico della Provincia di Modena nell'anno 1929, a cura del Consiglio Provinciale dell'economia di Modena: " L'industria dei salumi ha avuto, nel biennio 1928-1929, un andamento abbastanza regolare, consentendo però, in generale, utili piuttosto modesti. La produzione delle rinomate specialità locali, e specialmente zamponi, mortadelle e cotechini, ecc. è stata nel 1929, discreta ed ha continuato ad alimentare la normale nostra corrente di esportazioni specialmente nei paesi dove prosperano numerose colonie di connazionali. L'industria è stata inoltre favorita dai prezzi dei suini grassi, che si sono mantenuti piuttosto bassi. Andamento pressoché analogo ha avuto l'industria della salagione dei prosciutti, che gode in questa Provincia meritata fama …". E Metodi di ottenimento del prodotto E.1 I metodi di ottenimento del prosciutto di Modena sono contemplati e codificati dalla legge 12 gennaio 1990 n.11. E.2 Sono confermate le metodologie e le prescrizioni relative alla materia prima, già illustrate nelle schede B e C del presente disciplinare. E.3 Il procedimento per la lavorazione delle cosce suine fresche corrispondente alle prescrizioni e ai requisiti già indicati nel presente disciplinare è illustralo di seguito, mediante la elencazione delle diverse fasi del procedimento produttivo. La lavorazione del prosciutto di Modena prevede 8 fasi: 1) Isolamento 2) Raffreddamento 3) Rifilatura 4) Salagione 5) Riposo 6) Lavaggio 7) Asciugamento 8) Stagionatura E.3.1 Isolamento Il maiale, dal quale si ricava la coscia fresca da impiegare nella preparazione del prosciutto di Modena deve essere: sano, di razza bianca, alimentato nel trimestre precedente la macellazione con sostanze tali da limitare l'apporto di grassi ad una percentuale inferiore al 10%, riposato e a digiuno. Dopo la macellazione si procede al sezionamento della coscia, quindi al suo inoltro presso lo stabilimento di produzione dove viene subito sottoposta ai necessari controlli. E.3.2 Raffreddamento Le cosce fresche ritenute idonee vengono sistemate in apposita cella, dove sostano per il periodo necessario a consentire il raggiungimento di una temperatura delle carni attorno agli 0 gradi centigradi; in tal modo la carne raggiunge la giusta consistenza ed una uniforme temperatura, facilitando così la successiva operazione di salagione in quanto una coscia troppo fredda assorbirebbe poco sale, mentre una coscia non sufficientemente fredda potrebbe subire fenomeni di deterioramento. E.3.3 Rifilatura La fase di rifilatura consiste nell'asportare grasso e cotenna in modo da conferire al prosciutto la classica fonda tondeggiante a pera. La rifilatura oltre a conferire il taglio tipico consente: a) di correggere eventuali imperfezioni dei taglio b) di agevolare il verificarsi di condizioni ottimali per la successiva penetrazione del sale c) di identificare eventuali condizioni tecniche pregiudizievoli ai fini della successiva lavorazione. Le cosce impiegate per la produzione del prosciutto di Modena non devono subire alcun trattamento ad eccezione della refrigerazione. E.3.4 Salagione E.3.4.1 Le cosce rifilate vengono quindi sottoposte alla salagione, effettuata con il seguente procedimento: E.3.4.2 Le cosce vengono asperse con sale, in modo che venga coperta sia la superficie esposta del lato interno che la cotenna. Per questa operazione la coscia rimane adagiata su un piano orizzontale. E.3.4.3 Preliminarmente o contemporaneamente le cosce sono massaggiate con procedimenti manuali o meccanici onde predisporre la carne al ricevimento del sale e verificarne, con opportune pressioni puntuali, il perfetto dissanguamento. E.3.4.4 Per la salagione viene utilizzato cloruro di sodio, nonché ogni trattamento chimico consentito dalle norme vigenti, comunque con esclusione di procedimenti di affumicatura. E.3.4.5 Mantenute sempre su un piano orizzontale, le cosce salate vengono sistemate in apposita cella, detta di "primo sale", dove rimangono per un periodo variabile tra i 5 e i 7 giorni ad una temperatura oscillante tra 0 e 4 gradi centigradi e con una umidità relativa che varia tra 80% e 90%. E.3.4.6 Trascorso tale periodo, le cosce vengono prelevate dalla cella, il sale residuale viene asportato dalla superficie, viene ripetuto il massaggio e, infine, viene ripetuta l'aspersione con ulteriore sale, secondo le modalità descritte. E.3.4.7 Riposte in cella, detta di "secondo sale", le cosce salate vi rimangono per ulteriori 12/15 giorni cioè fino a compimento della durata del processo di salagione, nelle medesime condizioni ambientali. Durante l'intero processo il prosciutto assorbe lentamente sale e cede parte della sua umidità. E.3.5 Riposo Dopo aver eliminato il sale residuo le cosce salate vengono poste in una sala apposita, per un periodo non inferiore a 60 giorni, in funzione della pezzatura e delle esigenze tecnologiche, a condizioni di umidità variabile tra il 65% ed il 75% ed una temperatura compresa tra i 2 e i 5 gradi centigradi. Nel corso della fase di riposo, il sale assorbito penetra con graduale omogeneità all'interno della massa muscolare, distribuendosi in modo uniforme. Vi si esercita la funzione preposta alla prosecuzione del processo di disidratazione, iniziata con il trattamento con il sale e le basse temperature. E.3.6 Lavaggio Ultimato il riposo, la coscia viene sottoposta ad una "lavatura" definitiva, mediante l'applicazione sulla superficie esterna di spazzolatura e di getti d'acqua miscelati con aria, ad una temperatura non superiore a 50 gradi centigradi. Oltre ad un effetto completamente rivitalizzante, il lavaggio rimuove tutte le formazioni superficiali prodottisi durante la salatura e riposo per effetto della disidratazione e tonifica i tessuti esterni. Prima del lavaggio le cosce vengono "toelettate" e, cioè, rifinite sul piano superficiale dagli effetti del sopravvenuto calo di peso. E.3.7 Asciugamento Dopo averle fatte sgocciolare dall'acqua le cosce entrano nell'essiccatoio a 24/26 gradi centigradi per un periodo che varia tra le 5 e le 10 ore in rapporto alla quantità del prodotto, con una umidità relativa molto alta (caldo umido 85/90%). Raggiunti questi livelli, si interviene con le batterie a freddo e si inizia cosi la vera fase deumidificante che può durare circa una settimana a seconda dei carichi e delle modalità di impiego delle apparecchiature. La variabilità dei valori è funzionale alle tecniche del trattamento successivo, la stagionatura. E.3.8 Stagionatura La fase della stagionatura si può dividere in due periodi: la prestagionatura e la stagionatura vera e propria. Nella prestagionatura prosegue il processo di rinvenimento-acclimatamento delle carni a temperature variabili progressivamente tra i 10 e i 20 gradi centigradi, in condizioni di umidità in progressiva riduzione. E così, in ogni caso, dopo l'asciugamento e l'eventuale prestagionatura, i prosciutti - a questo punto è più proprio chiamarli prosciutti anziché cosce suine - vengono trasferiti in appositi saloni di stagionatura, ambienti le cui condizioni di umidità e temperatura sono normalmente naturali, grazie all'esistenza e all'apertura quotidiana delle numerose finestre delle quali sono dotati, disposti in funzione trasversale rispetto alla disposizione dei prosciutti che, quindi, sono continuamente tutti sollecitati dall'aerazione naturale. Solo quando le condizioni climatiche ed ambientali esterne presentano irregolarità od anomalie rispetto ai normali andamenti stagionali, è ammesso l'uso di impianti di climatizzazione di tipo "domestico" tali comunque da impiegare l'aria esterna. Il processo di stagionatura dura nominalmente otto mesi; la relativa durata è tuttavia sempre funzionale alla pezzatura della partita ed è variabile in funzione di essa, fermi i limiti minimi del ciclo completo di lavorazione descritti nel proseguo. Nel corso della stagionatura, nelle carni si verificano i processi biochimici ed enzimatici che completano il processo di conservazione indotto dalle precedenti lavorazioni, determinando le proprietà organolettiche caratteristiche grazie all'apporto dell'ambiente naturale esterno (poca umidità, ventilazione naturale che determinano l'aroma ed il gusto del prodotto). Durante la stagionatura non avviene quindi alcun procedimento specifico di lavorazione, eccettuata la cosiddetta "sugnatura" (o "stuccatura"), operata una o due volte mediante rivestimento in superficie della porzione scoperta del prosciutto, con un impasto composto di sugna o strutto, sale, pepe e derivati di cereali, applicato finemente ed uniformemente mediante massaggio manuale. Tale preparato e relativa applicazione hanno esclusivamente tecniche di ammorbidimento della superficie esterna non coperta dalla cotenna e di contemporanea protezione della stessa dagli agenti esterni, senza compromettere la prosecuzione dell'azione osmotica. Per tale ragione, la legislazione italiana non considera la sugna un ingrediente. E.4 Il periodo minimo che comprende la durata del processo complessivo di lavorazione, dalla salagione alla ultimazione della stagionatura, si definisce come di seguito. E.4.1 Essendo la durata del processo tradizionalmente commisurata al peso medio unitario espresso dalla partita, ai fini del presente disciplinare il periodo minimo di lavorazione scade nel corso del dodicesimo mese dalla salagione; tale scadenza può essere anticipata al decimo mese, a condizione che venga riferita a partite omogenee la cui pezzatura iniziale sia inferiore a 12 chilogrammi. E.4.2 La valutazione del completamento del processo resta quindi collegata alle esigenze obiettive di lavorazione ed alle condizioni e caratteristiche proprie del prodotto. Quindi, le indicazioni del presente disciplinare hanno rilevanza di normazione per quanto attiene alla esecuzione dei controlli e delle verifiche qualitative, relative all'osservanza dei requisiti previsti dal disciplinare stesso e quindi per l'apposizione del contrassegno di cui ai punti B.1 e H.3.1. E.4.3 Infatti, ai fini del presente disciplinare il completamento del processo di produzione viene attestato dalla apposizione del contrassegno costitutivo o distintivo d'origine, indicato al punto B.1 ed apposto nei modi descritti nella successiva scheda G. Le successive fasi di affettamento e confezionamento, non essendo propriamente fasi produttive in quanto non incidono sulle caratteristiche del prodotto finale, ma ne trasformano semplicemente l’aspetto e la porzionatura ai fini della vendita, vengono regolate da provvedimenti interni volti anche a disciplinare le verifiche ed i controlli presso gli operatori abilitato ad effettuare tali operazioni. E.5 Onde consentire la standardizzazione del metodo di ottenimento indicato nel presente disciplinare, i produttori interessati devono osservare le prescrizioni contenutevi e, inoltre, assicurare la rispondenza degli impianti di trasformazione ai requisiti di seguito indicati. E.5.1 Gli stabilimenti ("prosciuttifici") che intendono produrre il prosciutto di Modena devono essere preventivamente riconosciuti dal Ministero dell'industria, Commercio e Artigianato, depositando apposita istanza contenente: a) l'iscrizione alla Camera di Commercio, industria e Artigianato competente per territorio; b) la denominazione e la sede della ditta; c) la sede dello stabilimento in uno dei Comuni previsti dall’art. 1 della legge 12 gennaio 1990 n. 11; d) l'indicazione della capacità produttiva espressa mediante il numero complessivo massimo delle cosce suine avviabili alla lavorazione nel corso di un anno solare; e) gli estremi dell'autorizzazione sanitaria in conformità alle norme vigenti in materia. E.5.2 Il Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, verificato il possesso dei requisiti richiesti, riconosce io stabilimento mediante l’attribuzione di un codice numerico di identificazione. E 5.3 Per essere idonei alla produzione del prosciutto di Modena, gli stabilimenti, in possesso delle autorizzazioni previste dalle vigenti norme di carattere igienico - sanitario, devono essere almeno muniti di: - locale per il ricevimento e il primo trattamento delle cosce suine; - celle dotate di apparecchiature e sistemi idonei a mantenere l'umidità e le temperature ai livelli prescritti dalle leggi vigenti e dal presente disciplinare, per le fasi di salagione e riposo; - altri locali indipendenti per le operazioni di stagionatura. E.5.4 I locali di stagionatura devono essere muniti di superfici finestrate tali da consentire un opportuna ventilazione naturale e un adeguato ricambio dell'aria. Tali locali possono essere muniti di attrezzature idonee a mantenere il giusto equilibrio e le caratteristiche tenno–igrometriche, proprie dell’ambiente della zona geografica indicata al punto C.1. E.6 L’eventuale trasferimento di prosciutti in corso di lavorazione da uno stabilimento riconosciuto ad un altro, per qualsiasi ragione, è consentito solo dopo che siano trascorsi i primi 6 mesi della lavorazione. E.6.1 Il trasferimento e consentito in deroga alle precedenti disposizioni solo laddove sussistano provate motivazioni di forza maggiore tali da pregiudicare la lavorazione dei prosciutti o determinare la loro perdita o il loro deperimento. Valgono anche in questo caso le prescrizioni del paragrafo precedente. E.6.2 Tutte le procedure di cui alla presente scheda E sono assoggettate ai controlli esercitati dall'organismo abilitato ai sensi della legge 12 gennaio 1990 n 11, che li espleta con le modalità indicate nella successiva scheda G. E.7.1 Il veterinario ufficiale incaricato della vigilanza sanitaria mette a disposizione, previa espressa richiesta, tutti gli atti d’ufficio ritenuti necessari per controllare il regolare svolgimento delle operazioni e l'osservanza delle prescrizioni previste dal presente disciplinare. E.8 Ogni singolo stabilimento riconosciuto deve tenere un registro, suddiviso in fogli mensili; le registrazioni devono essere effettuate nella parte mensile del registro corrispondente al mese ed all’anno indicati nel sigillo di cui alla lettera d) del punto H.3.2. E.8.1 Su tale registro vengono annotate le scritture relative al prodotto lavorato con le procedure previste dal presente disciplinare, nonché in apposita sezione le eventuali decisioni dell’organismo abilitato E.8.2 Il produttore è tenuto alla conservazione delle dichiarazioni, dei documenti rilasciatigli dall'organismo abilitato e dei registri che devono essere regolarmente vidimati dall'organismo abilitato e regolarmente compilati. E.9 Il produttore è inoltre tenuto ad osservare particolari prescrizioni relative alle procedure di controllo ed ai relativi esiti. E.10 Vengono sintetizzate di seguito le procedure di controllo attuate dall'organismo abilitato: E.10.1 Per ognuna delle partite di cosce suine fresche ricevute allo scopo di avviare alla lavorazione del prodotto a denominazione di origine, il produttore deve richiedere all'organismo abilitato l'espletamento dei controlli necessari per l'apposizione del sigillo di cui alla lettera d) del punto H.3.2. E.10.2 L'organismo abilitato effettua le verifiche necessarie ad accertare il riscontro dei requisiti prescritti dal presente disciplinare ed autorizza l'apposizione del sigillo, che viene effettuata a cura del produttore; E.10.3 L'organismo abilitato verbalizza gli esiti del controllo, e può vietare l'apposizione del sigillo quando sia accertata la mancanza dei requisiti necessari, anche in dipendenza delle specifiche tecniche, e quando: a) le cosce non sono accompagnate dalla documentazione indicata di cui ai punti C.10.6 e C.10.7; b) le cosce non recano i timbri previsti ai punti C.9.3, C.9.6 (se del caso) e C.10.4; c) le cosce risultano ricavate da suini macellati da meno di 24 ore o da oltre 120 ore. Ai fini della precedente lettera c) e, in ogni caso, ai fini del controllo, l'organismo abilitato prende visione della competente documentazione sanitaria di accompagnamento. E.10.4 Le condizioni di non conformità alle disposizioni del presente disciplinare possono essere accertate anche successivamente all'apposizione del sigillo; in tal caso l'organismo abilitato ne dispone la rimozione, verbalizzandone le circostanze. E.10.5 Il produttore può far valere le proprie ragioni di dissenso rispetto all'operato dell'organismo abilitato, richiedendone la verbalizzazione e, inoltre, chiedendo un riesame tecnico del prodotto. E.10.6 Durante le fasi della lavorazione l'organismo abilitato può operare controlli ed ispezioni, sia per effettuare verifiche ed esami sulle carni, sia per accertare la regolarità della tenuta dei registri e di ogni altra documentazione, sia per constatare che le modalità di lavorazione corrispondano alle prescrizioni del presente disciplinare. E.10.7 Per autorizzare l'apposizione del contrassegno sul prosciutto stagionato, l'organismo abilitato controlla: a) il compimento del periodo minimo di stagionatura prescritto dall'articolo 2 comma 2 della legge 12 gennaio 1990 n. 11 b) la conformità delle modalità di lavorazione c) l'assenza di pregiudiziali tecnologiche e qualitative; d) il rispetto dell'osservanza dei parametri analitici di cui ai punti da B.3.3 a B.3.6; e) il riscontro dei requisiti organolettici e qualitativi previsti dal presente disciplinare nonché delle caratteristiche merceologiche prescritte dall'articolo 3 della legge 12 gennaio 1990 n. 11. E.10.8 Per i fini suindicati l'organismo abilitato procede alla "spillatura" (puntatura), che consiste nel sondaggio della carne in punti particolari effettuato con un sottile osso di cavallo, la cui porosità riesce a trattenere e trasferire gli aromi dopo una rapida introduzione, di un numero di prosciutti sufficienti per ricavarne un giudizio probante di qualità; se necessario, può ispezionare il prodotto, disponendo l'apertura di prosciutti fino ad un massimo di 5 per mille o frazione di mille. In questo caso i prosciutti restano comunque a carico del produttore. E.10.9 Le caratteristiche organolettiche sono valutate nel loro insieme, potendosi operare una compensazione solo per lievissime deficienze nel caso sia stata verificata l'osservanza dei parametri analitici. E.10.10 Il contrassegno di cui al punto B.1 ed H.3.1 è apposto, alla presenza dell'organismo abilitato, a cura del produttore e può essere applicato anche in più punti sulla cotenna del prosciutto, in modo da restare visibile fino alla completa utilizzazione del prodotto. E.10.11 L’organismo abilitato custodisce gli strumenti per l'apposizione del contrassegno e li affida ai propri incaricati sulla base dei programmi operativi concertati su richiesta dei produttori. E.10.12 Gli strumenti per l'applicazione del contrassegno recano il numero di identificazione del produttore che, quindi, viene riprodotto in uno col contrassegno stesso. E.10.13 Delle operazioni di controllo e di apposizione del contrassegno l'organismo abilitato redige apposito verbale secondo prefissate indicazioni e prescrizioni. E.10.14 I prosciutti non idonei ai fini del presente disciplinare, sono privati del sigillo appostovi all'inizio della lavorazione, mediante procedure disposte dall'organismo abilitato che ne verbalizza gli esiti e presenzia alle operazioni, svolte a cura del produttore. E.10.15 Nelle circostanze in cui l'organismo abilitato accerti condizioni di inidoneità o non conformità, per qualsiasi ragione, alle prescrizioni del presente disciplinare, su prosciutti sui quali è già stato apposto il contrassegno, ne dispone seduta stante l'annullamento mediante asportazione. E.10.16 Tali operazioni vanno verbalizzate a cura dell'organismo abilitato e il produttore può giovarsi delle facoltà di riesame tecnico previste ai punti precedenti. E.10.17 Eventuali esigenze del produttore relative al sezionamento in tranci di prosciutti idonei alla apposizione del contrassegno, vengono preventivamente notificate all'organismo abilitato. F Legame con l'ambiente geografico F.1 Gli elementi riportati nella precedente scheda D a testimonianza della originalità del Prosciutto di Modena e della relativa materia prima dalle aree geografiche rispettivamente delimitate consentono già di dimostrare ampiamente. attraverso l'excursus storico, lo stretto e profondo legame tra le produzioni agricole e la trasformazione del prodotto con le aree di riferimento, legame vieppiù rinsaldato e confermate dall'evoluzione dei fattori sociali, economici, produttivi e di esperienza umana consolidatasi e stratificatasi nel corso dei secoli Per quanto riguarda l'area delimitata della provenienza della materia prima (animali vivi e carni) esistono fattori geografici, ambientali e di esperienza produttiva nell'allevamento assolutamente costanti e caratterizzanti. Per quanto riguarda viceversa la più ristretta zona di trasformazione nella quale insistono tutti i prosciuttifici riconosciuti, i fattori ambientali, climatici, naturali ed umani costituiscono, nella loro irripetibile combinazione, un irriproducibile "unicum". G Struttura di controllo G.1 Ai sensi dell’art. 10 del regolamento CEE n. 2081/92 il Ministero per le politiche agricole provvederà alla designazione, su proposta dei soggetti interessati, di un organismo privato di controllo, previo accertamento dei requisiti previsti dal comma 3 del predetto articolo. Tale organismo sottoposto alla vigilanza del Ministero, provvederà a garantire che venga rispettato quanto previsto dal presente disciplinare di produzione nelle varie fasi della filiera produttiva.. G.2 La Legge della Repubblica italiana del 12/01/1990 n. 11, inoltre, al capo III art. 6, dispone che la vigilanza per l'applicazione delle disposizioni in essa contenute è attribuita, per quanto di rispettiva competenza, al Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, al Ministero dell'Agricoltura (dicastero che è oggi soppresso e sostituito dal Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali) e al Ministero della Sanità. G.3 La stessa legge, articolo 7, prevede che il Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato di concerto con il Ministro della Sanità e con il Ministro dell'Agricoltura e delle foreste possa demandare l'incarico della vigilanza ad un Consorzio volontario di produttori che presenti i seguenti requisiti: a) sia retto da uno statuto approvato dai Ministri indicati al punto G.2; b) comprenda tra i soci non meno del 50% dei produttori in rappresentanza del 50% almeno della produzione tutelata dell'ultimo triennio; c) garantisca per la sua costituzione ed organizzazione e per i mezzi finanziari di cui dispone, un efficace ed imparziale svolgimento delle attività istituzionali; d) sia retto da un Consiglio di Amministrazione del quale facciano parte tre membri nominati dalle organizzazioni professionali agricole più rappresentative sul piano nazionale; e) sia assistito da una Commissione tecnico-scientifica comprendente un esperto di chiara fama, un esperto nominato dal Ministro dell'Agricoltura e delle foreste, un esperto nominato dal Ministro della Sanità e tre esperti nominati dal Presidente della Giunta della Regione Emilia Romagna, sentiti i Presidenti delle Province di Modena, Bologna e Reggio Emilia. Tale Commissione è presieduta dal Presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. L'incarico in qualità di organismo abilitato deve essere richiesto dal Consorzio volontario con la contestuale dimostrazione dei requisiti previsti. G.4 Il personale dell'organismo abilitato incaricato della vigilanza può svolgere ispezioni e indagini e richiedere l'esibizione di ogni documentazione ritenuta utile, nonché ottenere copia della stessa anche ai fini della rilevazione degli illeciti amministrativi e penali previsti dalla Legge nazionale più volte citata; può accedere liberamente presso gli allevatori, i macellatori ed i produttori, nonché presso i fornitori di materiali, prodotti e servizi rientranti nel circuito della produzione tutelata e, in genere, ovunque si producano si distribuiscano a qualsiasi titolo per il consumo, o si smercino, prosciutti. G.5 Gli organi di vigilanza diversi dall'organismo abilitato, in sede nazionale, qualora accertino violazione della Legge e dei relativi Regolamenti, inviano immediatamente per l'ulteriore seguito il rapporto all'organismo abilitato, con la prova delle eseguite contestazioni. G.6 L'espletamento dei compiti di vigilanza affidati al Consorzio è svolto da ispettori cui è riconosciuta la qualifica di agenti di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 57 del Codice di procedura penale della Repubblica Italiana, previa attribuzione da parte del Prefetto di Modena della qualifica di guardia particolare, ai sensi degli arti. 133 e 138 del Regio Decreto 1931 n. 773 e del relativo regolamento. G.7 L'organismo abilitato emana un regolamento organico del personale di vigilanza e di quello comunque addetto alle operazioni previste in applicazione della disciplina di legge. G.8 Il Consorzio del Prosciutto di Modena possiede i requisiti sostanziali necessari per ottenere l'affidamento dell'incarico di vigilanza ed è in grado di adeguare l'attuale statuto con l'inclusione e la nomina delle varie figure istituzionali richieste.G.9 Attualmente, ai fini del Reg. CEE n. 2081/92 art. 4, lettera g), le funzioni di controllo e vigilanza sono esercitate per quanto di rispettiva competenza, dal Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, dal Ministero della Sanità e dal Ministero dell'Agricoltura e delle foreste. H Elementi specifici dell'etichettatura connessi alla dicitura Dop e diciture tradizionali nazionali equivalenti H.1 Le norme nazionali relative alla protezione giuridica della denominazione di origine Prosciutto di Modena" impongono di integrare il presente disciplinare con elementi diversi da quelli della mera etichettatura. H.2 Secondo la disciplina nazionale vigente, il contrassegno previsto dall'art. 5 della legge 12 gennaio 1990, n. 11 è elemento costitutivo ed identificativo della denominazione del prodotto e, quindi, molto più efficace in termini sostanziali e giuridici del rinvio ai sistemi di etichettatura del prodotto che, per quanto normali, appartengono comunque ad una prassi "vigilata" e non direttamente "controllata" dall'organismo abilitato. H.2.1 Si rinvia a quanto a più riprese già indicato, per sottolineare che il contrassegno in questione viene apposto sotto la diretta sorveglianza e responsabilità dell'organismo abilitato, ulteriormente controllato e vigilato dall'Autorità nazionale di controllo e che il contrassegno stesso è il solo elemento che comprova la rispondenza del prodotto alla disciplina giuridica nazionale di protezione. H.2.2 Inoltre, come peraltro previsto dal presente disciplinare, la norma nazionale di protezione prevede l'apposizione - preliminare rispetto all'apposizione del contrassegno - di tutta una serie di timbri, segni e sigilli (non meno di tre e non più di quattro), il cui riscontro è funzionale ed indispensabile per attestare la rispondenza del prodotto - anche in corso di lavorazione - ai requisiti ed agli adempimenti che risultano obbligatori per i diversi soggetti produttivi, interagenti nel sistema di filiera che forma "il circuito della produzione tutelata". Data la sostanziale coincidenza della zona di approvvigionamento della materia prima (riconoscimento e codifica degli allevatori e macellatori effettuato in modo univoco dai quattro Consorzi di tutela oggi esistenti in Italia), le verifiche e le ispezioni effettuate contemporaneamente ed in modo incrociato da parte dei Consorzi di Parma, San Daniele, Modena e Veneto-Berico-Euganeo, rendono oltremodo efficace la funzione di controllo, fino alla fase della macellazione. H.2.3 La presenza ed il riscontro di tali elementi è inoltre funzionale - in sede di attività di "vigilanza" in ambiti diversi ed estranei a quello della produzione - a consentire una tempestiva riprova della autenticità del contrassegno, stante la possibilità - peraltro non del tutto infrequente - che venga immesso al consumo prodotto dotato di un contrassegno contraffatto. H.3 Tutto ciò premesso, ai fini del presente disciplinare, gli elementi specifici previsti dall'art. 4 lettera h), del Reg.(CEE) n. 2081/92 sono indicati così come segue. H.3.1 Il "Prosciutto di Modena" è permanentemente identificato dal contrassegno apposto sulla cotenna ai sensi dell'art. 5 della legge 12 gennaio 1990 n. 11. H.3.2 Per ottenere il contrassegno di cui al punto precedente e, comunque, anche dopo la relativa apposizione, il prosciutto di Modena deve recare inoltre anche i seguenti timbri e/o sigilli: a) timbro di cui al punto C.9.3, apposto dall'allevatore; b) timbro di cui al punto C.9.6, apposto dall'allevatore nelle circostanze consideratevi (se questo timbro non sussiste, quello viceversa esistente riporta lo stesso codice di identificazione dell'allevatore prestampato sulla dichiarazione di cui al punto C.9.10); e) timbro di cui al punto C.10.4, apposto dal macellatore; d) il sigillo (o timbro a fuoco) apposto dal produttore prima della salagione, riproducente il mese e l'anno d'inizio della lavorazione, cosi come previsto dal punto E.10.1 Il contrassegno di cui al punto H.3.1 comprende come parte integrante il numero di codice di identificazione del produttore. H.3.3 Il contrassegno, i timbri e i sigilli sono apposti con le modalità previste dal presente disciplinare. H.3.4 Il contrassegno, il timbro di cui alla lettera c) del punto H.3.2 e il sigillo sono approvati, anche ai fini del presente disciplinare, dalla autorità nazionale di controllo. H.4 Inoltre ai fini del presente disciplinare: H.4.1 l'etichettatura del prosciutto di Modena intero con osso reca le seguenti indicazioni obbligatorie: - "prosciutto di Modena" seguita da "denominazione di origine tutelata"; - il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del venditore; - la sede dello stabilimento di confezionamento; H.4.2 l'etichettatura del prosciutto di Modena disossato intero, oppure presentato in tranci reca le seguenti indicazioni obbligatorie: - "prosciutto di Modena" seguita da "denominazione di origine tutelata"; - il nome o la ragione sociale o il marchio depositato del produttore o del confezionatore o del venditore; - la sede dello stabilimento di confezionamento; - la data di produzione (inizio della lavorazione), qualora il sigillo o il timbro a fuoco non risulti più vi | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Modena, Bologna, Reggio Emilia | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di Norcia Prosciutto di Norcia Disciplinare di produzione della Indicazione Geografica Protetta "Prosciutto di Norcia"Art.1 Denominazione L'Indicazione Geografica Protetta "Prosciutto di Norcia" è riservata al prosciutto crudo stagionato che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare Art. 2 Zona di produzione L’elaborazione del "Prosciutto di Norcia" deve avvenire nella zona tradizionalmente vocata comprendente i comuni di Norcia, Preci, Cascia, Monteleone Spoleto, Poggiodomo, nei territori posti ad altitudine superiore ai 500 m.s.l. Il regime climatico dell'area di elaborazione del "Prosciutto di Norcia" è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente collegato all'andamento meteorologico caratteristico ed alle particolari condizioni ambientai. Art. 3 Materie prime Il "Prosciutto di Norcia" è derivato dalle cosce dei suini pesanti adulti, esclusi verri e scrofe, provenienti da allevamenti di razze bianche incrociate e selezionate. Nel procedimento di salatura si impiega cloruro di sodio marino di grana media e pepe in modeste quantità. Art. 4 Metodo di elaborazione Subito dopo la macellazione le cosce isolate della carcassa sono sottoposte a refrigerazione per almeno 24 ore fino al raggiungimento di una temperatura interna fra +1 °C e +4 °C. Successivamente si passa alla rifilatura delle cosce procedendo a "squadro" con il piatto delle stesse. In tal modo la parte muscolosa oltre il "pallino" non supera i 6 cm. ed al prosciutto è conferita la caratteristica forma a "pera". La lavorazione delle cosce continua poi con la salatura che è effettuata in due tempi utilizzando sale marino di grana media. Le cosce sono inizialmente preparate mediante la spremitura dei vasi sanguigni e successivamente strofinate con sale umido e sale a secco. Dopo un periodo di 7 giorni ad una temperatura di +1 °C. +4 °C ed umidità relativa del 70 – 90 %, si precede alla dissalata, al lavaggio ed alla spremitura dei vasi sanguigni. La seconda salatura dura 14 - 18 giorni con una temperatura di +1°C +4°C ed umidità relativa del 70-90%. Successivamente la cosce sono dissalate e poste a riposo per un periodo di 2,5 mesi. Art. 5 Stagionatura Prima di passare alla fase di stagionatura si procede al lavaggio, all'asciugamento ed alla segnatura che consiste nel rivestimento superficiale della polpa e delle screpolature con sugna. La successiva fase di stagionatura avviene in locali appositamente attrezzati per consentire un adeguato ricambio dell'aria e mantenere il giusto equilibrio termoigrometrico. Durante tale periodo è consentita la ventilazione, l’esposizione alla luce ed all'umidità naturale tenuto conto dei fattori climatici presenti nell'area di elaborazione. Il periodo di stagionatura, dalla salagione alla commercializzazione non può essere inferiore a 12 mesi. Art. 6 Caratteristiche All'atto della immissione al consumo il "Prosciutto di Norcia" presenta le seguenti caratteristiche fisiche, organolettiche, chimiche e chimico-fisiche: Caratteristiche fisiche: - forma: caratteristica a "pera" - peso: non inferiore a 8,5 Kg - aspetto al taglio: compatto, di colore dal rosato al rosso. Caratteristiche organolettiche: - profumo: tipico, leggermente speziato - sapore: sapido ma non salato. Art. 7 Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (USL) dello stabilimento - il quale ai sensi del capitolo IV "controllo della produzione" del D.Lgs. 30/12/1992, n. 537 accerta e mediante un’ispezione adeguata controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti. dal produttore e, in particolare, che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell'etichetta essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al capitolo V, punto 4 del sopracitato decreto legislativo (la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l'autorizza) - la vigilanza per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio di un Consorzio tra i produttori, o di altro Organismo a tal fine costituito conformemente a quanto stabilito dall'art. l0 del Regolamento CEE di riferimento. Art. 8 Designazione e presentazione Il "Prosciutto di Norcia" è immesso al consumo provvisto di apposito contrassegno che identifica il prodotto. Il contrassegno è costituito da un logo recante la dicitura "Prosciutto di Norcia" apposto con marchiatura a fuoco. La designazione della indicazione geografica protetta "Prosciutto di Norcia" deve essere fatta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta ed essere immediatamente, seguita dalla menzione "Indicazione Geografica Protetta" e/o dalla sigla "IGP" che deve essere tradotta nella lingua del paese in cui il prodotto viene commercializzato Tali indicazioni sono abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi. qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Umbria | Perugia | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di Parma Prosciutto di Parma DOP Prosciutto di Parma DOP
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Parma | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di San Daniele Prosciutto di San Daniele DOP Disciplinare di produzione - Prosciutto di San Daniele DOPArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo3.
Articolo 4.
Articolo 5.
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Friuli Venezia Giulia | Udine | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto di Sauris PROSCIUTTO DI SAURIS Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Componente
1. Le cosce vengono eventualmente rifilate per correggere possibili imperfezioni del sezionamento e, poste su un piano orizzontale, vengono subito salate; la salatura consiste nell’aspersione della singola coscia con la concia, in modo che la stessa si depositi sia sulla cotenna che sulla porzione priva di cotenna del lato interno della coscia. Prima dell’aspersione con la concia, le cosce sono soggette a massaggi e sfregamenti, finalizzati a preordinare le migliori condizioni per una omogenea penetrazione della stessa.
01 XX 01 a
Legenda:
Fasi di lavorazione successive all’apposizione del timbro 1. Le fasi di lavorazione del Prosciutto di Sauris I.G.P., successive alla salagione sono le seguenti: - pre-riposo - riposo - affumicatura - asciugamento - stagionatura 2. Pre - riposo: le cosce sono poste in una cella a condizioni di temperatura comprese tra 1 e 5°C e di umidità relativa compresa tra 50 e 90%, per un periodo variabile da 10 a 20 giorni computati a partire dalle ore 24 del giorno di inizio della fase. 3. Riposo: le cosce sono poste in una cella a condizioni di temperatura comprese tra 2 e 7°C e di umidità relativa compresa tra 50 e 90% per un periodo di almeno 60 giorni computati a partire dalle ore 24 del giorno di inizio della fase. 4. Affumicatura: ultimata la fase del riposo, le cosce vengono collocate in appositi ambienti dove ha luogo l’affumicatura. Il fumo è prodotto dalla combustione di legna di faggio in speciali caminetti collocati all’esterno dell’ambiente di affumicatura ed è convogliato in canalizzazioni che lo distribuiscono attraverso il pavimento del locale. I locali devono essere muniti di camini per l’uscita del fumo. Il procedimento di affumicatura ha una durata complessiva massima di 72 ore, nel corso delle quali il fumo viene immesso nei locali per un tempo non superiore alle 60 ore complessive. La sala di affumicatura è mantenuta a temperatura compresa tra 15 e 20°C e umidità relativa variabile tra il 50 e il 90%. Per la produzione del fumo è vietata la combustione di segatura o di legno di essenza diversa dal faggio. 5. Asciugamento: ultimata l’affumicatura, il prodotto viene mantenuto negli stessi locali o in locali diversi a temperature comprese tra 15 e 20°C, in condizioni di umidità relativa variabile tra il 50 e il 90% per un ulteriore periodo non superiore a 14 giorni computati a partire dalle ore 24 del giorno di fine affumicatura. 6. Stagionatura: dopo l’asciugamento, i prosciutti vengono trasferiti nei saloni dove ha luogo la stagionatura. Tali ambienti sono caratterizzati dalla presenza di finestre, finalizzate ad assicurare sia la ventilazione naturale che il ricambio dell’aria. La stagionatura avviene a condizioni di temperatura comprese tra i 16 ed i 22°C, con umidità relativa compresa tra 50 e 90%. I saloni di stagionatura devono essere muniti di attrezzature idonee a mantenere il giusto equilibrio e le caratteristiche termo-igrometriche sopraccitate proprie dell’ambiente tenendo conto dei fattori climatici presenti nella zona di produzione. Nel corso della stagionatura i prosciutti sono sottoposti alle seguenti operazioni: a) Stuccatura: La stuccatura si esegue mediante l’applicazione sulle fessurazioni originatesi durante la fase di asciugatura di uno strato di impasto avente la seguente composizione: Componente
b) Lavaggio: eseguito prima di ogni sugnatura, mediante l’impiego di acqua applicata a pressione per ripulire la porzione superficiale del prosciutto.
Componente Minimo % Massimo %
Dopo la sugnatura, i prosciutti vengono nuovamente riposti a stagionare.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Friuli Venezia Giulia | Udine | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto Toscano PROSCIUTTO DI SAURIS Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Componente
1. Le cosce vengono eventualmente rifilate per correggere possibili imperfezioni del sezionamento e, poste su un piano orizzontale, vengono subito salate; la salatura consiste nell’aspersione della singola coscia con la concia, in modo che la stessa si depositi sia sulla cotenna che sulla porzione priva di cotenna del lato interno della coscia. Prima dell’aspersione con la concia, le cosce sono soggette a massaggi e sfregamenti, finalizzati a preordinare le migliori condizioni per una omogenea penetrazione della stessa.
01 XX 01 a
Legenda:
Componente
b) Lavaggio: eseguito prima di ogni sugnatura, mediante l’impiego di acqua applicata a pressione per ripulire la porzione superficiale del prosciutto.
Componente Minimo % Massimo %
Dopo la sugnatura, i prosciutti vengono nuovamente riposti a stagionare.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Toscana | Arezzo, Firenze, Grosseto, Siena, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Pistoia, Pisa | ||||||||||||||||||||||||||||
Prosciutto Veneto Berico-Euganeo Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOP Prosciutto Veneto Berico-Euganeo DOPCenni storici e zona di produzioneRiconoscimento DOP: Reg. (CE) n. 1107/96 del 12 Giugno 1996. Zona di produzione: tra i Colli Berici ed Euganei, nelle province di Verona e Vicenza (Veneto). Premesso che la lavorazione del prosciutto crudo stagionato appartiene alla cultura storica di tutta l'Italia settentrionale, nel Veneto, come in ogni terra contadina il prosciutto ha antica storia e gloriosa tradizione. I reperti delle tante stazioni preistoriche che costellano il Veneto, ma soprattutto le colline berico-euganee, e tra le quali proprio il castelliero di Montagnana, diedero conto della presenza del maiale già in quei tempi lontani; non erano ancora ovviamente figli di allevamento, ma i boschi allora molto estesi, ne ospitavano più che a sufficienza per chi avesse astuzia e forza per catturarli. Fu allora che si misero a punto le prime tecniche, ovviamente rudimentali, della trasformazione delle sue carni. Gli storici romani, già nel III secolo a.C, accennano alla presenza di maiali nella grande foresta che da Lugo risaliva nel Veneto fino a Venezia (a foresta Litana), e alla fiorente esportazione di carni conservate da quei luoghi verso i grandi mercati di Roma. Fu da allora che il prosciutto Veneto cominciò ad uscire dai suoi confini, un'esportazione che si chiuse con il crollo dell'impero romano e dovette attendere non pochi secoli prima di tornare a fiorire. II trapasso dall'età romana al medioevo non misero tuttavia in grande crisi l'allevamento dei maiale. Lo sfruttamento dei terreni abbandonati, di quelli comuni e del bosco diedero infatti vita ai contratti detti di soccida. E' il periodo in cui gli enfìteuti e i coloni si fanno carico dei primi allevamenti comuni, e mano a mano che si afferma l'età feudale chiese, monasteri e signori impongono decime e diritti tra cui proprio il maiale o intero o già lavorato rappresenta una delle prestazioni principali. Nel XII secolo alcuni bassorilievi del protiro della chiesa di San Zeno in Verona raffigurano scene di lavorazione del maiale; se ne notano altri simili anche sull'archivolto del portale maggiore della chiesa di San. Marco in Venezia: infatti, complice pure il sale che veniva dalle saline di Venezia e Chioggia, la carne di maiale veniva abbondantemente lavorata e trasformata. Mano a mano che il Medioevo cede al Rinascimento, il maiale si vede rinserrato in città e stallini, ma ce n'è sempre in abbondanza per offrire sapidi prosciutti, soprattutto ai signori; entra cosi nella grande cucina dei tempi e non c'è quasi testo classico che non ne faccia menzione (si veda, ad esempio, l'Opera di Bartolomeo Scappi del 1570 e un ricettario padovano del '600). In epoche più recenti (sul finire del secolo XIX) il prosciutto Veneto, anche per contrastare i prosciutti cotti e/o alfùmicati d'oltre Italia, comincia ad essere meno salato e si avvia ad essere apprezzato come prodotto allo stato naturale, ossia crudo. Anche il suo pubblico è ora diverso: da tempo le cosce non sono più decime riservate ai signori ma diventano prodotto di mercato. E' nata infatti la borghesia, non necessariamente con terre nel contado. Nascono le prime aziende artigiane, nasce la prima concorrenza, ci si batte per fare un prosciutto che dia risonanza al nome del produttore. Sulle pareti di tante aziende - aderenti all'odierno Consorzio - si possono ammirare i risultati di quello sforzo. Nel 1881 il ministro Quintino Sella firma un diploma di partecipazione e vittoria all'Esposizione Nazionale di Milano di quell'anno. Quando Torino, tre anni dopo, chiude l'Esposizione Generale italiana, un altro diploma prende la strada del Veneto. Nel 1904, un diploma verrà da più lontano, dal Crystal Palace di Londra nell'ambito dell' International Food, Groeery and Allied Trades. Produzione e caratteristicheLa prima fase prettamente artigianale si è sviluppata fino ai giorni nostri attraverso un processo di industrializzazione che ha mantenuto intatte le caratteristiche tradizionali del prodotto. E' ottenuto con maiali di razza pregiata, di allevamento italiano, con alimentazione a forte incidenza proteica. Le cosce possono avere il piedino o esserne prive, a seconda della scelta del produttore. Di forma semi-pressata, vengono salate, quindi pulite e lasciate stagionare per due mesi. Si procede quindi alla lavatura, infine all'asciugatura ed applicazione della sugna. La successiva stagionatura dura almeno dieci mesi. Di colore rosso non troppo acceso, ha sapore dolce ed aroma fragrante. Consorzio per la tutela del Prosciutto Veneto P.zza Vittorio Emanuele II, 3 35044 Montagnana (PD) Tel. e Fax 0429 82964 Sito web: www.prosciuttoveneto.it | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Veneto | Vicenza, Verona, Padova | ||||||||||||||||||||||||||||
Salama da sugo Salama da sugo Igp Disciplinare di produzione - Salama da sugo IgpArticolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Ferrara | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame Brianza Salame Brianza Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La Denominazione d'Origine Protetta "Salame Brianza" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del "Salame Brianza" debbono essere situati nel territorio delle seguenti regioni: Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni devono rispondere alle caratteristiche produttive già stabilite dai decreti del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato del 18/12/1993 per i prosciutti di Parma e San Daniele. I suini debbono essere di peso non inferiore ai 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del Reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Da tali suini si ottengono le spalle non mondate di almeno 5 chilogrammi, aventi le caratteristiche necessarie per la produzione del "Salame Brianza". Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. L’elaborazione del "Salame Brianza" deve avvenire nella tradizionale zona di produzione sita nel territorio della Brianza delimitata a nord dai contrafforti del Monte Ghisallo, a sud dal corso del canale Villoresi, ad est dal solco profondo del fiume Adda ed ad ovest dalla Strada Statale Comasina, con la relativa fascia esterna di 2 km. Articolo 3. Materie prime Il "Salame Brianza" è costituito dall’impasto di carne suina: spalla disossata e snervata secondo buona tecnica, friscoli di banco e triti di prosciutti, pancette e/o gole senza grasso molle, sale, pepe a pezzi e/o macinato. Possono inoltre essere impiegati: vino, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, colture di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e/o potassio alla dose massima di 195 parti per milione, nitrito di sodio e/o potassio alla dose massima di 95 parti per milione, acido ascorbico e suo sale sodico, aglio in dose minima. Articolo 4. Metodo di elaborazione La produzione del "Salame Brianza", compreso il confezionamento, l’affettamento ed il porzionamento, deve avvenire nella zona delimitata dall’art. 2, con la seguente metodologia di elaborazione: le spalle suine da avviare alla mondatura devono essere di peso non inferiore a 5 chilogrammi, essere mondate accuratamente secondo buona tecnica con asportazione delle parti connettivali di maggiore dimensione e del tessuto adiposo molle. Le spalle mondate, unitamente ai triti di prosciutto, friscoli di banco e gole senza grasso molle sono fatte sostare in cella frigorifera a temperatura di congelazione o refrigerazione. Successivamente avviene la macinatura con tritacarne avente stampi con fori di 4-4,5 mm. per il salame di peso non superiore ai 300 grammi e di 7-8 mm. per il salame di peso superiore ai 300 grammi. L’impastatura di tutti gli ingredienti può essere effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. Il "Salame Brianza" deve essere insaccato in budello naturale o artificiale eventualmente legato con spago o posto in rete. L’asciugamento del "Salame Brianza" è effettuato a caldo (temperatura compresa tra 15° e 25°C) o a freddo (temperatura compresa tra 3° e 7°C), non possono essere adottate tecniche che prevedono una fermentazione accelerata. L’asciugamento deve consentire una rapida disidratazione delle frazioni superficiali nei primi giorni di trattamento. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura deve essere condotta in locali dove sia assicurato un sufficiente ricambio di aria a temperatura compresa tra 9° e 13°C. Il tempo di stagionatura, periodo comprendente anche l’asciugamento, varia in funzione del diametro del salame fresco, come viene indicato nella seguente tabella:
Articolo 6. Caratteristiche Il "Salame Brianza" all'atto della immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche fisiche, chimico-fisiche e microbiologiche: Caratteristiche organolettiche: - aspetto esterno: forma cilindrica; - consistenza: il prodotto deve essere compatto di consistenza non elastica; - aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, con frazione adiposa priva di porzioni rancide; non sono presenti frazioni aponeurotiche evidenti; - colore: rosso rubino uniforme; - odore: profumo delicato e caratteristico; - sapore: gusto molto dolce e delicato mai acido. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche: - proteine totali: min. 23%; - rapporto collageno/proteine: max. 0,10; - rapporto acqua/proteine: max. 2,00; - rapporto grasso/proteine: max. 1,5; - pH: >=5,3. Caratteristiche microbiologiche: - carica microbica mesofila: >1x10 alla settima unità formanti colonia/grammo con prevalenza di lattobaciliacee e coccacee. Articolo 7. Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (USL) dello stabilimento - il quale ai sensi del capitolo quarto "controllo della produzione" del D.Lgs. 30/12/1992, n. 537, accerta e mediante una ispezione adeguata controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti dal produttore e, in particolare, che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell'etichetta essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al capitolo quinto, punto 4 del sopracitato decreto legislativo (la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l'autorizza) - la vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del "Salame Brianza" del Consorzio tra i produttori del "Salame Brianza". Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione della denominazione di origine protetta "Salame Brianza" deve essere fatta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compaia in etichettatura ed essere seguita dalla menzione "Denominazione di Origine Protetta". Entrambe le suddette diciture sono intraducibili. Può inoltre comparire la sigla DOP in altra parte dell’etichetta nel medesimo campo visivo. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "Denominazione di Origine Protetta" nella lingua del paese di destinazione. Tali indicazioni sono abbinate inscindibilmente al logo della denominazione che figura in allegato. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti. Qualora il logo sia direttamente stampato sull’etichetta delle ditte produttrici, i quantitativi di etichette, controllati dall’Organo indicato all’art. 7, debbono corrispondere ai quantitativi di materia prima avviata alla produzione del "Salame Brianza". Il "Salame Brianza" può essere commercializzato sfuso ovvero confezionato sottovuoto o in atmosfera modificata, intero, in tranci o affettato. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire, sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 7, esclusivamente nella zona di produzione indicata all'art. 2. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Lombardia | Brescia, Bergamo, Como, Cremona, Milano, Pavia, Varese | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame Cremona Salame Cremona IGP Disciplinare di produzione - Salame Cremona IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta “Salame Cremona” è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle indicazione ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Caratteristiche del prodotto L'Indicazione Geografica Protetta “Salame Cremona” è riservata al prodotto di salumeria che, all’atto dell’immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche: 2.1. Fisico morfologiche - Peso a fine stagionatura non inferiore a 500 gr - Diametro al momento della preparazione non inferiore a 65 mm - Lunghezza al momento della preparazione non inferiore a 150 mm 2.2. Chimiche e Chimico-Fisiche - Proteine totali: min. 20.0% - Rapporto collagene / proteine: max 0.10 - Rapporto acqua / proteine: max 2.00 - Rapporto grasso / proteine: max 2.00 - PH: maggiore o uguale a 5.20 2.3. Microbiologiche Carica microbica mesofila: > 1x 10 alla settima unità formanti colonia / grammo con prevalenza di lattobacillacee e coccacee. 2.4. Organolettiche - Aspetto esterno: forma cilindrica a tratti irregolare. - Consistenza: il prodotto deve essere compatto di consistenza morbida. - Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, caratterizzandosi per la tipica coesione delle frazioni muscolari e adipose, tale da non consentire una netta evidenziazione dei contorni (aspetto “smelmato”). Non sono presenti frazioni aponeurotiche evidenti. - Colore: rosso intenso. - Odore: profumo tipico e speziato. Articolo 3. Zona di produzione La zona di elaborazione del Salame Cremona comprende il territorio delle seguenti regioni: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. Articolo 4. Prova dell’origine A livello di controlli per l'attestazione della provenienza della produzione IGP, la prova dell'origine del "Salame Cremona" dalla zona geografica delimitata è certificata dall'organismo di controllo di cui all'articolo 7 sulla base di numerosi adempimenti cui si sottopongono i produttori nell'ambito dell'intero ciclo produttivo. I principali di tali adempimenti, che assicurano la rintracciabilità del prodotto, in ogni segmento della filiera, cui si sottopongono i produttori sono i seguenti: - iscrizione ad un apposito elenco tenuto dall’Organismo di controllo di cui al successivo art. 7; - denuncia all’Organismo di controllo delle quantità di salame Cremona prodotte annualmente; - tenuta degli appositi registri di produzione del salame Cremona. Articolo 5. Metodo di ottenimento 5.1. Materia prima Ai fini previsti dal presente disciplinare, possono essere utilizzati: a) suini delle razze tradizionali Large White Italiana e Landrace Italiana, così come migliorate dal Libro Genealogico Italiano, o figli di verri delle stesse razze; b) suini figli di verri di razza Duroc Italiana, così come migliorata dal libro Genealogico Italiano; c) suini figli di verri di altre razze ovvero di verri ibridi purché provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano per la produzione del suino pesante. Non sono in ogni caso ammessi: a) suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento al gene responsabile della sensibilità agli stress (PSS); b) tipi genetici ed animali comunque ritenuti non conformi ai fini del presente disciplinare; c) animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spotted Poland. L’alimentazione, unitamente alle tecniche di allevamento, concorre ad assicurare l’ottenimento di un suino pesante, mediante moderati accrescimenti giornalieri. A tal fine, sono osservate le prescrizioni che seguono. Gli alimenti utilizzati devono essere conformi agli standard merceologici. Per l’alimentazione dei suini da 30 fino ad 80 chilogrammi di peso vivo sono utilizzati, oltre a quelli considerati in tabella n°2, ed impiegati in idonea concentrazione, gli alimenti di seguito elencati in tabella n. 1, come sostanza secca, con l’osservanza dei limiti specifici contestualmente prescritti per il loro impiego, da operare in modo tale che la sostanza secca da cereali non risulti inferiore al 45% di quella totale: tabella 1 Per l’alimentazione dei suini oltre 80 chilogrammi di peso vivo, sono utilizzati gli alimenti di seguito elencati come sostanza secca, con l’osservanza dei limiti specifici contestualmente prescritti per il loro impiego, da operare in modo che la sostanza secca da cereali non risulti inferiore al 55% di quella totale: tabella 2 L’uso congiunto di siero e di latticello non deve essere superiore a litri 15 capo/giorno. Il contenuto di azoto associato a borlande deve essere inferiore al 2%. L’uso congiunto di patata disidratata e di manioca non deve superare il 15% della sostanza secca della razione. Tutti i parametri sopra indicati ammettono tolleranze non superiori al 10%. Le caratteristiche di composizione della razione somministrata devono essere tali da soddisfare i fabbisogni degli animali nelle diverse fasi del ciclo di allevamento in relazione agli obiettivi del presente disciplinare. Sono inoltre osservati i seguenti parametri chimici, costituenti limiti percentuali di ammissibilità nella composizione della sostanza secca della razione alimentare somministrata: tabella 3 È ammessa l’integrazione minerale e vitaminica della razione nei limiti definiti dalla vigente legislazione di ordine generale. Ai sensi del presente disciplinare le tecniche di allevamento, gli alimenti consentiti, le loro quantità e modalità di impiego sono finalizzate ad ottenere un suino pesante tradizionale, obiettivo che deve essere perseguito nel tempo attraverso moderati accrescimenti giornalieri ed un’alimentazione conforme alla disciplina generale in vigore. I suini sono inviati alla macellazione non prima che sia trascorso il nono mese e non dopo che sia trascorso il quindicesimo mese dalla nascita. Il loro stato sanitario deve essere ottimo e come tale attestato dalla competente Autorità sanitaria; ai fini del presente disciplinare, dalla macellazione è escluso l’impiego di verri e scrofe, di carcasse non ben dissanguate ovvero caratterizzate dalla presenza di miopatie conclamate (PSE e DFD) o di postumi evidenti di processi flogistici e traumatici. Il peso medio della singola partita (peso vivo) inviata alla macellazione deve corrispondere a Kg 160, più o meno il 10% e, quindi, deve essere compreso nell’intervallo corrente tra Kg 144 e Kg 176. I requisiti di conformità prescritti dal presente disciplinare, relativi ai suini trasferiti tra gli allevamenti ed ai suini destinati alla macellazione sono attestati dall’allevatore mediante procedure sottoposte alla verifica dell’Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. Le carcasse ottenute dalla macellazione devono essere classificate come pesanti nelle forme previste dal Regolamento (CEE) n. 3220/84, dalla decisione della Commissione 2001/468/CE dell’8/6/2001 e dal Decreto Ministeriale 11/07/2002 e mediamente caratterizzate dalle classi centrali del sistema ufficiale di valutazione della carnosità. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello che, a tale scopo, accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la conformità ai fini del presente disciplinare deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall’Autorità di controllo indicata nel successivo articolo 7. Caratteristiche materia prima - La carne suina da destinare al successivo impasto è quella ottenuta dalla muscolatura appartenente alla carcassa e dalle frazioni muscolari striate e adipose. 5.2. Ingredienti Sale, spezie, pepe in grani o pezzi grossolani, aglio pestato e spalmato nell’impasto. Possono inoltre essere impiegati: vino bianco o rosso fermo, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, colture di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e/o potassio, nitrito di sodio e/o potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. Non possono essere impiegate carni separate meccanicamente. 5.3. Preparazione Le frazioni muscolari e adipose, ottenute da carni macellate secondo le vigenti disposizioni, sono mondate accuratamente asportando le parti connettivali di maggiore dimensioni ed il tessuto adiposo molle, linfonodi e grossi tronchi nervosi. La macinatura deve essere effettuata in tritacarne con stampi con fori di 6 mm. La temperatura della carne alla triturazione deve essere superiore a 0°C. La salatura deve essere effettuata durante la macinazione, ottenuto il macinato si uniscono gli altri ingredienti e gli aromi. L’impastatura di tutti gli ingredienti deve essere effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica per un tempo prolungato per ottenere la tipica coesione dell’impasto. Il Salame Cremona deve essere insaccato in budello naturale di suino, di bovino, di equino o di ovino ed il budello deve avere un diametro iniziale non inferiore a 65 mm. La legatura, eseguita manualmente o meccanicamente, è effettuata con spago. 5.4. Asciugatura Tra le operazioni di insacco e quelle di asciugamento è ammesso lo stoccaggio del prodotto in cella, per una durata massima di giorni uno ed in condizioni di temperatura non inferiore ai 2°C e non superiore ai 10°C. L’asciugamento è effettuato a caldo (temperatura compresa tra 15° e 25°C). L’asciugamento deve consentire una rapida disidratazione delle frazioni superficiali nei primi giorni di trattamento. 5.5. Stagionatura La stagionatura del Salame Cremona deve essere condotta in locali dove sia assicurato un sufficiente ricambio d’aria a temperatura compresa fra 11° e 16°C. Il tempo di stagionatura non deve essere comunque inferiore alle 5 settimane. Il periodo di stagionatura varia in relazione al calibro iniziale del budello, secondo la seguente tabella: 5.6. Confezionamento Il Salame Cremona può essere immesso al consumo in pezzi singoli, ovvero confezionato sottovuoto o in atmosfera protettiva, intero o in tranci o affettato. Le operazioni di confezionamento o porzionamento devono avvenire, sotto la sorveglianza della struttura di controllo indicata all’art. 7, esclusivamente nella zona di produzione indicata all’art. 3. Qualora il confezionamento venisse effettuato fuori dall’area geografica descritta nel disciplinare non si potrebbe garantire un controllo costante presso tutte le aziende produttrici e ciò comporterebbe una grave carenza nel sistema di certificazione della IGP. Tale carenza avrebbe la conseguenza di non poter più garantire il corretto utilizzo della denominazione, a danno dei produttori e dei consumatori. In altre parole, il mancato assoggettamento al controllo delle operazioni di confezionamento comporterebbe come diretta conseguenza anche il venire meno di altri due elementi fondamentali: la garanzia della salvaguardia della qualità, verificata nel corso di tutte le operazioni di controllo e la garanzia dell’origine, intesa come tracciabilità compiutamente riscontrabile nel corso di ogni fase di trasformazione, compreso il confezionamento. Inoltre, consentire il packaging fuori dall’area geografica tipica pregiudicherebbe anche la qualità del salame Cremona, dal momento che il prodotto dovrebbe subire un trattamento termico per il trasporto ed il successivo affettamento “a distanza di tempo e di luogo”, che altererebbe le caratteristiche organolettiche del salame. Articolo 6. Legame con l’ambiente Il prodotto Salame Cremona presenta un forte e consolidato legame con l’ambiente, che le deriva dall’affermarsi nella zona di Cremona prima e nella Pianura Padana poi, dell’allevamento suino legato ai caseifici ed alla coltivazione del mais. Il perfetto e vincente sinergismo tra l’allevamento del bovino da latte e quello dei suini, insieme alla coltivazione dei cereali, trova da tempo nel clima, nebbioso e poco ventilato, un alleato eccezionale che permette ai prodotti insaccati posti a stagionare, come i salami, di acquisire particolari caratteristiche di morbidezza, pastosità e spiccata aromaticità. Il tutto, però, non avrebbe potuto consentire al Salame Cremona di raggiungere tali caratteristiche qualitative, se non fosse intervenuto il fattore umano che, nella zona di produzione, ha saputo nel tempo mettere a punto tecniche di preparazione e stagionatura dei salami del tutto peculiari. Ancora oggi il Salame Cremona è prodotto con procedimenti che rispettano appieno la tradizione, i quali ben si coniugano con le nuove tecnologie apportate ai processi di lavorazione. Il fattore ambientale dovuto al clima e il fattore umano, che si identifica con la spiccata capacità tecnica degli addetti alla preparazione del Salame Cremona, rimangono quindi ancora oggi elementi fondamentali e insostituibili, che assicurano la peculiarità e la reputazione del prodotto. Infatti, il Salame Cremona ha goduto e gode tuttora di un'alta notorietà e reputazione, come attestato dalla sua tradizionale presenza nelle fiere agroalimentari della Valle Padana e come si rileva dalla sua forte presenza nei principali mercati nazionali ed esteri. Ciò è altresì confermato dalla presenza del "Salame Cremona" nelle liste dei principali prodotti agroalimentari con denominazione di provenienza italiani, riportate in calce ad accordi bilaterali stipulati tra l'Italia e altri Paesi europei negli anni 1950-1970 (Germania, Francia, Austria, Spagna) in materia di protezione delle denominazioni geografiche di provenienza. Gli elementi che comprovano l’origine del Salame Cremona sono: riferimenti storici, che attestano in modo chiaro e preciso l’origine del prodotto ed il legame dello stesso con il territorio, nonché l’inserimento in ricette e tradizioni gastronomiche che dal territorio della provincia di Cremona si è poi esteso nell’ambito della valle Padana; riferimenti culturali, secondo i quali il prodotto era ben presente nelle tradizionali manifestazioni popolari e contadine, già a partire dall’inizio del secolo. Ancora oggi, nonostante la fortissima industrializzazione e terziarizzazione della valle Padana, il Salame Cremona rafforza la sua tradizionale presenza nelle principali fiere agroalimentari lombarde e della valle Padana (Fiera di Cremona ottobre, Millenaria di Gonzaga inizio settembre, Reggio Emilia fine aprile, ecc.). la presenza di numerosi produttori - siano essi a capacità industriale o artigianale - dediti alla trasformazione delle carni dei suini che nella pianura Padana si andavano diffondendo a seguito della perfetta integrazione con l’industria lattiero –casearia e la coltivazione dei cereali (soprattutto mais). È questo legame, che è andato sempre più rafforzandosi nel secolo appena concluso, che ha fortemente contribuito allo sviluppo economico e sociale dell’intera area: cereali ed erbai che forniscono l’alimento per suini e vacche da latte, il siero del latte da sottoprodotto ad ottimo alimento per suini, il letame ed il liquame che mantengono e migliorano la fertilità della terra, gli artigiani prima e le industrie poi che trasformano il latte e la carne. Articolo 7. Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un Organismo autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del Reg. Cee n. 2081/92. Articolo 8. Etichettatura In etichetta devono essere riportate, in caratteri chiari, indelebili e di dimensioni maggiori di tutte le altre diciture, le diciture “Salame Cremona” e “Indicazione Geografica Protetta" e/o sigla “IGP”. Tale ultima dicitura deve essere tradotta nella lingua in cui il prodotto viene commercializzato. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente. Nell'etichetta deve altresì figurare il simbolo comunitario di cui all'art. 1 del Reg. (CE) della Commissione n. 1726/98. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto | Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza e della Brianza, Pavia, Sondrio, Varese, Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbano Cusio e Ossola, Vercelli, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame d'oca di Mortara Salame d’oca di Mortara Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Caratteristiche organolettiche:
Caratteristiche merceologiche:
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Lombardia | Pavia | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame di Varzi Salame Varzi Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La Denominazione d'Origine Protetta "Salame Varzi" è riservata al salame le cui fasi di produzione, dalla scelta delle carni alla stagionatura completa, hanno luogo nella zona tipica di produzione geograficamente individuata nell’insieme degli attuali confini comprendenti i seguenti comuni: Bagnaria, Brallo di Pregola, Cecima, Fortunago, Godiasco, Menconico, Montesegale, Ponte Nizza, Rocca Susella, Romagnese, Santa Margherita Staffora, Val di Nizza, Valverde, Varzi e Zavatterello, tutti facenti parte della Comunità montana n. 1 - Oltrepò Pavese - con esclusione dei comuni di Borgopriolo, Borgoratto, Mormorolo, Montalto Pavese e Ruino. Le caratteristiche organolettiche e merceologiche dipendono da particolari metodi della tecnica di produzione e dalle condizioni proprie dell’ambiente di produzione. Articolo 2. Prescrizioni relative alle carni utilizzate Il "Salame Varzi" deve essere prodotto con carni fresche provenienti da suini: a) in ottimo stato sanitario, allevati nella zona di cui al comma 1 dell’articolo 1 o comunque provenienti da allevamenti di zona a caratteristica tradizionale suinicola della Provincia di Pavia e da allevamenti situati nei comuni della provincia di Alessandria e di Piacenza confinanti con la zona di produzione del "Salame Varzi" o da altre zone a tipica vocazione per allevamento di suini; b) che, dopo il periodo di finissaggio, alimentati cioè negli ultimi tre mesi seguendo la pratica tradizionale, abbiano raggiunto un peso vivo minimo di chilogrammi 150; c) abbattuti e perfettamente dissanguati presso il singolo produttore o comunque nella zona di produzione del "Salame Varzi" previa una sosta di almeno dodici ore e tenuti completamente a digiuno. Articolo 3. Prescrizioni produttive I tagli di carne che possono essere impiegati sono: spalla, coscia, lonza, filetto, coppa opportunamente snervata, pancettoni convenientemente mondati, triti di prima qualità. Il grasso da impiegare è esclusivamente quello: del guanciale, della testata di spalla, del culatello e lardello, con esclusione dell’uso di carne congelata o comunque conservata. La resa in pasta di salame si deve aggirare intorno al 28-33 %del peso dell’animale vivo, non usando coppe e pancette; sul 35-40% se si usa la totalità dei tagli sopra elencati. Il rapporto di carne/grasso presente nell’impasto deve essere per ogni 100 chilogrammi di carne magra 40-45 chilogrammi (30-33%) di grasso sopra elencato. La grana della carne e del grasso costituenti la pasta di salame deve corrispondere all’impiego di uno stampo con fori da 12 millimetri. Il budello da impiegarsi per l’insaccato deve essere di maiale ed il prodotto ottenuto, opportunamente forellato, deve essere legato con spago a maglia fitta. La miscela di salagione deve essere costituita da: sale marino, sodio, nitrato e/o sodio nitrato per quanto consentito, pepe nero solo in grani, infuso di aglio e vino rosso filtrato. Articolo 4. Asciugatura e stagionatura L’asciugatura e la stagionatura devono avvenire in locali convenientemente aerati, con opportune attrezzature e tecniche, in funzione delle caratteristiche climatiche e dell’orientamento. Il periodo minimo di stagionatura varia in funzione della pezzatura del prodotto. Articolo 5. Caratteristiche merceologiche Sono caratteristiche merceologiche del "Salame di Varzi": a) la pezzatura che presenta le seguenti distinzioni: Salame di Varzi-Filzetta; peso da chilogrammi 0,5 a chilogrammi 0,7 - periodo minimo di stagionatura 45 giorni. Salame di Varzi-Filzettone: peso da chilogrammi 0,5 a chilogrammi 1 - periodo minimo di stagionatura 60 giorni. Salame di Varzi-Sottocrespone a budello semplice: peso da chilogrammi 1 a chilogrammi 2 - periodo minimo di stagionatura 120 giorni. Salame di Varzi-Cucito a budello doppio: peso da chilogrammi 1 a chilogrammi 2 e più - periodo minimo di stagionatura 180 giorni. b) la tenerezza e il colore vivo al taglio c) l’impasto che deve risultare compatto e la presenza della parte grassa, perfettamente bianca in giusta proporzione. d) il sapore dolce e delicato, l’aroma fragrante e caratteristico, strettamente condizionato al lungo periodo di stagionatura. Articolo 6. Contrassegno e sigillo Il "Salame di Varzi" deve essere immesso in commercio provvisto del particolare contrassegno atto a garantire permanentemente l’origine e l’identificazione del prodotto. I salami, subito dopo l’insaccatura, durante la legatura prima dell’asciugatura, devono essere muniti di sigillo atto a garantire la corrispondenza a quanto previsto dalla presente legge. Articolo 7. Obbligo di assoggettamento a controllo 1. Le imprese produttrici del "Salame di Varzi" - per quanto attiene a tale specifica produzione - sono tenute a consentire ispezioni ai locali di lavorazione nonché controlli, verifiche esami, sia delle carni da lavorare o lavorate, sia dei metodi di produzione, sia del prodotto in stagionatura, sia in ordine alla tenuta dei registri e della documentazione necessaria atta a dimostrare che la provenienza, le modalità e la durata di lavorazione dei salami corrispondano ai requisiti prescritti dalla presente legge. Ai sensi della presente legge si intende per produttore l’impresa che compia tutte le operazioni di lavorazione del "Salame di Varzi", e sia autorizzata secondo le vigenti leggi sanitarie. Articolo 8. Norme di esecuzione Con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’industria e del commercio, di concerto con il Ministro della sanità e con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste - sentita la regione Lombardia - sono definite le norme per l’esecuzione della presente legge, concernenti in particolare: a) le modalità e le fasi di preparazione del "Salame di Varzi" sulla base degli usi tradizionali, lealmente e costantemente osservati nel tempo, in forza dei quali il "Salame di Varzi" garantisce le proprie caratteristiche qualitative; b) le modalità per la tenuta dei registri e della documentazione di cui all’art. 7; c) la costituzione del contrassegno di cui all’art. 6; d) gli organismi per la vigilanza; e) i sistemi di controllo della produzione del salame e dell’applicazione del sigillo e dei contrassegni atti a garantire il rispetto delle disposizioni contenute nella presente legge; f) le modalità per la costituzione di un consorzio volontario tra i produttori al quale spetta l’uso del marchio e la sua gestione nonché l’incarico di vigilare sulla produzione e sul commercio del "Salame di Varzi". Tale consorzio dovrà: 1. comprendere tra i propri soci almeno il 50% dei produttori operanti nella zona delimitata dall’art. 1, i quali lavorino non meno del 50 % della produzione accertata nell’ultimo anno; 2. essere retto da uno statuto che consenta l’immissione nel consorzio a parità di diritti di qualsiasi produttore che abbia i propri stabilimenti nella zona di cui all’art. 1 ed operi ai sensi della presente legge; 3. offrire la necessaria garanzia organizzativa e finanziaria per un efficace attuazione dei compiti di vigilanza. Eventuali modificazioni allo statuto del consorzio sono preventivamente approvate con atto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di concerto con il Ministro della sanità e con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Il controllo sul finanziamento del consorzio stesso spetta, per quanto di competenza, ai su richiamati Ministri. Articolo 9. Sanzioni a tutela dell’originalità del prodotto La produzione e la commercializzazione sotto denominazione di cui all’art. 1 di salami i quali non abbiano i requisiti e le caratteristiche prescritti dalla presente legge sono puniti a norma delle vigenti leggi contro le frodi. A norma delle medesime leggi sono altresì puniti l’uso della predetta denominazione accompagnata da qualificativi di qualsiasi genere che costituiscano deformazioni della denominazione stessa nonché l’uso di indicazioni atte a trarre in inganno l’acquirente. Articolo 10. Sanzioni relative al sigillo e al contrassegno La contraffazione, l’alterazione e l’uso illecito dei sigilli e dei contrassegni di cui al precedente art. 6 vengono puniti come previsto dal precedente art.9. Articolo 11. Sanzioni relative ai controlli e alla documentazione Qualsiasi impedimento all’effettuazione delle verifiche di cui al precedente art. 7 e la tenuta di una falsa documentazione sono puniti con una multa da due a cinque milioni di lire. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Lombardia | Pavia | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame Felino Salame di Felino IGP Associazione fra Produttori per la tutela del Salame di Felino
Disciplinare di produzione - Salame di Felino IGPRegolamento di esecuzione (UE) n. 186/2013 della Commissione del 5 marzo 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea – serie L 62 – del 6 marzo 2013 Articolo 1.
Articolo 2.
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo 7.
Articolo 8.
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Parma | |||||||||||||||||||||||||||||
Salame Piacentino Salame Piacentino Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La Denominazione d'origine protetta "Salame Piacentino" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del Salame Piacentino debbono essere situati nel territorio delle regioni Lombardia ed Emilia-Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni debbono essere conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione d'origine di Parma e San Daniele. Gli allevamenti devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso di 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il documento del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. La zona di elaborazione del Salame Piacentino comprende l'intero territorio della provincia di Piacenza. Articolo 3. Materie prime Il Salame Piacentino deriva da materie prime appartenenti a suini che corrispondono alle caratteristiche dell'art. 2. La percentuale di grasso utilizzabile va dal 10 al 30% in funzione della parte magra utilizzata. Per la parte magra sono esclusi i tagli di carne provenienti dallo spolpo di testa, mentre per la parte grassa può essere utilizzato, lardo, gola e parti di pancetta prive di grasso molle. Articolo 4. Metodo di elaborazione Le carni suine magre e le parti grasse, sono ridotte in pezzettini e successivamente passati al tritacarne con stampo a fori larghi superiori a 10 mm di diametro. La pasta di salame così ottenuta viene poi condita a secco con la seguente miscela: Dosi per 100 kg di carne fresca: - cloruro di sodio: min 1,5 kg ; max 3,5 kg; - nitrato di potassio (E252): max 15 g; - pepe nero o bianco in grani e/o spezzato: min 30; max 50 gr; - infuso di aglio e vino: max 500 gr; aglio (da 5 a 20 gr), vino (da 0,1 a 0,5 litri); - zuccheri: max 1,5 kg; - sodio L-ascorbato (E301): max 200 gr. Seguono poi l'impastamento e l'insaccamento in budello di suino. Infine il salame, legato con spago, viene successivamente forato e sottoposto ad asciugamento in ambienti aventi una temperatura compresa tra 15 e 25 °C ed umidità relativa compresa tra il 40 ed il 90%. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura dei Salami Piacentini avviene in ambienti aventi una temperatura compresa tra 12 e 19°C ed una umidità relativa di 70-90 % per un periodo non inferiore quarantacinque giorni dalla data di salatura. Durante la stagionatura è consentita la ventilazione, l'esposizione alla luce ed alla umidità naturale, tenuto conto dei fattori climatici presenti nelle valli piacentine. Articolo 6. Caratteristiche Il Salame Piacentino, all'atto della immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche: Caratteristiche organolettiche: - aspetto esterno: forma cilindrica con peso variabile non superiore ad 1 kg e non inferiore a 400 gr.; - aspetto al taglio: colore rosso vivo con lenticelle di grasso di colore bianco rosato; - aroma e sapore: sapore dolce e delicato, l'aroma fragrante e caratteristico, strettamente condizionato dal periodo di stagionatura. Caratteristiche chimico-fisiche: - Umidità (%) Min 27 Max 50 - Proteine (%) Min 23,5 Max 33,5 - Grassi (%) Min 16 Max 35 - Sale (%) Min 3 Max 5 - Ceneri (%) Min 4 Max 6,5 - Collagene (%) Min 0,5 Max 4 - pH Min. 5,4 Max 6,5 Il Salame Piacentino pu ò essere commercializzato sfuso ovvero confezionato sottovuoto o in atmosfera modificata, intero, in tranci o affettato. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art. 7 esclusivamente nella zona di trasformazione indicata all'art. 2. Articolo 7. Controlli Il controllo per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall'art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione del "Salame Piacentino" deve essere indicata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta, che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Denominazione di Origine Protetta". Tali indicazioni possono essere abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna | Piacenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame Piemonte Salame Piemonte IGP Disciplinare di produzione - Salame Piemonte IGPArticolo 1. Denominazione L’Indicazione Geografica Protetta “Salame Piemonte” è riservata esclusivamente al prodotto di salumeria insaccato e stagionato crudo, che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Descrizione e caratteristiche del prodotto Il Salame Piemonte è costituito dall’impasto di carne suina fresca marezzata, che non ha subito processi di congelamento, ottenuta dai seguenti tagli. Per la parte magra: muscolatura striata proveniente dalla coscia, dalla spalla e dalla pancetta; per la parte grassa: grasso nobile proveniente dalla pancetta, dalla gola e lardo. Non possono essere utilizzate carni separate meccanicamente. All’atto dell’immissione al consumo, il Salame Piemonte intero ha un peso non inferiore a 300 grammi e presenta le seguenti caratteristiche organolettiche, chimico-fisiche e microbiologiche. CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE Aspetto esterno: forma cilindrica o incurvata per le pezzature più piccole. Consistenza: il prodotto si presenta compatto e di consistenza morbida. Non sono presenti aponeurosi evidenti. Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta e omogenea, caratterizzata dalla tipica coesione delle frazioni muscolari e adipose che risultano piuttosto “allungate”. Il pepe è presente in pezzi e/o in polvere. Colore: rosso rubino. Odore: delicato, di carne matura, di stagionato, di vino e di aglio. Sapore: dolce e delicato, leggermente speziato (pepe e noce moscata), buona persistenza aromatica, mai acido, salatura equilibrata. CARATTERISTICHE CHIMICHE E CHIMICO-FISICHE Proteine totali min. 23% Rapporto collagene / proteine max 0,12 Rapporto acqua / proteine max 2,00 Rapporto grasso / proteine max 1,40 pH ≥ 5.2 CARATTERISTICHE MICROBIOLOGICHE Carica microbica mesofila > 1x10 unità formanti colonia/g - con prevalenza di lactobacillacee e coccacee. Il Salame Piemonte può essere prodotto in forme e pezzature diverse, ricavate dallo stesso impasto, insaccato in budello naturale o involucro ricostituito di origine naturale, con diametro del salame fresco variabile fra 40 e 90 mm. Articolo 3. Zona di produzione Le operazioni di elaborazione e stagionatura del Salame Piemonte devono avvenire nel territorio della regione Piemonte. Articolo 4. Origine del prodotto Ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata, documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dall’organismo di controllo, degli allevatori, dei macellatori, dei sezionatori, dei produttori, degli stagionatori e dei confezionatori/porzionatori, è garantita la tracciabilità e la rintracciabilità (da valle a monte della filiera di produzione) del prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, saranno assoggettate al controllo da parte dell’organismo di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo. Articolo 5. Materie Prime Materie Prime Il “Salame Piemonte” IGP è ottenuto dalle carni di suini aventi le seguenti caratteristiche. Sono ammessi gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace. Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc. Sono ammessi animali di altre razze, meticci e ibridi, purché le loro carcasse rientrino nelle classi E, U, R e O definite nella tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di suino di cui all’allegato V del regolamento (CE) n. 1234/2007 e successive modifiche. In osservanza alla tradizione, restano comunque esclusi i portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS), oggi rilevabili obiettivamente anche sugli animali “post mortem” e sui prodotti stagionati. Sono comunque esclusi gli animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spotted Poland. I tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati con buone efficienze e, comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di chilogrammi 160 più o meno 10%. L’età minima di macellazione è di nove mesi. E’ esclusa l’utilizzazione di verri e scrofe. I suini devono essere macellati in ottimo stato sanitario e perfettamente dissanguati. Non vi è limitazione geografica all’origine dei suini. Alimentazione degli animali L’alimentazione dei suini si articola in due fasi. Gli alimenti ammessi fino a 80 chilogrammi di peso vivo sono tutti quelli utilizzabili nella successiva fase d’ingrasso, in idonea concentrazione, nonché quelli di seguito presentati in ordine decrescente. La presenza di sostanza secca da cereali non dovrà essere inferiore al 45% di quella totale: farina di estrazione di soia (fino a un massimo del 20% della sostanza secca della razione); silomais (fino al 10% della sostanza secca della razione); semola glutinata di mais e/o corn gluten feed (fino al 5% della sostanza secca della razione); carrube denocciolate, distillers (fino al 3% della sostanza secca della razione); lipidi con punto di fusione superiore a 36°C (fino al 2% della sostanza secca della razione); farina di pesce, lisati proteici (fino al 1% della sostanza secca della razione); latticello* (fino a un massimo di 6 litri per capo al giorno). Gli alimenti ammessi nella successiva fase di ingrasso sono di seguito riportati in ordine decrescente. La presenza di sostanza secca da cereali nella fase d’ingrasso non dovrà essere inferiore al 55% di quella totale: mais e pastone di granella e/o pannocchia (fino al 55% della sostanza secca della razione); sorgo, orzo (fino al 40% della sostanza secca della razione); frumento, triticale, avena e cereali minori (fino al 25% della sostanza secca della razione); cruscami e altri prodotti della lavorazione del frumento (fino al 20% della sostanza secca della razione); patata disidratata, polpe di bietola surpressate ed insilate, farina di estrazione di soja (fino al 15% della sostanza secca della razione); farina di girasole (fino al 8% della sostanza secca della razione); manioca, melasso(**), farina di estrazione di cocco, farina di estrazione di germe mais, pisello e/o altri semi di leguminose (fino al 5% della sostanza secca della razione); polpe secche esauste di bietola (fino al 4% della sostanza secca della razione); farina di sesamo (fino al 3% della sostanza secca della razione); expeller di lino, marco mele-pere, buccette d’uva o di pomodori quali veicoli d'integratori, farina disidratata di medica, lievito di birra e/o di torula, lipidi con punto di fusione superiore a 40 °C (fino al 2 % della sostanza secca della razione); siero(*) di latte fino a un apporto massimo di 15 litri capo/giorno; latticello(*) fino a un apporto massimo di 250 grammi capo/giorno di sostanza secca. – É consentita una presenza massima di acido linoleico pari al 2% della sostanza secca della dieta. – Sono ammesse tolleranze massime del 10%. – Patata disidratata e manioca insieme non devono superare il 15% della sostanza secca della razione. – Per “latticello” si intende il sottoprodotto della lavorazione del burro e per siero di latte il sottoprodotto di cagliate. – (*) Siero e latticello insieme non devono superare i 15 litri capo/giorno. – (**) Se associato a borlande il contenuto totale di azoto deve essere inferiore al 2%. È ammessa l’integrazione minerale e vitaminica della razione nei limiti definiti dalla vigente legislazione. Altri ingredienti Gli altri ingredienti sono sale (massimo 3%), pepe in grani e/o in pezzi e/o in polvere (massimo 0,4%), spezie e piante aromatiche: aglio, chiodi di garofano interi o macinati o in infusione con il vino, noce moscata. Per garantire il sapore tipico del Salame Piemonte e il rispetto del tradizionale metodo di produzione, è necessario utilizzare vino rosso piemontese a denominazione di origine, proveniente dai vitigni autoctoni Nebbiolo, Barbera e Dolcetto (in quantità superiore allo 0,25% in peso). È ammesso l’utilizzo di zucchero e/o destrosio, colture di avviamento alla fermentazione, colture fungine di copertura del budello, nitrato di sodio e/o potassio, nitrito di sodio e/o potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. Non sono ammessi altri coadiuvanti tecnologici finalizzati alla fissazione dell’acqua nei tessuti. Articolo 6. Metodo di produzione Operazioni di elaborazione. Le frazioni muscolari ottenute dalla muscolatura striata, proveniente dalla coscia, dalla spalla e dalla pancetta sono mondate asportando le parti connettivali di maggiore dimensione e il tessuto adiposo molle. Le frazioni muscolari e adipose utilizzate per la preparazione del Salame Piemonte IGP devono essere fatte sostare, disposte a strati per aumentare la superficie di contatto con l’aria, in apposite celle frigorifere ventilate a temperatura maggiore o uguale a -1 °C per le parti magre e maggiore o uguale a -5 °C per le parti grasse, in modo tale da permettere una prima buona ma lenta disidratazione delle frazioni muscolari. Si effettua poi, il pre-taglio delle carni (e frazioni adipose) in pezzi non superiori a 5 cm di lato e la successiva macinatura in tritacarne (con fori di 8-10 mm). Segue l’impastatura di tutti gli ingredienti in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. L’impastatura deve essere prolungata fino a ottenere la caratteristica forma allungata della struttura fisica delle frazioni adipose. Il Salame Piemonte IGP deve essere insaccato in budello naturale o involucro ricostituito di origine naturale. Successivamente viene legato con spago. Per le pezzature destinate al confezionamento previa affettatura, è ammesso l’utilizzo di apposita rete. Al momento della preparazione il diametro del salame non deve essere superiore a 90 mm. La disidratazione del salame così insaccato prosegue poi a caldo, a cicli alternati a temperatura compresa tra 15°C e 25°C e con umidità relativa dell’aria con valori minimi che sono mantenuti fra il 50% e il 70% per consentire una rapida disidratazione delle frazioni superficiali nei primi giorni di trattamento. Non possono essere adottate tecniche che prevedano una fermentazione accelerata. Stagionatura La stagionatura del Salame Piemonte IGP deve essere condotta in locali ove sia assicurato un sufficiente ricambio di aria a temperatura compresa fra 11°C e 15°C. Il tempo di stagionatura risulta particolarmente ridotto per il basso tenore di umidità del prodotto insaccato: ciò è dovuto alle condizioni di preparazione iniziale delle carni, disposte in strati sottili, in ambienti ventilati e a basse temperature, secondo le tradizionali modalità di preparazione del Salame Piemonte. Queste condizioni accelerano e facilitano il processo di asciugamento e disidratazione a caldo per cui, nella successiva fase di stagionatura, viene favorito lo sviluppo dei microorganismi che, ben presto, conferiscono al Salame Piemonte la compatta morbidezza ed il tipico delicato sapore. Il tempo di stagionatura comprende anche la disidratazione a caldo del salame insaccato e varia, in funzione del diametro del salame fresco, da un minimo di dieci giorni ad un massimo di cinquanta giorni, per i diametri compresi tra 40 e 70 mm e da un minimo di ventuno giorni ad un massimo di ottantaquattro giorni, per i diametri compresi fra 71 e 90 mm. A fine stagionatura, fuori dagli appositi locali a temperatura ed umidità controllata, il Salame Piemonte in attesa delle successive fasi di etichettatura e di confezionamento, deve avere un pH maggiore o uguale a 5,2. Articolo 7. Legame con la zona geografica Specificità della zona geografica La zona di produzione del Salame Piemonte è costituita dall’intera regione Piemonte che presenta caratteristiche climatiche molto particolari. Lo stesso nome Piemonte deriva dal fatto che la regione si trova, geograficamente, “ai piedi dei monti”; questa situazione, pressoché unica in Europa, dà origine, in gran parte della regione, ad una zona climatica temperata subcontinentale, dalle caratteristiche relativamente omogenee; si distingue un periodo invernale freddo, con precipitazioni modeste, umidità relative decrescenti da novembre, più umido, a febbraio, più secco, e dalla pianura verso le colline, con ventilazione moderata e con frequenti episodi di fohn che rimescolano l’aria e favoriscono il mantenimento di valori di umidità relativa piuttosto bassi. Per di più, il Piemonte mostra caratteri di maggior soleggiamento e, dunque, di minor umidità rispetto alle contigue regioni della Valle Padana; queste differenze sono ancor più palesi nei confronti con le regioni a Nord delle Alpi dove il soleggiamento si riduce di circa due terzi. Tradizionalmente, queste particolari condizioni termo igrometriche sono state determinanti nel favorire il raffreddamento delle carni e le proliferazioni microbiche poco acidificanti nelle frazioni interne ed esterne del salame che conferiscono le caratteristiche di sapore e aroma proprie del Salame Piemonte, anche con tempi di stagionatura più brevi rispetto ad altre tipologie di salami. Analogamente il clima e il territorio piemontese, insieme alle tecniche di coltivazione, alle pratiche vinicole e alla cultura, sono determinanti nel conferire un “terroir” unico e particolare ai vini piemontesi a denominazione d’origine, elemento tipico caratterizzante del Salame Piemonte. Infatti, in Piemonte è sempre stata abbondante la produzione di vini e i vitigni autoctoni maggiormente coltivati e disponibili in Piemonte sono la Barbera, il Dolcetto e il Nebbiolo: da questo deriva la pratica del loro utilizzo come ingrediente per la produzione del salame. La composizione del suolo piemontese, in particolare delle zone a maggior produzione vitivinicola, deriva dal ritiro del Mare Padano, iniziato circa 16 milioni di anni fa. Il substrato, oggi, è caratterizzato da argille, marne calcaree, marne bluastre, tufo, sabbie e gessi solfiferi. L’alternanza di questi strati fa sì che le viti regalino vini di eccellente finezza, struttura ed eleganza. La catena appenninica protegge i pendii collinari dalle correnti d’aria provenienti dal mare: gli influssi mediterranei si incrociano con quelli alpini che frenano le correnti da nord e così le montagne risultano un alleato naturale prezioso. Inoltre, per la propria posizione geografica, il Piemonte è sempre stato il primo passaggio obbligato, della “Via del Sale” che consentiva l’arrivo nel Nord Europa del sale e delle spezie, provenienti dai porti e dal mare; queste componenti, fondamentali per la produzione dei salumi, hanno, storicamente, contribuito a sviluppare l’arte salumiera in Piemonte. Specificità del prodotto Il Salame Piemonte si presenta compatto e di consistenza morbida, di colore rosso rubino e di sapore dolce e delicato. Una specificità del Salame Piemonte è la sua morbidezza ed il sapore “dolce e delicato” derivante, principalmente, dalla breve stagionatura. Tale caratteristica, frutto di un’antica tradizione piemontese dell’arte salumiera, ha incontrato, nel tempo, gusti e abitudini dei consumatori locali. La caratteristica principale del Salame Piemonte è la presenza, tra gli ingredienti, di vino rosso piemontese, a denominazione di origine, proveniente esclusivamente dai vitigni Nebbiolo, Barbera e Dolcetto, presente, nell’impasto, in quantità superiore allo 0,25%. La tipicità dei vini piemontesi influenza il gusto e l’aroma del Salame Piemonte, differenziandolo dagli altri prodotti analoghi sul mercato, come storicamente è sempre stato. Una moderata aggiunta di acidi organici, con il vino, costituisce un, seppur modesto, ostacolo alla moltiplicazione microbica indesiderata, mentre le sostanze aromatiche entrano a far parte di quel complesso di aromi che ne caratterizzano il profilo sensoriale. Legame causale tra zona geografica e una qualità specifica, reputazione o altre caratteristiche Specifici fattori di legame del Salame Piemonte con il suo territorio, che ne testimoniano la reputazione e la specificità del metodo di produzione, sono evidenziati da numerosi riferimenti storici, fin dalla fine del ‘700, che dimostrano come la pratica della produzione del Salame Piemonte si sia sviluppata e si sia radicata nel tempo nella regione in maniera assolutamente “sui generis” rispetto a quella di altri salami prodotti in altri territori italiani. Ciò a dimostrazione dell’evidente legame “antropico” che si è concretizzato in Piemonte nel corso del tempo tra questo salame e gli usi e costumi produttivi tipici ed esclusivi del suo territorio. Nel 1854, Giovanni Vialardi, capocuoco e pasticcere reale (di Casa Savoia), nel suo trattato di “Cucina Borghese”, descrive, in dettaglio, le modalità di realizzazione del “salame di carne di maiale” che si può considerare il vero precursore del Salame Piemonte poiché si tratta di una ricetta simile all’attuale, che prevedeva, già allora, una preparazione con l’aggiunta di “un bicchiere di buon vino di barbera”. Parallelamente, “L’inchiesta agraria” del Parlamento del Regno d’Italia, di fine ‘800, illustra, in dettaglio, le condizioni dell’economia agraria e le condizioni di vita contadina nelle province piemontesi. Ne emerge una situazione, diffusa e costante, in cui tutte le famiglie contadine, i mezzadri ed anche i braccianti .... “tengono un maiale di cui vendono una parte mentre l’altra riservano a loro. Fanno venire a casa il salumaio che fa loro le salsiccie ed i salami casalinghi che consumano nelle feste grasse”. Nel dopoguerra si estende la produzione industriale e sui Listini quindicinali della Camera di Commercio di Torino (ininterrottamente, su tutti i numeri, dal 1948 ad oggi, ma probabilmente anche da prima, pur non avendone evidenza poiché gli archivi precedenti sono andati distrutti durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale) la denominazione “Salame Piemonte” è presente nella sezione “Carni suine fresche”. L’aggiunta nel processo di produzione di vino rosso, proveniente da uve Barbera, Nebbiolo e Dolcetto che rappresentano i tre vitigni più famosi del Piemonte, testimonia il profondo legame del Salame Piemonte con il territorio. Questa caratteristica rappresenta l’elemento di specificità di questa denominazione ed è citata in molte pubblicazioni, manuali e raccolte specifiche relative ai salumi ed evidenziata in molti programmi televisivi di enogastronomia a livello nazionale andati in onda negli anni 2008-2010. Si ricorda la pubblicazione di Riccardo Di Corato – “Delizie del divin Porcello” che cataloga e descrive tutti i salumi e i salami italiani (Ed. Idealibri srl, dicembre 1984, pg.160,), la pubblicazione “Processo al maiale” (A. Beretta, Pavia, Monboso, 2002, pag. 160,) e programmi televisivi quali “Occhio alla spesa” e “Terre e sapori” di Rai 1 e “Mela Verde” di Rete Quattro, dove non mancano i riferimenti all’utilizzo di vino piemontese come ingrediente tipico dell’impasto del “Salame Piemonte”. Infine, vi è la partecipazione del Salame Piemonte a molte manifestazioni locali e internazionali, tra cui il Salone del Gusto (Torino – 2006 – 2008 - 2010) e Cibus (Parma 2008 -2010). Articolo 8. Controlli La verifica del rispetto del disciplinare è svolta conformemente a quanto stabilito dall’art. 37 del Reg. (UE) n. 1151/2012. L’organismo di controllo preposto alla verifica del disciplinare di produzione è Istituto Nord Ovest Qualità Soc. Coop. – Piazza Carlo Alberto Grosso, 82 – 12033 Moretta (CN) – Tel.: 0172/911323 – Fax: 0172/911320 – Mail: inoq@inoq.it Articolo 9. Etichettatura e confezionamento Il Salame Piemonte IGP è immesso al consumo non confezionato o confezionato sottovuoto o in atmosfera protettiva, intero, in tranci o affettato. Non vi sono limitazioni geografiche per le fasi di affettamento e confezionamento. La designazione della Indicazione Geografica Protetta “Salame Piemonte” deve essere apposta sull’etichetta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione “Indicazione Geografica Protetta” che deve essere tradotta nella lingua del Paese in cui il prodotto viene commercializzato, dal simbolo grafico dell’Unione e dal logo “Salame Piemonte” riportato di seguito. Nell’etichetta del Salame Piemonte è consentito indicare il paese o la regione di origine delle carni suine. Nel caso di provenienza delle carni da più paesi o regioni, queste sono elencate in ordine decrescente di peso. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. La dicitura “Salame Piemonte” deve essere riportata in lingua italiana. Il logo del “Salame Piemonte” rappresenta una figura composta da tre lati di un quadrato collegati, nella parte superiore, da una sezione di circonferenza. Il rapporto fra la base e l’altezza della figura è pari a 0,97. Il logo presenta una outline rossa. All’interno del logo sono inseriti tre elementi distinti: • la figura stilizzata del salame in colore rosso; • la rappresentazione del profilo del Monviso in colore bianco; • la denominazione di prodotto “Salame Piemonte” su due righe, che emerge in colore bianco sul fondo blu del cielo, seguendo il movimento della sezione di circonferenza. Il font utilizzato nella dicitura “Salame Piemonte” è il Caslon Book B.E. bold. Sulle etichette e sulle confezioni il logo “Salame Piemonte” deve essere stampato con i seguenti colori: • pantone 1805C per la parte magra del salame e l’outline del tassello • pantone 280C per il cielo • pantone Bianco Pieno (valori di quadri cromia C:0 M:0 Y:0 K:0) per il Monviso, la cordicella del salame, la parte grassa del salame e la scritta “Salame Piemonte”. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Piemonte | Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Torino, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli | ||||||||||||||||||||||||||||
Salame S. Angelo Salame Sant'Angelo IGP Disciplinare di produzione - Salame Sant'Angelo IGPArticolo 1. Denominazione del Prodotto A.1 L’Indicazione Geografica Protetta “SALAME S.ANGELO” è riservata al prodotto che abbia i requisiti specificati nel presente disciplinare. Articolo 2. Descrizione e Caratteristiche del Prodotto B.1 Il Salame S.Angelo è un insaccato unigrana prodotto esclusivamente con carni suine ed insaccato (confezionato) in budella naturali di suino. B.2 Il Salame S.Angelo si presenta e si caratterizza per: B 2.1 Aspetto: la superficie esterna è cilindrica ed irregolare, presentando la classica fioritura, uno strato biancastro, tipica degli insaccati stagionati. B 2.2 Consistenza: tenero, compatto di consistenza elastica alla pressione esercitata dal palmo della mano. B2.3 Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, con il grasso e la parte magra ben legati. B 2.4 Colore: le parti magre sono di colore rosso rubino ed il grasso di colore bianco. B 2.5 Odore: profumo delicato e caratteristico. B 2.6 Sapore: leggermente speziato, l’aroma fragrante, strettamente condizionati al microclima della vallata e dal giusto periodo di stagionatura. B.3 Pezzature: B 3.1 CULARINO, budello utilizzato ampolla rettale del maiale: peso variabile da 700 a 1500 gr. stagionatura minima non inferiore a 50 giorni; B 3.2 SOTTOCULARINO, budello utilizzato piccolo e grosso colon: peso variabile da 200 a 700 gr. stagionatura minima non inferiore a 30 giorni; B 3.3 SACCO, budello utilizzato cieco di suino: peso variabile da 1000 a 3500 gr. stagionatura minima non inferiore a 60 giorni; B 3.4 FELLATA, budello utilizzato “budello ricciu” parte limitrofa al cieco di suino: peso variabile da 300 a 600 gr. stagionatura minima non inferiore a 30 giorni;. B.4 Materie prime utilizzate B 4.1 Le materie prime utilizzate ed ammesse per la produzione del Salame S.Angelo sono costituite da carni fresche provenienti da suini di razze selezionate, quali: animali in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White, Landrace, Duroc; animali derivati da incroci fra le suddette razze ed incroci fra le stesse con popolazioni suine autoctone. Inoltre devono presentare i seguenti requisiti: B 4.2 trovarsi in ottimo stato di nutrimento; B 4.3 devono provenire esclusivamente da paesi membri dell’U.E.; B 4.4 raggiungere a macellazione avvenuta un peso non inferiore a 125 kg, peso morto; B 4.5 La materia prima da utilizzare dovrà giungere negli stabilimenti in mezzane intere (compresa la testa), con divieto assoluto di utilizzare carni congelate e/o surgelate; la refrigerazione a temperatura controllata 0° + 4° è ammessa per non più di sei giorni dalla data di macellazione, giorno incluso. B 4.6 E’ vietato categoricamente l’utilizzo di carni provenienti da scrofe o verri, nonché l’utilizzo del lardo nel procedimento di trasformazione delle carni. B.5 Caratteristiche Chimico - fisiche e microbiologiche La tabella sotto indicata, espone i dati nei suoi valori minimi e massimi consentiti, maggiormente significativi che caratterizzano il Salame S.Angelo, riscontrabili a stagionatura ultimata. La carica microbica viene indicata come valore massimo, cioè uguale o minore di quella sopra indicata. Articolo 3. Delimitazione zona geografica C.1 La produzione del SALAME S.ANGELO avviene solo nel territorio del Comune di Sant’Angelo di Brolo come individuato nell’allegata cartina,. Articolo 4. Origini del Prodotto D.1 Ogni fase del processo produttivo viene monitorata documentando per ognuna gli input e gli output. In questo modo, e attraverso l’iscrizione in appositi elenchi, gestiti dalla struttura di controllo, degli allevatori, macellatori, sezionatori e dei confezionatori, nonché attraverso la dichiarazione tempestiva alla struttura di controllo delle quantità prodotte è garantita la tracciabilità del prodotto. A tal proposito le etichette devono riportare, oltre a quanto descritto al successivo articolo 8, un codice numerico corrispondente al singolo prodotto. Tutte le persone, fisiche o giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, sono assoggettate al controllo da parte della struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo Articolo 5. Metodo di Ottenimento E.1 La produzione del Salame S. Angelo si articola attraverso le diverse fasi che compongono il ciclo di lavorazione di seguito elencato: E 1.1 Ricevimento della materia prima, con avvio diretto alla lavorazione o relativo deposito a T° controllata zero° max +4°; E 1.2 Scotennamento, sezionatura, disosso e mondatura della materia prima. Le parti da impiegare in quantità proporzionale e provenienti dall’intera mezzena di suino, sono: coscia, lonza, filetto, spalla, coppa, opportunamente snervati, e pancettone mondato. E 1.3 Taglio della materia prima. La grana della carne e del grasso costituente la pasta di salame deve essere tagliata a “ punta di coltello”. Per questa fase, in alternativa, può essere utilizzata apposita macchina cubettatrice con stampo a fori a sezionatura quadrata da 12 millimetri; E 1.4 Impasto della carne precedentemente tagliata, con aggiunta di solo sale marino, pepe nero a mezza grana e nitrato di potassio (E252). Nell’impasto il rapporto carne/grasso presente, deve essere non superiore a 100/20 ossia non superiore al 20% di grasso. E’ vietato categoricamente l’uso del lardo. E 1.5 Preparazione del budello, esclusivamente di maiale, legato con spago all’interno nella parte inferiore, una volta rivoltato su se stesso viene riempito, legato e sigillato nella parte superiore. E 1.6 Asciugatura e stagionatura del prodotto, variabile in funzione della pezzatura, delle caratteristiche chimico–fisiche e merceologiche devono essere effettuate: E 1.6.1 in locali sufficientemente aerati e separati tra loro, attraverso lo sfruttamento delle caratteristiche climatiche in funzione dell’orientamento e del posizionamento dei locali di produzione; E 1.6.2 in apposite sale di asciugatura, e di stagionatura che attraverso lo sfruttamento delle condizioni climatiche naturali, consentono con i loro sistemi tecnologici di aspirare, regolare, rinnovare e diffondere l’aria esterna. E 1.6.3 Al termine del periodo di stagionatura la struttura di controllo verifica che il prodotto possieda le caratteristiche descritte all’articolo 2 ed in presenza di tali requisiti di idoneità viene apposta l’etichetta descritta all’articolo 8 del presente disciplinare di produzione e come previsto dal piano dei controlli. E 1.6.4 Le operazioni di produzione e stagionatura devono avvenire nella zona di produzione. Articolo 6. Legame con L’Ambiente F.1 Il legame con l’ambiente è uno degli elementi indiscussi che caratterizzano e legano il prodotto Salame S.Angelo alla zona geografica di origine, il Comune di Sant’Angelo di Brolo, soddisfacendo i requisiti previsti dal Reg. CEE n. 2081/92. In particolare: F 1.1 Le origini di produzione e loro tecniche. L’indubbia connessione con il territorio tradizionale di produzione è rappresentata dalla capacità tecnica degli addetti ai lavori, in quanto nel tempo si sono tramandate ed affermate le maestranze qualificate che hanno reso possibile la prosecuzione dei procedimenti di lavorazione del prodotto nel pieno rispetto della tradizione consolidata. In particolare, quella del taglio e della preparazione dell’impasto rappresenta un aspetto fondamentale di quello che sarà il risultato finale di un prodotto, dalle caratteristiche inimitabili. F 1.2 Il microclima della zona geografica. Il microclima che ne influenza positivamente la fase fondamentale della stagionatura, viene determinato dalla particolare morfologia della vallata di S. Angelo di Brolo, la quale si differenzia in modo significativo da quelle vicine. Di fatto l’andamento dei suoi versanti, proteggono la vallata dall’ingresso diretto sia delle correnti marine, che da quelle fredde provenienti dalle montagne, creando un idoneo andamento delle correnti aeree, della temperatura e dell’umidità, tali da consentire l’instaurazione di un micro-ambiente che la differenzia e la fa assomigliare ad una grande sala di stagionatura, con connotazione altrove non riproducibili. F 1.3 La reputazione, la qualità e le caratteristiche organolettiche. Infine da non sottovalutare è la notorietà che nel corso dei decenni il Salame S.Angelo ha acquisito sul mercato regionale, nazionale ed europeo. Reputazione che i salumificatori ed il Salame S.Angelo hanno acquisito attraverso un prodotto, che nella fase commerciale trova largo consenso nel consumatore finale, poiché esso presenta, quelle caratteristiche organolettiche peculiari proprie, di una cultura che affonda le sue radici in un passato molto lontano, fatto di antiche tradizioni, capaci di garantire sapori inimitabili di tempi lontani. Ne è conferma la presenza sul territorio, negli anni, di un numero consistente di operatori, dediti alla produzione e alla commercializzazione sui diversi mercati di riferimento. F.2 Il Salame S.Angelo, prende il nome dal paese di produzione S. Angelo di Brolo in provincia di Messina. La storia del prodotto è antichissima, è documentata nella sua zona di origine, ed affonda le sue radici in tempi assai lontani, all’epoca arabo – normanna. Essa iniziò quando, nel XI secolo, per volontà della regina Adelasia, i Normanni, a seguito del Conte Ruggero d’Altavilla, portarono nuovi usi nel territorio siciliano. Gli stessi, affiancati dall’oppressione araba, a conferma della sopraggiunta libertà, testimoniata dai nuovi costumi dietetici, in contrapposizione a quelli degli arabi, la cui religione musulmana vietava l’uso di carne di maiale, introdussero le carni suine nell’uso culinario Così nel tempo, S. Angelo è stato custode geloso di una tradizione unica in Sicilia tramandata da generazione in generazione fino ai tempi odierni. F.3 Ciò trova conferma in numerosi importanti documenti storici quali: F 3.1 Una delibera redatta nel 1855, con la quale l’allora governante del comune di S. Angelo, introduceva una tassa sulle principali produzioni di maggior interesse economico presenti sul territorio comunale, comprendente anche il Salame denominata “Balzello”, trasformatasi negli anni seguenti e mantenuta sino agli 50 sotto forma di dazi; F 3.2 Una delibera comunale del 7 settembre 1855 dove si formulava il regolamento di percezione del balzello sul consumo, produzione e commercializzazione del Salame, e relativo pagamento con l’allora moneta in vigore “nella ragione di grano uno napoletano per ogni rotolo, giusta tariffa autorizzata”. Inoltre nel regolamento si imponeva pure, a tutti i detentori di salame la presentazione alla casa Comunale di una dichiarazione chiamata “Rivelo”, cioè una sorta di autocertificazione odierna per dichiarare le quantità di prodotto posseduto. F 3.3 PRIMUM AC PROTOTYPUM, n.1 del periodico dell’Università di Messina, del Prof. Enrico Pispisa, in cui si ribadisce il concetto di politica economica espressa da Federico II in Sicilia, che diede impulso alla produzione e commercializzazione nei territori del suo regno della carne fresca, salate e salame. F 3.4 Testo, titolato I prodotti dell’isola del Sole di Ettore Costanzo e Mario Liberto edito e curato in collaborazione con la Regione Siciliana Assessorato Agricoltura e Foreste Servizi allo Sviluppo, in cui si evidenza la tipica produzione del Salame S.Angelo. F 3.5 Tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Napoli redatta da diversi collegi “Dott. Ravidà –AUSL Patti-“, attinente la produzione e le caratteristiche che contraddistinguono il Salame S.Angelo F 3.6 Pubblicazioni varie su quotidiani e riviste del settore, riguardanti le origini, la produzione, le partecipazioni a manifestazioni agroalimentari e le peculiarità del Salame S.Angelo. F 3.7 Registrazione marchi e fatture di commercializzazione dei produttori presenti sul territorio, con particolare riguardo ai marchi per la difesa dalle imitazioni. F 3.8 Istituzione sin dal 1990, nel Comune di S.Angelo di Brolo di una manifestazione dedicata al Salame S.Angelo, al fine di incentivare e favorire da un lato, l’incontro tra la domanda e l’offerta di mercato, dall’altro una politica di rafforzamento del comparto economico locale di produzione. F. 4 A parte la dimostrazione formale dell’origine, la notorietà e la fama acquisiti in tantissimi anni, dimostra quanto alto si l’indice di gradimento per questo prodotto e radicato il concetto che identifica lo stesso con la denominazione geografica “Salame S.Angelo” tanto da favorire tentativi di imitazione ed uso improprio della denominazione stessa. A tal fine, per evitare questo deprecabile fenomeno, dovrà essere garantita l’origine certa del prodotto mediante l’iscrizione in appositi elenchi dei produttori e delle strutture di lavorazione, gestiti dall’organismo di controllo di cui al successivo art. 7. Lo stesso organismo, autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole e forestali, verificherà che il prodotto tutelato della I.G.P. risponda alle prescrizioni del disciplinare. Articolo 7. Organismo di controllo G.1 I controlli saranno effettuati da un organismo conforme a quanto disposto dall’art. 10 del reg.CEE 2081/92 e successive modifiche e integrazioni. Articolo 8. Etichettatura e Commercializzazione H.1 Una adeguata protezione della denominazione impone l’adozione di requisiti di identificazione e distintivi facilmente individuabili. Pertanto viene previsto: H 1.1 Il prodotto, subito dopo l’insacco e la legatura, deve essere munito di sigillo atto a garantire la corrispondenza al presente disciplinare, e di tutti gli elementi previsti dalle leggi vigenti che regolano le procedure di etichettatura e confezionamento dei prodotti insaccati a base di carne. H 1.2 Sul prodotto immesso al consumo deve essere riportata la denominazione “Salame S.Angelo”, seguita dalla dicitura “Indicazione Geografica Protetta” e/o dalla sigla IGP, fatta in caratteri chiari, indelebili, di dimensioni almeno doppie rispetto alle altre diciture, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compaia in etichetta, così come riportato nel successivo art. 9. Per il prodotto destinato ai mercati esteri, l’indicazione geografica protetta potrà essere indicata nella versione linguistica del paese in cui il prodotto viene commercializzato. E’ vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. H 1.2.1 Sull’etichetta dovrà comparire oltre alle diciture finora elencate, ed al logo della denominazione, il codice numerico identificativo del singolo prodotto. H 1.3 Il Salame S.Angelo, dopo l’applicazione dei contrassegni, può essere commercializzato: H 1.3.1 Sfuso ovvero confezionato sottovuoto o in atmosfera modificata, intero, in tranci o affettato | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Sicilia | Messina | ||||||||||||||||||||||||||||
Salamini italiani alla cacciatora Salamini italiani alla cacciatora Disciplinare di produzione - Provvedimento 23.10.2001 – GURI n. 258 del 6.11.2001Articolo 1. Denominazione La denominazione d'origine è riservata, ai sensi dell'art. 2, comma 3 del regolamento CEE 2081/92, al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione dei salamini italiani alla cacciatora debbono essere situati nel territorio delle seguenti regioni: Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni debbono rispondere alle caratteristiche produttive già stabilite dai decreti del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 18 dicembre 1993 per i prosciutti di Parma e S. Daniele. I suini devono essere di peso non inferiore ai 160 kg, più o meno 10%, di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del regolamento CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Da tali suini si ottengono carni aventi le caratteristiche necessarie per la produzione dei salamini italiani alla cacciatora. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. I salamini italiani alla cacciatora sono ottenuti nella zona tradizionale di produzione che comprende l'intero territorio delle seguenti regioni, esattamente corrispondenti a quelle di provenienza dei suini: Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. Articolo 3. Materie prime I salamini italiani alla cacciatora sono prodotti con carni magre ottenute da muscolatura striata appartenente alla carcassa di suino, grasso suino duro, sale, pepe a pezzi e/o macinato, aglio. Non possono essere impiegate carni separate meccanicamente. Possono essere addizionati vino, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, latte magro in polvere o caseinati, colture di avviamento alla fermentazione, nitrato di sodio e/o potassio alla dose massima di 195 parti per milione, nitrito di sodio e/o potassio alla dose massima di 95 parti per milione, acido ascorbico e suo sale sodico. Articolo 4. Metodo di elaborazione La produzione dei salamini italiani alla cacciatora, compreso il confezionamento, l'affettamento ed il porzionamento deve avvenire nella zona delimitata nell'art. 2, con la seguente metodologia di elaborazione: le frazioni muscolari e adipose, ottenute da carni macellate secondo le vigenti disposizioni, sono mondate accuratamente asportando le parti connettivali di maggior dimensioni ed il tessuto adiposo molle e devono essere fatte sostare in apposite celle frigorifere a temperatura di congelazione o refrigerazione e comunque non superiore ai 7°C. La macinatura deve essere effettuata in tritacarne con stampi con fori compresi tra i 3 e gli 8 mm o con altri sistemi che garantiscano analoghi risultati. L'eventuale impastatura di tutti gli ingredienti deve essere effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. L'insaccatura avviene in budelli naturali o artificiali di diametro non superiore a 75 mm, eventualmente legati in filza. L'asciugamento dei salamini è effettuato a caldo (temperatura compresa tra 18° e 25°C) e deve consentire una rapida disidratazione delle frazioni superficiali nei primi giorni di trattamento, non possono comunque essere adottate tecniche che prevedano una fermentazione accelerata. Articolo 5. Stagionatura I salamini italiani alla cacciatora devono essere stagionati per almeno dieci giorni in locali dove sia assicurato un sufficiente ricambio di aria a temperatura compresa fra 10° e 15°C. La stagionatura, periodo comprendente anche l'asciugamento, deve garantire la conservazione e la salubrità in condizioni normali di temperatura ambiente. Articolo 6. Caratteristiche I salamini italiani alla cacciatora all'atto dell'immissione al consumo devono avere le seguenti caratteristiche organolettiche, chimiche e chimico-fisiche e microbiologiche: Caratteristiche organolettiche: - aspetto esterno: forma cilindrica; - consistenza: il prodotto deve essere compatto di consistenza non elastica; - aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta ed omogenea, con assenza di frazioni aponeurotiche evidenti; - colore: rosso rubino uniforme con granelli di grasso ben distribuiti; - odore: profumo delicato e caratteristico; - sapore: gusto dolce e delicato mai acido. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche: - proteine totali, min. 20%; - rapporto collageno/proteine, max. 0,15; - rapporto acqua/proteine, max. 2,30; - rapporto grasso/proteine max. 2,00; - pH maggiore o uguale 5,3. Caratteristiche microbiologiche: carica microbica mesofila 41 x 10 alla settima unità formanti colonia/grammo con prevalenza di lattobacillacee e coccacee. Il prodotto finito presenta diametro di circa 60 mm, lunghezza di circa 200 mm e peso in media di 350 grammi. Articolo 7. Controlli L'attività di controllo dei "Salamini italiani alla cacciatora" viene esercitata, ai sensi dell'art. 10 del regolamento (CEE) 2081/92, da un'autorità pubblica designata o da un organismo privato autorizzato. Restano valide le competenze attribuite al medico veterinario ufficiale della USL dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 537 (di recepimento della direttiva 92/5/CE) in materia di ispezioni e controlli dei prodotti a base di carne. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione della denominazione di origine controllata "Salamini italiani alla cacciatora" deve essere fatta in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Denominazione di origine protetta". Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "Denominazione di origine protetta" nella lingua del Paese di destinazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti il prodotto deriva, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti. I "Salamini italiani alla cacciatora" possono essere commercializzati sfusi ovvero confezionati sottovuoto o in atmosfera modificata, interi, in tranci o affettati. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire, sotto la vigilanza dell'autorità di controllo indicata all'art. 7, esclusivamente nella zona di elaborazione del prodotto. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, Molise, Veneto | L'Aquila, Chieti, Pescara, Teramo, Bologna, Ferrara, Forlì, Modena, Parma, Piacenza, Ravenna, Reggio Emilia, Gorizia, Pordenone, Trieste, Udine, Roma, Frosinone, Rieti, Latina, Viterbo, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Milano, Pavia, Sondrio, Varese, Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro- Urbino, Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli, Arezzo, Siena, Firenze, Pisa, Pistoia, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Perugia, Terni, Campobasso, Isernia, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Salsiccia di Calabria Salsiccia di Calabria" Dop Disciplinare di produzione "Salsiccia di Calabria" DopArticolo 1 Denominazione La denominazione di origine protetta "Salsiccia di Calabria" è riservata ai prodotti di salumeria aventi i requisiti fissati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2 Zona di produzione L’elaborazione della salsiccia di Calabria deve avvenire nella tradizionale zona di produzione sita nel territorio della regione Calabria. Articolo 3 Materie prime La salsiccia di Calabria deve essere ottenuta dalla lavorazione di carni di suini nati nel territorio delle regioni Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia e Campania e allevati nel territorio della regione Calabria dall’età massima di quattro mesi. Le fasi di macellazione e lavorazione devono aver luogo nel territorio calabrese. Dalla lavorazione sono escluse le carni di verri e scrofe. I suini, al momento della macellazione, debbono essere di peso non inferiore a kg 140, di età non inferiore ad otto mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano, ottenuto impiegando razze tradizionali di taglia grande quali: - Calabrese; - Large White e Landrace Italiana così come migliorate dal libro genealogico italiano o figli di verri di quelle razze; - suini figli di verri della razza Duroc, così come migliorate dal libro genealogico italiano; - suini figli di verri di altre razze o di verri ibridi purché detti verri – siano essi nati in Italia o all’estero- provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante. Per contro, sono espressamente esclusi: suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS); - animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain e Spot. I suini debbono inoltre presentare il marchio di qualità "suino allevato in Calabria" e rispettare le prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e tecniche di allevamento. I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura non inferiore al 50% del contenuto. Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso sapori ed odori indesiderati. Per avere carni più compatte per l’ingrasso è vietata l’alimentazione a brodo. Nella preparazione dell’impasto per la salsiccia di Calabria è ammesso l’uso di soli ingredienti naturali quali sale (cloruro di sodio), pepe nero in grani ed in polvere, pepe rosso piccante, pepe rosso dolce, crema di peperoni, vino, semi di finocchio. Possono inoltre essere impiegati: caseinato, acido ascorbico e/o sale sodico, lattato di sodio, nitrato di sodio e/o di potassio, nitrito di sodio e/o di potassio. Il loro utilizzo è limitato a quanto consentito e fintanto che sia previsto dalle vigenti disposizioni di legge. Articolo 4 Metodi di elaborazione Il prodotto denominato "Salsiccia di Calabria" è ricavato dall’impasto, ben amalgamato, delle carni della spalla e della sottocostola dei suini, esclusi gli animali congelati, con lardo ed ingredienti aromatici naturali. Le carni ed il lardo vengono lavorati quando la temperatura interna è compresa tra 0° e 3°C. La percentuale di grasso contenuto nell’impasto deve essere compresa tra il 15 ed il 20 per cento, per ogni chilogrammo di carne lavorata. L’impasto viene insaccato in budella naturali di suino, successivamente forate e quindi intrecciate a mano nella caratteristica forma a catenella. Articolo 5 Stagionatura La stagionatura della salsiccia di Calabria deve essere fatta allo stato naturale in apposito ambiente igienicamente sano, per trenta giorni. Articolo 6 Caratteristiche La "Salsiccia di Calabria" all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche. La forma è cilindrica intrecciata nella caratteristica forma a catenella di lunghezza che varia da 70 ad 80 cm. Al taglio risulta a grana media, con il grasso ben distribuito, di colore rosso naturale o rosso vivace a secondo che nell’impasto è utilizzato il pepe nero o il peperoncino rosso, dolce o piccante. Il profumo più o meno intenso naturale, la sapidità è equilibrata o più intensa (piccante). Articolo 7 Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8 Designazione e presentazione La designazione della denominazione d’origine protetta salsiccia di Calabria deve essere realizzata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare nell’etichetta o cartellino allegato al prodotto o indicazione sulla confezione del prodotto porzionato, ed essere immediatamente seguite dalla menzione "Denominazione d’origine protetta". Le suddette diciture e menzioni sono intraducibili. Può inoltre comparire la sigla DOP in altra parte dell’etichetta nel medesimo campo visivo. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "denominazione d'origine protetta" nella lingua del paese di destinazione. Tali indicazioni sono abbinate inscindibilmente al marchio della denominazione della salsiccia di Calabria che deve essere applicato nella relativa etichetta seguendo le indicazioni descritte nel manuale di presentazione allegato. Nella parte retrostante del cartellino o sulla confezione del prodotto porzionato, devono essere riportati i dati essenziali di composizione della salsiccia di Calabria ed i componenti organolettici. Nell’etichetta possono essere indicate, alternativamente, le parole "piccante", "dolce", o "bianca", se per la produzione della Salsiccia di Calabria vi è stato, rispettivamente, utilizzo di pepe rosso piccante o crema di peperoni piccante, utilizzo di pepe rosso dolce o crema di peperoni dolce, non utilizzo sia di pepe rosso che di crema di peperoni. Devono, inoltre, essere indicati il nome ed il cognome del produttore, o la ragione sociale, la zona di produzione e la sede dello stabilimento di produzione. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non prevista dal disciplinare. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente, nonché l’eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti deriva il prodotto. La salsiccia di Calabria può essere immessa al consumo nella sua caratteristica forma, così come descritto all’art. 6, ovvero confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata, intera, in tranci o affettata. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all’art. 2. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia | ||||||||||||||||||||||||||||
Soppressata di Calabria "Soppressata di Calabria" Dop Disciplinare di produzione "Soppressata di Calabria" DopArticolo 1 Denominazione La denominazione di origine protetta "Soppressata di Calabria" è riservata ai prodotti di salumeria aventi i requisiti fissati nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2 Zona di produzione L’elaborazione della soppressata di Calabria deve avvenire nella tradizionale zona di produzione sita nel territorio della regione Calabria. Articolo 3 Materie prime La soppressata di Calabria deve essere ottenuta dalla lavorazione di carni di suini nati nel territorio delle regioni Calabria, Basilicata, Sicilia, Puglia e Campania e allevati nel territorio della regione Calabria dall’età massima di quattro mesi. Le fasi di macellazione e lavorazione devono aver luogo nel territorio calabrese. Dalla lavorazione sono escluse le carni di verri e scrofe. I suini, al momento della macellazione, debbono essere di peso non inferiore a kg. 140, di età non inferiore ad otto mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano, ottenuto impiegando razze tradizionali di taglia grande quali: - Calabrese; - Large White e Landrace Italiana così come migliorate dal libro genealogico italiano o figli di verri di quelle razze; - suini figli di verri della razza Duroc, così come migliorate dal libro genealogico italiano; - suini figli di verri di altre razze o di verri ibridi purché detti verri – siano essi nati in Italia o all’estero- provengano da schemi di selezione o incrocio attuati con finalità non incompatibili con quelle del libro genealogico italiano, per la produzione del suino pesante. Per contro, sono espressamente esclusi: - suini portatori di caratteri antitetici, con particolare riferimento alla sensibilità agli stress (PSS); - animali in purezza delle razze Landrace Belga, Hampshire, Pietrain e Spot. I suini debbono inoltre presentare il marchio di qualità "suino allevato in Calabria" e rispettare le prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e tecniche di allevamento. I mangimi per l’alimentazione dei suini debbono essere mangimi composti integrati di orzo, favino, mais, ghiande, ceci, in misura non inferiore al 50% del contenuto. Non è consentito l’uso nell’alimentazione di manioca e patate e di sottoprodotti che potrebbero conferire alle carni ed al grasso sapori ed odori indesiderati. Per avere carni più compatte per l’ingrasso è vietata l’alimentazione a brodo. Nella preparazione dell’impasto per la salsiccia di Calabria è ammesso l’uso di soli ingredienti naturali quali sale (cloruro di sodio), pepe nero in grani ed in polvere, pepe rosso piccante, pepe rosso dolce, crema di peperoni, vino. Possono inoltre essere impiegati: caseinato, acido ascorbico e/o sale sodico, lattato di sodio, nitrato di sodio e/o di potassio, nitrito di sodio e/o di potassio. Il loro utilizzo è limitato a quanto consentito e fintanto che sia previsto dalle vigenti disposizioni di legge. Articolo 4 Metodi di elaborazione Con la denominazione "Soppressata di Calabria" si intende il prodotto preparato con l’impasto della carne, tritata a medio taglio, ricavata dal prosciutto e dalla spalla di suini non congelati, con grasso ben scelto ricavato dal lardo della parte anteriore del lombo, vicino al capocollo, ed ingredienti aromatici naturali. Il grasso ben scelto deve essere contenuto in una percentuale variabile dal 12 al 15 per cento, per ogni chilogrammo di carne lavorata. Le carni selezionate ed il lardo vengono lavorati dopo aver raggiunto la temperatura interna compresa tra 0° e 3°C. Il macinato è insaccato in budella naturali di suino, forate e quindi legate a mano con spago naturale. La forma è assimilabile ad una figura cilindrica leggermente schiacciata, della lunghezza di cm 15 circa e del diametro di cm 6 circa. Articolo 5 Stagionatura La stagionatura della soppressata di Calabria deve essere fatta allo stato naturale in apposito ambiente, igienicamente sano, per quarantacinque giorni. Articolo 6 Caratteristiche La "Soppressata di Calabria" all’atto dell’immissione al consumo presenta le seguenti caratteristiche. La forma è assimilabile ad una figura cilindrica leggermente schiacciata, della lunghezza di cm 15 circa e del diametro di cm 6 circa. Al taglio risulta di aspetto compatto tendente al morbido, con una colorazione rosso naturale o rosso vivace uniforme a seconda dell’uso degli ingredienti naturali (pepe nero in grani o pepe rosso dolce o piccante). Il sapore è più o meno intenso (piccante), con sapidità equilibrata. Articolo 7 Controlli Il controllo per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolto da un organismo privato autorizzato, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 8 Designazione e presentazione La designazione della denominazione d’origine protetta soppressata di Calabria deve essere realizzata in caratteri chiari e indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare nell’etichetta o cartellino allegato al prodotto o indicazione sulla confezione del prodotto porzionato, ed essere immediatamente seguite dalla menzione "denominazione d’origine protetta". Le suddette diciture e menzioni sono intraducibili. Può inoltre comparire la sigla DOP in altra parte dell’etichetta nel medesimo campo visivo. Per il prodotto destinato ai mercati internazionali può essere utilizzata la menzione "denominazione d'origine protetta" nella lingua del paese di destinazione. Tali indicazioni sono abbinate inscindibilmente al marchio della denominazione della soppressata di Calabria che deve essere applicato nella relativa etichetta seguendo le indicazioni descritte nel manuale di presentazione allegato. Nella parte retrostante del cartellino o sulla confezione del prodotto porzionato, devono essere riportati i dati essenziali di composizione della soppressata di Calabria ed i componenti organolettici. Nell’etichetta possono essere indicate, alternativamente, le parole "piccante", "dolce", o "bianca", se per la produzione della soppressata di Calabria vi è stato, rispettivamente, utilizzo di pepe rosso piccante o crema di peperoni piccante, utilizzo di pepe rosso dolce o crema di peperoni dolce, non utilizzo sia di pepe rosso che di crema di peperoni. Devono, inoltre, essere indicati il nome ed il cognome del produttore, o la ragione sociale, la zona di produzione e la sede dello stabilimento di produzione. È vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione non prevista dal disciplinare. È tuttavia consentito l’utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l’acquirente, nonché l’eventuale nome di aziende suinicole dai cui allevamenti deriva il prodotto. La soppressata di Calabria può essere immessa al consumo in pezzi singoli, così come descritto all’art. 6, ovvero confezionata sottovuoto o in atmosfera modificata, intera, in tranci o affettata. Le operazioni di confezionamento, affettamento e porzionamento devono avvenire esclusivamente nella zona di produzione indicata all’art. 2. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Calabria | Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia | ||||||||||||||||||||||||||||
Sopressa Vicentina Soprèssa Vicentina Disciplinare di produzioneArticolo 1.
Articolo 2.
Le fasi di allevamento sono così definite:
Le strutture e attrezzature dell'allevamento devono risultare ben coibentate e ben areate in modo da garantire la giusta temperatura, il ricambio ottimale dell'aria e l'eliminazione dei gas nocivi.
2.1.6 Alimentazione degli animali nella fase di ingrasso
2.2 Caratteristiche fisiche
Articolo 3.
Articolo 4.
Articolo 5.
Articolo 6.
Articolo7.
Articolo 8.
| D.O.P. | Prodotti a base di carne | Veneto | Vicenza | ||||||||||||||||||||||||||||
Speck dell'Alto Adige o Südtiroler Markenspeck o Südtiroler Speck Speck dell’Alto Adige Disciplinare di produzione della Indicazione Geografica Protetta
| I.G.P. | Prodotti a base di carne | Prov. Aut. di Bolzano | Bolzano | ||||||||||||||||||||||||||||
Valle d'Aosta Jambon de Bosses Valle d'Aosta Jambon de Bosses Disciplinare di produzioneArticolo 1. Denominazione La Denominazione di Origine Protetta "Valle d'Aosta Jambon de Bosses" è riservata al prosciutto crudo stagionato che risponde alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione. Articolo 2. Zona di produzione Il Jambon de Bosses è un prosciutto crudo ottenuto dalla coscia fresca di suini adulti provenienti da allevamenti situati nel territorio delle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti a denominazione di origine di Parma e San Daniele. Gli allevamente devono infatti attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso non inferiore ai 160 kg, più età non inferiore ai nove mesi, aventi le proprie del suino pesante italiano definite Reg. CEE n. 3220/84 concernente la commerciale delle carcasse suine. è responsabile della corrispondenza origine dei tagli. Il certificato del o meno 10%, di caratteristiche ai sensi del clessificazione Il macellatore qualitativa e di macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. La zona di elaborazione del prosciutto comprende l'intero territorio del Comune di Saint Rhemy-en-Bosses ad una altezza di circa 1.600 m.s.l.. Articolo 3. Materie prime Il "Valle d'Aosta Jambon de Bosses" è derivato dalla coscia posteriore di suini adulti che corrispondono alle caratteristiche dell'art.2. Nel procedimento di salatura si impiega una miscela composta da cloruro di sodio cristallizzato, aglio tritato, erbe aromatiche (salvia e rosmarino), pepe macinato grossolanamente e bacche reperibili sul territorio di produzione. Articolo 4. Metodo di elaborazione L'elaborazione del Jambon de Bosses deve avvenire interamente nel territorio tradizionalmente vocato del Comune di Saint Rhemy-en-Bosses. Il regime climatico dell'area di elaborazione è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente collegato con l'andamento metereologico caratteristico ed alle particolari condizioni ambientali. Dopo la macellazione le cosce sono isolate dalla carcassa, rifilate dal grasso e dall'eccesso di cotenna e dopo almeno 24 ore e non oltre i quattro giorni subiscono il trattamento della salatura. La salatura deve avvenire in ambienti freddi, essere eseguita a secco e deve prolungarsi per un periodo di 15-18 giorni. Durante tale periodo la coscia è frazionata almeno due volte nella direzione dal gambo verso la testa del femore, onde favorire la fuoriuscita di eventuali residui di sangue e di serio. E' assolutamente vietato usare nella miscela ogni tipo di colorante e conservante artificiale ivi compreso il salnitro. A salagione ultimata il prodotto deve essere previamente lavato, accuratamente asciugato e appeso per la stagionatura in ambiente oscuro, fresco e ben ventilato. Articolo 5. Stagionatura La stagionatura è condotta in appositi locali dove i prosciutti sono tenuti al buio, a temperatura ed umidità adeguate, assicurando un sufficiente ricambio dell'aria in relazione all'andamento climatico locale. Ad essiccamento iniziato la testa del femore e le superfici muscolari esposte sono abbondantemente ricoperte di pepe puro macinato grossolanamente, al fine di evitare l'ossidazione delle parti esposte. La fase di stagionatura deve durare un periodo non inferiore ai 12 mesi. Articolo 6. Caratteristiche All'atto dell'immissione al consumo il "Valle d'Aosta Jambon de Bosses" presenta le seguenti caratteristiche: CARATTERISTICHE FISICHE Forma: naturale semipressata, con legatura a mezzo di corda passante per un foro praticato nella parte superiore del gambo; Peso: non inferiore ai 7 Kg; Aspetto esterno: colore giallo paglierino con superficie liscia della cute nella parte esterna, leggermente pieghettata nella parte interna della coscia; Aspetto al taglio: massa muscolare compatta, soda, di coloro rosso vinoso con fibra consistente; lardo sodo e brillante talora con sfumatura rosa sulla parte esterna. CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE Profumo: delicato di carne stagionata, aromatico; Sapore: leggeremente salato con punta di dolce e sottofondo aromatico, con una delicata venatura di selvatico. Articolo 7. Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (USL) dello stabilimento - il quale ai sensi del Capitolo IV "controllo della produzione" del D.Lgs. 30.12.1992, n.537, accerta e mediante una ispezione adeguata controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti dal produttore e, in particolare, che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell'etichetta essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al Capitolo V, punto 4 del sopra citato decreto legislativo (la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l'autorizza) - la vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del Consorzio tra i produttori, o di altro Organismo, a tal fine costituito conformemente a quanto stabilito dall'art.10 del Regolamento (CEE) n.2081/1992. Articolo 8. Designazione e presentazione La designazione "Jambon de Bosses" deve essere apposta con caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinti da ogni altra scritta ed essere seguita dalla menzione Denominazione di Origine Controllata. La designazione può essere apposta in lingua italiana "Valle d'Aosta Jambon de Bosses" od in lingua francese "Vallèe d'Aoste Jambon de Bosses". Tali indicazioni possono essere abbinate al logo della denominazione. E' vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. E' tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole da cui allevamenti il prodotto deriva, purché la materia prima provenga interamente dai suddetti allevamenti. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Valle d'Aosta | Aosta | ||||||||||||||||||||||||||||
Valle d'Aosta Lard d'Arnad/Vallée d'Aoste Lard d'Arnad Lardo d'Arnad DOP Disciplinare di produzione del Lardo d'Arnad DOPArticolo 1. Denominazione La denominazione di origine protetta "Valle d'Aosta Lard d’Arnad" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo. 2 Zona di produzione Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione del "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" debbono essere situati nel territorio delle seguenti regioni: Valle d'Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. I suini nati, allevati e macellati nelle suddette regioni sono conformi alle prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti di Parma e S. Daniele. Gli allevamenti devono, infatti, attenersi alle citate prescrizioni per quanto concerne razze, alimentazione e metodologia di allevamento. I suini debbono essere di peso non inferiore ai 160 kg, più o meno di età non inferiore ai nove mesi, aventi le caratteristiche proprie del suino pesante italiano definite ai sensi del Reg. CEE n. 3220/84 concernente la classificazione commerciale delle carcasse suine. Il macellatore è responsabile della corrispondenza qualitativa e di origine dei tagli. Il certificato del macello, che accompagna ciascuna partita di materia prima e ne attesta la provenienza e la tipologia, deve essere conservato dal produttore. I relativi controlli vengono effettuati direttamente dall'Autorità di controllo indicata nel successivo art. 7. La zona di elaborazione del Lard d'Arnad è rappresentata dal territorio comunale di Arnad (Regione Autonoma Valle d'Aosta). Articolo. 3 Materie prime Il "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" è ottenuto dalla spalle e dal dorso dei suini di almeno nove mesi e all'immissione al consumo presenta uno spessore non inferiore a 3 cm. Nel procedimento di salatura si impiegano, oltre alla salamoia composta da acqua e cloruro di sodio cristallizzato, aglio, lauro, rosmarino e salvia con l'eventuale presenza di altre erbe aromatiche ed eventualmente spezie non macinate quali ad esempio chiodi di garofano, noce moscata, grani di ginepro. Sia le erbe aromatiche che le spezie non devono comunque essere predominanti su rosmarino, aglio, salvia e lauro. Possono altresì essere usate, in relazione all’andamento stagionale ed alle produzioni, erbe aromatiche locali, spontanee o coltivate, raccolte sul territorio regionale. Articolo. 4 Metodo di elaborazione L'elaborazione del "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" deve avvenire interamente nella zona geografica individuata da territorio comunale di Arnad (Regione Autonoma Valle d'Aosta). Il regime climatico dell'area di elaborazione è determinante nella dinamica del ciclo produttivo che è strettamente legato alle tipiche condizioni ambientali. Il lardo deve essere tagliato e collocato negli appositi contenitori di legno (Doils) dopo non oltre 48 ore dal giorno successivo alla macellazione. Il legno usato per costruire i doils deve essere di castagno, rovere o larice. Durante questo periodo di tempo la temperatura è mantenuta bassa per conservare inalterate le caratteristiche del prodotto. Durante l'operazione di collocamento nei doils si alternano ad ogni strato di lardo uno strato di sale ed aromi procedendo in tal modo fino al riempimento del recipiente; il tutto è successivamente ricoperto di acqua salata, portata prima ad ebollizione e poi lasciata raffreddare, in modo da ottenere la salamoia necessaria per la conservazione del lardo. Articolo. 5 Stagionatura Il lardo deve riposare all'interno dei doils per un periodo non inferiore ai 3 mesi. Articolo. 6 Caratteristiche All'atto dell'immissione al consumo il "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" presenta le seguenti caratteristiche: Caratteristiche fisiche - Forma: in pezzi di diversa dimensione a seconda dei tagli e della tecnologia con un’altezza del lardo non inferiore a 3 cm.. Ogni pezzo conserva sul lato la cotenna. - Aspetto esterno: colore bianco con possibile presenza di un leggero strato di carne, mentre il cuore è normalmente rosato chiaro senza venature. Caratteristiche organolettiche - Odore: ricco di aromi; - Gusto: gusto piacevole che ricorda le erbe usate nella miscela per la salamoia. Articolo. 7 Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (USL) dello stabilimento il quale ai sensi del capitolo IV "controllo della produzione" del D.Lgs. 30/12/1992, n. 537, accerta e mediante un’ispezione adeguata controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti dal produttore e, in particolare che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell'etichetta essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al capitolo V, punto 4 del sopracitato decreto legislativo (la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l'autorizza") - la vigilanza per l'applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali il quale può avvalersi ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio del Consorzio tra i produttori, o di altro Organismo a tal fine costituito come stabilito dall'art. l0 del Regolamento CEE di riferimento. Articolo. 8 Designazione e presentazione La designazione "Lard d'Arnad" deve essere apposta con caratteri chiari ed indelebili, nettamente distinti da ogni altra scritta ed essere seguita dalla menzione Denominazione di Origine Controllata. La designazione può essere apposta in lingua italiana "Valle d'Aosta Lard d'Arnad" od in lingua francese "Vallée d'Aoste Lard d'Arnad". Tali indicazioni possono essere abbinate al logo della denominazione. È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno il consumatore, nonché l'eventuale nome di aziende suinicole da cui allevamenti il prodotto deriva. | D.O.P. | Prodotti a base di carne | Valle d'Aosta | Aosta | ||||||||||||||||||||||||||||
Zampone Modena "Zampone Modena" Disciplinare di produzione della Indicazione Geografica Protetta "Zampone Modena"Provvedimento 9 aprile 1999 – GURI n. 91 del 20 aprile 1999 (Iscrizione nel "Registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette" ai sensi del Reg. CE n. 590/99) Articolo 1 Denominazione L'indicazione geografica protetta "Zampone Modena" è riservata al prodotto di salumeria che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione. Articolo 2 Zona di produzione Lo "Zampone Modena" viene ottenuto nella zona tradizionale di elaborazione geograficamente individuata nell’intero territorio delle seguenti province italiane: Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona e Rovigo. Articolo 3 Materie prime Lo "Zampone Modena" è costituito da una miscela di carni suine ottenute dalla muscolatura striata, grasso suino, cotenna, sale, pepe intero e/o a pezzi. Possono inoltre essere impiegati: vino, acqua secondo buona tecnica industriale, aromi ad esclusione di quelli di affumicatura e delle sostanze aromatizzanti ottenute per sintesi chimica, ma non identiche chimicamente ad una sostanza naturalmente presente in un prodotto di origine vegetale o animale, spezie e piante aromatiche, zucchero e/o destrosio e/o fruttosio e/o lattosio, nitrito di sodio e/o potassio alla dose massima di 140 parti per milione, acido ascorbico e suo sale sodico, glutammato monosodico. La miscela ottenuta viene insaccata in involucri naturali o artificiali costituiti dal rivestimento cutaneo dell’arto anteriore del suino completo delle falangi distali e legato all’estremità superiore. Articolo 4 Metodo di elaborazione La preparazione dello "Zampone Modena" deve essere effettuata con al macinatura in tritacarne, con stampi con fori di dimensioni comprese tra 7-10 mm per le frazioni muscolari e adipose e con stampi con fori di dimensioni comprese tra 3-5 mm per la cotenna. Tale operazione può essere preceduta da un’eventuale sgrossatura. L’impastatura di tutti i componenti viene effettuata in macchine sottovuoto o a pressione atmosferica. L’impasto così ottenuto deve essere insaccato nell’involucro naturale costituito dal rivestimento dell’arto anteriore del suino completo delle falangi distali e legato all’estremità superiore. Lo "Zampone Modena" può essere commercializzato, previo asciugamento, come prodotto fresco o, previo idoneo trattamento termico, come prodotto cotto. Lo "Zampone Modena" fresco deve essere consumato previa prolungata cottura per garantire l’ottenimento delle tipiche caratteristiche organolettiche di cui all’art. 5. Quando commercializzato fresco, lo "Zampone Modena" è sottoposto ad asciugamento in stufa ad aria calda. Quando commercializzato cotto lo "Zampone Modena" può essere sottoposto a precottura generalmente in acqua. Esso viene confezionato in contenitori ermetici idonei al successivo trattamento termico. Il prodotto confezionato viene sottoposto a trattamento termico in autoclave ad una temperatura minima di 115° C per un tempo sufficiente a garantire la stabilità del prodotto nelle condizioni commerciali raccomandate. Articolo 5 Caratteristiche Lo "Zampone Modena" cotto, all'atto della immissione al consumo, presenta le seguenti caratteristiche organolettiche, chimiche e chimico-fisiche: Caratteristiche organolettiche - Consistenza: il prodotto deve essere facilmente affettabile e tenere la fetta. - Aspetto al taglio: la fetta si presenta compatta con granulometria uniforme. - Colore della fetta: roseo tendente al rosso non uniforme. - Sapore: gusto tipico. Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche dell’impasto - Proteine totali: min. 17%; - Rapporto grasso/proteine: max 1,9. - Rapporto collageno/proteine: max. 0,5. - Rapporto acqua/proteine: max 2,70. Articolo 6 Controlli Fatte salve le competenze attribuite dalla legge al medico veterinario ufficiale (U.S.L.) dello stabilimento – il quale ai sensi del capitolo IV "controllo della produzione" del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 537, accerta e, mediante un’ispezione adeguata, controlla che i prodotti a base di carne rispondano ai criteri di produzione stabiliti dal produttore e, in particolare, che la composizione corrisponda realmente alle diciture dell’etichetta, essendogli attribuita tale funzione specialmente nel caso in cui sia usata la denominazione commerciale di cui al capitolo V, punto 4 del sopraccitato decreto legislativo ("la denominazione commerciale seguita dal riferimento alla norma o legislazione nazionale che l’autorizza") – la vigilanza per l’applicazione delle disposizioni del presente disciplinare di produzione è svolta dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, il quale può avvalersi, ai fini della vigilanza sulla produzione e sul commercio dello "Zampone Modena" dell’Associazione industriali delle carni o di un organismo a tal fine costituito dai produttori, conformemente a quanto stabilito dall’art. 10 del regolamento CEE n. 2081 del 14 luglio 1992. Articolo 7 Designazione e presentazione La designazione della Indicazione Geografica Protetta "Zampone Modena" è intraducibile e deve essere apposta sull'etichetta in caratteri chiari, indelebili, nettamente distinguibili da ogni altra scritta che compare in etichetta ed essere immediatamente seguita dalla menzione "Indicazione Geografica Protetta" e/o dalla sigla "I.G.P.". È vietata l'aggiunta di qualsiasi qualificazione non espressamente prevista. È tuttavia consentito l'utilizzo di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati purché non abbiano significato laudativo o tali da trarre in inganno l'acquirente. Lo "Zampone Modena" viene commercializzato intero: se fresco, sfuso o confezionato, se cotto, in confezioni ermetiche idonee. Le operazioni di confezionamento devono avvenire, sotto la vigilanza della struttura di controllo indicata all'art.6, esclusivamente nella zona di produzione indicata all'art. 2. | I.G.P. | Prodotti a base di carne | Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, | Modena, Ferrara, Ravenna, Rimini, Forlì, Bologna, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Cremona, Lodi, Pavia, Milano, Varese, Como, Lecco, Bergamo, Brescia, Mantova, Verona, Rovigo |